2
Ora, sul fatto che l'attuale sistema economico debba essere
considerato realmente globale esistono posizioni contrastanti. Al centro
del dibattito c'è la diatriba tra chi vede nella globalizzazione un evento
rivoluzionario e di rottura con il passato, e chi vi vede solo un
cambiamento congiunturale non nuovo nella storia. Tra i primi è possibile
citare l'economista francese J. Luzi, secondo il quale "per globalizzazione
non si intende la conquista spaziale del mondo da parte dei capitalismi
nazionali (evento compiutosi nel secolo scorso), bensì l'investitura di un
solo capitalismo che trascende le nazioni e stabilisce l'interdipendenza tra
le aree egemoniche, la dipendenza delle aree di sfruttamento e
l'abbandono di quelle prive d'interessi"
2
. Al contrario, P. Hirst e G.
Thompson hanno affermato che "l'internazionalizzazione che si è avuta
non ha dissolto le distinte economie nazionali [...] è più logico
considerare il sistema economico internazionale in una prospettiva storica
di più lungo periodo e riconoscere che i cambiamenti attuali non sono
senza precedenti e non implicano necessariamente il passaggio ad un
nuovo tipo di economia"
3
.
Non è questa la sede per seguire tale importante confronto. Quello
che mi preme evidenziare è che, indipendentemente da come si consideri
la situazione attuale, ad essa comunque vengono riconosciuti alcuni
importanti cambiamenti rispetto al passato.
2
cfr. J. Luzi, Miseria della mondializzazione, Strategia della lumaca, Roma, 1997, p.12
3
cfr. P.Hirst-G.Thompson, La globalizzazione dell'economia, Ed.Riuniti, Roma, 1997, p.8
3
La lista dei cambiamenti in questione è terribilmente lunga e
variegata, ma grazie al contributo di R. Jessop è possibile usufruire di una
sintetica ed esaustiva panoramica su di essi
4
. Egli ha enucleato cinque
principali tendenze dell'economia mondiale contemporanea. La prima
riguarda il crescente sviluppo e la rapida diffusione di nuove tecnologie
(elettronica, telecomunicazioni, robotica e così via), e la loro applicazione
ad una gamma sempre più ampia di settori
5
. La seconda tendenza è la
transizione dal fordismo al postfordismo, cioè il passaggio da un modello
produttivo basato sulla produzione di massa, consumo di massa ed
economie di scala, ad uno imperniato sulla produzione flessibile, consumi
differenziati ed internazionalizzazione dei processi produttivi
6
. La terza
tendenza è la massiccia internazionalizzazione dei flussi finanziari,
commerciali ed industriali e la conseguente nascita di un mercato
virtualmente globale. Le corporations e i grandi fondi di investimento si
muovono oggi in un'economia globale, entro la quale le diverse
operazioni sono integrate attraverso i confini nazionali in relazione ad
una strategia di accumulazione globale complessiva
7
. La quarta tendenza
è il riemergere della regionalizzazione di attività economiche collegate
all'interno di particolari poli di crescita, cioè l'avvio di una
ristrutturazione spaziale delle attività economiche intorno a tre poli che
4
cfr. R. Jessop, La transizione al postfordismo e il welfare-state postkeynesiano, in M. Ferrera,
Stato sociale e mercato globale, cit., pp.77-80
5
A tale riguardo vedi V. Castronovo, Le rivoluzioni del capitalismo, Laterza, Bari, 1995
6
A tale riguardo vedi AA.VV., Stato e diritti nel postfordismo, Manifestolibri, Roma, 1996, e
R.B. Reich, L'economia delle nazioni. Come prepararsi alla sfida del Duemila, Il Sole 24 Ore,
Milano, 1993
7
In relazione a tale tendenza vedi in particolare; F. Chesnais, Mondializzazione del capitale e
regime dell'accumulazione a dominanza finanziaria, in Miseria della mondializzazione,
Strategia della lumaca, Roma, 1997; e P.Sweezy, The Triumph of Financial Capital, in
"Monthly Review", 46:2, New York, 1994
4
comprendono l'Unione Europea, il Nordamerica e il cosiddetto Pacific
Rim a egemonia nipponica
8
. L'ultima tendenza è la globalizzazione del
rischio con la quale si fa riferimento all'emergere di rischi globali nella
loro portata come le minacce all'ambiente o quelle derivanti dal nucleare
9
.
E' comprensibile che cambiamenti di tale entità abbiano suscitato
grande interesse nei più disparati ambiti disciplinari. Ora, la questione
centrale attorno alla quale vertono le mie osservazioni limita il campo
d'indagine al rapporto tra le dinamiche messe in atto dalla globalizzazione
e la filosofia politica contemporanea. Insomma, lo scopo del presente
lavoro è quello di fornire un'analisi quanto più possibilmente accurata,
anche se necessariamente incompleta, delle sfide e delle nuove richieste
che i processi in questione sembrano portare alla filosofia politica fin de
siécle.
L'oggetto dell'indagine può essere correttamente inteso nei
seguenti termini. Le teorie della giustizia sono impegnate nell'attività di
giustificazione; esse, cioè, sono impegnate nella formulazione di "principi
di giustificazione di istituzioni, pratiche sociali, regole e scelte
pubbliche"
10
. Ora, il primo passo della mia ricerca si concentra nel
dimostrare come tali istituzioni e dinamiche vengano di fatto investite dai
cambiamenti strutturali che la globalizzazione porta con sé. Se questo è
vero, allora la domanda centrale attorno alla quale vertono le mie
osservazioni può essere così sintetizzata: se gli oggetti della
giustificazione normativa sono sottoposti a tali cambiamenti, quali
8
A tale riguardo vedi, I. Wallerstein, La ristrutturazione capitalista e il sistema-mondo,
Strategia della lumaca, Roma, 1996
9
Vedi A. Lanza, Lo sviluppo sostenibile, Il Mulino, Bologna, 1997
10
cfr. S. Veca, Della lealtà civile, Feltrinelli, Milano, 1998, p. 121
5
conseguenze per le diverse teorie della giustizia? E soprattutto, come i
diversi approcci normativi, all'attuale stato dei lavori, sono preparati nel
rispondere alle eventuali nuove richieste di un mondo sempre più
complesso ed interdipendente?
Il primo capitolo è dedicato ad evidenziare come la
globalizzazione dell'economia stia generando forti pressioni su quelle
istituzioni e pratiche sociali che, come si è detto, costituiscono gli oggetti
della giustificazione normativa. Vedremo come sarà possibile giungere a
tale conclusione attraverso l'indagine, esplicitata grazie al contributo di
V.E.Parsi, relativa alle forti pressioni che la globalizzazione sta oggi
esercitando sull'ordinamento e le istituzioni statali. Sembra, infatti, che a
seguito delle cinque tendenze di cui sopra, le forze di un mercato
divenuto globale siano oggi in grado di imporre la loro legge ai governi
di qualsiasi nazione. In particolare, la liberalizzazione del mercato
finanziario e l'internazionalizzazione dei processi produttivi sembrano
avere fornito ad attori privati l'opportunità di incrementare a dismisura il
proprio potere contrattuale nei confronti delle istituzioni politiche
nazionali. Essi, infatti, minacciando ricollocazioni produttive in altri lidi
o fughe di capitale sono in grado di intervenire pesantemente sulle
decisioni di politica economica interne a tutti gli stati nazione. La
globalizzazione ha, dunque, alterato significativamente la gamma di
opzioni disponibili ai diversi attori che si muovono nello scenario
globale. Attori privati, come le grandi corporations o i fondi di
investimento, stanno traendo dall'attuale situazione nuove e cospicue
opportunità di profitto e di innovazione, mentre per i governi nazionali
"le dinamiche della globalizzazione comportano essenzialmente una
6
riduzione delle capacità di controllo macroeconomico"
11
. L'impressione
che si trae da tutto questo è che la globalizzazione sembra avere
determinato una ridefinizione di ruoli nel rapporto stato-mercato, dove a
stati territoriali che perdono quote di sovranità si contrappone un mercato
globale in cui circola sempre più potere.
Ora, come tutto ciò abbia conseguenze per la filosofia politica
contemporanea risulta, a mio avviso, evidente se si tiene in
considerazione il fatto che tutte le teorie della giustizia nelle loro
elaborazioni si siano riferite ad un sistema chiuso, generalmente
identificabile proprio con lo stato nazione. Vi è, dunque, da chiedersi se
principi di giustizia così concepiti, trovino oggi una qualche validità
anche sullo sfondo di quei cambiamenti globali che investono proprio lo
schema di riferimento entro il quale tali principi hanno trovato sino ad
oggi il loro senso pertinente. La globalizzazione, insomma, porta alle
teorie della giustizia quella che si può definire la sfida dell'estensione.
Essa si sostanzia nel confrontarsi con la possibilità di "identificare e
definire criteri di giustificazione per istituzioni fondamentali politiche
(Stato), economiche (mercato) che hanno effetti su prospetti di vita di
uomini e donne (cittadini e cittadine) sullo sfondo di processi e sfide
globali"
12
.
Il secondo capitolo è volto ad indagare le modalità con le quali le
teorie della giustizia si pongono di fronte alla sfida estensiva così
concettualizzata; modalità che risulteranno essere radicalmente diverse.
11
cfr. M. Ferrera, Stato sociale e mercato globale, Edizioni della Fondazione G. Agnelli,
Torino, 1993, p.5
12
cfr. S. Veca, Della lealtà civile, Feltrinelli, Milano, 1998, p. 78
7
Vedremo come le ragioni di tale naturale eterogeneità debbano essere
rinvenute proprio nella diversa interpretazione del nesso stato-mercato-
cittadinanza offerta da ogni singolo approccio.
Le prime due teorie prese in esame sono quelle che si sono
storicamente confrontate sulla risoluzione del conflitto distributivo: il
contrattualismo di J. Rawls e la teoria libertaria nella versione di R.
Nozick.
Vedremo come la concezione di giustizia rawlsiana,
concentrandosi nell'immunizzare i prospetti di vita delle persone
dall'arbitraria distribuzione iniziale di risorse naturali e sociali ai fini
dell'eguale cittadinanza, si sostanzi in una critica ex post al mercato.
Quest'ultimo, infatti, viene giustificato purchè i suoi esiti non violino
l'eguale status di cittadinanza, specificato in riferimento ad un'equa quota
di beni sociali primari. Questa massima si traduce nella giustificazione
normativa di uno schema delle istituzioni fondamentali della società in
cui le istituzioni politiche hanno il compito di sottrarre la sorte dell'eguale
cittadinanza al variabile potere anonimo del mercato; compito esplicabile
attraverso l'imposizione di limiti e regolamentazioni alle forze di
quest'ultimo. Ma da questa particolare interpretazione del nesso stato-
mercato-cittadinanza deriva, come ammesso dallo stesso Rawls, un
profondo imbarazzo di fronte alla sfida estensiva.
Cercherò di mostrare come, al contrario, tale imbarazzo non
sussista nel caso nozickiano. Egli, infatti, promuovendo un'idea di
cittadinanza più "snella" della precedente, in quanto basata sulle sole
libertà negative, è portato a giustificare uno schema istituzionale che, nel
limitare le dinamiche del mercato, non vada oltre il compito di difendere
8
tali libertà: lo Stato minimo. Tale posizione, come si vedrà, rende la
concezione di giustizia libertaria la meno esposta ai cambiamenti relativi
alla globalizzazione. Per dirla con O. O'Neill "the central demand of
libertarian justice, whether national or international, is: do not
redistribute"
13
.
Il terzo approccio considerato, quello comunitario, rappresenta una
radicale alternativa ai primi due. Dall'inizio degli anni Ottanta, infatti, i
filosofi comunitari hanno dato avvio ad una serie di critiche a libertari e
contrattualisti che hanno smosso l'intero mondo della filosofia politica,
tanto da spostare il dibattito in seno a quest'ultima dal conflitto
distributivo a quello identitario. Vedremo come il loro interesse verso
l'incertezza circa il riconoscimento dell'identità dei singoli e l'attenzione
circa l'importanza della comunità costitutiva del sé , li porti a rifiutare
qualsiasi ipotesi di estensione dei principi di giustizia, e a considerare
qualsiasi tentativo in tale direzione come o semplicemente fallimentare o
in qualche modo imperialista.
L'impressione che scaturisce da queste prime analisi è che ci si
trovi di fronte ad una alternativa radicale. Se si sceglie l'impegno
universalista, raccogliendo la sfida estensiva, sembra che si debbano a
fortiori accettare le argomentazioni libertarie alla Nozick. La sola
alternativa possibile è quella di rifiutare tale impegno adottando
l'atteggiamento di difesa militante delle differenti storie e tradizioni,
proprio dei filosofi comunitari. Questo, tuttavia, non rappresenta che un
bilancio provvisorio.
13
cfr. O. O'Neill, Transnational Justice, in D.Held, Political Theory Today, Polity Press,
Cambridge, 1991, p. 289
9
Il terzo capitolo, infatti, è dedicato alla presentazione di alcuni
recenti contributi che, rompendo il silenzio in cui era costretta la
tradizione liberale a causa delle limitazioni poste da Rawls circa
l'estensione della sua concezione di giustizia, si presentano come
proposte estensive alternative a quella libertaria. Dall'analisi emergerà
come, ancora una volta, le argomentazioni di J.Rawls costituiscano, pur
con i limiti perspicacemente evidenziati dagli altri autori, una prospettiva
estremamente affascinante sulla quale impostare la risposta del
liberalismo alla questione estensiva.
Nella parte conclusiva accompagnerò al bilancio dell'intera
indagine, alcune riflessioni critiche. Esse si muovono, rispetto al resto del
lavoro, su di un piano di astrazione più alto, con i limiti che ne
conseguono, e riguardano l'impostazione generale che la filosofia politica
sembra avere adottato nella risoluzione della sfida estensiva. In
particolare, entrambe le proposte, quella libertaria e quella rawlsiana del
diritto dei popoli, che hanno accettato l'impegno per l'estensione dei
principi di giustizia dal contesto locale a quello globale, sembrano avere
estromesso dalla discussione le questioni riguardanti la giustizia
distributiva. Evidenziando i limiti in cui gli approcci normativi incorrono
condividendo tale impostazione, cercherò di dimostrare come le richieste
che provengono da un mondo "globalizzato" impongano, invece, al
dibattito filosofico un rinnovato impegno anche in tale ambito.
10
CAP.1 LA SOVRANITA' LIMITATA
Tra le grandi tematiche di cui la discussione sulla globalizzazione è
stata foriera assume un particolare rilievo il dilemma relativo alla sua forza
d'urto sull'ordinamento e le istituzioni statali. A parere di molti la
globalizzazione, per sua natura, sembra erodere l'efficacia della gestione
economica dello Stato-Nazione. E questo per il fatto che essa porta con sé
un'elevata concentrazione di potere economico a livello mondiale, mentre i
meccanismi di controllo e di regolamentazione di tale potere continuano
ad essere fondati su un livello nazionale. In altri termini, la globalizzazione
sembra avere determinato una discrasia funzionale tra la realtà economica
ed il suo controllo, tale da rendere i governi nazionali incapaci di seguirne
le dinamiche e perciò inefficaci nel tentativo di regolarle. Se fin ad
un'epoca recente l'espansione del capitalismo si è strutturata "sulla
coincidenza tra lo spazio della riproduzione della accumulazione e quello
della sua gestione politica e sociale, oggi siamo entrati in una nuova epoca
caratterizzata dalla separazione tra lo spazio mondializzato della gestione
economica e gli spazi nazionali della sua gestione politica e sociale."
1
1
cfr. S.Amin, I mandarini del capitale globale, Datanews, Roma, 1994, p.57
11
Se prendiamo in considerazione il concetto di sovranità intesa come
"il riconoscimento di attori esterni ed interni che lo Stato ha l'esclusiva
autorità ad intervenire coercitivamente nelle attività entro il suo
territorio"
2
, si potrebbe aggiungere alle precedenti affermazioni che la
globalizzazione per sua natura erode, appunto, la sovranità stessa. In
particolare, ciò che viene messo in discussione dalla globalizzazione è
l'esclusiva autorità dello Stato, a causa della presenza di nuovi attori non
istituzionali (fondi di investimento, compagnie trasnazionali, etc...) le cui
attività globali, lo si è visto nel capitolo introduttivo, hanno dirette
ripercussioni all'interno dei territori nazionali. Insomma, è come se nell'era
della global economy la formula classica sulla sovranità, "suprema
potestas superiorem non recognoscens", non avesse più senso in quanto,
accanto allo Stato-Nazione, altre entità sono assurte al ruolo di suprema
potestas.
Nella prima parte di questo capitolo, attraverso la presentazione
dell'originale contributo fornito da V.E. Parsi
3
, verrà offerta un'analisi più
approfondita delle pressioni che la globalizzazione sembra portare alle
istituzioni nazionali. Il quadro generale che da essa scaturisce andrà a
costituire lo schema di riferimento, in relazione al quale cercherò di
sviluppare la discussione finalizzata a comprendere se, e come, l'insieme
dei processi in questione sia in grado di determinare serie ripercussioni
entro l'ambito delle teorie della giustizia.
2
cfr. J.E.Thomson, State sovergnity in international relations, in "International studies
Quarterly", 1995, pp. 213-233
3
cfr.V.E.Parsi, Interesse nazionale e globalizzazione, JacaBook, Milano, 1998
12
1.1 Dalla Guerra Fredda al mercato globale
La visione convenzionale assegna alla Pace di Westfalia del 1648
non solo il ruolo di evento generativo del sistema politico internazionale,
ma anche quello di spartiacque tra la forma di Stato Tradizionale e quella
moderna dello Stato Sovrano. Al di là delle dispute sulla correttezza
dell’intendere tale evento come un reale punto cardine della storia, sembra
incontrovertibile il fatto che la Pace di Westfalia, con cui i governi si
accordarono al fine di fare cessare le intromissioni reciproche dovute alla
difesa dei correligionari in conflitto, significò una rinuncia ad obiettivi
politici in cambio del controllo interno e della stabilità. In altri termini,
grazie a tale accordo, ogni Stato fu in grado di esercitare la propria
sovranità, che per la prima volta veniva pienamente riconosciuta anche
dall'esterno, sulle rispettive comunità politiche, assurgendo in questo modo
a potere politicamente dominante e territorialmente definito. Le intese
internazionali consentirono una “internalizzazione” del potere e della
politica entro i confini statuali attraverso la costituzione di un nuovo
rapporto tra potere e territorio, un rapporto che per la prima volta si poteva
definire esclusivo.
Si potrebbe, dunque, argomentare che lo Stato-Nazione ha, fin dai
suoi albori, contratto un debito con il sistema politico internazionale in
merito all'affermazione della propria sovranità; debito che si è trovato a
dovere ripagare pesantemente trecento anni più tardi.
L'analisi di Parsi prende le mosse proprio dalla situazione venutasi a
delineare sul finire della Seconda Guerra Mondiale.
13
Egli considera il sistema bipolare USA-URSS come la tappa
conclusiva di quella tendenza alla semplificazione del sistema politico
internazionale che era stata una sorta di costante fin dalle sue origini
westfaliane. Caratteristica distintiva del sistema dei blocchi contrapposti,
figlio del dopoguerra, era l'ambivalenza nell'accentuare, da un lato, il
carattere vitale della sicurezza politico-militare (fino al punto di farla
sempre più coincidere con la sopravvivenza della stessa vita organizzata)
e, dall'altro, di sottrarre tale questione alla sfera della sovranità dello Stato,
con l'eccezione dei due attori più rilevanti del sistema: gli Stati Uniti e
l'Unione Sovietica.
Come è noto, nel corso degli anni Settanta il concetto di "sovranità
limitata" venne persino esplicitamente teorizzato all'interno della
cosiddetta dottrina Breznev, per illustrare la particolare condizione degli
stati satellite dell'URSS. In realtà, una simile condizione ha riguardato,
relativamente alla sola sicurezza, anche il gruppo di paesi membri
dell'Alleanza Atlantica. Certo, i gradi di limitazione della sovranità erano
diversi, ma in entrambi i casi la politica di sicurezza militare era
indiscutibilmente sottratta alle rispettive cancellerie nazionali per essere
sottoposta alle decisioni dei due Stati guida.
A parere di Parsi, fu proprio a causa della perdita del dominio
effettivo sulla "questione vitale della sicurezza che molti stati decisero di
convogliare in un altro ambito risorse e capacità prima drenate
diversamente"
4
. La politica dei blocchi contrapposti ebbe come importante
ripercussione quella di agglutinare nelle mani delle due superpotenze il
4
cfr. Parsi, op.cit., p.137
14
primo fattore legittimante della sovranità statale: la sicurezza militare per
l'appunto. Dunque, la Guerra Fredda determinò nei singoli Stati un
importante vuoto di legittimazione che la forte tensione ideologica relativa
all'appartenenza ad uno dei due blocchi non riusciva a colmare
completamente. Insomma, fu proprio la dissociazione dal fattore sicurezza
militare l'evento che spinse gli Stati-Nazione a ricercare un fattore di
legittimazione sostitutivo a quello divenuto ormai di appannaggio
esclusivo delle nazioni guida.
Il nuovo fattore fu rinvenuto nell'ambito economico, entro cui i
governi trovarono un nuovo tipo di sicurezza da difendere e da cui trarre
nuovi crediti di fiducia: la sovranità economico-sociale protetta attraverso i
programmi di welfare. E' in relazione a questo contesto che lo Stato-
Nazione si trasformò in attore primario del processo e dello sviluppo
economico e si ammantò delle vesti di "esperto, garante e negoziatore
delle grandi questioni socio-economiche", attuando un cambiamento
funzionale che ne rinvigorì il ruolo di entità indispensabile per la vita
associata
5
.
Da questa premessa Parsi fa conseguire il fatto che la fine della
Guerra Fredda, terminata col crollo del regime sovietico, riconsegnò nelle
mani degli stati quella sovranità in termini di sicurezza e di politica estera
che per cinquant' anni era stata loro negata. Ma, osserva l' autore, "proprio
nel momento in cui lo Stato Nazione sembrava accingersi ad una nuova
primavera, si rese conto di dover fare i conti con una realtà che si era
5
E' vero che se tutto ciò vale, soprattutto per le democrazie occidentali; non bisogna dimenticare
che anche nel blocco dell'est le più frequenti aporie dalla linea sovietica venivano proprio
dall'ambito dell'organizzazione economica (basti pensare alla Jugoslavia cooperativista o alla
Polonia sindacalista).
15
acquattata ed era cresciuta rigogliosamente al riparo del bipolarismo, fino
a trovarsi in posizione di assoluto vantaggio nel momento in cui il
dissolversi della Guerra Fredda cominciò a concederle ampi e diversificati
spazi di manovra: la realtà dell' economia globale"
6
. La lunga pace
assicurata dalla Guerra Fredda, il forte grado di prevedibilità delle azioni
degli attori nel sistema bipolare e, soprattutto, lo sviluppo tecnologico
avrebbero, dunque, consentito scambi sempre più frequenti ed intensi tra le
varie economie nazionali; scambi che costituirono la struttura portante di
quello che è divenuto il mercato globale come oggi lo intendiamo.
Ma quali furono le conseguenze che la fine dell' Unione Sovietica
provocò sul sistema bipolare che aveva regolato la vita dell' intero pianeta
per cinquant' anni ? Quale, se esiste, il nesso con quei processi che oggi
vengono definiti col termine di economia globale ?
A guardare retrospettivamente, osserva Parsi, sembra quasi che
durante la Guerra Fredda si sia vissuti in una sorta di "economia di guerra"
(sia pur non combattuta) in cui quei medesimi mercati che sembrano oggi
voler imporre il loro rigore, erano disposti ad accettare che i livelli di
profittabilità venissero "tosati" allo scopo implicito di contribuire alla lotta
anticomunista. In altri termini, "saggi di profitto più bassi erano giudicati
ragionevoli perchè su di essi gravava una tassa invisibile, il cui ricavato
serviva a consentire quel livello minimo di pace sociale che rappresentava
il miglior investimento a tutela del sistema capitalista"
7
.
6
cfr. V.E. Parsi, op.cit , p. 91
7
cfr., V.E. Parsi, op.cit., p.183