Davide Gianluca Vaccaro – Globalizzazione dei Sogni
Introduzione
Cinema, globalizzazione. Ricezione, identità, Islanda. Ecco i concetti chiave attorno a cui ruoterà
questo lavoro, nato in seguito ad un periodo di studi a Reykjavík presso la scuola di studi umanistici
dell'Università d'Islanda, Háskóli Íslands. Durante questo soggiorno, il primo semestre del 2009, il
particolare clima culturale in cui mi sono ritrovato a vivere ed il particolare periodo storico di
radicali cambiamenti che hanno attraversato il paese, hanno ispirato questa tesi volta ad indagare
aspetti della ricezione spettatoriale in relazione all'identità culturale nel complesso sistema
globalizzato e globalizzante in cui ci troviamo a vivere.
Nell'autunno del 2008, la crisi economica globale ha travolto l'Islanda più di ogni altro paese,
facendo collassare il nuovo sistema sociale creato dal boom economico avviatosi una decina di anni
fa, rappresentando il coronamento al lento processo di globalizzazione socioeconomica e di
conseguenza culturale. Sulla scia della crisi mondiale il sistema islandese collassa, portando il paese
a quello che è stato definito il più grande crash economico dopo il crollo di Wall Street del '29.
Questa situazione ha portato gli islandesi alla prima grande, vera rivolta popolare del paese che ha
ribadito e riaffermato il proprio orgoglio di indipendenza e la propria identità, che vuole essere
estranea ai meccanismi di globalizzazione omologante imposta a favore del proprio essere cittadini
globali ma non globalizzati.
In un intervista rilasciata nel 2003 al portale Caffè Europa in merito al film “Nói Albínói” alla
domanda <<E' favorevole all'Europa unita?>> il regista islandese Dagur Kári ha risposto: <<No,
perché mi sembra stia rendendo i singoli paesi tutti uguali, e che l'euro li abbia resi inavvicinabili
dal punto di vista economico. Ogni capitale europea sta diventando identica alle altre, hanno perso
la loro identità, per trasformarsi in un unico costoso sushi bar. Anche il mio film parla di come
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persino i sogni si siano globalizzati: uguali per tutti, come obblighi, doveri e motivi di rispetto>>
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Andando al di là di qualsiasi giudizio di natura politica su queste affermazioni del 2003, che tuttavia
oggi risentirebbero degli eventi scatenati “dall'autunno caldo” del 2008 e di tutti i cambiamenti
politici, economici, sociali, culturali tuttora in atto, questa tesi si occuperà appunto di quel
fenomeno suggerito da Dagur Kári: “La Globalizzazione dei Sogni”.
Per chiarire fin da subito il concetto, quando parlerò di “Globalizzazione dei Sogni” mi riferirò a
tutto quell'insieme di spinte sociali, economiche, politiche, culturali che portano ad una
eliminazione progressiva dei particolarismi culturali che il pensiero dominante non reputa
interessanti o – rispettabili, citando Kári – e vengono in questo modo soppiantati dai caratteri
globali dominanti; un fenomeno di una portata tale da riuscire anche ad intaccare quell'isola, ultimo
baluardo di libertà o Terra Nullis svincolata dal pensiero di utilità e profitto che governa il mondo
occidentale: l'universo dei sogni, l'universo dell'Arte e del Cinema.
L'intento di questo lavoro è di utilizzare lo spettatore come mezzo per esplorare il mondo
cinematografico al di là della cosiddetta quarta parete nell'ottica di un cinema che si scioglie nella
vita
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.
Se è vero che la volontà di fare cinema, “la mummia del cambiamento”, rappresenta la volontà di
salvare l'essere mediante l'apparenza allora perché permettere che le logiche dell'industria e del
mercato vadano ad influenzare l'essenza di questa mummia trasfigurandola? Se è vero che il
cinema, come afferma Francesco Casetti, è “una tecnologia sociale grazie alla quale una cultura
plasma gli individui”, questa cultura trasfigurata dalle logiche del mercato industriale, plasmerà gli
individui nell'ottica industriale del prodotto standardizzato, eliminando il diverso o costringendolo
in categorie stereotipate ben definite. Ecco la logica che muove quest'indagine: esplorare la
macchina cinematografica come fattore di conoscenza culturale e come i costrutti identitari di
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spettatori non afferenti alla realtà dell'universo filmico rappresentato si vadano a porre come
ostacoli alla ricezione e alla comprensione del film. Infine si tenterà di formulare un ipotesi per
superare questi ostacoli culturali alla ricezione al fine di rispondere alla domanda: può il cinema
essere il veicolo per la formazione di un cittadino globale, ma non globalizzato?
Sempre più spesso assistiamo a quella che Florence Dupont chiama “la dittatura dei capolavori
dell'occidente” a causa della quale <<[…] gli umanisti celebrano la messa solenne della cultura
maiuscola, indifferenti al quotidiano devasto, alla morte delle culture minuscole, davanti ad un
pubblico che applaude meccanicamente[…]>>
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inconsapevole della bellezza e della ricchezza delle
culture “minori” fagocitate violentemente dall'occidente globalizzato.
La scelta di analizzare il cinema islandese quindi, non è solo dovuta ad un mio particolare interesse
per la società nordica, ma è dettata dalla volontà di esplorare un territorio inesplorato, la produzione
culturale di quella che è la società occidentale più isolata e sconosciuta d'Europa: l'Islanda.
Birgir Thor Møller nel suo saggio “In and Out of Reykjavik: Framing Iceland in the global gaze”
raccolto nel libro “Transnational Cinema in the Global North: Nordic Cinema in transition” a cura
di Andrew Nestingen e Trevor Elkington, afferma:
It seems difficult, if not impossible, for the international press to frame and describe Icelandic art, music,
or filmno matter what period it belongs towithout referring to the country's largerthanlife landscape,
history, or folklore, even if for understandable reasons. Today, this contextualizing strategy may be an
attempt to provide an anchor point in times of globalization and postmodern circulation, crosspollination,
borrowing, and hybrids. In these flows, all that is peculiar and from Iceland becomes an instance of “odd
Iceland”. [...] This contextualizing strategy is typical in relation to the Icelandic film, too[...]
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In accordo con ciò, questa tesi si propone di operare un'analisi dell'opera prima di Dagur Kári, e
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della ricezione del pubblico e della critica italiani, facendo riferimento al contesto storico, culturale
e sociale islandese. Se operando in questo modo utilizzerò la contestualizzazione come strategia di
ancoraggio, in epoca di globalizzazione, alla situazione locale islandese, nel farlo però avrò cura di
mantenere un punto di vista più interno che esterno; ciò significa che non mi approccerò da neofita
della cultura islandese, ma facendo appello ad un vissuto in loco, opererò un'analisi dall'interno di
quel contesto evitando in questo modo di trasformare ciò che di peculiare si trova nel film in
“instance of odd Iceland”. In epoca di globalizzazione, questo approccio permetterà di ottenere
un'analisi meno trasfigurata da una visione esterna ed estranea all'ambiente islandese, rimanendo
più coerente al contesto sociale e culturale entro cui il film è stato prodotto.
Questo lavoro consisterà in una prima parte teorica sul valore delle storie, sull'importanza della
narrazione, le peculiarità della narrazione cinematografica e l'influenza che l'apparato produttivo di
questo mezzo ha sui contenuti filmici finali, andando ad osservare nello specifico lo stato
dell'industria cinematografica islandese. In questo modo potrò creare un quadro di riferimento sulle
motivazioni che muovono l'elaborazione di questa tesi. Infatti questo elaborato parte da una
questione sollevata dal regista Dagur Kári, definita in maniera poetica Globalizzazione dei Sogni ed
in relazione al cinema occorre capire quale ruolo possano avere le storie all'interno di questo
fenomeno.
Nel secondo capitolo affronterò invece questioni storiche e culturali islandesi. Questo perché, al fine
di effettuare un'analisi della ricezione spettatoriale ancorata alla contestualizzazione culturale del
paese, ritengo necessario fornire un quadro storico di riferimento orientativo oltre a fornire alcuni
cenni sulla storia del cinema islandese.
Una volta fornito questo quadro di riferimento di base, mi occuperò nei due capitoli successivi di
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approcciare l'analisi della ricezione prima esclusivamente in ambito teorico, facendo riferimenti a
studi che la filmologia ha prodotto e rielaborandoli in funzione di un approccio alla ricezione
transculturale per poi applicarli a livello empirico. In quest'ultima fase empirica prenderò in esame
commenti al film che sono stati fatti dal pubblico su diversi forum cinematografici online, i saggi e
gli articoli pubblicati dalla critica e dai media italiani.
Le pagine che seguono quindi, serviranno per formulare delle ipotesi per una teoria sulla ricezione
transculturale del cinema e del suo ruolo come vettore culturale nel contesto globale.
Note
1
fonte: Islanda: innocenza e isolamento Intervista/articolo di Paola Casella pubblicata su Caffè Europa in data 27
Dicembre 2003 (http://www.caffeeuropa.it/cultura/243albinoi.html).
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André Bazin.
3
FLORENCE DUPONT, Omero e Dallas, Dall'Iliade all'Odissea, Roma, Donzelli Editore, 2006 pp. 56.
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ANDREW NESTINGEN AND TREVOR G. ELKINGTON, Transnational cinema in the global north: Nordic
cinema in transition, Detroit, Wayne State University, 2005.
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