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Introduzione
Il presente lavoro ha l’obiettivo di discutere criticamente l’argomento degli strumenti
finanziari, fulcro dell’attuale crisi finanziaria ed economica, nell’ottica delle modalità di
rappresentazione e di esposizione nei bilanci degli intermediari creditizi, in quanto
siffatti strumenti costituiscono presenza permeante nell’economia di tali soggetti.
Gli strumenti finanziari sono stati additati di recente come causa della crisi in atto,
talvolta riferendosi alla struttura complessa che rende oltremodo difficile la loro
valutazione, talora imputando il criterio stesso con cui trovano esposizione in bilancio,
muovendo l’accusa di accentuare gli andamenti positivi e negativi del ciclo economico.
Nel primo capitolo si affronta il tema esplicando il concetto di strumento finanziario
secondo diverse fonti e facendo riferimento alle numerose e varie tipologie, derivati e
non, che caratterizzano gli attuali mercati finanziari. Successivamente si spiegano le
motivazioni per cui gli strumenti finanziari sono così strettamente avvinti all’attività
degli intermediari creditizi, ai riflessi notevoli che essi hanno sull’economia bancaria,
specificando i rischi connessi alla stessa e il legame tra rischio e strumento finanziario.
Nel secondo capitolo si introducono le modalità di rilevazione e valutazione in bilancio
degli strumenti secondo la prassi contabile nazionale e quella dettata dai principi
contabili internazionali IAS/IFRS, validi anche per la redazione del bilancio del settore
bancario. Si affrontano, inoltre, le specificità informative relative agli strumenti
finanziari richieste dalla disciplina di Banca d’Italia.
Nel terzo ed ultimo capitolo si narra della crisi finanziaria, con riferimento alle cause
più recenti e agli interventi intrapresi nell’Unione Europea e in Italia, discorrendo della
decisione di sospendere l’applicazione del criterio di valutazione del fair value sul
quale si basa la disciplina IAS/IFRS degli strumenti finanziari. Al fine di comprendere le
motivazioni per le quali ci si è diretti verso tale provvedimento, si descrivono quali
sono i riflessi dell’introduzione di simile criterio nei bilanci bancari, cosa hanno
modificato rispetto alla previgente disciplina di valutazione degli strumenti finanziari e
quali siano stati i risultati.
2
Infine, si fa una considerazione critica sull’opportunità di addivenire a tale
provvedimento di sospensione del fair value e sul se esso sia stato piegato al
raggiungimento di una specifica finalità macroeconomica.
3
Capitolo 1: Gli strumenti finanziari: tipologie e classificazioni
1.1 Nozione e disciplina di strumenti finanziari
Sotto la dicitura “strumento finanziario” il T.U.F. all’articolo 1, comma 2° presenta un
elenco che include, fra l’altro, azioni e altri titoli rappresentativi del capitale di rischio,
obbligazioni, titoli di Stato, quote di organismi di investimento collettivo, ecc. ma non
ne fornisce una definizione. Allo stesso modo, la disciplina comunitaria, nella quale
assume rilievo in tema di strumenti finanziari la Direttiva 2001/65/CE
1
, non dà
elementi che consentono di individuare esattamente i confini degli strumenti
finanziari. Il legislatore ha probabilmente ritenuto di dover individuare tali non
attraverso una rigida definizione legislativa, quanto piuttosto attraverso modalità più
flessibili e cioè mediante la tecnica del rinvio ai principi contabili riconosciuti in ambito
internazionale e compatibili con la disciplina dell’Unione Europea
2
.
Con riferimento al contenuto dello IAS 32 può definirsi strumento finanziario qualsiasi
contratto che dia origine a un’attività finanziaria per un’entità e a una passività
finanziaria o a uno strumento rappresentativo di capitale per un’altra entità
3
. Al fine di
comprendere la portata di questo concetto è necessario specificare che per attività
finanziaria si intende il diritto contrattuale a ricevere denaro mentre una passività
finanziaria si caratterizza per l’attitudine a generare flussi finanziari negativi in forza di
un obbligo a consegnare denaro. Uno strumento rappresentativo di capitale è, invece,
un contratto che comporta l’assegnazione pro-quota di ciò che resta delle attività dopo
aver estinto tutte le passività
4
. In ogni strumento finanziario, dunque, è rinvenibile uno
schema contrattuale che dà origine e regola diritti ed obblighi e che perciò presuppone
l’esistenza di un rapporto bilaterale tra due controparti.
1
Si fa riferimento alla direttiva che prevede, in estrema sintesi, che gli Stati Membri autorizzino, o impongano,
l’utilizzo del fair value quale regola di valutazione o elemento di disclosure degli strumenti finanziari, compresi gli
strumenti finanziari derivati - Documento OIC n° 3 Le informazioni sugli strumenti finanziari da includere nella nota
integrativa e nella relazione sulla gestione – Marzo 2006.
2
Nella normativa italiana è possibile trovare un riferimento articolato unicamente nel D.Lgs. n. 58/1998, Legge
Draghi, in cui la descrizione degli strumenti risulta però strettamente finalizzata alla definizione dei servizi
d’investimento riservati alla categoria degli intermediari autorizzati - Documento OIC n°3 Le informazioni sugli
strumenti finanziari da includere nella nota integrativa e nella relazione sulla gestione – Marzo 2006.
3
IASB, IAS 32, par.11.
4
Definizioni tratte da Il bilancio secondo i principi contabili internazionali cap. 7 – AA.VV. ed. Giappichelli 2008.
4
Attività e passività finanziarie sono detenute regolarmente nello svolgimento
dell’ordinaria attività di impresa: ne è un esempio il possesso di un credito di
finanziamento quale impiego delle proprie disponibilità monetarie. La definizione data
dallo IASB, tuttavia, è piuttosto ampia e consente di ricomprendere una vasta
categoria di attività e passività finanziarie, tra cui anche gli strumenti finanziari derivati,
intesi come quei contratti a termine mediante i quali una parte si impegna a ricevere o
a consegnare (ovvero si riserva la facoltà di acquistare o vendere) una specifica attività
contro, rispettivamente, il pagamento o l’incasso di un prezzo predeterminato.
Secondo l’art. 1, comma 3° del T.U.F. sono indicati, analogamente, come quei contratti
il cui valore viene determinato in ragione dell’andamento del valore di un’attività, oltre
che di altre variabili la cui rilevanza dipende dalla struttura e dalla complessità del
singolo contratto. La caratteristica fondamentale degli strumenti derivati, infatti, è che
essi sono collegati ad un altro elemento, il sottostante, che può avere natura reale (ad
esempio prezzi di materie prime o di prodotti energetici), si parla allora di commodities
derivatives, oppure può avere natura finanziaria (quotazione di azioni, tassi di
interesse, tassi di cambio, ecc.), in tal caso si parla di financial derivatives. Nei contratti
derivati il regolamento è sempre pattuito ad una data futura in quanto al momento
della stipulazione il valore dello strumento è pari a zero e l’ammontare del
corrispettivo si valorizza, nel tempo, in base alla variazione di prezzo subita dal
sottostante. Ne consegue che il derivato può assumere, per una controparte, un valore
attivo o passivo in seguito all’andamento del prezzo del sottostante. In particolare esso
rappresenterà un’attività per la parte che ha l’obbligo o la facoltà di acquistare il
derivato ad un prezzo predeterminato inferiore al valore di mercato oppure che ha
l’obbligo o la facoltà di vendere ad un prezzo predeterminato superiore al prezzo di
mercato. Costituirà, specularmente, una passività per la parte che ha l’obbligo di
acquistare ad un prezzo predeterminato superiore al prezzo di mercato oppure che ha
l’obbligo di vendere ad un prezzo a termine inferiore al prezzo di mercato.
I derivati, comunque, sono al centro di una disciplina varia e complessa che riflette le
tipologie di interessi che li riguardano: in quanto oggetto dei servizi di investimento
offerti dagli intermediari finanziari, sono sottoposti alla disciplina della trasparenza
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nella contrattazione, al fine di assicurare al pubblico risparmiatore una corretta
informazione sugli stessi. Il quadro normativo italiano di riferimento per essa è il T.U.F.
e i Regolamenti di attuazione emanati dalla Consob. Tutto il Testo Unico in materia
finanziaria è permeato dall’intento di garantire la completa ed esatta informazione agli
investitori e la correttezza delle condotte degli intermediari. Sono infatti diverse le
norme al suo interno che dispongono l’obbligo di agire “con diligenza, correttezza e
trasparenza per servire al meglio l’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati”
1
. E’
di rilievo l’obbligo per gli intermediari finanziari di “acquisire le informazioni necessarie
dai clienti” e di “operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati”
2
: si
prospettano cioè a carico degli intermediari obblighi di informazione cd. “passiva” e
“attiva”
3
. Mentre i primi si riferiscono al reperimento di informazioni necessarie in
merito alle caratteristiche del cliente ed inerenti il prodotto finanziario, gli obblighi di
informazione attiva impongono all’intermediario di operare in modo che gli investitori
siano sempre ed adeguatamente informati. Tale informazione, si specifica nel
Regolamento Consob 16190/2007, ha ad oggetto le caratteristiche del tipo specifico di
strumento interessato e i rischi propri per tale strumento. La normativa attuale in tema
di trasparenza realizza in sostanza la ponderazione dei livelli di obblighi informativi in
ragione delle caratteristiche e dell’esperienza professionale degli investitori.
Sulle riforme del T.U.F ha inciso l’accoglimento delle direttive europee in tema di
strumenti finanziari quali la Direttiva cd. MiFid (Markets in Financial Instruments
Directive), il nome con il quale è nota la direttiva 2004/39/CE. La normativa introduce
una disciplina che si differenzia per i diversi servizi d’investimento, sulla base del
profilo di rischio del cliente. Per la gestione individuale e per la consulenza occorre
acquisire dal cliente le informazioni necessarie sulle conoscenze ed esperienze del
cliente in materia di investimenti, in relazione al tipo specifico di prodotto o servizio,
alla situazione finanziaria e agli obiettivi di investimento, in modo da raccomandare o
scegliere i servizi di investimento e gli strumenti finanziari adatti al cliente stesso.
1
Art. 21, comma 1° lett. a) T.U.F.
2
Art. 21, comma 1° lett. e) T.U.F.
3
Cosiddetta “Know your customer rule” e “Know your merchandise rule” – La trasparenza nella distribuzione di
strumenti finanziari derivati ed il problema dell’efficacia delle regole informative di Valentina Piccinini – Contratto
e impresa fasc. 2 anno 2010.
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Per il collocamento, per la negoziazione e per la raccolta ordini non vengono richieste
informazioni sulla situazione finanziaria e sul profilo di rischio del cliente. Inoltre per
tali servizi si può operare anche in presenza di ordine non appropriato del cliente, con
avvertenza al cliente della non appropriatezza del prodotto o servizio e con
autorizzazione del cliente ad effettuare l’operazione ciò nonostante: si può inoltre
operare anche in mancanza di resa di tali informazioni se richiesto dal cliente. Le
imprese di investimento che svolgono i servizi di collocamento, negoziazione e raccolta
ordini sono esentate dall’ottenere le informazioni di cui sopra se i servizi sono relativi
ad azioni negoziate in mercato regolamentato o equivalente, strumenti del mercato
finanziario, obbligazioni ed altri titoli di credito purché non relativi a strumenti derivati.
Sempre in ambito nazionale gli strumenti finanziari sono regolati altresì dalla disciplina
della Banca d’Italia e del CICR (Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio),
ove quest’ultimo, per l'esercizio delle proprie funzioni, si avvale della Banca d'Italia,
che vigila sulla sana e prudente gestione degli intermediari, avendo riguardo alla
stabilità e alla competitività del sistema bancario
1
. Si ricorda a questo proposito che le
operazioni in strumenti derivati sono oggetto di valutazione per i riflessi della
rischiosità degli stessi sull’attività bancaria, mentre gli strumenti finanziari in generale
sono disciplinati, a più riprese, nel T.U.B.
2
.
In un’ottica internazionale, oltre alla già citate direttive europee e alla disciplina dei
principi contabili IAS/IFRS, lo sviluppo degli strumenti derivati è da tempo seguito da
autorità di vigilanza e organismi internazionali volti ad acquisire informazioni sulle
transazioni finanziarie su tali prodotti, migliorare le statistiche sui prodotti derivati,
istituire una normativa prudenziale per l’applicazione alle banche di requisiti
patrimoniali a fronte dei rischi assunti attraverso la negoziazione di strumenti
1
Art. 108, comma 1°, T.U.B. - Versione aggiornata al decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141 - “La Banca d'Italia
emana disposizioni di carattere generale aventi a oggetto l'adeguatezza patrimoniale, il contenimento del rischio
nelle sue diverse configurazioni, l'organizzazione amministrativa e contabile e i controlli interni, nonché
l’informativa da rendere al pubblico sulle predette materie. La Banca d'Italia può adottare, ove la situazione lo
richieda, provvedimenti specifici nei confronti di singoli intermediari per le materie in precedenza indicate.”
2
Basti pensare che il Capo I e II, titolo VI del T.U.B. , si intitolano rispettivamente “Operazioni e servizi bancari e
finanziari” e “Credito ai consumatori”.
7
finanziari. Basti pensare alla recente modificazione degli accordi di Basilea II
1
che ha
dato vita, il 12 settembre 2010, al nuovo accordo denominato “Basilea 3” con lo scopo
di migliorare la “qualità” del capitale, ossia di rafforzare la solidità patrimoniale delle
banche dotandole di capitale proprio in misura ponderata alla rischiosità degli
investimenti effettuati.
Ciascuno strumento finanziario in quanto espressione dell’instaurazione, nell’ordinario
svolgimento di un’attività d’impresa, di un rapporto bilaterale a contenuto
patrimoniale presenta un profilo di rischio più o meno accentuato. In base alla
complessità della struttura contrattuale i rischi, di diversa natura, emergono in modo
più o meno chiaro e a dispetto del sopra citato principio di trasparenza, rendono uno
strumento finanziario “opaco”. E’ innegabile infatti che gli strumenti finanziari abbiano
avuto un ruolo centrale nella recente crisi finanziaria e che è stata contestata, tra
l’altro
2
, la complessità da cui sono caratterizzati, specie con riferimento alle nuove
tipologie “ibride” nate dall’innovazione finanziaria.
1
Si fa riferimento all’accordo internazionale di vigilanza prudenziale maturato nell'ambito del Comitato di Basilea
(istituito sul finire del 1974 operante sotto il patrocinio della Banca per i Regolamenti Internazionali) ed entrato in
vigore il 1° gennaio 2007 (fonte: www.basilea2.org).
2
Per una considerazione critica circa le responsabilità degli strumenti finanziari nella crisi: “Gli strumenti derivati: i
controlli sulle patologie del capitalismo finanziario” di Francesco Bochicchio – Contratto e impresa fasc. 2 vol. 25
anno 2009.
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1.2 Tipologie e varietà di strumenti finanziari
Negli ultimi decenni la disciplina nota come “finanza creativa”
1
ha dato vita a una
grande varietà di strumenti finanziari con caratteristiche strutturali e livelli di
complessità assai differenti tra loro.
Prescindendo, momentaneamente, da una classificazione basata prettamente su
criteri contabili, dal punto legislativo è possibile individuare numerose tipologie di
strumenti finanziari. Facendo riferimento innanzitutto al contenuto dell’articolo 1,
comma 2°, del T.U.F.
2
si includono tra gli strumenti finanziari:
a) valori mobiliari;
b) strumenti del mercato monetario;
c) quote di un organismo di investimento collettivo del risparmio;
d) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati (“future”), “swap”,
accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti derivati connessi a valori
mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, o ad altri strumenti derivati, indici
finanziari o misure finanziarie che possono essere regolati con consegna fisica del
sottostante o attraverso il pagamento di differenziali in contanti;
e) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati (“future”), “swap”,
accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti derivati connessi a merci il
cui regolamento avviene attraverso il pagamento di differenziali in contanti o può
avvenire in tal modo a discrezione di una delle parti, con esclusione dei casi in cui tale
facoltà consegue a inadempimento o ad altro evento che determina la risoluzione del
contratto;
f) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati (“future”), “swap”,
e altri contratti derivati connessi a merci il cui regolamento può avvenire attraverso la
consegna del sottostante e che sono negoziati su un mercato regolamentato e/o in un
sistema multilaterale di negoziazione;
1
“La trasparenza nella distribuzione di strumenti finanziari derivati ed il problema dell’efficacia delle regole
informative” di Valentina Piccinini – Contratto e impresa vol.26 anno 2010 fasc.2 pag. 500.
2
Aggiornato con le modifiche apportate dal d.lgs. n. 176 del 5.10.2010.