2
terrorismo) e da una giustificazione ideologica (la diffusione della
democrazia nel mondo). A ben guardare, infatti, gli Stati Uniti non
hanno lasciato molto margine di scelta ai propri alleati ed amici
all’inizio della lotta al terrorismo, quando hanno proposto una sorta
di “o con noi o contro di noi”. In sostanza, si può parlare di un
maggiore tentativo di coinvolgere gli alleati, ma non di un minore
unilateralismo.
Il crollo dell’Unione Sovietica ha comportato un riassetto della
strategia americana. Dopo la sconfitta dell’ “l’impero del male”, gli
Stati Uniti hanno individuato nell’”asse del male” e nei terroristi le
nuove minacce alla propria sicurezza e a quella di alleati ed amici.
Sebbene gli attacchi terroristici dell’11 settembre (e in seguito
quelli dell’11 marzo in Spagna) abbiano dato ragione agli Stati
Uniti circa il tipo di minaccia, essi, d’altro canto, hanno messo in
discussione la validità della risposta, individuata nel sistema di
difesa strategica.
Il presente lavoro s’interroga sulle motivazioni che hanno spinto
due amministrazioni americane, abbastanza simili, ma che hanno
operato e operano in un contesto internazionale radicalmente
differente, a scegliere la stessa risposta per due minacce così
diverse: l’Unione Sovietica e i “rogue states”. Inoltre, se il sistema
di difesa strategica sia il tipo di risposta adeguata per entrambe
queste minacce.
Sebbene il compito dello scudo sia rimasto lo stesso, ovvero
fronteggiare l’attacco di missili intercontinentali, le minacce
appaiono diverse. L’Unione Sovietica agiva in un contesto
internazionale con un'altra grande potenza, in una situazione di
parità strategica (o supposta tale) ed era dotata di un vasto arsenale
missilistico (e convenzionale). Gli attacchi dell’11 settembre hanno
dimostrato che la minaccia terroristica non è riconducibile ad uno
stato sovrano. Inoltre, il terrorismo internazionale non è ancora in
possesso di un arsenale di missili intercontinentali, e anche qualora
potesse, non è detto che sceglierebbe questo tipo di strumento.
3
Tuttavia, l’amministrazione Bush è convinta esattamente del
contrario. La minaccia terroristica sarebbe riconducibile a tre entità
sovrane, il cosiddetto “asse del male” composto da Iran e Corea del
Nord e, prima della seconda guerra del Golfo, Iraq. Inoltre, nel giro
di pochi anni questi paesi potrebbero - secondo l’amministrazione -
entrare in possesso di missili intercontinentali. Infine, anche
qualora non utilizzassero missili intercontinentali, la difesa
antimissilistica s’inserirebbe in una triade strategica, che attraverso
il complemento di offesa e difesa garantirebbe la difesa e la
sicurezza degli Stati Uniti, dei propri alleati ed amici. In realtà, ad
oggi la minaccia derivante dagli stati canaglia è più supposta che
reale.
Nel primo capitolo del presente lavoro, ho illustrato la situazione
interna ed internazionale statunitense verso la fine degli anni ’70, la
presidenza Carter e la nascita del neoconservatorismo, che ha
significativamente influenzato le presidenze Reagan e George W.
Bush. Inoltre, ho illustrato il percorso storico della Strategic
Defense Initiative, a partire dal Star Wars Speech sino al declino
del sistema a partire dal 1987.
Nel secondo capitolo, ho illustrato i temi principali del dibattito
politico scatenato dalla SDI. Ho messo in luce i problemi di
realizzabilità tecnica del sistema, gli effetti sulla corsa agli
armamenti e sull’Alleanza Atlantica e la convivenza con il Trattato
ABM.
Infine, nel terzo capitolo ho illustrato il modo in cui la difesa
strategica s’inserisce nella concezione di sicurezza dell’attuale
amministrazione. In particolare, l’attenzione si è focalizzata sui
possibili effetti del ritiro statunitense dal Trattato ABM e sul ruolo
della difesa strategica in seguito all’11 settembre e il dibattito che
ne è scaturito
1
.
1
Il presente lavoro si è concentrato sul dibattito politico scatenato dai programmi di
difesa strategica delle due amministrazioni. Ne sono state analizzate principalmente
tre dimensioni: quella politica, quella diplomatica e quella tecnica. Per tanto, ho
volutamente evitato di illustrare il ruolo degli interessi economici, ed in particolare
dell’industria della difesa, nell’intrapresa dei due programmi.
4
Capitolo I
GLI ALBORI DELLO “SCUDO SPAZIALE”
1- La presidenza Carter e la fine degli anni ‘70
Il dibattito politico seguito al discorso indirizzato alla nazione
americana, il 23 marzo 1983, dall'allora presidente degli Stati Uniti,
Ronald Reagan, avrebbe di molto influenzato la discussione sulla
politica estera e di sicurezza del paese. Il lancio di ciò che venne
denominato subito “Star Wars” prometteva di rendere le armi nucleari
“impotenti ed obsolete”, tramite la costruzione di un grande scudo nello
spazio in grado di proteggere gli Stati Uniti da un attacco nucleare
2
.
Alle origini di una scelta strategica così radicale vi erano non solo
motivazioni di tipo strategico-militare, ma anche elementi politici e
ideologici che si rifacevano alla visione neoconservatrice delle
relazioni internazionali e del ruolo degli USA nel mondo.
La politica della presidenza Carter (1977-81) si dimostrò sin da subito
contraddittoria e priva di risolutezza. Arrivato alla Casa Bianca sulla
scia dello scandalo Watergate, Carter, aveva fra i suoi obiettivi quello
di restituire agli americani la fiducia nelle istituzioni. Inoltre, egli diede
maggiore enfasi, nell’elaborazione della propria politica estera, al tema
dei diritti umani. In particolare, Carter fece pressioni sui sovietici per
ottenere l’osservanza degli accordi di Helsinki (il terzo cesto degli
accordi riguardava infatti i diritti umani) e sostenne la causa dei
dissidenti in Unione Sovietica
3
. A spingere l'amministrazione in questa
2
Address to the Nation on Defense and National Security, 23 marzo 1983, Weekly
Compilation of Presidential Documents [WCPD], 1981-1988 Vol. 19, 12,
Washington DC.: U.S. Government Printing Office, 28 marzo 1983 p.423-466.
3
Questo accordo fu firmato il 1° agosto 1975. Si trattava di una dichiarazione di
principi firmata da 35 paesi divisa in quattro cesti (parti) : nel primo cesto si
sancivano i principi della sicurezza europea (l’inviolabilità delle frontiere,non ricorso
alla minaccia o all’uso della forza, rispetto della sovranità, diritto
all’autodeterminazione dei popoli, non ingerenza negli affari interni degli altri stati fra
i principali); un documento a parte sanciva le “misure miranti a rafforzare la fiducia e
taluni altri aspetti della sicurezza e del disarmo” . Il secondo cesto riguardava la
cooperazione nel campo dell’economia, della scienza e della tecnica e dell’ambiente;
il terzo cesto riguardava la cooperazione nel campo culturale e umanitario , mentre il
5
direzione furono diverse motivazioni: innanzitutto, il forte senso morale
del presidente e il suo approccio per certi aspetti neo-wilsoniano, assai
lontano da quello di Nixon e Kissinger. In secondo luogo, dietro questa
mossa vi era un preciso calcolo politico volto a conquistare le simpatie
dei neoconservatori e gli anti-sovietici ma anche quelle degli idealisti di
sinistra
4
. La campagna per i diritti umani si poneva l'obiettivo
d'indebolire l’URSS sostenendo i dissidenti del regime e l'intero
sistema socialista. In quest’obiettivo, è possibile rinvenire una prima
contraddizione implicita alla campagna in favore dei diritti umani e in
linea invece con le critiche dei neoconservatori alla distensione: infatti,
se da un lato, si richiedeva l'adempimento da parte sovietica degli
accordi di Helsinki (e quindi l'accettazione dell'intangibilità delle
frontiere e l'impegno degli stati contraenti a non offrire assistenza
diretta o indiretta ad attività sovversive volte a rovesciare un regime di
un altro paese), dall'altro, con questa campagna si tentava di rendere
più fragile e vulnerabile il controllo dell'URSS sull'Europa centro-
orientale. I sovietici, contrariamente alle aspettative
dell'amministrazione, intensificarono la politica di repressione:
costrinsero il governo cecoslovacco a porre fine all’attività del gruppo
Carta 77 e assunsero una posizione molto rigida nei confronti dei
dissidenti
5
.
Oltre alla questione dei diritti umani vi erano altri punti di tensione,
prima fra tutti la cosiddetta "carta cinese". Verso la fine del 1978 gli
USA e la Cina in un comunicato congiunto annunciavano
l'instaurazione di relazioni diplomatiche a partire dal 1° gennaio 1979.
A tale annuncio sarebbe seguita una visita del vice premier Deng
Xiaoping a Washington. L'intento del riconoscimento diplomatico
statunitense era, innanzitutto, quello di esercitare pressione sull'URSS.
Gli Stati Uniti avvicinandosi alla Cina avrebbero "costruito un
quarto cesto stabiliva che si sarebbe tenuta una conferenza a Belgrado nel 1977 per
fare il punto della situazione.
Il terzo cesto era diviso in quattro titoli: Contatti fra persone, Informazione,
Cooperazione e scambi nel campo della cultura e cooperazione e Scambi nel campo
dell'educazione.
4
Raymond L. Garthoff, Détente and Confrontation: American-Soviet Relations from
Nixon to Reagan, Washington DC, Brookings Institute, 1985, p.630.
6
accerchiamento politico-militare dell'Unione Sovietica"
6
. Il risultato
sarebbe stato un atteggiamento più dimesso di questa nel contesto
internazionale
7
. Ciò, secondo la visione del presidente, non avrebbe
pregiudicato il rapporto con l'URSS in altri ambiti (ad esempio, un
nuovo accordo sul controllo degli armamenti). Tuttavia, il
miglioramento dei rapporti fra Stati Uniti e Cina non ebbe i risultati che
Carter aveva auspicato, anche perché avveniva in un momento di
tensione nei rapporti fra URSS e Cina. L’URSS iniziò a divenire
sempre più sospettosa verso le intenzioni dell'amministrazione Carter. I
leader sovietici annunciarono quindi, che la politica della distensione e
il SALT II sarebbero stati danneggiati dalle intromissioni statunitensi
negli affari interni sovietici e dalla normalizzazione dei rapporti fra Usa
e Cina a partire dal 1979
8
.
In Iran, la rivoluzione khomeinista aveva portato alla
deposizione dello scià Reza Palhevi II, un alleato cruciale degli Stati
Uniti in Medio Oriente. Non meno critica era la situazione in America
centrale: in Nicaragua, la guerriglia sandinista riuscì ad abbattere il
regime dittatoriale di Somoza e a prendere il potere. In Etiopia, il colpo
di stato aveva portato al potere Mengistu, che sembrò in un primo
tempo portare il paese nell'orbita sovietica. Infine la guerra civile in
Angola, l’aggravarsi della tensione attorno al Sudafrica, e la situazione
della Rhodesia (nella quale la minoranza bianca non riusciva a trovare
un compromesso con la minoranza nera) acuivano le tensioni.
Nonostante la distensione fosse di gran lunga preferibile, sembravano
ora mancare i presupposti per creare un terreno comune per l’accordo,
almeno sulla questione del controllo degli armamenti. Alla base di
queste difficoltà, vi era certamente, la mancanza da parte di Carter di
una strategia coerente nei rapporti con la controparte sovietica. In
particolare, ciò fu vero per il secondo biennio carteriano quando ci si
5
Ennio di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali 1918-1992, Roma-Bari, Editori
Laterza, 1994, p.1252-1254; Raymond L. Garthoff, op. cit., p.627-634
6
Raymond Garthoff, op. cit., p. 660
7
Il motivo scatenante di tale mossa da parte statunitense era stato infatti
l'interventismo sovietico nel Terzo Mondo (in particolare nel Corno d'Africa e in
Etiopia), ritenuto eccessivo e destabilizzante dal Presidente Carter.
8
Raymond Garthoff, op. cit., p. 660-685
7
spostò verso il confronto con l'URSS (a dispetto della firma
dell'accordo SALT II).
In aggiunta alle difficoltà sul piano internazionale, Carter dovette anche
affrontare le critiche del movimento neoconservatore. Il movimento
sorse negli anni '70, quale reazione alla crisi che gli Usa stavano
affrontando, in campo politico, economico e militare. Esso era
composto primariamente da intellettuali. Verso la fine degli anni ‘70,
esso riuscì a ritagliarsi uno spazio nel panorama politico statunitense. Il
neoconservatorismo chiedeva un rilancio delle certezze morali e
ideologiche della guerra fredda. Il movimento riproponeva
l'anticomunismo e l'antitotalitarismo, che erano stati messi in secondo
piano dalla distensione, che i neoconservatori paragonavano alla
politica di appeasement degli anni ‘30. Date queste premesse, i
neoconservatori ritenevano inaccettabile la distensione perché
presupponeva un'equipollenza fra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica
sia dal punto di vista strategico-militare sia dal punto di vista morale.
Gli Stati Uniti dovevano tornare a mostrare la propria superiorità (ed
eccezionalità) in tutti gli ambiti. Per questo motivo, il pensiero
neoconservatore rifiutava l'idea di un'interdipendenza sistemica
evidente soprattutto in ambito strategico con la Mutual Assured
Destruction (MAD) e la deterrenza. La MAD era la "capacità di
scoraggiare un attacco deliberato contro gli Stati Uniti od i loro alleati,
anche dopo aver subito un attacco a sorpresa, mantenendo
costantemente, una chiara ed indiscutibile capacità d'infliggere
all'aggressore o agli aggressori un livello inaccettabile di danni"
9
.
Per quanto riguarda la distensione, le critiche dei neoconservatori (e più
tardi del candidato Ronald Reagan) s'indirizzavano verso i Trattati
SALT I e SALT II (Strategic Arms Limitations Treaty). I Trattati erano
stati concepiti per congelare, almeno provvisoriamente, la corsa agli
armamenti che dato "il livello di distruttività raggiunto dagli ordigni
atomici" era diventata "sempre più illogica"
10
. Gli accordi prevedevano
inizialmente dei tetti massimi per gli ICBM (missili balistici
9
A.C. Enthoven, K.W. Smith, How Much is Enough? Shaping the Defense Program
1961-1969, New York, Kraus, 1971, p. 174.
10
Mario Del Pero, La guerra fredda , Roma, Carocci, 2001, p.80.
8
intercontinentali) di 1054 per gli USA e di 1618 per l'URSS, per gli
SLBM (missili balistici lanciati da sottomarini) di 710 vettori e 44
missili balistici per gli USA e di 950 vettori e 62 missili balistici per
l'URSS e infine per gli MCBM (missili e bombe di gravità trasportate
dai bombardieri) nessun limite veniva imposto agli Usa (che ne
possedevano circa 400) mentre il limite era di 150 per l'URSS.
L'Accordo ad interim e il Protocollo stabilirono che sarebbe stato
proibito solo rimpiazzare gli ICBM leggeri con quelli pesanti. La
questione della limitazione dei vettori mobili ICBM sarebbe stata
oggetto di successive negoziazioni tra le parti, ma il dispiegamento di
tali lanciatori durante il periodo di validità dell'Accordo sarebbe stato
considerato contrario allo stesso. Il SALT I ebbe dei negoziati molto
lunghi (iniziati nel 1968), e non appena venne firmato risultò già
obsoleto. Infatti quando si cominciò a trattare vi era ancora un rapporto
1:1 fra vettori e testate, mentre nel 1972 si stavano costruendo i primi
MIRV (multiple-independently-targetable reentry vehicles) in grado di
portare inizialmente dalle 3 alle 10 testate ognuno. Non valeva più,
quindi, la compensazione che si era cercato di trovare con il SALT I tra
la superiorità quantitativa sovietica e quella qualitativa americana che
era già (durante la fase negoziale) in possesso di missili a testata
multipla.
Proprio questo tentativo di compensazione fu il bersaglio delle critiche,
poiché (come poi avvenne) il progresso tecnologico avrebbe giocato a
favore dell'Unione Sovietica. Per questo motivo, il senatore Henry
Jackson aveva proposto un emendamento, al momento
dell'approvazione dell'Accordo ad interim. Per il secondo round di
negoziati, l'emendamento prevedeva che "non si doveva limitare gli
USA a livelli di forze strategiche intercontinentali inferiori ai limiti
previsti per l'Unione Sovietica"
11
. L'emendamento si rifaceva al
concetto di essential equivalence, secondo il quale non si sarebbe
dovuto conferire alcun vantaggio unilaterale all’altra parte. In sostanza,
il SALT I aveva lasciato ai sovietici più ICBM, quindi Jackson
11
Strobe Talbott, The Master of the Game - Paul Nitze and the Nuclear Peace, New
York, Alfred A. Knopf, 1988, p.134
9
chiedeva che per il secondo round di negoziati, i lanciatori ICBM e il
carico fossero bilanciati secondo il principio di equivalenza
12
.
I MIRV furono quindi l'oggetto della negoziazione del SALT II firmato
nel 1979, ma mai ratificato dal Congresso. Esso prevedeva dei limiti
validi per entrambe le superpotenze a 2400 tra ICBM, SLBM, MCBM
e ASBM (missili balistici aria-superficie)
13
. Ciascuna parte aveva il
diritto di determinare la composizione di questi livelli aggregati, ma
solo 1320 lanciatori sarebbero potuti essere dotati di testate nucleari
multiple (MIRV)
14
. Inoltre si sanciva il divieto di aumentare il numero
di testate sui tipi esistenti di ICBM, un limite di 14 testate su SLBM e
di 28 per i missili da crociera a lungo raggio.
Nonostante ciò, anche questo trattato non placò le preoccupazioni
americane. Gli oppositori del Trattato non lesinarono, sin dall’inizio,
critiche su ogni aspetto dello stesso. Il SALT II era ritenuto inefficace e
incompleto, poiché era basato su quell’illusione che era la distensione.
Secondo i critici, i sovietici avevano approfittato pienamente di questa
situazione per continuare ad ampliare il proprio arsenale missilistico.
Fautore dell’allarmismo che si diffuse degli Stati Uniti fu il Committee
on the Present Danger, una commissione composta sia da democratici
sia da repubblicani uniti dalla comune preoccupazione per lo
svantaggio strategico statunitense
15
. Il Committee on the Present
Danger venne creato ufficialmente nel novembre del 1976 da Paul
Nitze, Charls Walker (ex sottosegretario della Difesa), David Packard
(proprietario della Hewlett-Packard, che fornì i fondi iniziali
all’organizzazione) e Gene Rostow (sottosegretario di Stato durante la
presidenza Johnson)
16
. Subito dopo la sua istituzione, la Commissione
12
Strobe Talbott, op. cit., p. 134-135; Paul H. Nitze, Ann M. Smith, Steven L
Rearden, From Hiroshima to Glasnost - At the Center of Decision, New York, Grove
Press, New York, 1989, p. 335; Lawrence Freedman, The Evolution of Nuclear
Strategy, New York, The MacMillan Press LTD, 1989, p.357,369
13
Si precisò che, a partire dal 1° gennaio 1981, sarebbe iniziato lo smantellamento
portando il numero degli ordigni nucleari da 2400 a 2250.
14
Di questi 1320 al massimo 1200 doveva essere costituito da lanciatori ICBM,
SLBM, ASBM equipaggiati con MIRV e di questi 1320 solo 820 dovevano essere i
lanciatori ICBM con MIRV.
15
Per far fronte a questa preoccupazione il Segretario della Difesa elaborò più tardi la
cosiddetta “strategia di compensazione” racchiusa nella Direttiva Presidenziale 59
approvata nel 1980 da Carter.
16
Tuttavia, già nel giugno 1976, durante la presidenza Ford, George H. Bush,
nominato nuovo direttore della CIA, creò un gruppo formato da esperti al di fuori
10
s’ingrandì sino a comprendere 150 membri, esperti di affari esteri e
questioni militari. La sua membership era divisa fra democratici (60%
circa) e repubblicani (40% circa). Tuttavia, l’organizzazione era no-
profit e a-partitica. Lo scopo della Commissione era quello di suscitare
l’attenzione dell’opinione pubblica nazionale sulle questioni di
sicurezza nazionale. Gli Usa – sosteneva la Commissione – si
trovavano in un periodo di pericoloso svantaggio strategico rispetto
all’Unione Sovietica. Questa ne avrebbe approfittato per portare avanti
il suo piano di istituire un ordine comunista mondiale. Occorreva
allertare l’opinione pubblica americana, ancora incosciente di questo
rischio. Gli ICBM americani (Minuteman, che oltretutto erano fissi),
secondo il Committee on the Present Danger, sarebbero stati distrutti
nel caso di un attacco di primo colpo sovietico. La portata di tale
distruzione sarebbe stata talmente ampia da precludere la possibilità di
una rappresaglia americana. Questa preoccupazione venne riassunta nel
concetto di "finestra di vulnerabilità", coniato dal Pentagono sulla scia
dell’allarmismo del Committee on the Present Danger. La
Commissione diventò il più attivo oppositore del trattato (e in seguito
sostenne la campagna presidenziale di Reagan, il quale attinse da essa
molti dei suoi consiglieri per la politica estera e di difesa). Essa
denunciò i pericoli del SALT II e distribuì addirittura stime e mappe
che mostravano le città statunitensi che un singolo SS-18 sovietico
avrebbe potuto distruggere. La Commissione sottolineava che per tutti
gli anni '70 i sovietici avevano dispiegato tre nuovi ICBM MIRV(SS-
17, SS-18 e SS-19) più evoluti e accurati, SLBM (SS-N18) e IRBM
(missili balistici a raggio intermedio, detti anche INF) (SS-20), tutti di
nuova generazione e con testate MIRV. Di questo passo, anche il
vantaggio statunitense nella tecnologia MIRV già dall’inizio degli anni
dell’amministrazione per fornire un’analisi delle difese strategiche sovietiche,
dell’accuratezza dei suoi missili e degli obiettivi strategici della controparte sovietica.
A condurre i lavori del gruppo fu nominato Richard Pipes (docente di storia russa). Il
rapporto del Team B sottolineava come in realtà l’arsenale sovietico fosse maggiore
rispetto a quello reso noto dalle stime ufficiali. Inoltre, mancavano prove che l’Urss si
stesse attenendo alla MAD, poiché la propria condotta strategica e il proprio arsenale
erano improntati alla vittoria della guerra e non come strumenti per la deterrenza.
Vedi Dana H. Allin, Cold War illusions, New York, St. Martin’s Press, 1995, p.59-
61; Strobe Talbott, The Master of the Game, cit., p.144-147; Paul H. Nitze, Ann M.
Smith, Steven L. Rearson, op. cit., p.350-353
11
’80 sarebbe scomparso, poiché l’URSS era in grado di raddoppiare
quasi la capacità distruttiva dei propri missili intercontinentali
17
. La
politica della distensione, affermava la Commissione, favoriva
solamente l'URSS. Lo scopo dell’Unione Sovietica non era quello di
essere in grado di combattere una guerra nucleare, bensì quello di
raggiungere il predominio politico. Il pericolo era quello di trovarsi in
una situazione in cui l’URSS, avendo la capacità di distruggere la quasi
totalità degli ICBM americani con un attacco a sorpresa, avrebbe potuto
forzare gli USA a ritirarsi dalla scena mondiale e avrebbe imposto il
suo predominio politico
18
. Il SALT II, infatti, non avrebbe eliminato la
minaccia sovietica posta agli ICBM americani: il dato più preoccupante
era che, nonostante il Trattato prevedesse dei tetti massimi uguali per i
vettori (2400), dei quali al massimo 1200 avrebbero potuto essere
costituiti da ICBM e SLBM (sui quali si sarebbero potute montare
testate multiple), il megatonnaggio dei missili sovietici era superiore,
cioè in sostanza avevano una maggiore capacità distruttiva. A fronte di
tale prospettiva, la Commissione esortava ad intraprendere un ampio
programma di sviluppo che si concentrasse sul ripristino di programmi
di difesa aerea e civile e la ripresa dei programmi di ricerca e sviluppo
nel campo dei sistemi ABM. Il programma, proposto nel 1980,
prevedeva lo sviluppo di “due sottomarini Trident, 100 bombardieri B-
1, la costruzione di ulteriori missili da crociera e di 300 ICBM
Minuteman […] e la progettazione di un sistema di difesa civile”
19
.
Inoltre, attacchi erano rivolti anche ai negoziatori, i quali non avevano
saputo mantenere una posizione forte e, soprattutto far valere come
carte contrattuali le restrizioni unilaterali intraprese dal presidente
(ovvero la decisione di non produrre il bombardiere B-1 e le armi al
neutrone). Sicuramente, uno degli errori commessi da Carter fu il
ritardo nel montare una campagna a favore del trattato in modo tale da
"assicurare un sufficiente sostegno da parte dell'opinione pubblica e del
17
Dana Allin, op. cit., p. 61-62
18
Fitzgerald Frances, Way out there in the blue- Reagan, Star Wars and the end of the
Cold War, New York: Simon & Schuster Books, 2000, p.88-90; Marco Cesa , Da
Ginevra a Ginevra. Armamenti e politica internazionale, "Il Mulino", 304, XXXV, 2,
marzo-aprile 1986, p. 279-303
19
Frances Fitzgerald, op. cit., p. 90
12
Congresso"
20
. Un errore questo, ammesso dallo stesso presidente. Una
delle argomentazioni fornite da Carter a favore del Trattato era che esso
fosse il migliore ratificabile in quel momento. Gli oppositori non
batterono Carter solo dal punto di vista "organizzativo"; il troppo tempo
impiegato per arrivare alla firma, non solo diede loro l'opportunità di
far radicare l'allarmismo nell'opinione pubblica americana, ma fece
anche perdere "valore strategico alle limitazioni"
21
. Tuttavia, la parità
nel caso del SALT II avrebbe potuto essere in qualche modo favorevole
agli USA, dato che l'URSS avrebbe dovuto smantellare 250 unità,
mentre gli USA nessuna. A conferma di ciò, bisogna sottolineare il
fatto che, contrariamente a quanto affermato in campagna elettorale,
anche Reagan, una volta diventato presidente continuò tacitamente ad
osservare il SALT II. Reagan, una volta diventato presidente si rese
conto che i tetti posti dal SALT II seppure modesti erano utili. Essi
frenavano l’eccessiva proliferazione sovietica. Durante
l’Amministrazione Reagan furono elaborate alcune stime secondo le
quali, in assenza dei limiti posti dal SALT II, l’Unione Sovietica
sarebbe stata in grado di costruire 200 ulteriori ICBM con 1100 testate
e di aumentare la capacità distruttiva di ogni missile MIRV, portandolo
da 10 a 14 testate
22
.
Dal 1979, inoltre, gli avvenimenti nel contesto internazionale finirono
per compromettere definitivamente la posizione di Carter e quella del
Trattato SALT II, ponendo termine alla distensione. In particolare, la
crisi della distensione fu scandita da quattro avvenimenti: la questione
degli Euromissili, la presenza di brigate sovietiche a Cuba, il rapimento
di cittadini americani tenuti in ostaggio nell’ambasciata americana di
Teheran e l’intervento sovietico in Afganistan.
La prima questione riguardò la decisione (adottata ufficialmente da
Carter il 5 luglio 1979) di dispiegare, sul suolo europeo, 572 missili a
raggio intermedio, di cui 108 Pershing II (IRBM che avrebbero
sostituito gli obsoleti Pershing IA a breve raggio) e 464 GLCM (missili
20
R. Garthoff, op. cit., p.906.
21
Ibidem, p. 907.
22
Strobe Talbott, op. cit., p.221
13
da crociera lanciati da terra)
23
. La decisione venne subito ribattezzata
“Two-Track Decision”. Essa non solo comportava il dispiegamento dei
572 missili in Europa, ma richiedeva anche alle due superpotenze di
inaugurare dei negoziati per la limitazione dei loro arsenali, secondo il
principio di equità. Inoltre venivano delineato delle linee guida per le
negoziazioni: i velivoli non avrebbero dovuto essere oggetto di
negoziazione; al contrario sarebbero rientrati nei negoziati i missili
sovietici al di fuori dell’Europa
24
. Questa decisione fu dettata dalla
preoccupazione della NATO circa il dispiegamento da parte sovietica
dei nuovissimi SS-20 in Eurasia. Questo era un missile a raggio
intermedio (dalla capacità di gittata di 4400-5000 miglia), con 3 testate
MIRV, con maggiore raggio d'azione, maggiore accuratezza. In
sostanza, dai siti missilistici della zona occidentale dell’Unione
Sovietica sarebbe stato possibile colpire tutti i bersagli dell’Europa
occidentale
25
. L'URSS iniziò a dispiegarlo nel 1976, ma divenne
operativo solo nel 1977. Tuttavia, tale operazione da parte sovietica
faceva parte di un programma di modernizzazione, che prevedeva la
sostituzione dei vecchi e ormai vulnerabili SS-4 e SS-5 e non di un
preciso disegno militare. Alla base della decisione del dispiegamento
da parte della NATO vi erano diverse motivazioni. Infatti, gli
Euromissili non sarebbero solo serviti a restaurare l’equilibrio
strategico, ma anche a dimostrare l’affidabilità statunitense per la
protezione degli alleati e al contempo la risolutezza europea di fronte al
nemico sovietico. Inoltre, il dispiegamento avrebbe rafforzato le basi
dell’Alleanza Atlantica. In questo modo, gli alleati europei avevano una
23
I missili da crociera Tomahawk vennero scelti perché molto mobili, ma più lenti di
quelli pilotati dall’uomo. Ciò significava che non avrebbero costituito una minaccia di
primo colpo. Il Pershing II, rispetto al Pershing IA presentava diversi vantaggi: il
doppio del raggio d’azione ed un vettore tecnologicamente più avanzato con la
capacità di riorientare il proprio corso mentre era in atmosfera a seconda del terreno e
del tipo di bersaglio. La quantità di 572 venne scelta da esperti militari secondo una
logica politico-strategica. I bersagli sovietici da coprire erano circa 600. Inoltre si
ritenva che questo fosse il numero giusto per fare in modo che gli alleati europei non
pensassero che gli Stati Uniti stessero derogando al proprio impegno di difesa
dell’Europa, fornendo loro abbastanza missili per difendersi da soli. Vedi Strobe
Talbott, op. cit., p. 33-36
24
Paul H. Nitze, Ann M. Smith, Steven L. Rearsen, op. cit., p.367; Strobe Talbott, op.
cit., p. 38
25
Dana H. Allin, op. cit., p.85-88; Paul H. Nitze, Ann M. Smith, Steven L. Rearden,
op. cit., p.366-367
14
garanzia ulteriore dell’impegno americano ad intraprendere una guerra
nucleare nel caso di un attacco all’Europa Occidentale
26
. Il
dispiegamento degli Euromissili aprì un problema politico, poiché
questi missili avevano la capacità di colpire il territorio sovietico in 4-6
minuti, alterando quindi l'equilibrio strategico. Tuttavia, nei due anni
che precedettero l'adozione di tale decisione, gli USA non presero
minimamente in considerazione le ripercussioni che si sarebbero
prodotte sui rapporti con l'URSS. Anzi, secondo l'amministrazione tale
dispiegamento avrebbe ristabilito la fiducia del paese e mostrato
all'URSS la risolutezza statunitense. I calcoli di Carter si rivelarono
però errati
27
.
La notizia della presenza di brigate sovietiche di stanza a Cuba, invece,
venne diffusa a fine agosto 1979. Si trattava di unità da combattimento
costituite da 2300-3000 uomini. Col passare dei giorni si scoprì che tali
brigate erano lì almeno da metà anni '70. Carter denunciò la situazione
come inaccettabile e affermò che questo avvenimento avrebbe
influenzato negativamente il rapporto fra le due superpotenze
28
. Carter
però non riuscì ad ottenere né il ritiro di tali brigate, né la riduzione di
esse, poiché secondo i sovietici queste non erano unità da
combattimento, bensì facevano parte di centri di addestramento che si
trovavano a Cuba da 17 anni. Non avendo ottenuto nulla, dopo un
grande sforzo diplomatico, il presidente decise di chiudere la questione
tramite una dichiarazione unilaterale. Carter ribadì che, nonostante la
presenza di tali unità fosse fonte di preoccupazione per gli USA, aveva
ottenuto garanzie dai sovietici che queste fossero unità di
addestramento e che non sarebbero mai state tramutate in unità da
combattimento.
29
In sostanza, quindi, la questione degli Euromissili e la
presenza di brigate sovietiche a Cuba avevano rischiato di minare le
basi della credibilità e autorevolezza statunitense verso gli alleati
europei e poi di fronte a tutta la comunità internazionale. Tuttavia,
26
Dana H.Allin, op. cit., p. 88-90
27
vedi Raymond L. Garthoff, op. cit., 942-974; Ennio Di Nolfo, op. cit., p.1265; Paul
H. Nitze, Ann M. Smith, Steven L. Rearden, op. cit., p. 366-367
28
Strobe Talbott, U.S.-Soviet Relations from bad to worse, “Foreign Affairs”, 58,
N°3, America and the world, 1979, p.515-539
29
Raymond L. Garthoff, op. cit., p.913-934
15
ancora più deleteria da questo punto di vista si rivelò il rapimento di 52
cittadini americani, il 4 novembre 1979. Essi vennero catturati e tenuti
in ostaggio, per 14 mesi, da studenti khomeinisti nell'ambasciata
americana di Teheran. Anche il tentativo di liberarli deciso da Carter
fallì, andando ancora di più ad aggravare il senso d'impotenza che
pervadeva l'opinione pubblica americana. Questo avvenimento
s'intrecciò con, quello che può essere definito come il "colpo di grazia"
alla politica della distensione: l'intervento militare dell'Unione
Sovietica in Afganistan.
L'intervento fu motivato dalla crescente preoccupazione sovietica circa
il futuro di questo paese, alla cui guida vi era dall'ottobre 1979 una
leadership ritenuta altamente inaffidabile dall'URSS. Il pericolo era
costituito dal fatto che, se l'Afganistan fosse stato lasciato al suo
destino, Amin (a capo del governo del paese) avrebbe potuto orientarsi
progressivamente verso Occidente, oppure avrebbe potuto essere
deposto da un movimento islamico. In entrambi i casi gli interessi vitali
dell'URSS sarebbero stati in pericolo. Nel primo caso, l'avvicinamento
dell'Afganistan agli USA avrebbe permesso a questi di completare
l'accerchiamento strategico dell'URSS (che comprendeva, fra gli altri,
Cina, Pakistan e Turchia). Qualora si fosse verificata la seconda
eventualità, la situazione sarebbe stata altrettanto rischiosa. L'Unione
Sovietica condivideva con l'Afghanistan un confine di 2500 Km, dove
si trovavano le repubbliche sovietiche con popolazione a prevalenza
musulmana. Qualora Amin fosse stato deposto da un movimento
islamico, queste avrebbero potuto insorgere per richiedere
l'indipendenza.
Il 12 dicembre venne presa formalmente la decisione di inviare truppe
in Afganistan, con l'intento questa volta di deporre Amin ed instaurare
un nuovo governo. Il 25 dicembre truppe sovietiche entravano in
Afganistan. In realtà, non si trattava formalmente di invasione, dato che
Amin, non conoscendo le reali intenzioni della leadership sovietica
aveva richiesto all'URSS l'invio di tale truppe in suo soccorso. La posta
in gioco era talmente alta per l'URSS da portare ad una sottovalutazione
dei costi e delle conseguenze di questa decisione. In generale, come