nell’ambiente che la circonda, nonché dalla considerazione che la sua prosperità non può
prescindere dalla creazione di valore per tutti coloro che, a vario titolo, si possono definire
“portatori di interessi” verso la banca stessa (stakeholder), si definiscono nuovi paradigmi di
controllo volti a qualificare e quantificare la creazione di detto valore. Si vedrà, tuttavia, che il
concetto di creazione del valore assume valenze diverse in relazione al soggetto che a ciò risulta
interessato: pertanto, saranno presi in considerazione i diversi punti di vista dei vari stakeholder,
analizzando rispettivamente la creazione di valore per gli azionisti, per i clienti e per i dipendenti.
Inoltre, non può essere dimenticato che la banca crea comunque valore, anche laddove riesce ad
ottimizzare i costi; saranno quindi prese in esame anche le principali tecniche di misurazione dei
costi (Activity Based Costing e Activity Based Management) per la creazione di valore nei
processi e nelle attività produttive. Delineate così le principali tecniche di misurazione della
creazione del valore, verranno successivamente rappresentati gli strumenti per mezzo dei quali le
misure rilevate possono essere raccolte in un sistema integrato di misurazione della performance.
Lo studio terminerà con l’esposizione delle considerazioni finali.
Il presente studio è stato condotto facendo riferimento, da un lato, alla principale
bibliografia esistente sull’argomento, prevalentemente rivolta alla descrizione di casi di banche
italiane, dall’altro, raffrontando le tematiche così delineate, con quanto rilevato dall’esperienza
lavorativa vissuta direttamente in banca negli ultimi dodici anni. Così, la base teorica fornita
attraverso lo studio letterario, è stata messa a confronto con la realtà vissuta, constatando come,
negli ultimi tempi, sia mutata e cresciuta l’attenzione delle banche italiane verso le tematiche
proprie della pianificazione e controllo. Un esempio di ciò può essere rilevato nell’inserimento,
nell’ambito dei programmi di formazione manageriale rivolti ai titolari di filiale, di giornate di
corso dedicate proprio a tali argomentazioni. Peraltro, proprio la frequentazione di uno di questi
corsi, ha fornito ulteriori interessanti spunti per lo studio in questione: innanzitutto si è avuto
modo di assistere ad una panoramica sulla situazione attuale del sistema bancario italiano in
ordine ai temi trattati, individuando punte di eccellenza in banche di grandi dimensioni, operanti
al livello europeo, ma anche casi di maggior arretratezza, tipici di banche più piccole, operanti
prevalentemente a livello locale; in tale contesto, la banca utilizzata in questo studio per il
raffronto suddetto (trattasi di una banca italiana, di medie dimensioni, operante nel centro Italia),
sembrerebbe ben collocarsi in posizione intermedia e forse, proprio per questo, sufficientemente
rappresentativa della realtà vissuta dal settore.
Per finire, è doveroso far presente che la realizzazione di questo studio è stata possibile
grazie ad una serie di soggetti che, pertanto, si intende qui ringraziare: innanzitutto il Prof.
Massimo Ciambotti, docente di Programmazione e controllo presso l’Università degli studi di
Urbino “Carlo Bo”, che, oltre ad aver acconsentito all’assegnazione di questa tesi, ha anche
fornito notevoli e preziose informazioni, sia mediante i suoi corsi, sia attraverso la consultazione
di testi da egli pubblicati; il Prof. Marco Ciabattoni, docente di programmazione e controllo
presso l’Università di Padova, nonché docente del corso intitolato “I sistemi di pianificazione e
controllo nelle banche”, tenuto presso i locali della Direzione Generale della Banca delle Marche
(al quale si è avuto modo di assistere), per le informazioni ed il materiale didattico forniti durante
il corso stesso (compresa la bibliografia ivi inclusa), dai quali sono stati tratti numerosi ed
interessanti spunti; la Banca delle Marche, per aver dato la possibilità di frequentare il suo corso
di formazione manageriale, specificatamente nelle giornate in cui venivano affrontati i temi della
pianificazione e controllo nelle banche italiane; i colleghi del Servizio Pianificazione e Controllo
di Gestione, per il supporto ed il materiale da essi fornito.
3
CAPITOLO 1
L’ATTIVITÀ DI PIANIFICAZIONE E CONTROLLO: ALCUNI
FONDAMENTI TEORICI
PREMESSA
Prima di iniziare la trattazione dei sistemi e degli strumenti di programmazione e controllo,
appare opportuno fare alcune precisazioni sui concetti di fondo che governano tale attività,
mantenendo un certo livello di genericità e prescindendo dalla particolare natura dell’azienda o
del settore di business; ciò in quanto una corretta comprensione di tali sistemi appare
precondizione indispensabile per poter valutar la convenienza della loro applicazione allo
specifico settore delle imprese bancarie, che sarà oggetto del presente studio.
1.1 LE FUNZIONI DI PIANIFICAZIONE E CONTROLLO
La definizione dei sistemi di programmazione e controllo e l’interpretazione del loro ruolo
all’interno dell’organizzazione aziendale, non sono argomenti banali e la ricca letteratura
sull’argomento non esprime certo posizioni e vedute univoche. Con il termine pianificazione si
usa intendere quel processo logico, avente natura prospettica, attraverso il quale l’Alta Direzione
dell’impresa:
– individua le condizioni ambientali, interne ed esterne, che condizioneranno il
futuro svolgersi dell’attività di impresa;
– definisce gli obiettivi che, in funzione dei limiti ambientali suddetti, si
ritengono realisticamente realizzabili;
– indirizza l’attività operativa dell’azienda per il raggiungimento dei suddetti
obiettivi.
1
In sostanza, quindi, alla funzione di pianificazione si attribuisce la finalità di
valutare la condotta da tenere in futuro, al fine del raggiungimento degli obiettivi
prefissati, identificati sia a livello generale che intermedio o parziale. Naturalmente, ciò
presuppone un complesso di attività preliminari riferite propriamente alla valutazione sia
delle prestazioni passate, sia, tanto più, alla previsione degli eventi futuri (esterni ed
interni all’impresa). La pianificazione si caratterizza, quindi, come metodo per
razionalizzare le scelte di gestione, formulate non in modo episodico o saltuario, bensì in
maniera sistematica e razionale.
1
MARCHINI (1988).
4
Detto ciò, la scelta effettuata in ordine all’indirizzo da imprimere alla gestione
futura si sostanzia mediante la formulazione di un piano base, ove vengono enunciati con
un certo grado di dettaglio gli obiettivi prefissati e le azioni da porre in essere per
conseguirli. Un maggior grado di dettaglio può essere ottenuto facendo discendere dal
piano base una serie di piani parziali (o piani derivati), che rappresentano insieme il
completamento e la traduzione operativa del piano base.
2
L’attività direzionale della pianificazione, come sopra sinteticamente rappresentata,
si connette strettamente all’attività di controllo, in quanto la prima, di per sé, non è
sufficiente a garantire che l’attività si svolgerà, effettivamente, come prospettato nel piano
adottato. In altre parole, la direzione dell’impresa deve provvedere ad “accertare entro
quali limiti le operazioni compiute abbiano realizzato le direttive tracciate nei piani, per
identificare i fatti che siano stati causa di differenza, correggerli e valersi della loro
conoscenza per la migliore enunciazione di nuovi piani e la revisione di quelli esistenti”.
3
Nella sua accezione tradizionale, quindi, la funzione del controllo può essere definita
come un’attività ispettiva o di verifica della conformità dei comportamenti adottati,
nonché delle prestazioni fornite dai collaboratori di grado inferiore, rispetto alle direttive
ed alle prescrizioni impartite dalla direzione e codificate nei piani adottati.
4
Considerato il suo intreccio con la funzione di pianificazione, l’attività di controllo
non può che collocarsi nel tratto finale del processo logico che caratterizza l’attività
direzionale:
a) pianificazione delle operazioni e determinazione dei modelli comportamentali
e degli standard di misurazione;
b) attuazione delle operazioni;
c) comparazione dei risultati ottenuti con gli standard ed evidenziazione degli
scostamenti;
d) indagine sulle cause di deviazione dei risultati ottenuti dagli standard e
sviluppo dell’azione correttiva.
5
L’essenza dell’attività di controllo si rinviene, quindi, proprio nella sua attitudine
alla trasformazione dei piani operativi in comportamenti e attività standardizzabili, cui i
componenti dell’organizzazione devono uniformarsi, affinché gli obiettivi fissati dalla
direzione possano essere conseguiti. Infatti, solo attraverso l’osservazione, la misurazione
e l’eventuale azione correttiva, da un lato sui comportamenti degli esecutori, dall’atro
intervenendo in termini di efficacia e di efficienza sulle attività da questi svolte, risulta
possibile il conseguimento degli obiettivi prefissati e contestualmente fornire occasioni di
apprendimento e stimolo per la pianificazione successiva. In tal senso, il controllo
completa e riattiva sempre il processo direzionale, determinandone la circolarità.
6
A tutto ciò si lega l’aspetto organizzativo dell’azienda, poiché l’attività di controllo
avrebbe poco senso se non collegata ad una precisa individuazione dei ruoli e delle
responsabilità dei soggetti coinvolti. A questi ultimi viene assegnata una responsabilità di
triplice ordine:
– in merito alle modalità operative;
– in merito ai mezzi impegnati;
– in merito ai costi sostenuti per ciascun compito assegnato.
Da quanto finora sinteticamente argomentato, emerge chiaramente che un sistema di
controllo basa la sua efficacia sulla comparabilità dei dati (consuntivi o prospettici), i
2
CIAMBOTTI (2005).
3
MARCHINI (1988).
4
Sul concetto di controllo-verifica, come sistema di azioni rivolte a misurare e correggere l’opera dei subordinati al fine di
assicurare che gli obiettivi aziendali (impliciti ed espliciti) vengano conseguiti e i piani formulati per realizzarli siano attuati, si
veda ZANDA (1968), con le citazioni degli autori della scuola anglosassone dei “principi di direzione”.
5
CIAMBOTTI (2005).
6
NEWMAN (1981), BUBBIO (1989).
5
quali, pertanto, debbono essere espressi necessariamente in termini quantitativi (fisici o
monetari), da sintetizzare ex-ante o ex-post nel bilancio d’esercizio in termini di reddito o
di capitale. Da ciò consegue la centralità dei processi di rilevazione contabile-
amministrativa, per la loro attitudine alla produzione dei flussi informativi basilari per
l’attività direzionale, rispetto alla quale, quindi, tali processi si collocano in rapporto
strumentale.
Tuttavia, come sarà esposto più ampiamente nel prosieguo di questo studio, la
crescente complessità dell’attività direzionale determina fabbisogni informativi del tutto
nuovi, che hanno portato nel tempo ad un processo di evoluzione ed arricchimento degli
strumenti informativi e di rilevazione, in grado di fornire risposte a tali nuove esigenze.
Da un lato l’area delle rilevazioni consuntive si è sviluppata nelle due direzioni di un
diverso e più ampio utilizzo delle informazioni prodotte dalla contabilità generale, specie
per finalità di analisi diagnostica (es. elaborazione degli indici di bilancio) e dello sviluppo
di rilevazioni utili ai fini del controllo interno di efficienza (contabilità analitica dei costi).
Dall’altro lato, si è progressivamente affermato un ordine di rilevazioni preventive, che
meglio si addice alla produzione di informazioni utili all’attività direzionale di indirizzo e
governo dell’impresa, mediante la valutazione ex-ante delle alternative praticabili e delle
conseguenze economiche da queste prodotte.
Tale attività, sintetizzabile con il termine di “contabilità di direzione”, soddisfa,
quindi, la duplice esigenza di:
1. fornire i flussi informativi idonei alla formulazione dei piani;
2. rendere possibile l’esercizio del controllo;
intendendo con quest’ultimo termine, l’attività di verifica della conformità tra dati
rilevati e gli standard di prestazione, fissati in base al presupposto di responsabilizzazione
individuale di soggetti coinvolti.
1.2 INQUADRAMENTO DELLA FUNZIONE DI CONTROLLO
NELLA VITA AZIENDALE
1.2.1 L’APPROCCIO PER PROCESSI NELLA PRINCIPALE
LETTERATURA ECONOMICO-AZIENDALE ITALIANA
La funzione di controllo nell’ambito dell’amministrazione economica d’azienda, è stata
sempre riconosciuta dalla nostra dottrina, sin dagli studi di Fabio Besta
7
. Il Besta evidenziava
l’esistenza di due “anime” del controllo, ossia quella di:
– sorveglianza e costrizione sull’operato di amministratori e prestatori d’opera,
impedendo ogni possibile sottrazione colpevole della ricchezza (conservazione
materiale del patrimonio)
8
;
– riscontro (o raffronto) tra la via tracciata a priori (quale più idonea al raggiungimento
delle finalità aziendali, anche se non è ancora possibile parlare di vera e propria
pianificazione, nel senso sopra descritto) e quella effettivamente percorsa, mediante
la registrazione dei fatti amministrativi e la conoscenza dei fatti aziendali, con finalità
informative e di acquisizione di elementi di giudizio e di orientamento per una
migliore amministrazione futura
9
.
7
BESTA (1909)
8
Il controllo economico “può e deve impedire ogni sottrazione colpevole, ogni inutile consumo, ogni sperpero di forze
economiche”, ovvero impedire che la ricchezza “venga sperperata o sia distratta dall’uso cui è destinata”. BESTA (1909).
9
Anche CECCHERELLI (1933) sottolinea come, secondo il Besta, l’attività di controllo produca “delle nozioni del passato
del presente non soltanto indispensabili accertamenti ed elementi di confronto e di prova, bensì anche elementi di giudizio e di
orientamento per una migliore amministrazione futura: controllo, quindi, tendente alla più opportuna utilizzazione dei mezzi e
6
Nel pensiero bestano, la vita aziendale viene considerata separatamente dalla sua
amministrazione economica, intendendo con quest’ultima i tre momenti in cui essa si articola: la
gestione, la direzione e il controllo. I tre momenti sono collegati e interagenti, ma non sono
considerati in maniera unitaria e generale per tutti i tipi d’aziende, a motivo della varietà dei fini e
delle caratteristiche organizzative, gestionali e dimensionali che connotano le aziende
medesime
10
. Solo la Ragioneria può essere vista come la scienza che ha il compito proprio di
enunciare leggi riferibili al momento del controllo economico, valide per tutte le categorie di
aziende. Tale carattere di uniformità e di validità generale delle norme e dei principi di
rilevazione, che la Ragioneria come scienza formula per l’esercizio del controllo, deriva dal fatto
che quest’ultimo non comprende alcuna attività ispettiva circa le modalità più convenienti per
attuare la gestione, bensì si limita ad osservare, registrare e misurare i mutamenti intervenuti nella
gestione, verificando, in tal modo, la conformità dell’attività prevista dalla direzione.
La limitazione del contenuto dell’attività di controllo agli aspetti prettamente contabili e
coercitivi, non impedisce però al Besta di cogliere la stretta connessione esistente tra tale attività e
quella gestionale: il controllo, infatti, viene considerato come il principale momento di “coesione”
dell’attività di governo dell’impresa, “per cui ciascuno si astringe a seguire la via tracciata”
11
. Il
fatto di far ricadere in un unico ambito, quello del controllo, sia funzioni contabili che attività
ispettive e di vigilanza, differenzia lo studio del Besta dagli studi di Fayol ed in generale dagli
autori della teoria dello Scientific Management (si veda oltre, al paragrafo 1.3). Tali autori usano
distinguere il controllo, come specifica attività all’interno della funzione di direzione, dalla
funzione di contabilità che dà corpo ad una gestione a sé nella vita aziendale.
Dopo il Besta, l’indagine sul controllo economico viene ripresa dalla Scuola Zappiana. Il
Zappa
12
inquadra la funzione di controllo nell’ambito dell’unitaria amministrazione economica
d’azienda, a sua volta suddivisa nei tradizionali processi di organizzazione, gestione e
rilevazione. L’interpretazione della funzione di controllo data da Zappa ricalca in qualche modo
quella di Besta di “costrizione al lavoro”, ovvero di attività che “stimola e vincola gli organi al
compimento delle funzioni ad essi assegnati”, una volta che a ciascun organo siano stati chiariti
compiti, funzioni da svolgere. Tuttavia, il formarsi di una materia autonoma che studi la relazione
intercorrenti tra i vari fenomeni aziendali, consente di riprendere l’iniziale intuizione di Besta
circa il controllo come momento di “coesione” dell’amministrazione economica di un’azienda. Il
controllo viene quindi interpretato non più come mero momento di verifica fisica e di coercizione
all’attività lavorativa, bensì anche come momento di misurazione dell’efficienza aziendale e
come tale, d’ausilio nel processo di razionalizzazione delle scelte tecnico-economiche, di
valutazione ed eventuale correzione degli andamenti e dei comportamenti
13
. In questo ambito
assumono rilevanza le registrazioni contabili e extra contabili (o statistiche) che, come afferma lo
stesso Zappa, “offrono un sussidio validissimo al “controllo” delle più diverse manifestazioni
della gestione tecnica ed economica di impresa”
14
.
Chi ha affermato esplicitamente l’identità tra i procedimenti di rilevazione e il controllo
economico è stato Aldo Amaduzzi
15
, il quale, sulla scia del modello Zappiano e riaffermando la
visione sistemica dell’impresa, include l’attività di controllo nell’ambito di un più ampio sistema
informativo, teso a fornire elementi conoscitivi ed interpretativi a supporto della conduzione
al maggior rendimento del patrimonio aziendale”. In altra parte della sua opera, l’autore sottolinea, a proposito della stretta
integrazione tra la costrizione e la registrazione per via di “note scritte” dei fatti aziendali, che “non si può con sicura efficacia
astringere alcuno a seguire un determinato cammino, ove non si abbia modo di vedere poi se ha obbedito, vo’ a dire se non si
rileva il cammino che in fatto segue per confrontarlo con quello tracciatogli innanzi”.
10
ONIDA (1951) ritiene di individuare nelle “differenze tecnologiche” i principali elementi di diversità, individuati dal
BESTA, nella gestione delle aziende. Queste si distinguono tra loro, quindi soprattutto per le specificità di carattere tecnico del
tipo di settore economico nel quale operano. GIANNESSI (1954) nega che nel pensiero bestano si parli mai di differenze
dovute a “ragioni tecnologiche”, ritenendo di rintracciare negli aspetti puramente economici gli elementi di diversità essenziali
nella gestione. Secondo questa versione, la gestione delle aziende si differenzierebbe nel fatto che le singole operazioni, in
quanto poste in essere, “possono essere attuate … in tanti modi diversi quante sono le circostanze spaziali e temporali che
identificano il governo dell’azienda che deve realizzarle. Per un approfondimento sulle diverse interpretazioni si veda anche
CIAMBOTTI (1995).
11
BESTA (1909).
12
ZAPPA (1956)
13
ZANDA (1968).
14
ZAPPA (1956)
15
Amaduzzi (1957)
7
aziendale. Integrato con le attività di pianificazione e progettazione organizzativa, il controllo si
configura come quell’attività che consente di legare il momento decisionale a quello attuativo e,
tramite la verifica del conseguimento dei risultati, di alimentare nuova attività decisionale.
Si tratta di un controllo che Amaduzzi definisce “esecutivo”, di “liceità” e di “merito”,
intendendo con ciò la verifica sia della perfetta aderenza dello svolgimento delle operazioni alle
disposizioni, ai regolamenti interni e alle leggi (anche morali), sia della validità, razionalità e
convenienza economica delle scelte di gestione e di organizzazione, pianificate per il
raggiungimento degli obiettivi aziendali
16
. L’esercizio di tale attività è reso possibile proprio per
effetto delle rilevazioni contabili, rispetto alle quali il controllo evidenzia una sostanziale identità
di fine e di oggetto
17
. La formazione di un sistema informativo facente perno sulle rilevazioni
contabili ed extra contabili, siano esse preventive, concomitanti o susseguenti, coincide quindi
con lo sviluppo del processo di controllo, inteso quest’ultimo, sia nel suo senso strumentale, sia
come cerniera di collegamento rispetto ai processi di gestione ed organizzazione.
Nel rapido excursus fin qui esposto, appare evidente la crescente consapevolezza che, negli
studi della nostra dottrina economico-aziendale, si è andata manifestando introno ai temi della
pianificazione e controllo, nell’ambito del complesso processo direzionale e al ruolo strumentale
che, rispetto a tale processo, assumono i procedimenti di rilevazione economico-amministrativa
dei fenomeni aziendali. È inoltre possibile cogliere un certo parallelismo tra il modello zappiano e
gli studi che ad esso si riconducono, basati su un approccio per processi. Tale aspetto differenzia
la letteratura italiana dalla dottrina anglosassone, che ha applicato un approccio funzionale, di cui
si esporrà sinteticamente nel prossimo paragrafo.
1.2.2 L’APPROCCIO FUNZIONALE ALLO STUDIO DEL
MANAGEMENT: CENNI SULLA PRINCIPALE LETTERATURA
ANGLOSASSONE
Alla logica processuale che ha caratterizzato gli studi dell’economia aziendale in Italia, si è
contrapposta una diversa impostazione metodologica, a carattere prettamente precettistica,
nell’ambito della dottrina nordamericana, che predilige una visione di tipo funzionale, originata,
con ogni probabilità, dal pragmatismo tipico degli studi anglo-americani, nonché da
un’impostazione disciplinare di tipo normativo. Secondo tale impostazione, l’oggetto di studio
deve essere l’impresa come fenomeno economico destinato a durare nel tempo, quindi
costantemente proiettato nel futuro e come tale, soggetto ad una guida continua da parte di chi
detiene il comando. L’attenzione, quindi, si sposta sulle complesse attività di governo
dell’impresa, esercitate medianti i processi decisionali, che coinvolgono sia le modalità operative,
sia quelle organizzative e informative, attraverso cui si manifesta l’attività economica
dell’impresa stessa. L’accento viene posto sui compiti o funzioni-base che ogni manager deve
porre in essere per governare razionalmente l’impresa. Le funzioni esprimono raggruppamenti di
attività omogenee, in termini di professionalità, competenze e risorse richieste, strutturalmente
inseribili nella gerarchia dell’organizzazione aziendale, al fine di regolarne i processi o parti
limitate di essi
18
. Oggetto di studio non è l’amministrazione in sé, articolata in processi e
operazioni variamente combinabili, ma l’attività amministrativa sviluppata dall’amministrazione
stessa. In tal senso, le funzioni e i processi rappresentano due modalità complementari di
rappresentare l’azienda. Infatti, “nel concetto di attività è implicito anche quello di azioni
coordinate, perché mentre l’attività ne costituisce la risultante, l’esercizio di funzioni variate ma
non integrate e cofinalizzate nel coordinamento, ne rappresenta il momento generatore”
19
.
16
Questa distinzione del controllo come attività, da un lato, confinante con il processo decisionale, dall’altro, vicina al
pensiero bestano di “costrizione” del comportamento, viene ribadita anche in CODA (1968, p.51 ss.), dove si parla di
“controllo economico” e di “controllo esecutivo”.
17
“La nozione di rilevazione viene oggettivata dagli atti nei quali consiste, atti che sono mezzi del raggiungimento del fine,
mentre la nozione di controllo, al contrario, nasce dall’idea dello scopo che si prefiggono i mezzi usati”. Dal confronto delle
due nozioni emerge che “il fine delle nostra rilevazione economico-amministrativa, quello della razionalità, della liceità e
dell’economia di costo degli atti amministrativi, di gestione e di organizzazione, è del tutto analogo al fine dettato dalla stessa
nozione di controllo economico”. Stesso giudizio è dato per quanto riguarda il contenuto (i mezzi) che le due nozioni
richiamano. AMADUZZI (1957).
18
Sul concetto di funzione si legga FERRARIS FRANCESCHI (1988).
19
MALVESTITO (2000, p.27)
8
Il primo studioso che ha abbracciato la logica funzionale è il francese Henry Fayol,
capostipite della cosiddetta Scuola Ortodossa di Management. A quest’autore si attribuisce la
prima e più significativa rappresentazioni per funzioni della realtà aziendale
20
. Egli elaborò,
infatti, una teoria generale dell’amministrazione d’impresa, riguardante tutte le funzioni che in
essa si esplicavano, suddivise in sei gruppi:
– funzioni tecniche: produzione;
– funzioni commerciali: acquisto materie prime, vendita prodotti finiti;
– funzioni finanziarie: ricerca e gestione dei capitali;
– funzioni di sicurezza: protezione dei beni e delle persone;
– funzioni contabili: redazione inventari, bilanci, statistiche, ecc.;
– funzioni di direzione.
Queste ultime, cui Fayol assegnava notevole importanza, tanto da meritare una trattazione a
parte nella sua opera, comprendevano le sub-funzioni di:
– pianificazione;
– organizzazioni;
– comando;
– coordinamento;
– controllo.
L’autore non ipotizzò una netta distinzione tra attività direzionali ed esecutive, sostenendo
la necessità di una polivalenza funzionale delle capacità e delle competenze delle persone, ben
consapevole, tuttavia, che nel passaggio dai livelli inferiori a quelli superiori della scala
gerarchica, si aveva bisogno di sempre maggiori capacità direttive, concettuali e comunicative e
sempre minori capacità tecniche e operative, meno importanti e più facili da acquisire. Per questo
Fayol sviluppò un serie di principi, cui la funzione direttiva deve attenersi in modo elastico e con
misura
21
.
Allo stesso modello funzionale si sono ispirati anche altri autori statunitensi
22
, con
raffigurazioni dell’attività di direzione aziendale assai variegata quanto a numero, terminologia e
contenuto delle funzioni individuate. Ciò sembrerebbe da imputarsi ad una “mancanza di
chiarezza nella descrizione del contenuto delle funzioni del dirigente e, anche, alla eventuale
confusione tra tecniche direttive e funzioni direttive, dovendosi intendere le prime come i metodi
seguiti nell’espletamento delle seconde”
23
. Inoltre, la distinzione dell’unitario processo di
conduzione aziendale in più funzioni, corrispondenti ad altrettanti momenti della sua complessa
dinamica, viene condotta sotto il profilo concettuale e soggiace più “all’esigenza di una logica
sistematica che non alla realtà della vita dell’impresa, ove, spesso, i vari processi si intrecciano e
sovrappongono”
24
. Sul piano operativo, infatti, le varie aree in cui si esplica l’attività direzionale
sono strettamente interdipendenti e complementari, spesso sovrapposte, sì da risultare
difficilmente individuabili e caratterizzabili in modo rigoroso, se non facendo riferimento al tipo
di processo intellettuale che le qualifica
25
.
20
HENRY FAYOL (1841-1925), pubblicò la sua prima opera dal titolo “Administration industrielle et générale” (Dunot et
Finat, Parigi) nel 1929, la cui traduzione italiana dal titolo “Direzione industriale e generale” si ebbe solo nel 1961 (Angeli,
Milano). A Fayol si deve la prima apparizione del concetto classico di management, maturato durante la pluriennale
esperienza nelle miniere francesi. Sempre allo stesso autore si deve anche la prima formalizzazione di una struttura funzionale
a line e staff, attraverso la separazione delle attività di comando da quelle consultive e di supporto. Infine, sempre a Fayol, si
deve anche l’adozione di organigrammi, come strumenti operativi e sistematici che consentono di rappresentare graficamente
la struttura organizzativa e di rilevarne i processi evolutivi.
21
I 14 principi elaborati da Fayol sono: la ripartizione del lavoro, l’autorità (di cui la responsabilità costituisce il suo
corollario), la disciplina, l’unità di comando, l’unità di direzione, la subordinazione degli interessi particolari a quelli generali,
la remunerazione, la centralizzazione, la gerarchia, l’ordine, la parità di trattamento, la stabilità del personale, l’iniziativa, lo
spirito di corpo. Cfr. ZANDA (1974).
22
URWICK (1963), DRUCKER (1954), NEWMAN (1955), KOONTZ e O’DONNEL (1955), MEE (1956).
23
MARCHINI (1988).
24
MARCHINI (1988).
25
ZENDA (1968).
9
Ad ogni modo, pur nella loro disomogeneità, le classificazioni delle funzioni direzionali
operate dai suddetti autori evidenziano un tratto comune tra loro: il riconoscimento della
centralità e della rilevanza delle attività di pianificazione e di controllo. Ciò in quanto il loro
esercizio consente di razionalizzare le scelte di governo della gestione, in ordine alla
realizzazione degli obiettivi aziendali, ben intendendosi l’importanza delle altre funzioni (come
l’organizzazione, la motivazione del personale, il coordinamento), legate maggiormente alla
gestione del fattore umano.
1.2.3 L’INTEGRAZIONE TRA L’APPROCCIO PER FUNZIONE E
L’APPROCCIO PER PROCESSI
Esposte sinteticamente le due principali correnti di pensiero, vale la pena sottolineare che
l’integrazione tra i due approcci rappresenta una necessità ben nota agli stessi principali esponenti
delle scuole cui l’uno e l’altro hanno tratto origine. Fayol concepiva la gestione d’azienda proprio
come l’integrazione di funzioni e processi: all’interno delle prime si sviluppano necessariamente i
processi che le attraversano orizzontalmente, in modo da finalizzare le diverse aree del
management verso i risultati desiderati. Le funzioni, in sostanza, trovano nei processi e nelle
combinazioni il significato economico del loro esistere
26
. Zappa riteneva utile ed interessante
l’approccio per funzioni, in quanto l’aspetto operazionale dell’amministrazione economica
dell’azienda trova proprio negli obiettivi funzionali del management il composito strumento per il
suo concreto realizzarsi
27
.
Tale integrazione appare possibile ed utile solo se non viene persa di vista l’ottica
dell’azienda come sistema unitario: i tre momenti soggettivo (o dell’organizzazione), oggettivo (o
della gestione) e cognitivo (o della rilevazione), rappresentano tre sub-sistemi parziali
dell’amministrazione e ciascuno di essi non può essere considerato se non in stretta integrazione
con gli altri e con il sistema aziendale nel suo complesso; le funzioni, a loro volta, non possono
essere oggetto di studio se non in relazione all’attività che caratterizza i singoli processi, le
combinazioni di essi e quella più generale del sistema aziendale stesso
28
.
1.3 DALLA FUNZIONE AL CONTENUTO DELLE ATTIVITA’ DI
DIREZIONE: IL MODELLO DI ANTHONY E LA SCUOLA
HARVARDIANA
Nell’ambito della tradizionale impostazione degli studi della Scuola di Direzione
Scientifica, con R.N. Anthony
29
si giunge all’elaborazione di un modello che cerca di superare
l’ambivalenza interpretativa della funzione di controllo come attività di verifica/riscontro
operativo, da un lato, e come momento di guida ed indirizzo del processo decisionale del top
management, dall’altro, per mezzo di una scomposizione e analisi delle diverse attività
decisionali, e della loro correlazione al proprio fabbisogno informativo. L’attività direzionale
viene suddivisa dall’autore in tre classi, corrispondenti ad altrettanti sub-sistemi:
1. pianificazione strategica;
2. controllo direzionale;
3. controllo operativo (o dei compiti)
30
.
26
BERETTA ZANONI (1997) e anche MALVESTITO (2000).
27
FERRERO (1988).
28
CIAMBOTTI (2005).
29
ANTHONY (1965)
30
Nei suoi lavori più recenti, Anthony utilizza il termine “controllo dei compiti”, piuttosto che “controllo operativo”, per
evitare il possibile fraintendimento che tale controllo si applichi ad ogni tipo di attività operativa, piuttosto che a compiti
specifici.
10