Introduzione
Negli ultimi decenni l’economia mondiale è stata caratterizzata da una crescente
integrazione commerciale e produttiva. La creazione di legami sempre più stretti a livello
planetario ha contribuito, insieme all’accelerato sviluppo tecnologico, ad aumentare
l’incertezza sulle condizioni competitive dei mercati mondiali e a rendere mobile il
mercato del lavoro. In particolare, la globalizzazione ha reso meno rilevanti i confini per i
beni, i servizi e i fattori produttivi, compreso il lavoro. Ciò ha dato luogo ad una
riallocazione delle risorse mondiali nelle attività più produttive e ad una frammentazione
dei processi produttivi, le cui fasi possono essere localizzate in paesi diversi.
L’insieme di questi fenomeni hanno dato vita ad una diversa divisione
internazionale del lavoro. Essa ha messo in discussione i tradizionali vantaggi comparati
dei paesi industrializzati e, come conseguenza, ha messo in moto una serie di
aggiustamenti strutturali, diversi da paese a paese. La globalizzazione ha determinato in
sostanza una caduta, nei paesi industrializzati, della domanda di lavoro, soprattutto per i
lavoratori meno qualificati.
In questo lavoro ci si propone di analizzare gli effetti dei vari aspetti
dell’integrazione internazionale sul mercato del lavoro e sulle relazioni industriali.
L’obiettivo è mettere in evidenza i diversi canali che legano globalizzazione,
specializzazione produttiva e ruolo del sindacato.
In questa prospettiva, il primo capitolo prende in esame il fenomeno della
globalizzazione, soprattutto nella sua dimensione economico-finanziaria e produttiva. Il
secondo capitolo sposta l’attenzione sugli impatti della globalizzazione sul sistema
economico e sull’occupazione. Infatti, se dei lavoratori perdono il posto perché i beni che
producevano subiscono la concorrenza di beni più economici importati da paesi in via di
sviluppo (import competition), il paese perde conoscenze specifiche delle imprese e del
settore. Inoltre, per trovare una nuova collocazione ai lavoratori disoccupati, servono
informazioni (costose) sulle nuove eventuali opportunità.
La sezione conclusiva del lavoro analizza l’incidenza della globalizzazione sulle
relazioni industriali, sia con riferimento al ruolo del sindacato di fronte al mercato globale,
sia in relazione agli scenari futuri che la nuova società globalizzata comporta in termini di
policies pubbliche.
1
Capitolo primo
Il fenomeno della globalizzazione
1.1. Definizione di globalizzazione
Nella letteratura sociologica, il termine globalizzazione viene adottato con
significati molto diversi.
Con esso si indica, in termini generali, la crescita di interdipendenza a livello
planetario e l’intensificazione delle relazioni sociali mondiali. Inoltre, questo stesso
termine viene impiegato come sinonimo di altri concetti quali modernizzazione,
internazionalizzazione, transnazionalizzazione, mondializzazione. L’elemento ricorrente,
come osserva Anthony Giddens, è «la forte crescita dell’interdipendenza tra luoghi che,
tradizionalmente, regolavano in modo autonomo i fattori caratterizzanti delle proprie
strutture culturale, sociale ed economica»
1
.
Il punto dal quale gli autori partono è la constatazione della crescente integrazione
tra i sistemi economici nazionali, che sembrano «sempre meno in grado di gestire
autonomamente i propri fattori di regolazione e di sviluppo»
2
. In sostanza, si osserva che la
crescente mobilità di capitali, merci e persone si traduce nella sempre maggiore
dipendenza delle economie nazionali (sia a livello statale, sia a livello d’impresa) dai
meccanismi che operano ad un livello superiore. «Questa rete di relazioni mondiali, attivata
fondamentalmente dalla diffusione dell'economia di mercato e dalla tecnologia, sta ora, a detta
di Giddens, "ridisegnando" la nostra vita in ogni suo aspetto come fosse una sorta di
combustibile che alimenta la trasformazione ad ogni livello»
3
.
Le definizioni di globalizzazione sono numerose. Si hanno, innanzitutto, definizioni
sintetiche come quella di Malcom Waters
4
, secondo cui la globalizzazione è un processo in
cui vengono meno i confini geografici relativi agli ordinamenti sociali e culturali e gli
individui diventano sempre più consapevoli di questo fenomeno («A social process in
1
GIDDENS A., Globalizzazione, mutamento e conflitto, in BARTOCCI E. (a cura di), Mutamento e
conflitto nella società neo-industriale, Sociologia e ricerca sociale, vol. 17, Franco Angeli , Milano, 1988, p.
26.
2
Ivi, p. 35.
3
Recensione di Predicatori M. all’opera di GIDDENS A., Il mondo che cambia. Come la globalizzazione
ridisegna la nostra vita, Il Mulino, Bologna, 2000.
4
WATERS M., Globalization, Routledge, London, 1995, p. 3.
4
which the constraints of geography on social and cultural arrangements recede and in
which people become increasingly aware that they are receding.»).
Secondo Linda Weiss
5
, la nozione di globalizzazione richiama l’allargamento dei
legami internazionali, che genera una rete qualitativamente nuova (cioè globale) di
interazione sociale.
Laura Bovone ritiene, che la globalizzazione possa essere definita come un
«processo di ibridazione», vale a dire «un processo di aggregazione delle forme della
cultura contemporanea che non cancella le forme precedenti: lealtà locali convivono con
stili di vita globali, postmoderno convive con premoderno e moderno, l’organizzazione per
macroregioni favorisce lo spezzettamento in microregioni»
6
.
Il termine globalizzazione va tenuto distinto da quello di cosmopolitismo.
Quest’ultimo deriva dal greco (kòsmos ‘mondo’ + polìtes ‘cittadino’ + il suffisso italiano -
ismo) e significa «essere o sentirsi cittadino del mondo».
Il sociologo Robert Fine
7
individua la nascita del “cosmopolitismo contemporaneo”
con la caduta del muro di Berlino», cioè da quando si è conclusa la guerra fredda. Da
allora, secondo Fine, l’interesse per il cosmopolitismo è cresciuto rapidamente all’interno
delle scienze sociali: «sentiamo parlare di una legge internazionale cosmopolita, di
relazioni internazionali cosmopolite, di una sociologia cosmopolita, di una filosofia
politica cosmopolita, di una teoria politica cosmopolita, e forse persine di una teoria
sociale cosmopolita».
Se il termine “globalizzazione” descrive la crescente interrelazione economica e la
deregulation dei mercati, il termine “cosmopolitismo” suggerisce che gli esseri umani
possono rapportarsi anche in quanto cittadini. Nel linguaggio sociologico e politico il
termine cosmopolitismo è stato ripreso, infatti, per indicare l’esito del processo di
globalizzazione economica e culturale degli ultimi decenni del XX secolo. Oggi, infatti,
sotto la spinta dei mass media e di scambi culturali sempre più fitti, si assiste alla nascita di
una cultura globale, in cui i valori, i modelli di vita e di consumo, i simboli e gli oggetti,
caratteristici delle diverse comunità nazionali e locali, tendono a fondersi e a uniformarsi.
Si parla quindi di cosmopolitismo culturale facendo riferimento al fatto che le differenti
5
WEISS L., Globalizzazione, in Rassegna italiana di sociologia, n.2, 1998, p. 273 ss.
6
BOVONE L., Comunicazione. Pratiche, percorsi, soggetti, Franco Angeli, Milano, 2000, p. 74.
7
FINE R., Cosmopolitismo senza “ismo”: una ricerca ricostruttiva, in Argomenti sociali, n.1, 2003,
pp. 447-460
5
culture, messe a contatto sia attraverso i fenomeni di immigrazione, sia mediante i mezzi
delle comunicazioni di massa, attribuiscono ad alcuni beni di consumo, ad alcuni prodotti
culturali in senso stretto, ad alcuni valori (la pace, la vita umana ecc.) significati
universalmente validi.
1.2. Il processo di globalizzazione in alcuni modelli teorici
Il fenomeno della globalizzazione è stato analizzato da diversi punti di vista. Gli
studiosi, in particolare, hanno cercato di individuare un modello in grado di definirne le
caratteristiche e spiegarne le dinamiche.
Caselli, nel saggio dal titolo “Globalizzazione e sviluppo. Quali opportunità per il
Sud del mondo?”, associa la nozione di globalizzazione a quell’insieme di processi per cui,
innanzitutto:
aumentano quanto a numero e si rafforzano quanto a intensità i contatti, le relazioni, gli
scambi e i rapporti di dipendenza e di interdipendenza fra le diverse aree del mondo. Una serie di
flussi, materiali e immateriali attraversa tutta la superficie della terra, venendo a costituire una
rete che, con maglie ora più fitte e robuste, ora più larghe e fragili, avvolge oramai l’intero
pianeta
8
.
In secondo luogo,
si trasforma la rilevanza che le dimensioni “spazio” e “tempo” hanno sul numero, sulla
natura e sull’intensità di tali relazioni e rapporti. In particolare il tempo e soprattutto lo spazio
vengono avvertiti sempre meno come un ostacolo o un limite al dispiegarsi di tali rapporti e
relazioni; limite che, in numerosi casi, sembra addirittura scomparire
9
.
In terzo luogo,
aumenta nel mondo la cosiddetta “dimensione soggettiva” della globalizzazione, vale a
dire la consapevolezza dell’esistenza di questi legami e della rilevanza che essi assumono per la
propria esistenza personale. Questa consapevolezza non deve essere intesa «nel senso di una
8
CASELLI M., Globalizzazione e sviluppo. Quali opportunità per il Sud del mondo?,Vita e Pensiero,
Milano, 2002, p. 17.
9
Ibidem.
6
conoscenza, da parte degli individui, precisa e circostanziata degli eventi e delle concatenazioni di
eventi che incidono sulla propria esperienza»
10
.
Per Giddens la globalizzazione non è un fenomeno nuovo, in quanto le sue radici
affondano nel periodo in cui l’influenza occidentale ha iniziato a espandersi con la scoperta
di nuovi mondi e con l’insediamento coloniale delle grandi potenze europee. I suoi risvolti
attuali hanno, però, caratteristiche originali. Giddens sottolinea, infatti, come la
globalizzazione abbia portato con sé
11
:
l’intensificazione di relazioni sociali mondiali che collegano tra loro località distanti,
facendo sì che gli eventi locali vengano modellati dagli eventi che si verificano a migliaia di
chilometri di distanza e viceversa
12
.
Le dimensioni della globalizzazione prese in esame da Giddens sono quattro: quella
economica, quella politica, quella militare e quella industriale. Le prime due sono
particolarmente interconnesse, poiché i centri principali di potere dell’economia mondiale
sono gli Stati capitalistici, ossia Stati in cui l’impresa economica capitalistica (con i
rapporti di classe che essa implica), è la forma primaria di produzione. La terza dimensione
riguarda l’ordinamento militare globale. Analizzando i rapporti fra industrializzazione
della guerra e organizzazione militare si avverte che, in seguito all’enorme potere
distruttivo degli armamenti moderni, quasi tutti gli Stati possiedono una forza militare
superiore a quella di qualsiasi civiltà premoderna. Addirittura molti Paesi del Terzo
Mondo, deboli dal punto di vista economico, sono invece dei giganti sul piano militare. La
quarta dimensione infine riguarda lo sviluppo industriale. L’industria moderna è
intrinsecamente fondata sulla divisione del lavoro, non solo per quanto riguarda i compiti,
ma anche la specializzazione regionale per tipi di industria, per capacità tecnologica e per
produzione di materie prime
13
.
10
CASELLI M., Globalizzazione e sviluppo. Quali opportunità per il Sud del mondo?,Vita e Pensiero,
Milano, 2002, p. 18.
11
GIDDENS A., Globalizzazione, mutamento e conflitto, in BARTOCCI E. (a cura di), Mutamento e
conflitto nella società neo-industriale, Sociologia e ricerca sociale, vol. 17, Franco Angeli , Milano, 1988,
p. 26.
12
Ivi,cit., p. 31.
13
Ivi, p. 32.
7
Secondo Giddens,
nelle condizioni della tarda modernità viviamo “nel mondo” in senso diverso rispetto al
passato. Tutti continuano a vivere una vita locale[…]. Ma le trasformazioni del luogo e
l’intrusione della distanza nelle attività locali […] cambiano radicalmente tutto quello il mondo è.
Anche se tutti vivono una vita locale, i mondi fenomenici sono in gran parte realmente globali
14
.
Il globale entra nella vita quotidiana degli individui soprattutto attraverso i processi
di mediatizzazione dell’esperienza: rivoluzionando le nozioni tradizionali di spazio e
tempo, i media elettronici hanno reso possibile lo stabilirsi di relazioni sociali indipendenti
dai contesti locali di interazione. Eventi lontani possono diventare più familiari con le
presenze locali con le quali l’individuo entra quotidianamente in contatto e la distanza può
quindi essere integrata nel quadro dell’esperienza personale
15
.
Un secondo contributo rilevante è quello di Edgar Morin
16
, il quale ha cercato di
elaborare un approccio che renda conto dell’insieme dei processi che la mondializzazione
17
comporta, con la loro ambivalenza, la loro contraddittorietà e paradossalità. La
mondializzazione è per Morin leggibile alla luce di tre principali elementi:
a) la mondialità delle interazioni che spinge la complessità delle società moderne a
trasformarsi in ipercomplessità;
b) lo sviluppo dei mezzi di comunicazione;
c) la spinta dei motori politici collegati ai conflitti di dominio e di emancipazione su
scala mondiale.
A loro volta alcuni fenomeni che hanno caratterizzato il XX secolo, a causa della
mondializzazione, sono resi visibili in maniera ancora più enfatizzata. Sono
principalmente il mercato mondiale, che ha perso alcuni dei suoi regolatori sistemici,
costituiti dai vincoli politici e sociali legati alle società-nazioni; la problematica
transizione demografica degli ultimi decenni, il rischio ecologico, preannunciato da varie
14
GIDDENS A, Modernity and Self-Identity, Polity Press, Cambridge,1991,citato da TOMLINSON J.,
Sentirsi a casa nel mondo. La cultura come bene globale, Feltrinelli, Milano, 2001, p. 177.
15
GIDDENS A, Le conseguenze della modernità. Fiducia e rischio, sicurezza e pericolo, Il Mulino,
Bologna, 1994, p. 15 ss.
16
MORIN E., Sociologia della sociologia, Edizioni Lavoro, Roma, 1985.
17
Morin ritiene preferibile il termine “mondializzazione” in quanto alludente alla dimensione mondiale
delle relazioni e dei flussi di informazioni e di merci.
8
catastrofi locali (Cernobil, effetto serra, ecc.). Questi sono fenomeni che fanno emergere
un’unica certezza, che Morin chiama «malessere» o «mal di civiltà»:
I grandi pensatori si sono quasi tutti accorti del “mal di civiltà” o ne hanno ipotizzato la
presenza.
18
.
Tuttavia, la consapevolezza che tutti gli esseri umani appartengono alla stessa
comunità di destino, che condividono lo stesso principio di identità umana come identità
multipla (unitas multiplex), che corrono tutti gli stessi rischi creati dall’umanità stessa non
costituisce per Morin la rinuncia a lavorare per costruire un mondo migliore.
Un altro importante modello è quello delineato da Ulrick Beck. Egli distingue tra
tre nozioni: globalità, globalizzazione e globalismo, legate alla crescente dimensione
mondiale dei fenomeni sociali, politici ed economici
19
.
Per globalità egli intende il fatto (ormai irreversibile) che gli individui vivono in
una società mondiale e hanno la chiara percezione di essere reciprocamente legati, pur
nelle loro differenze, per cui la rappresentazione di spazi chiusi diventa fittizia.
Globalizzazione indica invece «il processo in seguito al quale gli Stati nazionali e la loro
sovranità vengono condizionati e connessi trasversalmente da attori transnazionali, dal loro
potere e dai loro orientamenti»
20
. Globalismo si riferisce invece all’ideologia che «riduce
la globalizzazione a un processo soltanto economico quindi monocausale,
monodimensionale e lineare, negandone la dimensione politica e, di conseguenza, negando
la possibilità di intervenire in qualche modo sui processi di globalizzazione». Il globalismo
riconduce la globalizzazione solo allo sviluppo del dominio del mercato mondiale, «che si
impone su tutto e che tutto cambia», rimuovendo e sostituendo la stessa azione politica.
Beck sottolinea come la globalizzazione sia, invece, una realtà multidimensionale e
articolata. E’ possibile portare ad esempi la globalizzazione delle informazioni,
globalizzazione ecologica, globalizzazione economica, globalizzazione della cooperazione
del lavoro o della produzione, globalizzazione culturale. Tutte queste dimensioni
evidenziano la caduta dei confini entro cui è stato racchiusa in passato l’azione quotidiana:
denaro, tecnologie, merci, informazioni, inquinamento, idee, criminali e immigrati
18
MORIN E, Introduzione a una politica dell’uomo, Meltemi, Roma, 2000, p. 16.
19
BECK U., Che cos’è la globalizzazione.Rischi e prospettive della società planetaria, Carocci, Roma,
1999.
20
Ivi, p. 24.
9
clandestini superano i confini quasi come se questi non esistessero. Viene messa in
discussione l’idea di un pianeta diviso in spazi delimitati, costituiti dagli Stati-nazione.
Secondo Beck la globalizzazione ha portato alla ribalta, accanto agli Stati-nazione,
gruppi potenti e organizzati. Tali attori sono le imprese transnazionali: il loro potere si basa
sulla possibilità di esportare facilmente posti di lavoro, di produrre distribuendo il lavoro in
luoghi diversi, di punire gli Stati che non offrono condizioni fiscali, legali e infrastrutturali
favorevoli e, infine, di saper opportunisticamente distinguere tra luogo di investimento,
luogo di produzione, sede fiscale e sede di residenza (dirigenti e imprenditori possono
risiedere in un Paese, godendo così dei suoi servizi quali scuole per i propri figli, teatri,
sicurezza, ecc.., e al tempo stesso pagare le tasse in un altro Paese, meno esoso
21
.
Le imprese transnazionali assumono un ruolo politico in quanto possono incidere
pesantemente sull’organizzazione e sull’assetto complessivo di una società. Esse infatti
sono in grado di sottrarre le entrate fiscali a uno Stato godendo al tempo stesso dei suoi
servizi e delle sue infrastrutture e scaricando su di esso l’onere di provvedere ai disoccupati
da loro stesse generati.
Lo Stato-nazione si trova quindi costretto a pagare le spese di uno sviluppo
economico, che sfugge al suo controllo e dei cui benefici non gode. In più si apre un
conflitto fra imprese transnazionali da un lato, che distruggono lavoro e non pagano le
tasse e, dall’altro, le piccole e medie imprese nazionali che creano lavoro e che devono al
tempo stesso versare sempre maggiori contributi per finanziare le politiche sociali degli
Stati.
E’ possibile poi prendere in considerazione un approccio storico di globalizzazione,
come quello delineato da Roland Robertson nell’ambito della sua riflessione sulla “società
globale”. Egli individua cinque fasi nella graduale affermazione della società globale, in
quello che definisce “modello minimale di globalizzazione”
22
:
a) la fase d’inizio: dalla metà del XVIII secolo al 1870 circa. Si passa all’idea dello
stato omogeneo e unitario e aumentano i rapporti e le comunicazioni internazionali;
b) la fase di decollo: dal 1870 circa a metà degli anni Venti le tendenze globalizzanti
si fanno sempre più forti e si basano su quattro punti di riferimento - le società
21
BECK U., Che cos’è la globalizzazione.Rischi e prospettive della società planetaria, Carocci, Roma,
1999, p. 42.
22
ROBERTSON R., Globalizzazione. Teoria sociale e cultura globale, Asterios, Trieste, 1999.
10
nazionali, gli individui, la singola “società internazionale” e la concezione sempre
più omogenea del genere umano;
c) la fase della lotta per l’egemonia: dalla metà degli anni Venti fino alla fine degli
anni Sessanta. Sorgono delle controversie tra la tendenza dominante alla
globalizzazione e la resistenza degli stati nazionali;
d) la fase dell’incertezza: dalla fine degli anni Sessanta all’inizio degli anni Novanta.
Si accentua la coscienza globale, si affermano i nuovi mezzi di comunicazione e la
società diventa sempre più multietnica e policulturale.
Un’importante riflessione circa l’impatto della globalizzazione e sulla nozione di
ibridazione è stata condotta anche da Ulf Hannerz nel saggio La complessità culturale.
Secondo Hannerz, a livello culturale la globalizzazione determina la mobilità e
l’alterazione continua dei significati e delle identità culturali. Essa, infatti, non produce
un’omogeneizzazione della cultura, come era stato previsto in un primo momento. La
transnazionalizzazione, con la varietà dei fenomeni che la accompagnano (migrazione,
mobilità, circolazione di prodotti, idee, immagini, sapere, ecc.), si sta manifestando in un
aumento della diversità culturale, diversità che prende comunque una forma nuova rispetto
al passato poiché le interconnessioni e la crescente deterritorializzazione rendono sempre
più difficile, se non impossibile, incasellare diverse culture come specifiche unità
23
.
A sua volta Beck, ponendo l’accento sulla dimensione politica del fenomeno,
afferma che la globalizzazione è «il processo in seguito al quale gli Stati nazionali e la loro
sovranità vengono condizionati e connessi trasversalmente da attori transnazionali, dalle
loro chance di potere, dai loro orientamenti, identità e reti»
24
.
La globalizzazione è stata concepita, quindi, in diversi modi. David Held e Anthony
Mc Grew, individuano quattro dinamiche principali, intendendo il fenomeno di volta in
volta come:
a) un’azione a distanza, in forza della quale eventi che hanno luogo in una determinata
parte del mondo hanno effetto anche su soggetti lontani;
b) una compressione spazio-temporale favorita dalla comunicazione elettronica;
c) un’accelerazione dell’interdipendenza tra le economie e le società nazionali;
23
HANNERZ U., La complessità culturale, Il Mulino, Bologna, 1998.
24
BECK U., Che cos’è la globalizzazione. Rischi e prospettive della società planetaria, Carocci,
Roma,1999, p. 24.
11