5
finanziaria non può procedere ad accertamento induttivo,2 ma può eventualmente
rettificare voci sulla base di risultanze probatorie acquisite dall’Ufficio3.
Si tratta, quindi, di una forma di accertamento con una funzione eventuale di
controllo, frutto dell’impossibilità pratica di effettuare un controllo generalizzato
proprio a causa del moltiplicarsi degli obblighi formali oggettivamente imposti ai
contribuenti.
Le scritture contabili divengono dunque senza alcun dubbio l’asse portante
dell’attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria, alla stregua di un
vinculum iuris4 disattendibile solo in base a prove particolarmente qualificate (dotate
dei requisiti di gravità, precisione e concordanza ex art. 2729 c.c.)
Questa appare la principale peculiarità della Riforma del Cosciani, e cioè il merito di
aver limitato al massimo qualsiasi forma di discrezionalità e approssimatività nella
delicata fase del controllo in ossequio all’identità reddito effettivo - reddito contabile.
L’aspetto caratterizzante, invece, che nel dibattito accademico si riscontra, in
contrasto con l’impostazione del Legislatore degli anni ’70, è l’incertezza sulla
validità di quell’identità: secondo alcuni, il reddito effettivo ha natura tendenziale o
convenzionale 5.
Cosi mentre astrattamente risulta difficile negare che sia più giusto tassare il reddito
effettivo percepito piuttosto che un reddito normale, cioè medio ordinario, la
riflessione teorica ci spinge ad ipotizzare che è lo stesso reddito contabile a
caratterizzarsi, sotto alcuni aspetti, per la sua natura, convenzionale.
Tale conclusione è effettivamente riscontrata anche negli stessi criteri metodologici
applicati nell’economia aziendale.
Infatti, soltanto il reddito totale, determinabile nel momento in cui cessa l’attività
economica formante l’oggetto dell’impresa, può essere considerato reddito effettivo.
A tal proposito interessante è riportare la polemica, assai radicale, dell’Einaudi su
tale identità, che non manca di definirla ”il mito dei miti, il mito sacro, un mito
procreato da un’assai rozza varietà della ragion ragionante, quella contabilistica”.6
2
Si ha accertamento induttivo quando, a fronte della dichiarazione del contribuente, l’amministrazione provvede a una
propria ricostruzione dell’imponibile, sulla base di elementi indiziari ma non probanti. La stessa amministrazione può
dunque porre a dimostrazione del proprio convincimento anche delle semplici presunzioni. Si veda il 2°comma art. 39
D.P.R. 600/73
3
Cfr. E. NUZZO, Procedure di accertamento dei redditi determinati in base a scritture contabili, in Rass. Trib.,1986, I,
147
4
F. GALLO, Il dilemma reddito normale o reddito effettivo: il ruolo dell’accertamento induttivo, in Rass. trib.,
1989,10, I, 465
5
Cfr. M. LECCISOTTI, Per un’imposta sul reddito normale, Bologna, Il Mulino, 1990
6
L. EINAUDI, Miti e paradossi della giustizia tributaria, TORINO, 1956, p. 182.
6
Ciò che tuttavia interessa sottolineare in questa sede, è che sebbene il “garantismo”
che pervade la Riforma del ’73 appaia in linea teorica ineccepibile, essa non dava
risposta al crescente peso che il fenomeno evasivo andava assumendo.
Poiché il legislatore del ’73 non avvertì tale esigenza, l’Amministrazione finanziaria
si trovò spesso, dopo la riforma, a fare i conti con l’impossibilità di dimostrare
l’omessa registrazione di ricavi di imprese e lavoratori autonomi in regime contabile
semplificato, anche laddove invece nozioni di esperienza comune suggerivano
chiaramente una realtà assai distante da quella che scaturiva dal formale rispetto
delle registrazioni contabili.
Come rilevato in dottrina,7 il fatto che per le imprese minori fosse previsto un tipo di
contabilità semplificata, in grado di fornire una quantità di informazioni inferiore
rispetto a quella che può dare invece una contabilità ordinaria, avrebbe dovuto
costituire lo spunto per prevedere sin dall’inizio, nella disciplina dei controlli
l’utilizzo di argomentazioni extracontabili sufficientemente attendibili anche in
presenza di una contabilità apparentemente corretta.
Cosi sul filo degli anni ottanta, comincia a farsi strada l’idea che l’evasione non sia
un fenomeno legato al singolo contribuente, ma rappresenti un fenomeno di massa da
studiare su basi statistiche8.
Tale impostazione indusse il Legislatore a rivedere la propria posizione con
riferimento alle imprese minori e ai lavoratori autonomi, mettendo in atto una contro
riforma con l’obiettivo di indebolire l’impostazione contabilistica del ’73, cosi da
agevolare l’attività probatoria dell’Amministrazione finanziaria.
7
R. LUPI, Argomentazioni extracontabili e coefficienti predeterminati nell’accertamento dei contribuenti minori in
Riv. Dir. Trib. 1991, 6, p. 625
8
D. QUATRARO, Sull’accertamento in base ai parametri e agli studi di settore, in Boll. trib. 9, 2004, p. 646
7
2. La “Visentini-ter”
Questa sorta di controriforma, che fu introdotta con il D.L. 19 dicembre 1984 n. 853
convertito in L. 17 febbraio 1985 n. 17, meglio nota come “Visentini-ter, riguardava
esclusivamente i contribuenti che avessero adottato un tipo di contabilità
semplificata: il provvedimento avrebbe dovuto spiegare i suoi effetti unicamente
sugli accertamenti che andavano dal 1985 al 1987, ma fu estesa successivamente
anche al 1988.
La Visentini-ter segna dunque il primo passo verso un ritrovato interesse per forme
d’imposizione di fasce di valori, piuttosto che di redditi determinati contabilmente,
sul presupposto che, le “peculiarità” di alcune categorie di contribuenti non
lasciassero, di fatto, valide alternative.
Va segnalato, che benché la dottrina9 abbia evidenziato come le scritture contabili
delle imprese minori siano dotate in genere di un inferiore grado di attendibilità, a
prescindere dunque dall’adozione del regime semplificato ad esse riservato, la
possibilità di sottrarsi all’applicazione del D.L. 19 dicembre 1984 n. 853 era
subordinata alla tenuta, sia pur per opzione, di un tipo di contabilità ordinaria. Da ciò
emerge che il risultato più evidente di questo provvedimento è stato quello di
incentivare i contribuenti ad indirizzarsi con maggiore preferenza verso l’adozione di
questo tipo di contabilità.10
La “Visentini-ter” prevedeva per i soggetti forfetari un meccanismo di
determinazione del reddito d’impresa e di lavoro autonomo che andava ad incidere
direttamente sui ricavi ed i compensi dichiarati dal contribuente, ai quali dovevano
essere applicati dei coefficienti di abbattimento,11 determinati avendo riguardo ai
diversi settori economici maggiormente significativi: dai compensi, ricavi e
corrispettivi cosi determinati era infine ammessa la detrazione analitica dei costi
espressamente previsti dal nono e decimo comma dell’art. 2 D.L. 853/1984.
Punto cruciale, però, della “Visentini-ter” è la prima parte del ventinovesimo comma
dell’art. 2, in cui è prevista la possibilità, per gli Uffici delle imposte sul reddito gli
Uffici IVA, di rettificare le dichiarazioni presentate dai contribuenti minori attraverso
delle determinazioni induttive, indipendentemente da quanto affermano gli artt. 39
del D.P.R. n 600/1973 e 54/55 del D.P.R. 633/1972.
9
R. LUPI, Metodi induttivi e presunzioni nell’accertamento tributario, Milano, Giuffrè, 1988 p. 326 ss.
10S. LA ROSA, Il regime forefettario e la disciplina dell’accertamento, Quaderno n. 1/86 in Rass. Trib. intitolato “Il
cosiddetto pacchetto “Visentini”, p. 65
11
Questi coefficienti sono contenuti nella tabella B allegata al D.L. n 853/1984
8
Ciò significa che questa norma, ponendo una nuova forma di accertamento
extracontabile, rappresenta una deroga al principio della necessità di smentire le
scritture contabili, che dalla riforma del 1973 costituisce presupposto necessario per
poter utilizzare l’accertamento induttivo: anche in presenza di registrazioni effettuate
correttamente il contribuente può essere dunque privato del privilegio di essere
tassato in base alle risultanze contabili, qualora l’Ufficio accertatore presuma, sulla
scorta di elementi extracontabili predeterminati legislativamente, che i ricavi ed i
compensi dichiarati non corrispondano al vero.
L’Amministrazione finanziaria ha infatti a disposizione un elenco tassativo di
elementi dai quali desumere l’esistenza di maggiori ricavi o compensi ai fini delle
imposte sul reddito o dell’IVA:
- la dimensione e l’ubicazione dei locali utilizzati;
- il numero, la qualità e la retribuzione corrisposta agli addetti;
- gli acquisti di materie prime, sussidiarie, semilavorati e merci;
- i consumi di energia elettrica, di carburanti e lubrificanti;
- l’esistenza di assicurazioni stipulate.
Gli Uffici sono dunque autorizzati a servirsi anche di uno solo dei fatti indizianti
previsti dalla legge per motivare il loro accertamento, anche se, come sottolineato
dalla dottrina12 sarebbe stato maggiormente auspicabile prevedere una valutazione
globale di tutti gli elementi normativamente previsti.
Una volta smentite le scritture contabili l’Amministrazione finanziaria si trovava a
fare i conti con la necessità di determinare essa stessa il presupposto di imposta, sulla
base di elementi a sua disposizione.
Tale compito risultava abbastanza arduo: poiché dalla riforma del 1973 si era
privilegiato un tipo di rideterminazione del presupposto di imposta il più possibile
analitica, di fatto gli uffici accertatori avevano perso dimestichezza con le stime
operate sulla base delle nozioni di esperienza corrente.
Ciò che si era venuto a creare era dunque una situazione che rifletteva oltre che la già
citata scarsa dimestichezza dell’amministrazione finanziaria con le stime e le fasce di
valori, anche un clima di sospetto e conflittualità tra quest’ultima e i contribuenti.
Del resto risultava fisiologico che si guardasse con molta diffidenza al D.L. n.
853/84, che aveva ammesso la possibilità di operare rettifiche sulla base di
predeterminazioni non troppo chiare del presupposto di imposta. Si riscontrò infatti
12
R. LUPI, Metodi induttivi e presunzioni nell’accertamento tributario, p. 323, op. cit.
9
una situazione di grave incertezza per i contribuenti, totalmente incapaci di poter
prevedere l’entità di eventuali rettifiche operate nei loro confronti.
10
3. I coefficienti presuntivi e di congruità e il contributo diretto lavorativo
Nell’intento di ovviare agli inconvenienti che si erano evidenziati con l’applicazione
della “Visentini-ter”, il legislatore intervenne con l’obiettivo di seguire due linee
considerate essenziali: da un lato, una sorta di “catastalizzazione” del reddito tanto
d’impresa quanto di lavoro autonomo per i contribuenti in regime contabile
semplificato; dall’altro la progressiva informatizzazione dell’Amministrazione
finanziaria, che avrebbe dovuto portare all’emissione degli accertamenti direttamente
da parte del sistema informativo centrale13.
Il nuovo sistema, che fu introdotto con il D.L. 2 marzo 1989 n. 69 e convertito in L.
27 aprile1989 n. 154, tentò concretamente di interpretare le due linee tracciate dal
legislatore, prevedendo in sostanza la possibilità di utilizzare dei coefficienti con una
duplice finalità:
- sia come strumenti di accertamento a disposizione dell’ufficio;
- sia come elementi dotati di un elevato grado di probabilità, allo scopo di facilitare
le determinazioni induttive del presupposto di imposta qualora ciò fosse reso
necessario a seguito di un accertamento.
Il sistema introdotto poggiava sul presupposto dell’esistenza di relazioni stabili, per
settori di attività omogenei, tra le caratteristiche fisiche e gestionali di un’impresa, la
loro rappresentazione contabile e la relativa capacità contributiva; si riteneva infatti
che i meccanismi di mercato, la concorrenzialità, la diffusione delle informazioni, il
know-how medio spingessero le imprese ad allinearsi verso tecniche gestionali
uniformi. A tal proposito si è parlato, spesso, all’interno del dibattito, di normalità
gestionale o di tecniche tipiche per un settore omogeneo. Secondo i fautori di tale
teoria,14 il criterio di valutazione sul quale si verifica tale normalità, sia della struttura
fisica di un’impresa sia dei suoi costi, è fondamentalmente costituito dal volume dei
ricavi: questo è, sempre secondo la filosofia ispiratrice di tale sistema, il parametro
su cui un imprenditore valuta l’opportunità di modifiche dell’impiego e della
combinazione delle risorse.
La normalità gestionale va quindi valutata in rapporto alla stabilità delle relazioni tra
il volume dei ricavi e alcuni significativi indici, contabili e fisici, dell’impresa.15
13
Cfr. A. FANTOZZI, “Coefficienti presuntivi”, in L’ accertamento tributario: principi, metodi, funzioni, Milano, 1994
14
E. LONGOBARDI, “Venti anni dopo ovvero la lunga marcia degli studi di settore”, in E. Longobardi (a cura di), Gli
studi di settore: primi risultati e prospettive, all.44, Il Fisco, n 34/2001, p. 1479
15
Una caratteristica che vedremo predominante anche all’interno del sistema degli studi di settore
11
I ricavi quindi, sempre secondo tale filone, vanno considerati come un metro per
verificare, da un lato la stabilità dei comportamenti e delle tecniche normali e per
arrivare, dall’altro, alla definizione dell’imponibile.
Ed è proprio da queste ragioni che si svilupparono le linee focali di definizione della
norma in esame.
I coefficienti, previsti dal D.L. 69/1989 agli artt. 11 e 12, erano, infatti, di due tipi:
- coefficienti di congruità, specifici per i diversi tipi di attività, che avevano lo scopo
di controllare i contribuenti minimi (anche detti forfetari), e cioè quelli con ricavi o
proventi non superiori ai 18 milioni di lire, e di individuare quali tra i contribuenti
minori, quelli con fatturato compreso tra i 18 e i 360 milioni di lire, presentassero
anomalie che rendessero necessario effettuare un accertamento in base ai coefficienti
presuntivi;
- coefficienti presuntivi di ricavi e compensi, elaborati di anno in anno, necessari di
conseguenza a controllare i contribuenti minori che, ad un prima verifica operata
sulla base dei coefficienti di congruità, avessero evidenziato una situazione anomala
rispetto alla media.
La disciplina legislativa dei coefficienti conteneva l’esatta indicazione degli elementi
da prendere in considerazione per la loro elaborazione: così oltre ad essere rapportati
ai vari settori economici e al loro andamento, questi dovevano tenere conto, ad
esempio, anche delle diverse localizzazioni geografiche, delle caratteristiche
socioeconomiche e delle dimensioni del comune, della grandezza dei locali, del
numero, della qualifica e della retribuzione degli addetti. Ma anche dei consumi di
materie, semilavorati, merci ed energia, nonché dei beni strumentali impiegati
nell’esercizio dell’attività, del numero delle prestazioni medie effettuabili nell’unità
di tempo, e, infine di ogni altro parametro economico utilizzabile in relazione ai
singoli settori di attività in esame. L’Amministrazione finanziaria giungeva alla
determinazione del reddito moltiplicando i dati presi come “parametro di riscontro”
presenti nelle apposite tabelle16 per i coefficienti in queste previsti; si sommavano
quindi gli importi così ottenuti fra di loro per ottenere i ricavi o i compensi presunti;
si sottraevano, quindi, i componenti negativi effettivamente sostenuti.
16
Si trattava di talune componenti di reddito, quali per esempio costo delle materie prime impiegate, retribuzioni,
consumi, beni strumentali e altri costi.