6
e non istituzionali di una particolare regione spagnola ed europea: la Catalogna, il cui
ruolo è stato ed è di particolare interesse nella nascita e nello sviluppo del cosiddetto
Partenariato euromediterraneo. L'analisi di questa realtà ci permetterà di risaltare
caratteristiche e peculiarità di questa particolare cooperazione. Infine, questo lavoro
cercherà di presentare le principali sfide e le opportunità che offre la cooperazione
decentrata europea, spagnola e catalana nel processo di costruzione di uno spazio
euromediterraneo di pace, stabilità e sviluppo condiviso, proponendo infine anche delle
soluzioni tecnologiche innovative per la soluzione di alcune peculiari carenze della
cooperazione decentrata.
È necessario perciò definire cosa si intende dunque per cooperazione decentrata e
spiegare perché di particolare interesse è risultata essere l'azione di istituzioni ed attori
provenienti da una area geograficamente limitata, quale la Catalogna, e destinata ad
un'area anch'essa parimenti circoscritta, come appunto il Mediterraneo. La cooperazione
decentrata è una modalità di attuazione della politica di cooperazione allo sviluppo con
cui s’instaura un rapporto di partenariato tra comunità locali organizzate, con la
partecipazione al processo di sviluppo di altri attori, come ad esempio la società civile.
Questa tipologia di iniziative legate alla cooperazione internazionale quindi viene
promossa da attori diversi da quelli tradizionali, come i Governi centrali degli Stati, per
divenire materia di competenza condivisa con le entità politiche locali ed altre
organizzazioni non istituzionali.
A partire dalla Conferenza di Barcellona del 27/28 novembre 1995, l'Unione Europea
con in primis i governi degli Stati che allora rappresentava, si impegnò ad sottoscrivere
un impegno per lo sviluppo delle relazioni con i Paesi dell'area del Mediterraneo che
avrebbe dovuto estendere le forme di cooperazione con questi Paesi e a portare a vari
risultati di ordine politico, sociale ed economico, tra i quali la creazione entro il 2010 di
un'area di libero scambio. In questo ambito, la volontà della Presidenza della Catalogna,
che in qualità di ospite presiedeva l'evento, fu quella di estendere la partecipazione a
questo “processo” (che appunto da allora viene definito “Processo di Barcellona”) dai
soli governi nazionali ad altre entità ed organizzazioni sotto-statali ed alla società civile,
7
anche attraverso l'organizzazione, nei giorni successivi alla Conferenza, di un Forum
civile per il dialogo EuroMed (29 novembre – 1° dicembre 1995).
Seguendo le direttrici di questa idea di “coinvolgimento diffuso”, ribadito anche in
occasione della commemorazione dei dieci anni della Conferenza a Barcellona nel
2005, le Regioni dell'Unione Europea hanno assunto col passare del tempo in questo
senso un ruolo e delle responsabilità maggiori per contribuire al conseguimento di un
effettivo sviluppo della regione euro-mediterranea attraverso lo strumento della
cooperazione decentrata regionale. Questa volontà si è evidenziata attraverso documenti
comuni come nel 1999 la “Dichiarazione delle regioni europee sulla cooperazione nel
Mediterraneo”
1
e la creazione più recentemente di strumenti e piattaforme comuni quali
il Piano d'azione delle Regioni Mediterranee (PARM) e la Rete degli Istituti per il
Mediterraneo (RIM).
Il caso di studio della Catalogna, che viene qui esaminato rispetto alla sua capacità di
organizzarsi ed impegnarsi nei suoi vari livelli istituzionali e civili in una politica
decentrata per la cooperazione allo sviluppo del Mediterraneo, risulta sulla base di
queste considerazioni quindi particolarmente interessante perché si tratta della entità che
con più forza nel recente passato ha promosso l'impegno delle regioni per la costruzione
di un dialogo euro-mediterraneo, dopo avere ospitato la Conferenza che ne celebrava
l'avvio.
Questo studio risulta tanto più interessante oggi che il dibattito sulla cooperazione tra
l’Europa e gli Stati del Mediterraneo è stato ulteriormente rivitalizzato dalla iniziativa
politica del presidente francese Nicolas Sarkozy; il quale, dopo aver basato la propria
campagna elettorale nel 2007 sulla nascita di una Unione del Mediterraneo basata sul
modello della Unione Europea, ha riunito nel luglio dello stesso anno i capi di stato e di
governo di oltre quaranta nazioni europee e mediterranee, rilanciando in questo modo il
dialogo euromediterraneo e segnando una nuova storica tappa nel Processo di
Barcellona. Questa iniziativa sarà esaminata nella parte finale del testo, considerandone
1
Dichiarazione rilasciata dai rappresentanti delle Regioni dell'Unione Europea riuniti a Siracusa il
15/16 gennaio 1999 insieme ai rappresentanti delle Collettività Territoriali dei Paesi Partner
Mediterranei su iniziativa della Conferenza delle Regioni Periferiche Marittime (CRPM).
8
le differenze rispetto alle precedenti iniziative euromediterranee e le reazioni che a
provocato negli altri partner comunitari della Francia. In special modo, sarà fatto
riferimento a questa iniziativa per conoscere il punto di vista degli attori principali della
cooperazione decentralizzata catalana, all’interno delle interviste raccolte nel corso
dello studio.
Nel corso delle pagine che seguono infatti, verranno descritte istituzioni ed
organizzazioni della Comunità Autonoma di Catalogna che promuovono l'azione
internazionale della Comunità e ne verranno presentate le strategie, le iniziative ed i
progetti promossi in modo particolare per lo sviluppo dei Paesi del bacino Mediterraneo
e la creazione di relazioni con questi Paesi. In particolare, queste analisi oltre ad essere
il risultato della elaborazione dei documenti che vengono riportati nella bibliografia,
anche attraverso l’elaborazione di schemi e tabelle originali, sono frutto di una ricerca
svolta sul campo in Catalogna e di una serie di interviste effettuate a Barcellona tra la
fine del 2007 e la prima metà del 2008.
Le persone intervistate sono il prof. Eduard Soler, Coordinatore del Programma
Mediterraneo e Medio Oriente della Fondazione per la Ricerca in Relazioni
Internazionali e Sviluppo di Barcellona (Centre d'Informació i Documentació
Internacionals a Barcelona – CIDOB) e professore associato di Relazioni Internazionali
presso la Università Autonoma di Barcellona – UAB; Antonio-Martín Porras Gomez,
ricercatore dell'associazione “Tres Culturas”, membro della Rete degli Istituti del
Mediterraneo (RIM) ed organo del governo della Comunità Autonoma di Andalusia –
Junta de Andalucia, dedicato alla cooperazione internazionale con i paesi del
Mediterraneo; Jordi Casals i Prat, esponente politico del Partito di governo “Esquerra
Republicana de Catalunya”; Jose Antonio Serrano Alvarez, responsabile per il
Mediterraneo della Agenzia Catalana per la Cooperazione allo Sviluppo (ACCD -
Agència Catalana de Cooperació al Desenvolupament); Gemma Aubarell, Direttrice dei
Programmi dell'Istituto Europeo per il Mediterraneo (Institut Europeu de la
Mediterrània) – IEMed; Albert Castellanos i Maduell, Segretario esecutivo di ACC1Ó,
l’organo di promozione delle imprese catalane all’estero; Paqui Santonja Mayor,
Responsabile della Cooperazione Euromediterranea, Direzione Relazioni Internazionali
9
della Provincia di Barcellona (Diputació de Barcelona); Meritxell Bragulat, Direttrice
Tecnica della Organizzazione Non Governativa “Sodepau”; Toni Royo, responsabile
delle politiche per la cooperazione della Federazione Catalana delle Organizzazioni Non
Governative per lo Sviluppo (FCONGD); Jordi Ribó i Flos, Segretario della
Cooperazione internazionale del Sindacato CC.OO. Catalogna e Presidente della
Fondazione “Pau i Solidaritat” e Yassine Soussi Temli, responsabile dell'Equity Found
“Mediterrània”, del Gruppo Finanziario Riva y Garcia.
L’eterogeneità delle organizzazioni di cui sono stati contattati ed intervistati i
rappresentanti proviene dalla volontà di avere una visione più completa possibile e di
raccogliere informazioni su vari aspetti e settori differenti della cooperazione
internazionale economica, sociale e politica svolta dalla Catalogna per il Mediterraneo.
Lo studio si conclude quindi con quella che in ambito economico e strategico viene
definita una “SWOT Analisis”, ovvero una analisi delle principali forze e debolezze
della cooperazione catalana così come delle opportunità e le minacce che in futuro
potrebbero da esse derivare.
Infine viene una proposta una soluzione pratica legata alle nuove tecnologie e
l’informatica per risolvere, o perlomeno ridurre, la dispersione di informazioni
provenienti da istituzioni numerose ed eterogenee, attraverso un sito internet che
raccolga e permetta di consultare nel minor tempo possibile tutte le informazioni sui
progetti di cooperazione internazionale pubblicati dai differenti attori istituzionali che se
ne occupano. Quello della dispersione di informazioni e della mancanza di
coordinamento nel settore è infatti uno dei principali problemi legati alla cooperazione
decentrata, tanto in Spagna, come in Italia e nel resto d’Europa. Solo affrontandolo con
soluzioni valide a livello europeo, si può pensare di risolverlo e di porre definitivamente
le basi di una valida cooperazione tra enti locali che contribuisca a migliorare lo
sviluppo e la crescita di un’area così vicina all’Europa, ma rispetto ad essa fortemente
arretrata, quale è il bacino del Mediterraneo.
10
La cooperazione decentrata nell'Unione Europea
Definizione di cooperazione decentrata allo sviluppo
La cooperazione internazionale ha ormai cessato di essere una questione riservata
esclusivamente allo Stato. Nelle ultime decadi, nuovi attori, nuove forme di
partecipazione che richiedono di aprire la cooperazione ad istituzioni più vicine ai
cittadini sono sorti sulla scena internazionale a causa di vari fattori, tra i quali risalta la
mobilizzazione in ambito globale e locale come richiesta dei cittadini.
L'avanzamento nei processi di decentralizzazione ed autonomia locale hanno anche
permesso l'azione dei governi locali. In questo modo, si valorizza sempre più spesso la
decentralizzazione come risultato di un autentico processo di democratizzazione. La
decentralizzazione costituisce uno strumento molto importante per incoraggiare le
iniziative locali di sviluppo e facilitare la cessione di competenze, risorse e
responsabilità alle diverse amministrazioni locali. Si tratta di un processo politico la cui
riforma si limita a volte a sistemi di deconcentrazione senza una divisione reale di poteri
tra i diversi livelli.
La cooperazione decentrata pubblica, nel suo insieme, è stata definita come “una
cooperazione per lo sviluppo locale all'interno di un mondo globalizzato ed
interdipendente”.
2
Questo fenomeno si manifesta in un processo di globalizzazione che
mette in rilevo il peso dei fattori di interdipendenza e la perdita relativa di capacità dei
governi centrali, allo stesso tempo in cui si manifestano nuovi vincoli tra i fenomeni
internazionali e territoriali, come ad esempio i flussi migratori. In questo contesto, le
amministrazioni locali potrebbero compiere una triplice funzione: “sensibilizzare la
cittadinanza in relazione a determinati valori legati alla solidarietà internazionale;
2
Si veda: Diputació de Barcelona, Balance y perspectivas de cooperación descentralizada entre
gobiernos locales euromediterráneos, 2005, pag. 45. Disponibile in rete:
http://www.euromediterrania2005.org/documents/Euromedit_CAST.pdf
11
promuovere ed appoggiare l'azione solidale della società civile; e sviluppare relazioni di
cooperazione diretta con un valore aggiunto”.
3
Questo implica che gli agenti pubblici decentralizzati abbiano un ruolo chiave nella
programmazione, promozione e gestione della cooperazione dei progetti derivati da
essa, senza dipendere dallo Stato centrale o dagli organismi multilaterali. Ciò non
esclude, evidentemente, che possano attuare in maniera concertata e partecipata con altri
attori del territorio o che le Organizzazioni Non Governative per lo Sviluppo possano
eseguire programmi di azione e progetti concreti. D'altra parte, è necessario che il
governo locale elabori e ponga in esecuzione le sue strategie di cooperazione con il
massimo grado di partecipazione e concertazione possibile.
La cooperazione decentrata, collegata al territorio ed alla interazione tra soggetti sociali
ed istituzionali, tende a valorizzare la diversità di tali soggetti e contribuisce
significativamente alla costruzione di un nuovo partenariato tra autorità locali di
differenti territori, fondato su una preoccupazione ed una visione concertata dello
sviluppo. L'approccio decentrato aspira anche a garantire una maggiore trasparenza nei
processi decisionali e gestionali dei programmi di cooperazione e, soprattutto, una
maggiore valorizzazione del particolare know how caratteristico del tessuto sociale
costituito dai soggetti istituzionali, le associazioni sociali e professionali, le ONG, le
piccole e medie imprese, presenti con maggiore o minore intensità nel territorio. Si
tratta di superare i limiti degli accordi intergovernativi, la cui dinamica privilegia una
visione esclusivamente top-down dello sviluppo, intesa come il processo decisionale che
parte dalle istituzioni più globali (come lo Stato centrale o un organismo
internazionale), per scendere progressivamente fino a quelle più specifiche o locali.
Questo approccio di cooperazione da parte dei governi locali rappresenta la opportunità
inedita di conseguire forme di convergenza tra l'approccio top-down degli Stati e
l'approccio che invece risale maggiormente dal basso verso l'alto (bottom-up),
caratteristico delle ONG, che permette di superare così la contrapposizione che si è
creata tra queste due visioni.
3
Si veda: Diputació de Barcelona, Idem.
12
La cooperazione decentrata rappresentava una opportunità per conseguire forme di
convergenza tra l'approccio top-down e l'approccio bottom-up, caratteristico dei soggetti
non governativi, in modo da superare la contrapposizione che si era creata tra queste
due visioni e che aveva indebolito gravemente le politiche di sviluppo. Pur senza negare
l'importanza della cooperazione non governativa, di cui l'approccio decentrato
valorizzava le specificità e potenzialità, la cooperazione decentrata aspira a collocarsi in
uno spazio diverso, caratterizzato dalla ricerca di modalità di concertazione tra soggetti
sociali e istituzionali locali. Si presenta come un laboratorio dove è possibile affrontare
in modo originale un insieme di problemi, costituito dalle dicotomie tra azioni
governative e non governative, tra livello centrale e livelli periferici
dell'amministrazione statale, tra logica di mercato e logica di solidarietà sociale.
La cooperazione decentrata in Europa
La cooperazione delle amministrazioni decentrate – regioni, provincie, comunità e
municipalità – non è nuova all'interno della cooperazione europea, ma al contrario
costituisce in alcuni casi una delle forme di aiuto internazionale più tradizionali della
cooperazione dell'Unione Europea. Lo sviluppo della azione internazionale dei governi
locali non è un fenomeno recente: in realtà, le prime azioni si possono trovare già alla
fine degli anni quaranta, dopo la Seconda Guerra Mondiale, attraverso i gemellaggi tra
città francesi e tedesche promotrici della pace e della riconciliazione tra i popoli.
4
In
questo modo si tendono a stabilire dei collegamenti stabili di cooperazione tra istituzioni
pubbliche. Dopo questa prima fase, avviene negli anni settanta la messa in marcia delle
relazioni di partenariato attraverso la cooperazione transfrontaliera. Come attori della
costruzione europea, migliaia di città, province e regioni portano avanti relazioni di
cooperazione diretta con alte istituzioni europee.
La solidarietà con i paesi in sviluppo serve anche come motore della cooperazione
decentralizzata, plasmata nella volontà delle collettività locali di situare il proprio
4
José Luis Rhi-Sausi, “El papel de las administraciones descentralizadas en la cooperación al desarrollo
de la Unión Europea”, in Revista Española de desarrollo y cooperación (1997), pag. 48
13
sviluppo nel contesto europeo ed internazionale. In questo stesso periodo cominciano ad
essere praticate le prime esperienze ed i primi esercizi di solidarietà con i paesi in via di
sviluppo. Notevole in questo senso è l'attività dei länder tedeschi, delle comunità
linguistico-culturali belghe e delle Comunità Autonome spagnole, le quali costituivano
le proprie agenzie per lo sviluppo in concomitanza con le agenzie dei governi nazionali
raggiungendo con frequenza un livello di complessità, competenza e ricchezza pari ad
esse.
Nel caso della Spagna, a metà degli anni ottanta si raggiungono i primi accordi di
gemellaggio tra municipi spagnoli e centro-americani (soprattutto con il Nicaragua e la
corrente sandinista), così come con le comunità del popolo sahariano, cui sono molto
vincolati per motivi di solidarietà politica. A metà degli anni novanta, si coniuga la
volontà politica con la solidarietà cittadina a ragione delle mobilitazioni civiche a favore
del dedicare lo 0,7% del PIL alla cooperazione internazionale. A partire da questo
momento, molte entità locali si impegnano a destinare questa percentuale delle loro
entrate alla cooperazione con paesi terzi.
All'interno dell'Unione Europea, negli ultimi anni si è assistito ad un processo di
graduale riconoscimento del ruolo dei governi locali come attori indispensabili della
cooperazione allo sviluppo, per creare uno spazio di dialogo tra lo Stato e la società
nelle sue formazioni di base, e per valorizzare la propria esperienza nella gestione
urbana così come potere di contrapperso alle altre autorità pubbliche. Questa forma di
cooperazione si trasforma in parte di una più vasta tematica; la cooperazione decentrata,
secondo la definizione che ne dava la Commissione Europea, era “un nuovo approccio
nelle relazioni di cooperazione che cerca di stabilire relazioni dirette con gli organi di
rappresentanza locali e di stimolare sue proprie capacità di promuovere e portare a
termine iniziative di sviluppo con la partecipazione diretta dei gruppi di popolazione
interessati, prendendo in considerazione i loro interessi ed i loro punti di vista riguardo
allo sviluppo” (CE, D.G. VIII, 1992).
Nell'approccio decentrato, che si trovava allora probabilmente in una fase che
richiedeva una più precisa definizione concettuale, le amministrazioni locali e regionali
dei Paesi donanti erano rivestite di nuove responsabilità e doveri, aumentavano il
14
proprio ruolo nella cooperazione internazionale, superando le tradizionali forme di
cooperazione orizzontali basate sui gemellaggi tra enti locali del Nord e del Sud.
La cooperazione decentrata non era uno strumento in più della cooperazione, ma si
trattava – come ricordava sempre la Commissione europea – di uno degli aspetti
innovativi della IV Convenzione di Lomé del 1989 la quale riconobbe formalmente la
fine del monopolio delle agenzie nazionali dei Paesi ACP (Africa, Caraibi e Pacifico)
nell'utilizzazione dei fondi di aiuto.
La cooperazione decentrata della Convenzione di Lomé
La European Centre for Development Policy Management (ECDPM), fondazione
indipendente creata nel 1986 per monitorare e promuovere lo sviluppo della
cooperazione tra Unione Europea e Paesi ACP (Africa, Caraibi e Pacifico), nel 1994
pubblicò uno studio (ad opera di J.Bossuyt) che mostrava come la rilevanza acquisita
dall'approccio decentrato nella cooperazione con i Paesi ACP debba essere attribuita
alle seguenti cause principali:
z Le trasformazioni politiche dei paesi in via di sviluppo (PVS), che collocava
l'economia di mercato – regolata da uno stato moderno e democratico – alla base
dell'organizzazione sociale, In questo processo di rolling back dello Stato si
aprivano nuovi spazi affinché altri attori intervenissero nel processo di sviluppo.
z Una visione differente dello sviluppo che anteponeva le persone, e soprattutto i
poveri, allo sviluppo materiale; lo sviluppo veniva finalmente concepito come
un processo di apprendimento e non come un programma che discende dall'alto,
ma che offre spazio alla decentralizzazione, alla democrazia ed al rispetto delle
differenze.
z L'esigenza di ottenere buoni risultati nella cooperazione, di aumentare l'impatto
con meno risorse. In questa senso gli attori non statali si proponevano come
canali alternativi ed efficaci per l'aiuto.
15
Per la Commissione europea la cooperazione decentrata si configurava come “un altro
passo in avanti nel cammino verso una maggiore partecipazione delle persone
direttamente coinvolte nei programmi di sviluppo (sviluppo partecipativo)”. Questo
approccio contribuiva inoltre a “rafforzare la democrazia e promuovere il rispetto dei
diritti umani”, così come a “mobilitare il know how delle organizzazioni europee, sotto
forma di accordi di partnership tra Europa ed i paesi in via di sviluppo”.
5
Bisogna ricordare senza dubbio che la cooperazione decentrata della UE si sviluppava
nel quadro delle relazioni tra governo e governo, situazione in cui alle Agenzie
nazionali compete la prerogativa di dare la propria autorizzazione e di “determinare
priorità e metodi”.
In termini finanziari la Commissione, oltre al Fondo Europeo di Sviluppo (FES), che era
lo strumento principale per gli aiuti agli stati ACP, ma non rientrava (ed ancora oggi
non rientra) nel bilancio generale della Comunità perché finanziato direttamente dagli
Stati membri, prevedeva l'utilizzazione delle risorse comunitarie per i programmi di
cooperazione decentralizzata negli accordi con i paesi ALA (America Latina ed Asia) e
con i paesi della conca del Mediterraneo meridionale ed orientale. Esistevano infine le
linee di bilancio speciali per le Organizzazioni non Governative (ONG) per lo sviluppo
e, in quantità molto minore, per la “cooperazione decentrata nei paesi in via di sviluppo”
aperta nel 1992.
La Commissione non prevedeva poi priorità settoriali precise nei progetti di
cooperazione decentralizzata; i criteri guida per selezionare le candidature erano la
qualità della organizzazione che presentava il progetto e l'obiettivo di “rafforzare le
capacità e le potenzialità di azione degli organismi locali”.
Per ciò che riguardava l'esperienza pratica della cooperazione decentrata della
Convenzione di Lomé, questa era ancora limitata e mostrava molti ostacoli in relazione
5
J. Rhi-Sausi, “El papel de las administraciones descentralizadas en la cooperación al desarrollo de la
Unión Europea”, cit., pag. 50
16
alle sue aspirazioni teoriche. Nel citato studio della ECDPM venivano identificati
cinque ordini di problemi al riguardo:
1. la resistenza politica dei governi dei paesi ACP;
2. la natura della stessa Convenzione di Lomé, basata su accordi tra governo e
governo;
3. l'assenza di strumenti operativi;
4. la mancanza di informazioni;
5. i problemi di capacità.
La cooperazione decentrata aveva ricevuto un forte impulso dalla cooperazione allo
sviluppo dell'Unione europea, non solamente quella realizzata dalla Commissione
europea, ma anche dalle politiche di alcune Agenzie nazionali. D'altra parte, l'approccio
decentrato esprimeva anche la trasformazione in atto delle relazioni tra sviluppo e
decentralizzazione nei paesi in via di sviluppo.
Le Amministrazioni decentrate europee come soggetti internazionali
Una significativa tendenza che spinge verso la affermazione della cooperazione
decentrata risiede nel ruolo crescente che le amministrazioni regionali e locali europee
hanno dagli anni '90 come soggetti della comunità internazionale (J. Borja, 1995). Si
tratta di una tendenza con intensità disuguale, però abbastanza consistente in termini
generali.
Senza pretendere di tracciare un quadro esaustivo dei paesi europei rispetto al ruolo
internazionale che giocano gli enti sotto-statali, si può tenere presente il seguente
schema indicativo: