Tutti i giornali per uomo, dedicano pagine e pagine di consigli per riconquistare
la maschilità, come sentirsi più sicuri nella società, come diventare più macho, ma per
una maggiore sensibilizzazione e valutazione del problema, in modo esplicito, è neces-
sario servirsi di internet.
Nel 1996, Marco E. G. Maltese scrive “Internet Uomo”, dove sostiene che il movimento
maschile italiano, incomincia ad avere una storia e ad acquistare importanza, forse gra-
zie proprio al web. Solo la rete, consente l’unificazione di voci sparse e la presa di co-
scienza che il disagio provato non è soggettivo, ma fa parte di una realtà vissuta da mol-
ti.
In questo elaborato, si è cercato di evidenziare lo scontro: la cultura, che ci im-
pone attraverso l’educazione – uno dei principali accusati – e i modelli archetipici - che
fanno parte della coscienza collettiva e che influenzano prepotentemente l’individuo
nella concezione di sé - un’immagine di uomo (Parte I); la realtà sociale, influenzata
dalle ideologia femministe e stravolta dalla tecnica, che richiede all’uomo di essere pri-
ma “micio” e poi “macho”.
L’uomo, tornerà ad essere un maschio felice (come il titolo di un libro di Claudio Risé),
quando avrà ritrovato la sua identità di uomo dotato di fallo (Parte II).
8
PARTE I
ESSERE UN UOMO
9
Capitolo 1
Genesi del maschile
Se tu puoi colmare l’inesorabile minuto
Con sessanta secondi di opere compiute,
Tuo è il mondo e tutto ciò che è in esso
E, quel che conta di più, tu sarai un Uomo figlio mio!
R. Kipling, “Se”
1.1. La virilità
Nonostante la crisi prodotta dal femminismo e dai così detti “uomini liberati”, re-
sta che l’immagine eroica della virilità, serve a dare un orientamento all’interno dei con-
fini della nostra cultura
1
. La virilità, rappresenta una risposta sociale a tendenze indivi-
duali aggressive. Essa, è una modalità socialmente approvata di essere maschio adulto
in una data società
2
.
Quella di essere un “vero uomo”, è una connotazione che deve essere guadagnata
da ogni singolo individuo. In alcune società, questa caratteristica è fissata da riti, prove
di abilità e manifestazioni sociali.
Stereotipi e ruoli sessuali, sono molto importanti e richiedono molta attenzione
soprattutto perché gli uni possono far luce sugli altri. Esortazione ricorrente in molte so-
cietà è “sii uomo”, ma cosa significa questo?
1
R. LeVine, “Culture, Behavior and personalità”. Aldine, Chicago 1973
2
D.D. Gilmore, “La genesi del maschile. Modelli culturali della virilità”. La Nuova Italia, Firenze 1993
10
Potrebbe voler dire che c’è un qualcosa di quasi universale nell’agire umano che richie-
de una sorta di riconoscimento. Però forse è più giusto parlare di ubiquità del termine,
piuttosto che di universalità.
L’archetipo della virilità del Nord Europa, dimostra come in questo concetto vi sia
una intensa ricerca di avventura, esempio ne è l’opera di Wagner Il Cavaliere Tannhäu-
ser.
La leggenda, narra la storia di Tannhäuser, appunto, al quale fu concesso di vivere in-
sieme a Venere nella montagna Venesberg. Ogni suo desiderio, veniva immediatamente
esaudito dalla dea o dalle Naiadi o dalle Sirene. Questa specie di paradiso terrestre, pe-
rò, mette in crisi il cavaliere, che si sentiva prigioniero di questa passività. Dopo molte
esitazioni, l’eroe rinuncia ai molli piaceri offertigli dalla dea e torna ad affrontare il
mondo con i suoi pericoli, ruolo questo più adatto ad un uomo.
Anche in Oriente, c’è particolare attenzione per quanto riguarda la virilità. In Ci-
na, gli uomini veri, non chiedono mai aiuto, neanche quando stanno male, per evitare
qualsiasi forma di dipendenza. I comportamenti maschili di questa popolazione, sono
molto aggressivi (soprattutto al nord) forse per le tradizioni guerriere. I valori e codici
maschili, sono improntati sul coraggio e successo, riassunti sotto un’unica parola izzat,
parola araba e persiana che significa con onore. L’onore è quindi la preoccupazione più
importante
3
.
In India, l’opinione pubblica e le complesse regole induiste, hanno grande rilevanza.
Agli uomini, è chiesto di abbandonare ogni debolezza e sentimento, fatta eccezione per
la generosità, requisito molto importante. Nella religione indù, il fallo, chiamato lingam,
è riconosciuto come immagine del dio Shiva
4
. Daniélon, definisce questo simbolo
“l’organo misterioso attraverso il quale il principio creativo viene rappresentato visi-
vamente…racchiude l’intero patrimonio ancestrale e razziale e le caratteristiche gene-
tiche del futuro essere umano…”
5
.
Nonostante questo concetto di mascolinità, la cultura mitologica indiana, è piena di fi-
gure androgine e, infatti, la cosmologia induista ha un’essenza profondamente femmini-
le. Questo, potrebbe dimostrare un’identità sessuale non ancora risolta negli uomini in-
diani e la tendenza ad avere un forte attaccamento alla figura materna. Esiste un'inver-
3
D.D. Gilmore, “La genesi del maschile. Modelli culturali di virilità”. La Nuova Italia, Firenze 1993
4
Ibidem
5
A. Daniélon, “Shiva e Dioniso”. Astrolabio, Roma
11
sione sessuale specificatamente maschile: gli uomini indiani volontariamente rinunciano
alla loro identità fallica per riunirsi alla madre. Tipica è anche la figura del “bambino
come consorte”. È per questo che l’acquisizione della virilità, è fonte di preoccupazioni
e si manifesta con la paura dell’impotenza
6
.
In Giappone l’idea della virilità ha contatti con la concezione occidentale, nella quale
non esiste una forma di adorazione fallica esplicita, ma anche con la polimorfia della
cultura indiana. È da notare che al centro dell’interesse degli studiosi è la condizione
femminile e non quella maschile. Unico studio sulla virilità di questa popolazione, è
quello di Ian Buruma
7
. Anche per i giapponesi, la virilità è un qualcosa da acquisire, è
un artificio culturale che prevede prima di tutto la conciliazione tra interessi pubblici e
privati, è il risultato di una battaglia che deve combattere il singolo durante il suo svi-
luppo. Vi sono due strade per raggiungerla: la scuola dura, che prevede azioni violente
ed eroiche quali possono essere le mitiche gesta del combattente itinerante o dei famosi
kamikaze e una concezione più morbida, chiamata la mistica del salariato (dedizione al
lavoro e abnegazione), che prevede compiti “utili”. Quest’ultimo modello, corrisponde a
quello che era il bushido, il codice degli antichi guerrieri samurai, che non consisteva
soltanto in un manuale marziale, ma abbracciava una morale di giuda per comportamen-
ti e atteggiamenti con una predilezione particolare verso l’abnegazione: il superamento
di se stessi, doveva essere finalizzato al bene dalla comunità intera. Molto importante, è
il successo economico, ma non per il singolo, per la società
8
.
Gli stereotipi della mascolinità sono molto sviluppati nel pensiero giapponese e inclu-
dono principalmente l’esigenza dell’indipendenza personale: autonomia e forza di carat-
tere sono qualità d’importanza vitale.
Per l’analisi dell’identità maschile, D.D. Gilmore, nel suo libro “La Genesi del
maschile. Modelli culturali di virilità”, usa modelli neo-freudiani, tenendo presente an-
che l’aspetto della sfera materiale. Per individuare le dinamiche intrapsichiche che en-
trano in relazione con l’organizzazione sociale della produzione, la sua ricerca di un
punto di incontro tra funzioni manifeste e funzioni latenti, evidenzia come gli ideali di
6
D.D. Gilmore, “La genesi del maschile. Modelli culturali di virilità”.
7
I. Buruma, “Behind the Mask: On Sexual Demons, Sacred Mothers, Transvestites, Gangsters, Drifters
and Other Japanese Cultural Heroes”. Pantheon Book, New York 1984
8
Ibidem
12
virilità sono utili all’uomo per farlo integrare psicologicamente nella società e permet-
tono la continuità dei sistemi sociali.
L’idea del “virile”, non è semplicemente un qualcosa di psicologico, ma è un ché di cul-
turale, al quale gli uomini devono conformarsi seguendo l’idea generale di uomo.
La rappresentazione dell’uomo virile assume un aspetto collettivo: le ragioni che spie-
gano questa categoria, non sono solo di tipo psicodinamico, ma hanno anche carattere
socioculturale rendendo necessaria una comparazione in ambito antropologico.
1.2. Prove di virilità
Per l’uomo, sono necessarie vere e proprie prove di virilità, le quali, in alcuni ca-
si come può essere la nostra società, sono meno palesi rispetto a strutture più primitive.
In qualsiasi società, coloro che non riescono a superare le prove (di qualunque genere)
sono definiti gli uomini-che-non-sono-uomini.
Gilmore, presenta alcune società che prevedono dimostrazioni pubbliche che
certifichino l’essere uomo di un individuo
9
.
Nell’isola di Truk, nel Pacifico del Sud, la popolazione vive grazie alle risorse marine,
quindi occupazione principale è la pesca. Per loro, la virilità è incerta e per ottenerla,
viene sfidato il fato in situazioni forti che mettono a repentaglio la vita. Nessuno può
sottrarsi da questa prova senza poi essere messo in ridicolo. Una volta affrontata la mor-
te, è necessario continuare a dimostrare la propria mascolinità: durante il fine settimana,
per gli uomini, è un continuo ubriacarsi e provocare risse per conquistare le femmine.
“Certificare” la mascolinità, è pericoloso anche in un'isola della Grecia, l’isola di Kal-
ymnos, dove gli abitanti si occupano ugualmente di pesca. Per essere veri uomini, i ra-
gazzi compiono lunghe immersioni in apnea, che possono provocare embolie e conse-
guente invalidità permanente.
Nell’Africa Nera continentale, i ragazzi vengono allontanati dalle madri e, per dimostra-
re la virilità, vengono circoncisi a freddo: la prova è superata se non mostrano alcun tra-
salimento. Dopo questa tortura, sono allontanati dal villaggio e devono imparare a vive-
re da “veri uomini” rubando bestiame, uccidendo un altro uomo, razziando quello che
9
D.D. Gilmore, “La genesi del maschile. Modelli culturali della virilità”.
13
trovano; se durante questo periodo non vengono uccisi per tutte le azioni che devono
compiere e riescono a tornare al villaggio, possono sposarsi.
In Etiopia, nella tribù di agricoltori degli Ambara, un uomo vero, deve essere aggressi-
vo, resistere al dolore e non indietreggiare davanti al pericolo. Al fine di dimostrare la
propria wand-nat (mascolinità), sono anche sottoposti a riti (chiamati buhe), durante i
quali vengono fustigati nel totale silenzio. Altro rito, è quello di bruciarsi le braccia con
braci ardenti per mettere alla prova la propria resistenza al dolore. Una volta sposati,
dopo la prima notte di nozze devono esporre un lenzuolo macchiato di sangue a dimo-
strazione dell’avvenuta “consumazione”.
In Malesia, c’è il circolo della virilità, al quale si accede solo quando sono state supera-
te le stesse prove descritte per la popolazione etiopica.
Per la Nuova Guinea, non si nasce uomini, ma si diventa tali. A tal fine, sono attuati
brutali riti di mascolinizzazione. Affinché non diventino delle femminucce, i ragazzi, in
giovane età, vengono separati dalle madri.
Anche presso i pacifici Boscimani !Kung, i giovani devono affrontare una dura prova:
devono dare la caccia ad un'antilope adulta di grandi dimensioni e ucciderla.
In New Mexico, gli indiani Pueblo, allontanano i ragazzi dalle loro case tra i dodici e
quattordici anni e gli stessi genitori li fustigano con fruste di yucca. Anche le ragazze,
hanno il loro rito di passaggio, ma questo è un processo naturale: con il primo arrivo del
ciclo mestruale viene celebrato il rituale.
Nei Balcani un vero uomo, è colui che beve molto, spende il denaro senza precauzione,
si batte con coraggio e crea una famiglia numerosa. Solo così viene data prova di un'in-
domabile virilità.
Marocco Orientale: la virilità è contraddistinta dal coraggio fisico dimostrato anche in
campo sessuale. Le loro imprese virili, vengono celebrate in versi, facendo diventare la
virilità una cerimonia collettiva.
Herzfeld parla di questa usanza anche a Creta e la chiama poetica della virilità: gli uo-
mini, nei caffè, cantano con orgoglio inni alla propria virilità autocelebrandosi. Gli abi-
tanti dell’isola, devono dimostrare la loro identità virile rubando pecore, avendo molti
figli e gareggiando con gli altri in giochi di fortuna e abilità dove devono risultare i mi-
gliori.
14
In Inghilterra, paese apparentemente civilizzato, nelle classi alte, avvengono rituali di
iniziazione nei collegi delle Pubblic School.
Negli Stati Uniti, i Marines, costretti ad innumerevoli prove che attestino il merito ad
appartenere a questo corpo e di essere chiamati uomini, rappresentano la massima e-
spressione di mascolinità. Altro esempio sono i Boy Scout, i quali nascono sotto il mot-
to di trasformare “piccoli ragazzi in grandi uomini”
10
.
Anche il matrimonio, così come il sesso, fa parte delle prove alle quali l’uomo de-
ve sottoporsi. La potenza sessuale è molto importante soprattutto in giovane età, ma do-
po diventa essenziale la capacità di procreazione: senza prole non si è uomini
11
.
1.3. La virilità come ossessione
Tutti gli esempi riportati hanno una caratteristica comune: l’ossessione per la viri-
lità e il non essere riconosciuti come uomini.
La concezione della mascolinità nel Mediterraneo, sembra essere molto individua-
lista, disgregante e fautrice di isolamento.
In Andalusia, Enrique Tierno Galván, parla di una quasi-religiosa fede nella virilità: chi
non è degno di essere “macho”, viene definito “flojo” vale a dire mollo, ozioso e fiacco
(lo stesso termine viene anche utilizzato per indicare un qualcosa di irresponsabile o
privo d’uso)
12
.
La timidezza sessuale, è considerata una grave inadeguatezza, quasi tragica. A
questo proposito, Gilmore, riporta la storia di Lorenzo, ragazzo andaluso di 30 anni. La
gente, diceva che avesse paura delle ragazze e non avendo un lavoro, era anche conside-
rato un parassita sociale. Tra i suoi amici, c’era molta preoccupazione: Lorenzo, aveva
scordato “come essere uomo” ed il suo stato di alienazione, era dovuto dal terrore del
palcoscenico: il ragazzo, aveva una patologica paura del rifiuto e questo gli impediva di
interpretare il suo ruolo di uomo. In realtà, lui si sentiva un uomo sensibile e non pro-
fessava la fede nella virilità, tanto cara ai suoi paesani.
10
M. Herzfeld, “The Poetics of Manhood: Contest and Identity in a Cretan Mountain Village”. Princeton
University Press, Princeton 1985
11
D.D. Gilmore, “La genesi del maschile. Modelli culturali della virilità”.
12
E. Tierno Galván, “Desde el Espectáculo a la Trivilización”. Taurus, Madrid 1961
15
Anche in Grecia, l’uomo ha un ruolo ben preciso da interpretare, come se fosse sempre
al centro d un palcoscenico
13
. L’uomo eccellente, è colui che non è necessariamente
buono (intesa come qualità morale), ma colui che è buono ad essere un uomo. Tutte le
azioni, devono essere compiute “in primo piano”, perché è necessario essere giudicati
collettivamente
14
.
Gli spagnoli, così come gli italiani, rivendicano il diritto all’orgoglio e per questo sono
sempre alla ricerca del successo e della fama nonché dell’approvazione altrui.
Già nell’Antica Grecia, così come narrato nell’Iliade e nell’Odissea, c’è una ben radica-
ta visione di quello che deve essere o che deve dimostrare di essere un uomo.
I paesi di lingua inglese, appaiono così ossessionati dall’idea di mascolinità, che
arrivano anche ad attribuire a Cristo di essere “l’uomo supremamente virile” dotato an-
che di aggressività.
Kipling, nella sua poesia “Se”, che apre questo capitolo, mette in chiaro come la sua
idea di uomo dipenda dalla realizzazione di grandi imprese: il figlio, per diventare un
Uomo, deve agire, deve dimostrare la sua forza e potenza, anche se avesse solo sessanta
secondi per farlo.
Nella letteratura americana, c’è una scuola della virilità, iniziata da Hemigway e che
oggi è alla sua terza o quarta generazione: la virilità è una sorta di Santo Graal che deve
essere conquistata.
Norman Mailer, in “Le armate delle notte”, afferma che nessuno nasce uomo: la virilità
è un qualcosa da guadagnare, ma ne sono degni solo i coraggiosi e gli scaltri
15
. Leonard
Kriegel, poeta, riflettendo sulla virilità americana, sentenzia che in qualsiasi epoca, la
virilità è una conquista
16
.
Rituali di passaggio, intensi e manifesti, sono presenti nelle culture meno svilup-
pate. Gilbert H. Herdt, antropologo, analizzò la tribù dei Sambia della Nuova Guinea
nella quale vi è la convinzione che la maturazione maschile non sia un qualcosa di natu-
rale, ma di completamente indotto. Questo, è il motivo per cui è comunemente ricono-
sciuta una maggior debolezza dell’uomo rispetto alla donna la quale non ha bisogno di
aiuti per svilupparsi, essendo il suo processo un qualcosa di inevitabile e naturale. La vi-
13
M. Herzfeld, “Gender pragmatics: Agency, speech and bride-theft in a Cretan mountain village”.
Cambridge University Press, Cambridge 1985
14
Ibidem
15
N. Mailer, “Le armate della notte”. Mondadori, Milano 1968
16
L. Kriegel, “On Men and Manhood”. Hawthon Book, New York 1979
16
rilità, è uno stato artificiale indotto, che i giovani di questa popolazione (ma non solo),
in realtà non vogliono affrontare per non assumersi le responsabilità dell’essere divenu-
to uomo.
La particolarità di questa popolazione, è che il loro rituale di passaggio, oltre alle usuali
punizioni corporee comuni ad altre popolazioni, prevede la fellatio con ingerimento del-
lo sperma per acquisire la virilità dell’adulto al quale viene praticata e la garanzia della
crescita del pene. La fase omosessuale, una volta avvenuto il passaggio alla virilità, vie-
ne abbandonata
17
.
1.4. Il ruolo dell’uomo: conformità culturale o natura?
L’individuo, poiché membro di una società, deve mantenere in equilibrio diverse
esigenze: i suoi conflitti psichici e il bisogno di conformità culturale e di approvazione
sociale.
Dopo la prestazione fisica, viene ad assumere importanza fondamentale il sostentamen-
to dei famigliari e l’incremento del patrimonio. Qui entra in gioco il senso del sacrificio
sociale nel lavoro. Il comportamento sociale, viene ad essere una strategia di soluzione a
problemi inerenti all’esistenza umana. Dalla combinazione di questi aspetti, si ottiene il
comportamento individuale.
Thomas Gregor, sostiene che vi sia continuità tra le concezioni della mascolinità,
nonostante le differenze culturali
18
. Tutte le società, forniscono specifici ruoli sessuali
istituzionalizzati; in alcune, è riconosciuta anche una terza categoria intermedia,
l’omosessualità, e la scelta di appartenervi è definitiva e comporta anch’essa regole so-
ciali e sessuali
19
. In uno studio fatto da Gregor su di una tribù dell’Amazzonia, venivano
comparati i loro ideali sessuali con quelli americani. Questo, ha permesso di evidenziare
come le differenze siano solo un velo simbolico che nasconde un comune pensiero ses-
suale: gli ideali differiscono da cultura a cultura, ma le somiglianze restano sempre mol-
te.
17
G.H. Herdt, “Rituals of Manhood”. University of California Press, Berkeley 1981
18
T. Gregor, “Mehinaku: The Drama of Daily Life in a Brazilian Indian Village”. University of Chi-
cago Press, Chicago 1977
19
D.D. Gilmore, “La genesi del maschile. Modelli culturali della virilità”.
17
Esistono ideali collettivi per quanto riguarda mascolinità e femminilità conven-
zionali: gli individui che appartengono a tali categorie devono essere ritenuti degni co-
me agenti morali. Ugualmente, questa appartenenza, dà un sostegno psichico ed è la ba-
se per la percezione e la stima di se stessi.
Vi è una similarità sostanziale tra tutte le culture, per quanto riguarda le caratte-
ristiche che vengono ascritte a uomini e donne; nei ruoli sessuali, c’è una effettiva rego-
larità e in questo studio l’accento è posto sull’imago (presentazione) del ruolo maschile.
Virilità e mascolinità anatomica, non coincidono, essendo la prima non una condizione
naturale, ma un qualcosa che deve essere conquistata.
Quella della virilità, è una vera e propria categoria valutativa, che può non trovare un
corrispettivo per quanto riguarda la donna. La stessa povertà di etichette linguistiche per
il genere femminile, indica un minor impegno nel dover meritare di “essere donna”. È
da tenere presente che, la femminilità, non c’entra con l’essere donna, ma è solo una
facciata, un qualcosa che ha un valore solo per l’approvazione sociale
20
.
Jhon Davis, in uno studio sull’Italia Meridionale, rileva come l’onore maschile
sia dato dal lavoro e dal successo sessuale. In questi termini, il denaro diventa una misu-
ra tangibile di virilità
21
.
Come già detto, dote fondamentale per un vero uomo, è il coraggio (in Andalusia è
chiamato hombría), intesa come la capacità di saper affrontare le situazioni difficili con
autocontrollo. Secondo questa concezione, l’astensione alla violenza, si fonda princi-
palmente sulla capacità di usarla: avendo dimostrato in precedenza di essere all’altezza
di combattere, creandosi così una reputazione che consenta di incutere timore, gli uomi-
ni non sono costretti a sottoporsi ad atti dimostrativi.
L’autonomia individuale, è l’obiettivo. Essa consente di difendere l’onore della
famiglia.
I tre imperativi etici, che sembrano regolare il concetto di virilità, soprattutto nelle re-
gioni del Mediterraneo, sono:
1. ingravidare la propria moglie;
2. mantenere economicamente le persone a carico;
3. proteggere la famiglia.
22
20
D.D. Gilmore, “La genesi del maschile. Modelli culturali della virilità”.
21
J. Davis, “Antropologia delle società mediterranee”. Rosenberg & Sellier, Torino 1980
22
D.D. Gilmore, “La genesi del maschile. Modelli culturali della virilità”.
18
La paura più diffusa, è quella di dover dipendere da una donna: si teme che essa
possa essere dominante ed infatti, il tema dell’asservimento ad una donna, è molto pre-
sente in Marocco come in Spagna. Per ovviare a questo timore, il mondo degli uomini e
delle donne hanno confini ben precisi: l’uomo non si deve assolutamente dedicare alla
vita domestica, ma deve stare all’aperto in compagnia di altri uomini.
Ancora una volta, è Gilmore a fornire un esempio: Alfredo Tissot (Andalusia), invece di
dedicare il suo tempo stando al bar e giocando a carte con gli altri uomini, spendendo i
suoi soldi, restava a casa con la famiglia. La sua virilità, era messa in dubbio e le sue fi-
glie, che la gente mormorava non fossero frutto del suo seme, non essendo lui un uomo,
non sarebbero riuscite a trovare un marito nel loro stesso villaggio
23
.
1.4.1 Conflitti e tensioni
La virilità, qualunque sia il metodo per conseguirla, è causa di conflitti e tensioni.
Mac Marshall nel 1979 s'interessò della popolazione dell’isola di Truk, un arcipelago
della Micronesia
24
.
Alla fine della seconda guerra mondiale, la loro amministrazione era stata assunta dalle
Nazioni Unite; gli abitanti, passarono da organizzazioni tribali a sistemi culturali occi-
dentali, pur mantenendo la vita famigliare in clan matriarcali allargati (in questa struttu-
ra, i legami di clan hanno un’importanza essenziale).
Questa popolazione, era abituata a vivere in uno stato cronico di violenza la quale rap-
presentava il simbolo della virilità.
Gli abitanti di Truk, “godevano” di un passato da guerrieri feroci: i marinai che avevano
la sfortuna di approdare nella loro isola, venivano immediatamente uccisi. Con la colo-
nizzazione, la violenza fu abolita, ma l’abuso di alcool ne prese il posto.
Radicata nella cultura, era l’assunzione smodata di bevande ad alta gradazione e
l’alcolismo era una patologia sociale molto diffusa che colpiva tutti i giovani a partire
dall’età adolescenziale. Questa fase, era ritenuta necessaria nel ciclo vitale e faceva par-
te del culto del pwara, durante il quale i giovani, si affrontavano in scontri violenti du-
rante i fine settimana per mettere alla prova il proprio coraggio di uomini
25
.
23
D.D. Gilmore, “La genesi del maschile. Modelli culturali della virilità”.
24
M. Marshall, “Weekend Warriors”. Mayfield, Palo Alto (California) 1979
25
Ibidem
19
In questa cultura, manca una netta contrapposizione tra femminile e maschile:
quando un bambino nasce, non ha un sesso definito fino ai tre-quattro anni, quando la
pressione sociale inizia a farsi sentire.
Intorno alla pubertà, viene favorita la segregazione sessuale. Vengono così divisi in ca-
tegorie: la mascolinità deve essere pubblica e assertiva, mentre la femminilità privata e
remissiva. A tredici anni, i maschi, iniziano a bere alcolici e a fumare. Alle donne que-
sto è assolutamente vietato. Le risse iniziano a 15 anni: molto importante è ritenuta la
competitività e per questo bisogna cercare di provocare gli scontri. Il contributo dato
dalle donne è quello di dimostrare maggiore interesse per i più impavidi. Sempre a que-
sto scopo vengono ingaggiate gare nel bere, ma anche competizioni che consentano di
ottenere denaro perché la superiorità economica è ritenuta caratteristica essenziale
26
.
Interessante è il concetto di lealtà del gruppo: dovendoci essere necessariamente
vincitori e vinti, si cerca di far ottenere al proprio clan di appartenenza il potere e
l’onore.
Finito il periodo adolescenziale, attorno ai trenta anni, gli uomini evitano le bevande al-
coliche e “mettono la testa a posto”. Quelli che non riescono a liberarsi da questa dipen-
denza, creano veri problemi alla società.
Dopo il matrimonio, le prove non finiscono: gli uomini devono lavorare duramen-
te e sono richieste competenza culturale capacità gestionale delle situazioni quotidiane.
Compito molto sentito, è quello della protezione delle proprie donne, l’attenzione alla
prestazione fisica (l’atto sessuale è una gara che solo l’uomo può perdere e in seguito a
questo può essere schernito pubblicamente dalla donna che non ha saputo soddisfare) e
il fare a pugni per rivendicare la propria virilità (non è necessario vincere, ma dimostra-
re che si è pronti a battersi). Nonostante sia presente il concetto di virilità, gli uomini di
Truk sono molto dipendenti dalle donne
27
.
Thomas Gregor, studioso di psicanalisi, nel suo libro “Mehinaku: The Drama of
Daily Life in a Brazilian Indian Village”, sviluppa la tesi del “Maschio Universale”.
26
M. Marshall, “Weekend Warriors”.
27
Ibidem
20
Il suo studio si basa sull’osservazione della popolazione degli indiani Mehinaku, che vi-
vono nel Brasile centrale. Essi abitano un territorio isolato, hanno pochi contatti con la
cultura dei bianchi e per questo sono molto pacifici
28
.
La virilità, è una virtù sociale (la più alta) e per questo è vissuta come un fatto pubblico.
Il loro motto potrebbe essere tradotto in fate l’amore e non la guerra. La lotta, è per loro
uno sport giornaliero e quindi viene praticata con fair–play, ma anche con molto spirito
di competizione. Un campione, sarà riconosciuto come un vero uomo e potrà conquista-
re una moglie, ma poi è l’atto sessuale l’unica vera garanzia per confermare la virilità
conquistata. A causa di questo principio, è molto comune tra gli uomini Mehinaku
l’ansia da prestazione, alla quale si cerca di riparare con terapie magiche.
Mentre gli uomini si dimostrano ossessionati dal sesso, parlandone in continua-
zione, le donne, non dimostrano o meglio, non devono dimostrare, interesse al riguardo,
se non come forma di baratto: viene loro offerto cibo in cambio di prestazioni sessuali.
Per questo, al vigore sessuale, si deve accompagnare anche un successo materiale otte-
nuto in qualsiasi modo anche con il furto che, infatti, è molto diffuso tra i villaggi vicini.
È anche necessario dimostrarsi iper-attivi e la virilità è trasmessa come etica sociale del-
la responsabilità.
Le tensioni a livello di substrato non mancano (favorite anche da una cultura molto pri-
mitiva), le superstizioni abbondano e, se pur raro essendo un popolo non violento, non è
insolito che un uomo possa essere accusato di stregoneria e per questo ucciso
29
.
Gregor, interpreta la necessità di dimostrarsi uomo come espressione della paura della
regressione - il timore di subire l’influenza della donna l’accrescimento del sentimento
di bisogno di protezione
30
.
Gilmor, non è assolutamente concorde con la teoria di Gregor che non tiene conto
dell’ambiente circostante. Gregor, per giustificare questa necessità di essere uomo ad
ogni costo, attribuisce importanza solo alla paura di regressione presente in questa cul-
tura, ma questa, non può soddisfare le somiglianze che ci sono tra culture diverse e che
trascendono i confini
31
.
28
T. Gregor, “Mehinaku: The Drama of Daily Life in a Brazilian Indian Village”. University of Chicago,
Chicago 1949
29
M. Marshall, “Weekend Warriors”.
30
T. Gregor, “Mehinaku: The Drama of Daily Life in a Brazilian Indian Village”.
31
D.D. Gilmore, “Genesi del maschile. Modelli culturali di virilità”.
21
Abbiamo affermato che la cultura dei Mehinaku è primitiva, ma si possono trova-
re le stesse tensioni sessuali in America, dove i giovani sono sottoposti a veri stress ses-
suali.Anche nella nostra cultura è diffuso il concetto che non si nasce uomini, ma si di-
venta. A questo scopo, nella mente del giovane, vengono inculcati principi di atteggia-
mento arrivista e dinamico che sono ritenuti i mezzi giusti per ottenere e mantenere una
figura riconosciutamene virile.
È evidente che, anche in Occidente, la virilità o mascolinità, è assolutamente un
fatto pubblico. Importanza assoluta, è attribuita al lavoro duro, l’unico mezzo per arriva-
re al successo: soldi e potere garantiscono “l’essere uomo”; questi, possono essere defi-
niti punti di arrivo segnati da passaggi che riguardano lo status sociale dell’individuo.
1.5. Quando la virilità non è un valore
In alcune società, però, la categoria di virilità, non trova alcun posto o è tenuta in
minima considerazione.
La cultura dei Tahitiani, dimostra come il concetto di virilità non sia universale:
l’organizzazione di questa popolazione, è molto semplice e naturale e manca totalmente
di una differenziazione dei ruoli sessuali. Nei villaggi c’è anche l’usanza da parte degli
uomini di visitare l’omosessuale (mahu) e intrattenersi con lui assumendo un ruolo pas-
sivo
32
.
Gauguin, descriveva gli abitanti di Tahiti come androgini: negli uomini c’era qualcosa
di femminile così come nelle donne qualcosa di maschile. Quello che ci si aspetta
dall’uomo è che sia pigro e che rifiuti spesso e volentieri le sfide: la competizione è un
valore assente in questa cultura e quindi non è apprezzato
33
.
Altra popolazione “particolare”, è quella dei Semai i quali sono così pacifici, non
competitivi e privi di uno schema sessuale, che credono che respingere una proposta sia
un’aggressione nei confronti della persona che fa la proposta (tabù del punan)
34
. Que-
sto, all’interno della loro organizzazione, si traduce nel rispetto del prossimo: non fare
richieste irragionevoli e ingannevoli soprattutto a livello sessuale; anche se il tradimento
32
D.D. Gilmore, “Genesi del maschile. Modelli culturali di virilità”.
33
P. Gauguin, “L’isola dell’anima”. Red Edizioni, Como 1987
34
D.D. Gilmore, “La genesi del maschile. Modelli culturali di virilità”.
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