Numerosi studiosi hanno tentato di legare gli aspetti economici e socio-politici della
globalizzazione con i temi dello sviluppo e della riduzione della povertà. Benché tuttora non
esista una posizione unanime nella letteratura, la quasi totalità degli autori propone la
globalizzazione come una possibilità di sviluppo per i paesi che si trovano attualmente in
ritardo.
La domanda principale è dunque se e come uno stato ed in particolare i PVS possano
guidare, beneficiandone, questo fenomeno. L’argomento è amplissimo a causa delle
innumerevoli variabili che entrano in gioco, così come numerose sono le posizioni a
riguardo. In questo lavoro ci limiteremo a studiare una componente della globalizzazione: gli
investimenti diretti esteri (IDE), ed uno stato, il Vietnam. Il proposito è cercare di
individuare gli impatti degli IDE nel Paese e di verificare se e in che modo questi abbiano
contribuito alla riduzione della povertà negli anni ’90.
L’interesse personale per l’Asia da una parte e la curiosità di conoscere come il
Vietnam in un decennio sia riuscito a dimezzare il numero di poveri, sono state le ragioni
che mi hanno spinto ad indagare su questo particolare tema. L’eventuale esportabilità di
aspetti importanti di un modello di sviluppo di successo dovrebbe essere inoltre utile per
tutti i paesi che si trovano in ritardo nello sviluppo.
La notevole esperienza che ho potuto acquisire nel Paese durante l’estate del 2002,
mi ha convinto ulteriormente e mi ha permesso di ottenere le informazioni necessarie allo
svolgimento della tesi. La conoscenza diretta della realtà vietnamita, spero, mi permetterà
di andare oltre la semplice analisi dei dati per cogliere la sostanza dei fatti e dei problemi. I
legami costruiti nel pur breve periodo di permanenza nel Paese come stagiere presso
l’ambasciata italiana, sono stati fondamentali per creare un valido percorso di ricerca.
La scelta del Vietnam come studio del caso risponde anche a diversi altri criteri.
Sappiamo che il paese ha avuto una performance a dir poco straordinaria nella lotta alla
povertà e questo è accaduto in contemporanea con la, seppur lenta, apertura del Paese
verso il mondo esterno ed in particolare verso i mercati internazionali. Dal 1986, a piccoli
passi, le autorità vietnamite hanno adottato una politica della “porta aperta”, simile a quella
sperimentata dalla vicina Cina. Il Vietnam offre perciò un’occasione interessantissima per
studiare i rapporti fra sviluppo ed apertura economica.
Il perché degli investimenti esteri, fra i tanti fattori della globalizzazione, è legato agli
sviluppi dell’economia internazionale ed alle caratteristiche delle nazioni del Sud Est asiatico.
Il giudizio positivo sugli IDE si è rafforzato dopo la crisi asiatica e contemporaneamente il
valore di questi ultimi, per i PVS, è aumentato in seguito alla diminuzione degli aiuti pubblici
e alla ritirata dei capitali a breve termine. Gli IDE hanno inoltre giocato un ruolo
importantissimo nella crescita economica dei Paesi dell’Asia-Pacifico. Il fatto che il tema non
fosse stato ancora affrontato in modo approfondito per il Vietnam ha complicato la ricerca,
11
ma la ha resa più stimolante. Nel periodo trascorso a Hanoi, nel parlare con le autorità od
anche leggendo i giornali locali, è emersa una quasi ingenua fiducia, ampiamente diffusa nel
paese, verso gli investimenti esteri. Questi, come lo stesso fenomeno della globalizzazione,
non portano necessariamente però benefici per tutti: quello che le autorità locali e la società
devono avere come obbiettivo è dunque la massimizzazione dei benefici e il contenimento
dei danni che gli IDE possono provocare.
Il percorso di analisi prevede una prima ricostruzione del quadro vietnamita, con
particolare attenzione alla dinamica della povertà. Seguirà poi una breve rassegna dei
contributi teorici ed empirici della letteratura. La parte centrale dello studio mira invece a
misurare, in modo qualitativo più che quantitativo, gli impatti degli investimenti esteri in
Vietnam, cercando di analizzare tutte le aree in cui è stato possibile rilevarli. Infine sarà
condotta un’analisi a livello provinciale per individuare una presunta relazione fra presenza
di IDE e livello di povertà.
Per ultimo dobbiamo evidenziare le difficoltà nel reperimento dei dati e la non sicura
affidabilità di questi. Il Vietnam, nonostante i recenti successi, rimane un paese in via di
sviluppo, dove gli istituti statistici e di ricerca non hanno ancora raggiunto i livelli
occidentali. Questa situazione critica ha fatto propendere verso un’analisi prevalentemente
qualitativa, con la sottolineatura di alcuni studi del caso e di un’analisi ragionata dei dati a
disposizione.
CAPITOLO I - IL VIETNAM
Uno sguardo sul Vietnam
Geografia
Il Vietnam si situa sulla costa orientale della penisola Indocinese e fa parte di quello
che comunemente è indicato come il Sud-Est Asiatico. Il paese confina a Nord con la Cina e
ad Ovest con Laos e Cambogia mentre la costa, lunga più di 3000 Km, si affaccia sul Golfo
del Tonchino e sul Mare Cinese Meridionale. La superficie totale della Nazione è pari a
331.100 Km². La forma del Paese, simile ad un’immensa S, può anche ricordare la figura
12
stilizzata di un drago. A Nord, luogo d’origine della civiltà Vietnamita, si estende la regione
densamente popolata del delta del Fiume Rosso. Al centro si sviluppa una vasta piattaforma
collinosa con una stretta fascia costiera. La regione del Sud è invece contraddistinta da un
altro importante fiume, il Mekong, che con il suo ampio delta copre una vasta superficie
fertile e popolosa.
Il sottosuolo del Paese è ricco di risorse naturali: petrolio, carbone, ferro, stagno,
bauxite, rame, cromo, altri metalli non ferrosi e terre rare. Il Vietnam, nonostante i danni
della guerra e il processo di rapida industrializzazione, ha conservato 10,9 milioni di ettari di
foresta abitata da migliaia di specie animali, di cui molte rare o in via di estinzione. Il
patrimonio forestale e ambientale del Vietnam è dunque ricco e vasto.
La terra arabile è misurata in 6,5 milioni di ettari e si trova principalmente nei bacini dei due
grandi fiumi, il Fiume Rosso e il Mekong. Qui prevalgono le coltivazioni di cereali e frutta. Le
coltivazioni industriali come caffè, tè e gomma occupano invece le zone collinose e gli
altipiani. Anche la pesca e gli allevamenti di crostacei sono notevolmente sviluppati in
Vietnam, grazie al lungo litorale e alla pescosità del Mare Cinese Meridionale. Tuttavia, data
la cospicua popolazione, il Vietnam ha un rapporto abitanti per area coltivabile fra i più alti
nel mondo.
Clima
Il Vietnam si trova nella parte Nord della zona tropicale. La configurazione
morfologica del Paese e i monsoni sono i principali fattori climatici, per i quali si può
separare il Paese in tre diverse regioni climatiche. Nel Nord sono distinguibili diverse
stagioni con l’inverno che dura da Dicembre a Febbraio (le temperature scendono anche al
di sotto dei 15 gradi) e l’estate, caratterizzata dai monsoni e da piogge intense, che inizia a
Giugno e finisce a Settembre (30-40 gradi). Il centro ha un clima più asciutto, ma è spesso
colpito da forti tifoni e temporali. Le regioni del Sud hanno un clima tropicale classico, con
due stagioni e con temperature calde e costanti. La media delle piogge è di 1.830 mm,
mentre l’umidità si attesta mediamente sul 85-88% durante tutto l’anno.
Demografia
La popolazione del Vietnam è stata stimata nel 2001 in 78,7 milioni di individui.
L’etnia dominante è il ceppo vietnamita (Kinh), che comprende circa l’80% della
popolazione. Il paese può però definirsi multietnico in quanto numerose sono le minoranze
presenti, 54 secondo i ricercatori, che popolano soprattutto le montagne del Nord e le
regioni centrali. Spesso i singoli gruppi etnici non superano però il centinaio di migliaia di
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individui. È presente anche una forte minoranza cinese. Il rapporto fra le autorità centrali e
le minoranze etniche è delicato e in passato ci sono stati fenomeni di emarginazione causati
dalle politiche del Governo.Le aree più popolate si trovano nelle vicinanze della capitale
Hanoi, di Ho Chi Minh City e nei delta del Fiume Rosso e del Mekong. La densità media nel
Paese è di 237,6 persone per Km².
La crescita della popolazione, per merito delle politiche di contenimento attuate dalle
autorità vietnamite e al miglioramento negli standard di vita, si è ridotta dal 3,8% del 1989
al 2,3% del 1999 fino al 1,35% del 2001 ed è in costante, anche se leggera, diminuzione.
Circa un terzo della popolazione è al di sotto dei 15 anni (UNDP 2001).
La maggioranza della popolazione vietnamita, il 75,2%, abita in zone rurali, mentre il
restante 24,8% è stanziata in aree urbane. Questa distribuzione dipende sicuramente dal
passato recente del Vietnam e dalle politiche di pianificazione attuate dalle autorità negli
anni ’70 e ’80. Con l’accelerarsi del progresso economico, con la graduale liberazione delle
forze produttive e le conseguenti maggiori possibilità per i lavoratori di spostarsi, il
fenomeno migratorio campagna-città si è gradualmente imposto, senza che ciò abbia
tuttora trasformato la distribuzione geografica della popolazione. I luoghi di maggiore
attrazione sono le principali città del paese, con Saigon in prima fila. Lo schema migratorio,
nonostante i tentativi delle autorità, si sta sempre più avvicinando al modello tipico dei paesi
in via di sviluppo: il 6,5% della popolazione, 4,5 milioni di persone sopra i 5 anni, è infatti
migrata nel periodo 1994-1999. Di questi 4,5 milioni di migranti, circa 1,2 milioni si
sarebbero trasferiti dalla campagna alla città (GSO/UNDP 2001).
La lingua vietnamita è ampiamente diffusa ed è insegnata in tutte le scuole del
Paese. Le minoranze etniche generalmente, pur mantenendo i propri idiomi, conoscono il
vietnamita.
Cultura e Religione
La cultura Vietnamita è il frutto di diverse influenze che si sono imposte nei secoli:
alla cultura autoctona si sono successivamente sovrapposte le idee e il patrimonio culturale
dei diversi conquistatori, partendo dai cinesi durante il primo millennio dopo Cristo e
passando per i francesi e gli americani fino ad arrivare al pensiero marxista importato dalla
Russia e dalla Cina. Dovrebbe essere inoltre considerato anche l’apporto degli antichi popoli
confinanti, come i Khmer e i Cham.
In Vietnam sono diffuse le dottrine Confuciane, Taoiste e Buddiste. In particolare la
morale confuciana rappresenta un substrato culturale importante nel determinare il
comportamento dei vietnamiti. La prossimità della Cina, la durata della dominazione cinese
e la presenza di una sua prospera minoranza ne sono la principale spiegazione. In
14
particolare il rispetto della cultura, dell’autorità degli anziani e dell’autorità in generale ne
sono gli insegnamenti principali. Ugualmente sono importantissimi nella società vietnamita il
prestigio personale e la parola data. La famiglia rimane prepotentemente come fondamento
della società. Così nel commercio e nella libera impresa, valgono i principi confuciani e il
“pragmatismo cinese”. Nel paese la libertà di culto è sancita dalla costituzione. È anche
presente una forte minoranza cristiana, che rappresenta circa il 7% della popolazione.
Le idee Marxiste sono state rilette da Ho Chi Minh e adattate alle necessità del paese in
modo non dissimile da quanto è successo in Cina con il Maoismo. In particolare l’influenza
confuciana è facilmente individuabile nel moralismo che caratterizza il pensiero di Ho Chi
Minh, leader indiscusso della storia recente del Paese.
Oggi il panorama culturale è diventato ancora più complesso a seguito delle riforme e
alla politica della porta aperta. In qualche anno la società vietnamita sembra essersi
concentrata interamente sullo sviluppo economico.
Una storia difficile, poi il miracolo
Il Vietnam prima e dopo la riunificazione
Nel 1975, dopo quasi un secolo di guerra ininterrotta, il Vietnam conquista la propria
indipendenza. Nel secolo precedente il Paese è stato colonizzato, diviso e in uno stato di
guerra quasi permanente. La conquista coloniale francese risale al 1859 e si conclude nel
1954 a Dien Bien Phu. Da quel momento, a seguito degli accordi di Ginevra, il Paese viene
spaccato in due. Fino al 1975 il Vietnam farà fronte a duri anni di guerra civile e
all’invasione americana. In Vietnam si può parlare di normalizzazione, pace e sicurezza solo
dopo il 1989, ossia l’anno in cui le truppe vietnamite abbandonano definitivamente la
Cambogia. Alla unificazione del paese segue infatti l’invasione della Cambogia e una guerra
lampo con la Cina nel 1979. Senza troppo soffermarci su questi avvenimenti, è lo stesso
facilmente immaginabile la situazione vietnamita dopo l’indipendenza: povertà diffusa,
economia di guerra e infrastrutture inesistenti o irrimediabilmente danneggiate dagli episodi
bellici. Sia l’economia che la società erano inoltre dominate dall’agricoltura tradizionale:
circa l’80% della popolazione viveva in aree rurali ed era per lo più dedita alla coltivazione
del riso. Il quadro era inoltre peggiorato dall’isolamento del Paese nella comunità
internazionale: solamente gli stati del Concilio di Mutua Assistenza Economica (COMECON)1
e l’Unione Sovietica in particolare hanno fornito aiuto al Paese nei primi anni
dell’indipendenza. I contributi sovente si limitavano ad assistenza tecnica o al trasferimento
di materie prime a prezzi politici. La situazione economica era dunque disastrosa, con
1
Il Concilio di Mutua Assistenza Economica era formato dall’Unione Sovietica, dai paesi socialisti dell’Europa
dell’Est e da Cuba.
15
rapporti commerciali limitati ai paesi del secondo mondo e definiti solo attraverso precisi
accordi bilaterali che fissavano quote e prezzi, spesso indipendentemente dai valori espressi
dal mercato.
Lo stato vietnamita, almeno inizialmente, basò le sue politiche economiche e sociali
su fondamenti quali la pianificazione centralizzata e la proprietà collettiva, seguendo
l’esempio sovietico e cinese. Il settore statale, data la struttura economica del paese, non
raggiunse però mai le dimensioni conosciute in Cina o in Russia. Nonostante le scarse
risorse e lo stadio di sviluppo economico del Paese, il governo riuscì a creare e mantenere
un sistema educativo relativamente eccellente oltre ad una struttura gratuita di sanità
pubblica. Significativi miglioramenti sono stati conseguiti fin dai primi anni d’indipendenza
nei campi dell’istruzione e della salute. L’esperienza della pianificazione socialista fu però
breve ed incompleta, e già nella metà degli anni ’80 il sistema entrò in una profonda crisi
(Mc Carty 2001). L’inefficienza della collettivizzazione divenne evidente dopo la fine della
guerra. Il collasso del network del Concilio di Mutua Assistenza Economica impose la
ristrutturazione del settore pubblico. Il Vietnam affrontò un progressivo spostamento della
forza lavoro, circa un quarto del totale (Mc Carty 2001), dal settore pubblico a quello
privato. La transizione economica del Paese si fa tradizionalmente iniziare nel 1986 con il
lancio del programma di rinnovamento, il Doi Moi, durante il sesto congresso del Partito
Comunista. La spinta verso il processo di liberalizzazione, che iniziò alla fine degli anni ’70,
si originò spontaneamente dal basso verso l’alto e pose sotto forte pressione le autorità,
portandole ad accettare diversi compromessi e a adottare un approccio decisamente
pragmatico nelle riforme.
Transizione al mercato: il Doi Moi e la crisi asiatica
Il Partito comunista nel 1986 adottò un convincente pacchetto di riforme. La
transizione guidata verso un’economia di mercato fu sicuramente la componente più
importante del programma. Incominciò inoltre il processo di apertura del Paese e di
integrazione nella comunità internazionale, sulla falsariga della politica della porta aperta
adottata da Deng Xiao Ping in Cina. Le tre liberalizzazioni chiave sono state: gli svincoli
commerciali, la promozione degli IDE e la ricognizione del concetto di proprietà privata. Il
Doi Moi può essere suddiviso a sua volta in un primo momento di riforme caute,
trasformatesi poi nel 1989 in una transizione vera verso un’economia di mercato. I primi 3
anni, 1986-89, sono stati caratterizzati da politiche di liberalizzazione selettive,
contraddittorie e confuse: fu infatti mantenuto un sistema di doppi prezzi. L’inflazione
rimase molto elevata, fino al 300% su base annuale. Nel Marzo 1989 furono introdotte
16
nuove e diverse misure per garantire una stabilizzazione macroeconomica, stabilizzazione
che è oggi considerata uno degli ingredienti base del miracolo asiatico e vietnamita. Sempre
nello stesso hanno ci fu una forte monetizzazione dell’economia, con un conseguente ritorno
di fiducia nella valuta locale: il Dong. Progressivamente fu ridotto il deficit statale, grazie ad
un attento controllo della spesa pubblica, e fu imposto un tetto ai prestiti erogati alle
imprese statali, mentre il tasso di cambio fu normalizzato. Il quadro di stabilità
macroeconomica fu soprattutto il risultato degli aggiustamenti fiscali e della stretta
monetaria dei primi anni ’90 (Dollar 2002). Anche il settore finanziario fu parzialmente
riformato: i tassi di interesse vennero portati a valori reali positivi e furono introdotti
elementi di competizione. Il rapporto fra assets di banche commerciali rispetto agli assets
totali è usato come misurazione dello sviluppo finanziario: in Vietnam tale tasso è passato
dal 0,64 del 1992 (primo dato disponibile) al 0,83 del 1997 (Dollar 2002). La riforma
cominciò però nel settore agricolo: già nel 1981 fu adottato un sistema di contratti sul
prodotto. Le inefficienti cooperative d’ispirazione socialista furono progressivamente
smantellate, soprattutto grazie a numerose riforme quali: il contratto familiare nel 1988, la
liberalizzazione progressiva dei prezzi, l’unificazione del tasso di cambio, la nuova legge
sulla terra del 1993 e infine la deregolamentazione dell’import-export. I risultati furono
immediati: la produzione agricola crebbe fin dai primi anni ’80 ed il Paese da importatore
netto di riso ne diviene dal 1997 il secondo esportatore mondiale (Minot 1998).
I risultati economici ottenuti dal Vietnam negli anni ’90 mostrano il miracolo: la
crescita del PIL, nel periodo 1992-1997, oscilla fra il 8,1% e il 9,5%. Tale sviluppo è guidato
dal settore industriale e dai servizi, ma anche la crescita media del 4% del settore agricolo
può giustamente essere annoverata come eccezionale. In particolare il settore industriale e
quello delle costruzioni crebbero mediamente del 13,3% nel quinquennio prima accennato.
La crisi asiatica, che si espande dalla Thailandia nella seconda metà del 1997,
colpisce il Vietnam solo indirettamente, giacché il Paese è ancora poco vulnerabile agli shock
economici esterni. In particolare i flussi di investimento a breve termine, una delle cause
della crisi, non erano determinanti nell’economia vietnamita, mentre una borsa valori ancora
non esisteva. La crescita del PIL però si arresta al 4,4% nel 1998 e al 4,7% nel 1999. Il
Vietnam risentirà in particolare della debolezza dei propri vicini, che sono sia i principali
partner commerciali sia le prime fonti di investimenti diretti esteri.
Il successo del Doi Moi non è solo legato agli ottimi risultati economici ottenuti, ma anche al
complesso processo di espansione delle scelte individuali ed alla riduzione della povertà.
Pochi paesi, in un arco di tempo così limitato, hanno ottenuto risultati tanto interessanti.
L’impatto delle riforme ha però contemporaneamente introdotto un numero elevato di
cambiamenti: uno di questi è stata la privatizzazione parziale della sanità. Questo, insieme
all’introduzione di pagamenti nelle strutture pubbliche, cui sono o meglio dovrebbero essere
17
esentate le persone più povere, ha contribuito ad aumentare la spesa privata che oggi
arriva all’80% del totale. Ugualmente anche un altro settore in cui l’intervento statale è
stato predominante, l’istruzione, ha dovuto adattarsi ai cambiamenti economici, spesso a
scapito dell’equità.
Tabella 1: Principali riforme legate al Doi Moi (Rinnovamento)
Anno Maggiori riforme Risultati
1978 Piano di riforma SOE Maggiore autonomia alle SOE: si iniziano a
stabilire relazioni di mercato
1981 Contratti di produzione per le famiglie di
contadini
Maggiore autonomia ai contadini nella
produzione e nella vendita dei prodotti agricoli
1985
Riforma dei “Prezzi, Salari e Moneta” È rimosso il sistema pianificato dei prezzi.
Iperinflazione.
1986
Il programma di rinnovamento – Doi Moi
– è annunciato durante il Sesto
Congresso del Partito Comunista.
Inizia il periodo di riforme e la transizione
verso un’economia di mercato.
1987
Legge sugli Investimenti Diretti Esteri
Legge sulla terra (definisce i diritti d’uso sui
terreni agricoli)
Introduzione di un tasso di cambio più
orientato ai valori di mercato.
1988
Adozione della risoluzione 10 sui diritti d’uso
riguardo ai terreni agricoli
Prima Joint Venture
L’export raggiunge la cifra di 1 miliardo di
dollari
1990
La legge sugli IDE è emendata.
È approvata la legge sulla Banca Centrale,
Banche di Stato e istituzioni di credito.
Nuova Legge sulle imprese
Produzione di 20 milioni di tonnellate di grano.
Estrazione di 2 tonnellate di greggio
Le licenze per gli IDE approvate superano il
milione di dollari di valore.
1991 È permesso alle imprese private di importare
ed esportare prodotti direttamente.
Il settore industriale cresce del 9%
Anno Maggiori riforme Risultati
1992
Adozione di una nuova Costituzione che
ufficialmente riconosce un’economia a più
settori.
È siglato un accordo commerciale con l’UE
Primi esperimenti di trasformazione delle SOE
in società per azioni.
Inizia il “Hunger Elimination and Poverty
Programme”
Il valore delle licenze per gli IDE sorpassa i 5
miliardi di dollari.
1993
La legge sulla terra è emendata.
Sono approvate la legge sulla bancarotta e la
legge sulla protezione ambientale.
Finisce l’embargo USA
La povertà passa dal 70% della metà degli anni
’80 al 58%.
Sono ristabilite le relazioni con la comunità
internazionale dei “donors”
1994
Implementazione del Codice del Lavoro
Abolizione di molte licenze per l’export
Il Vietnam diventa membro dell’ASEAN
Il valore delle licenze per gli IDE sorpassa i 10
miliardi di dollari
18
1995
È approvata la legge sulle SOE
I prodotti di importazione regolamentati da
quote si riducono a 7
Il Vietnam entra nell’AFTA
Il valore dell’export raggiunge i 5 miliardi di
dollari
Normalizzazione delle relazioni con gli USA
La crescita del PIL è al 9,5%
1996
È approvato un regolamento sulla protezione
della proprietà industriale
Il valore delle licenze per gli IDE raggiunge i 27
miliardi di dollari.
Crescita del PIL: 9,3%
1997
Sono rimosse tutte le barriere per il
commercio interno di riso
Imprese private possono ottenere licenze per
l’export di riso
L’export di riso raggiunge i 3 milioni di
tonnellate
La produzione di greggio raggiunge le 10
tonnellate
Primo collegamento ad internet
1998
Nuove misure non tariffarie sono introdotte
temporaneamente
La povertà passa dal 58% al 37%
Il Vietnam entra nell’APEC
1999
Il Decreto n° 57 liberalizza i diritti di import-
export
È approvata la nuova legge sulle imprese
Introduzione dell’IVA
Accelerazione del programma di
trasformazione delle SOE
L’export di riso raggiunge le 4,5 milioni di
tonnellate
2000
È firmato il Bilateral Trade Agreement con gli
USA
Sia apre la prima borsa valori a Saigon
È approvata la strategia di riduzione delle
tariffe in ambito AFTA
La crescita del PIL è del 6,7%
Si contano circa 15.000 imprese private
2001
Rimozione di numerose licenze, quote, tariffe
e controlli
2002
Aumentano i prodotti inclusi nella lista di
riduzione tariffaria del Agreement on the
Common Effect Preferential Tariff (CEPT)
all’interno dell’AFTA
Partono le negoziazioni per l’ingresso del
paese nel WTO
Fonte: rielaborazione personale da National Human Development Report (2001) e World Bank (2002)
Il Vietnam oggi: economia e società
Oggi il Vietnam è ancora un economia in transizione, un mercato emergente. Le
riforme, che hanno conosciuto una nuova fase di accelerazione nel 2000, stanno procedendo
lentamente, ma in modo costante. L’adozione di misure specifiche nella politica
commerciale, nella promozione del settore privato, nel settore bancario, nelle SOE, nella
gestione della spesa pubblica, nella riforma amministrativa e in particolare il
perfezionamento del quadro legislativo stanno migliorando l’immagine che gli investitori
hanno del Paese. Nonostante ciò, la recessione, che ha colpito il mondo nel 2000, ha avuto
forti ripercussioni in Vietnam. La crescita si è ancora ridotta nel 2001 al 4.8% (5,5% nel
2000), mentre le prospettive per il 2002 e il 2003 sono incerte. In particolare l’export, uno
dei principali motori della crescita, è stato duramente colpito dalla negativa congiuntura
internazionale e regionale. Nonostante il miglioramento nel “business environment”, il flusso
19
di investimenti esteri è stato ben al di sotto delle aspettative: dopo la crisi asiatica: nel 2001
il flusso di investimenti esteri si è attestato sulla soglia del miliardo di dollari. La crescita
della domanda interna sembra invece aver sostenuto l’economia nel 2001 e nel 2002. Il
settore industriale mantiene la leadership con un tasso di sviluppo molto positivo: 7,2% nel
2001 e 14% nel primo quarto del 2002. Il contributo principale proviene dagli investimenti
diretti esteri e dal settore privato, che oggi sono responsabili del 60% della produzione
totale. Seguono il settore dei servizi, con una crescita reale del 4%, e l’agricoltura con il
2,5% nel 2001 (World Bank 2002).
Il ruolo crescente del settore privato è una variabile chiave: molte nuove imprese
sono nate e stanno nascendo per occupare il posto delle vecchie conglomerate statali, ma
per crescere hanno bisogno di risorse che ancora oggi sono dirette verso il settore pubblico.
Ugualmente resistono ostacoli alla libera impresa e agli investimenti riferibili al “business
environment”, ossia alle politiche opache, alla pesante burocrazia e alla debolezza di un
sistema giudiziario che deve ancora essere riformato e che non è in grado di fornire le
basiche garanzie per giudizi imparziali.
Evoluzione della politica commerciale:
Un importante elemento del processo di riforma fu il completo ribaltamento della
politica commerciale: da politiche inward oriented di import substitution si passò a sempre
più aggressive politiche outward-oriented e di supporto, ad una strategia di sviluppo che
viene spesso definita come export-led. Come già accennato in precedenza, prima del Doi
Moi, i rapporti esterni del Vietnam si limitavano ai paesi del CMEA ed erano regolati da
licenze e quote fissate su base bilaterale, mentre l’esistenza di più tassi di cambio
allontanava i prezzi dal loro valore di mercato.
Le principali riforme hanno riguardato:
• L’eliminazione dei limiti al commercio al di fuori dei Paesi del CMEA;
• La razionalizzazione e l’unificazione del tasso di cambio (1989);
• La diminuzione progressiva nei controlli sull’import e sull’export e il passaggio
a un sistema su base tariffaria;
• Deregolamentazione riguardo ai controlli sulle imprese esportatrici e
semplificazione della normativa sulle licenze;
• Promozione della politica della porta aperta e costruzione di un quadro
normativo per approvare e regolamentare gli investimenti nel tentativo di
favorire l’ingresso degli IDE;
• Integrazione nell’economia globale attraverso la stipulazione di accordi
commerciali bilaterali e multilaterali.
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Tabella 2: Principali indicatori economici
1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000
Crescita PIL
(%) 5,8% 8,7% 8,1% 8,8% 9,5% 9,3% 8,2% 5,8% 4,8% 6,8%
Tasso di cambio
(VND/USD) 10.037 11.202 10.641 10.966 11.038 11.033 11.683 13.268 13.943 14.167
Export (milioni
di USD) 2.087 2.581 2.985 4.054 5.449 7.256 9.185 9.360 11.540 14.308
Import (milioni
di USD) 2.338 2.541 3.924 5.826 8.155 11.144 11.592 11.499 11.622 15.200
Bilancia
Commerciale -251 40 -939 -1.772 -2.706 -3.888 -2.407 -2.139 -82 -892
Commercio in % sul PIL 50,9% 51,9% 52,4% 60,6% 65,4% 74,7% 73,9% 70,5% 79,9%
Fonte:calcoli dal GSO; CIEM (2001); IMF IFS (2001) per i tassi di cambio
Il Vietnam durante tutti gli anni ’90 si è trovato a gestire una bilancia commerciale
negativa, in cui alla crescita dell’export si affianca infatti una pari crescita nelle importazioni.
Guardiamo ora il trend attuale: nel 2002 si stima un deficit commerciale di 2,1
miliardi di dollari, in crescita dunque rispetto agli anni precedenti (Intellasia 2002). Nel
primo semestre del 2002 le esportazioni sono diminuite rispetto allo stesso periodo dell’anno
precedente del 5.9%, mentre le importazioni sono aumentate dell’8.1%. Fattori
determinanti sono stati sicuramente il calo della domanda mondiale in mercati importanti
come quello europeo e americano e la diminuzione dei prezzi di alcuni prodotti agricoli di cui
il Vietnam è esportatore, quali riso e caffè. Circa il 75% delle importazioni vietnamite
proviene da otto Paesi Asiatici: di questi, cinque Paesi - Singapore, Giappone, Taiwan, Corea
del Sud e Cina - da soli rappresentano oltre il 60% delle importazioni. Seguono l’Unione
Europea con il 10% e gli Stati Uniti con il 3% circa. Relativamente alle esportazioni, il 40%
di queste è diretta verso le cinque economie prima menzionate, il 20% verso il mercato
comune europeo e circa il 10% verso gli Stati Uniti (ICE 2002).
Nonostante le riforme fossero incomplete e ancora oggi il Paese venga considerato
nelle classifiche internazionali come un’economia relativamente chiusa - l’indice di Libertà
Economica costruito dall’Heritage Foundation, per esempio, posiziona nel 2000 il Vietnam
144° su 155 Nazioni -, l’impatto è facilmente visibile nei dati forniti nella precedente tabella.
Anche il Fondo Monetario Internazionale relega il Paese negli ultimi posti per il suo regime
commerciale, considerandolo molto restrittivo (IMF 1999). Il valore medio nominale delle
tariffe è salito dal 12,8% nel 1995 al 13,6% nel 1998 e ancora al 16,2% nel 2000: tali dati
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non si discostano in ogni caso dalla tariffa media calcolata per i paesi dell’Asia dell’Est.
L’Effective Rate of Protection (ERP) ha un valore medio del 50% (Institute of Economics
2001, Athukorala 2002), mentre ancora diverse barriere non tariffarie proteggono numerosi
prodotti chiave. D’altra parte, sono state ridotte quasi tutte le restrizioni all’export comprese
le limitazioni all’acquisto degli input necessari alla produzione industriale. Il Governo si è
inoltre impegnato a seguire un sentiero ben preciso di riduzione delle restrizioni al
commercio per partecipare all’Asean Free TradeArea (AFTA): ad esempio tutte le tariffe
dovranno essere ridotte entro il 2006 al 5%, uno sforzo non indifferente considerando i
livelli attuali. Il modello seguito dal Paese è quello tracciato dagli altri paesi dell’Est Asiatico,
che hanno affiancato la promozione dell’export alla protezione del mercato interno.
La politica commerciale ha previsto anche la creazione di Export Processing Zones
(EPZ) dai primi anni novanta e la formulazione di incentivi per le imprese esportatrici. La
crescita dell’export, sulla base delle citate politiche, fu dunque forte durante tutti gli anni
’90. La quota del commercio sul PIL passò dal 52% del 1992 al 71% del 1998 (76%
secondo altri, Mc Carty). Le importazioni sono dominate dai macchinari e dai beni intermedi,
che rappresentano circa il 70% del totale. Questo dato, da una parte riflette il processo di
industrializzazione del Paese, ma dall’altra evidenzia il fatto che esistono ancora strutture
protezionistiche di import substitution (Niimi Yoko, Vasudeva-Dutta Puja e Winters L. Alan,
2002). Relativamente alle esportazioni negli anni ’90, il peso relativo dell’agricoltura, della
foresta e della pesca è diminuito a favore dei prodotti di artigianato e dell’industria leggera:
in particolare, rispetto all’export totale, il settore tessile ed abbigliamento vede aumentare il
proprio peso dal 7,7% del 1992 al 15,5% nel 1998. (IMF 1998 e 2000).
Investimenti diretti esteri
All’adozione di politiche favorevoli all’ingresso di investimenti diretti esteri seguì un
costante afflusso di questi durante tutti gli anni novanta, con un picco nella metà dell’ultimo
decennio. La chiave di svolta è comunemente considerata la Legge sugli Investimenti Esteri,
approvata nel 1987, e più volte emendata. In particolare, le autorità hanno cercato e stanno
tentando di rimuovere tutti gli ostacoli che si frappongono ad attività operative di investitori
ed imprese straniere nel Paese: gradualmente è stato semplificato il regime di affitto dei
terreni, sono state ridotte le limitazioni e la regolamentazione monetarie, sono state
ampliate le possibilità per cambiare la forma di investimento e sono stati approvati diversi
provvedimenti volti a creare incentivi e riduzioni fiscali. Nonostante la positiva disposizione,
la reale implementazione di leggi e programmi è avanzata lentamente ed è stata fonte di
continue lamentele da parte degli investitori, oltre ad essere una delle cause del
rallentamento dei movimenti finanziari a partire dal 1996. Il flusso di IDE, infatti, negli anni
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1993-1997 era mediamente pari al 9% del PIL, un valore decisamente elevato se comparato
ad altre economie in transizione e soprattutto ai paesi a basso reddito (Apotecker 2000).
Dopo la crisi asiatica, la corrente di IDE si è arrestata: nonostante il quadro paese fosse
effettivamente migliorato, così come la percezione sul Vietnam degli investitori esteri, anche
il 2002 ha figurato in modo deludente, se paragonato agli anni precedenti la crisi asiatica.
Grafico 1: Flussi di investimenti diretti esteri in entrata
Fonte: Le Dang Doanh CIEM MPI (2002)
Parlando di investimenti diretti esteri è essenziale anche studiare la qualità degli
stessi e non fermarsi ai dati sulla quantità e sulla provenienza. Risulta inoltre dalla
precedente tabella che il rapporto fra investimenti registrati e capitale realmente investito si
è aggiustato positivamente. Anche la qualità degli investimenti è migliorata: i primi
investimenti si concentrarono prevalentemente in settori ad alta intensità di capitale ed in
settori protetti dalle politiche governative, mentre oggi si contano numerosi nuovi
investimenti nell’industria leggera ed in settori ad alta intensità di lavoro (a cui sono legate
maggiori opportunità di trasferimento tecnologico). Il potenziale, presente in molti settori in
cui il Vietnam gode di vantaggi comparati, non è ancora stato adeguatamente messo a
profitto dagli IDE: ciò apre le porte a nutrite ulteriori possibilità di investimento.
La provenienza geografica degli IDE è una delle spiegazioni del trend negativo:
questi giungono infatti prevalentemente dalla regione asiatica. È tuttavia innegabile, che già
prima della crisi asiatica si era registrata un'evidente diminuzione nell’ammontare degli IDE.
Alcuni spiegano ciò con il rallentamento del processo di riforma, arenatosi nella metà degli
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