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sue principali interpretazioni, quali sono le sue cause e i suoi effetti nei diversi
ambiti.
Questa tesi vuole essere un’esplorazione scientifica della letteratura sulla
globalizzazione a partire da un’analisi sistematica delle sue tre principali
dimensioni, ovvero quella economica, quella culturale e quella politica. Lo scopo
è stato quello di mettere in luce le differenti interpretazioni e le numerose
problematiche che tale concetto apre. I primi tre capitoli sono dedicati
rispettivamente alle dimensioni economica, culturale e politica del fenomeno
globalizzazione. Nel capitolo conclusivo ho cercato di tirare le fila
dell’esplorazione effettuata, mettendo in luce i problemi che rimangono aperti.
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Capitolo primo
Dimensione economica
1.1 Definizione del campo di lavoro
Il concetto di economia mondiale capitalista è antecedente agli attuali
modelli di analisi sulla globalizzazione. Gli scambi commerciali a lunga distanza
sono antichi quanto la civiltà umana e infatti lo scambio di merci e servizi tra
élite arroccate nei propri centri di cultura urbana rappresenta uno dei tratti
distintivi della civiltà, in contrapposizione con l’economia di sussistenza
autosufficiente dei contadini nel retroterra rurale. Fernand Braudel [1981-82: 24]
ha affermato che “sono sempre esistite economie mondiali” legate a “imperi
mondiali”, con riferimento agli imperi quali ad esempio quello greco e romano
che hanno dominato il mondo dell’antichità
1
. Di altro genere tuttavia è
l’‘economia mondiale europea’, che cominciò ad assumere un ruolo dominante
sin dai tempi del “lungo XVI secolo” (1450-1640), ma sviluppatasi a partire dal
secondo dopoguerra sino ad oggi. Braudel si rifà nella sua analisi a Immanuel
Wallerstein, che ha formulato un’ulteriore distinzione fra:
ξ Mini-sistemi: ossia sistemi sociali costituiti da “semplici e primitive
società agricole, oppure dedite alla caccia o alla raccolta” [1979: 4,
1
Il mondo a cui si riferiscono qui Braudel e più avanti Wallerstein è tale in senso “analitico”
[Collins 1992: 124], ovvero il mondo considerato tale all’epoca, l’universo allora conosciuto. In
questo caso Braudel si riferisce al ‘mondo mediterraneo’.
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traduzione mia], nelle quali esisteva un livello minimo di divisione del lavoro
e un’unica intelaiatura culturale. Tali mini-sistemi, che devono la propria
esistenza alla autonomia da qualsiasi altro sistema più complesso, oggi non
esistono più. Nel momento in cui hanno dovuto sottostare ad un impero
mondiale tramite il pagamento di tributi è venuta meno la loro caratteristica
fondamentale, e cioè l’esistenza di una bassa divisione del lavoro.
ξ Sistemi mondiali basati su imperi mondiali: ossia sistemi sociali nei quali
esistono una bassa divisione del lavoro e un sistema politico comune, ma
sistemi culturali multipli. Tali imperi mondiali (che hanno anche posto fine ai
mini-sistemi) sono ad esempio la Cina dell’Impero Ming, l’Egitto dei faraoni
e l’Impero Romano.
ξ Il sistema-mondo come combinazione di capitalismo e di economia
mondiale che si è sviluppato in termini di economia capitalistica mondiale:
vale a dire un sistema che ha avuto come perno l’Europa nord-occidentale
dal XVI secolo in poi, e in cui esisteva una complessa e variegata divisione
del lavoro, a fronte di culture e forme politiche multiple.
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1.2 Esiste una vera economia globalizzata?
L’economia globale del nostro secolo appartiene a un altro ordine di
fenomeni, risultato di ampi e onnicomprensivi sviluppi sociali, politici ed
economici. Secondo questa linea di interpretazione bisogna distinguere fra
l’internazionalizzazione degli scambi (che ha fornito un peso strategico e politico
sempre maggiore negli stati-nazione a commercianti e imprenditori, a discapito
del potere militare) e il più recente fenomeno della globalizzazione, molto più
tardo rispetto al primo. Peter Dicken ha definito in modo appropriato tale
distinzione:
questi [due] termini vengono spesso adoperati come se fossero
intercambiabili pur non essendo sinonimi. ‘Internazionalizzazione’
indica semplicemente la crescente espansione geografica di attività
economiche attraverso le frontiere nazionali e in quanto tale essa non è
affatto un fenomeno nuovo. La ‘globalizzazione’ delle attività
economiche è invece qualitativamente differente. Essa costituisce una
forma più avanzata e complessa di internazionalizzazione, che implica
un grado d’integrazione funzionale tra attività economiche dislocate a
livello internazionale. La globalizzazione è un fenomeno molto più
recente dell’internazionalizzazione; tuttavia sta emergendo come norma
in una gamma crescente di attività economiche [1992: 1, trad. mia].
Secondo questo autore siamo di fronte ad un sistema integrato di attività
economiche internazionali, che possiamo definire correttamente economia
globale.
Anche secondo Tony Spybey si può parlare di economia globale, in quanto
l’internazionalizzazione è avvenuta sia a livello della produzione che della
commercializzazione e del consumo. “La divisione del lavoro, i processi di
11
produzione e gli scambi commerciali si sono talmente sviluppati che i concetti di
produzione in serie e di consumo di massa hanno oggi un significato
esclusivamente su scala globale, a livello della quale risultano integrati” [Spybey
1997: 99].
Alcuni autori invece mettono in dubbio l’esistenza di un processo con le
caratteristiche che sono state attribuite alla globalizzazione, pur senza negare
l’indiscutibile internazionalizzazione dell’economia, e la crescita esponenziale di
questo fenomeno nel nostro secolo, a partire dal secondo dopoguerra (così come
indicato da Wallerstein). Paul Hirst e Graham Thompson esprimono il loro
maggior scetticismo sulla globalizzazione, definendola “per lo più un mito”, dato
che
ξ l’attuale economia fortemente internazionalizzata non è senza
precedenti: rientra in una serie di distinte congiunture o di stati
dell’economia internazionale che si sono succeduti da quando
un’economia basata sulla moderna tecnologia industriale ha iniziato a
diffondersi a partire dagli anni attorno al 1860. Per certi aspetti,
l’attuale economia internazionale è meno aperta e meno integrata del
sistema economico prevalente tra il 1870 e il 1914;
ξ le imprese effettivamente transnazionali sembrano essere relativamente
rare
2
. La maggior parte delle società sono costituite su base nazionale e
commerciano a livello multinazionale sulla scorta di una loro attività
nazionale principale di produzione e di vendita, e non sembra che si
possa registrare un’effettiva tendenza allo sviluppo di società veramente
inter-nazionali;
ξ la mobilità dei capitali non sta provocando un massiccio spostamento
di investimenti e d’occupazione dai paesi avanzati a quelli in via di
sviluppo. Gli investimenti diretti esteri
3
si concentrano massimamente
nelle economie industriali avanzate, mentre il terzo mondo rimane
2
Per un dibattito sulle imprese transnazionali vedi il paragrafo 1.3.
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marginale sia per gli investimenti che per il commercio, con l’eccezione
di un piccolo gruppo di paesi di nuova industrializzazione;
ξ come riconoscono alcuni dei più spinti sostenitori della
globalizzazione, l’economia mondiale è ben lontana dall’essere
effettivamente ‘globale’. Commercio, investimenti e flussi finanziari si
concentrano essenzialmente nella Triade di Europa, Giappone e
America del Nord, che sembra destinata a mantenere questo suo ruolo
preminente
4
;
ξ queste grandi potenze economiche, il G3, hanno quindi la capacità,
soprattutto se coordinano le loro politiche, di esercitare potenti pressioni
per il controllo dei mercati finanziari e di altre tendenze economiche. I
mercati globali non sono affatto al di fuori di ogni potere di
regolamentazione e di controllo, anche se gli attuali ambiti e obiettivi di
governo dell’economia sono limitati dagli interessi divergenti delle
grandi potenze e dalle dottrine economiche prevalenti tra le loro élite
[Hirst e Thompson 1997: 4-5].
Ciò che in sostanza Hirst e Thompson non accettano è una versione “dura
della tesi della globalizzazione [che] impone una nuova visione dell’economia
internazionale, che sussuma e subordini i processi a livello nazionale, mentre le
tendenze all’internazionalizzazione possono rientrare in una visione mutata del
sistema economico mondiale, che continui ad attribuire un ruolo di primo piano a
politiche e ad attori a livello nazionale” [1997: 7]. Il requisito essenziale previsto
per l’esistenza di un’economia globale è un sistema internazionale
prevalentemente economico regolato da forze di mercato globali, nel quale i
governi nazionali, e persino i governi dei blocchi regionali, come l’Unione
3
Una parte del paragrafo 1.3 è dedicata al dibattito sugli investimenti diretti esteri.
4
L’incremento degli scambi commerciali globali nel corso della seconda metà del XX secolo ha
chiaramente determinato la concentrazione dello sviluppo economico in tre regioni: l’America
Settentrionale, l’Europa e l’Asia Orientale, la “Triade” della concorrenza globale, come la
definisce Ohmae [1985].
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Europea, sono ridotti a ‘fornitori locali di servizi’. Questa definizione tuttavia
ignora l’eventualità che siano proprio le grandi imprese a non desiderare,
probabilmente, tanto potere, visto che sembrano destreggiarsi bene nel
manovrare tra i meccanismi delle politiche dei vari paesi (riuscendo spesso a
influenzare queste stesse politiche economiche), traendone i relativi benefici per
quanto riguarda gli aspetti logistici, il mercato, la manodopera. Un esempio a tale
proposito sono gli evidenti vantaggi raccolti da quello che viene chiamato il
‘complesso industriale-militare’, per cui grandi profitti sono stati generati
dall’aver concretamente alimentato i conflitti politici, ideologici e militari tra
stati e blocchi di stati. Come osserva Dicken “si potrebbe sostenere che di fatto
l’economia mondiale sia oggi maggiormente, anziché meno, politicizzata in
quanto è aumentata l’interdipendenza fra i paesi. E’ evidente che le questioni di
squilibrio commerciale, i tassi di cambio e simili sono fenomeni politici tanto
quanto economici” [1992: 148-9].
Hirst e Thompson elaborano due tipi ideali di economia internazionale, in
contrasto tra loro: una visione dell’economia, che vogliono dimostrare essere
errata, “completamente globalizzata” e una visione, che abbracciano, di
“un’economia internazionale aperta che continua a essere caratterizzata da
scambi tra economie nazionali relativamente distinte e in cui molti risultati, quali
le prestazioni concorrenziali di imprese e settori, siano sostanzialmente
determinati da processi che avvengono a livello nazionale […]. Troppo spesso
dati che corroborano la seconda tesi vengono usati come se convalidassero la
prima. […] Gli entusiasti della ‘globalizzazione’ possono farsi un’idea sbagliata
di ciò che sta succedendo – l’idea di un mercato globale e aperto, privo di vincoli
istituzionali e di una specifica localizzazione, è un’illusione […] – ma è pur vero
che i problemi principali in materia di controllo economico si trovano ormai nella
sfera internazionale. […] Se pure le economie si sono internazionalizzate in
misura notevole, la ricchezza e la produzione rimangono localizzate e con una
distribuzione estremamente ineguale. Il pericolo della retorica della
globalizzazione sta nella sua tendenza a ignorare queste distribuzioni: tratta il
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mondo come un unico mercato concorrenziale aperto e considera la
localizzazione delle attività economiche come se fosse dettata da semplici
considerazioni di natura commerciale.” [1996: 11, 71-2]. Significativamente
parlano di un’economia inter-nazionale.