22
1.6 La predisposizione del piano industriale.
L’adozione degli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili trova
espressione anche attraverso la programmazione degli obiettivi aziendali da parte
del management.
Tale attività vede la propria naturale espressione nella predisposizione del piano
industriale.
Attraverso quest’ultimo, l’impresa può in primo luogo definire le proprie strategie
di medio-lungo periodo.
Il successivo monitoraggio di tale documento consente, poi, di intercettare per
tempo eventuali scostamenti rispetto ai risultati pianificati e, di conseguenza,
possibili elementi rilevatori dei sintomi della crisi d’impresa.
Esso, dunque, svolge un’importante funzione dal punto di vista della procedura di
allerta interna.
La predisposizione del piano industriale da parte di un’azienda esplica la propria
utilità anche in ipotesi di successivo accesso da parte della stessa al nuovo istituto
della composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa.
In particolare, laddove il management abbia provveduto per tempo alla redazione
di un piano d’impresa, la società sarà in grado di adempiere in modo più puntuale
e preciso alle prescrizioni poste dall’art. 17 del Codice della crisi d’impresa e
dell’insolvenza.
Quest’ultimo, infatti, richiede di allegare all’istanza per la nomina dell’esperto un
progetto del piano di risanamento aziendale.
Prima di procedere all’analisi della disciplina del piano industriale, è, tuttavia,
doveroso svolgere una premessa.
Tale strumento viene abitualmente predisposto da un professionista di fiducia
dell’imprenditore sulla scorta delle indicazioni di quest’ultimo.
Il consulente aziendale, in particolare, svolge un’attività di assistenza sul versante
della pianificazione a livello economico-finanziario.
Egli, inoltre, fornisce una panoramica circa i differenti scenari economici, a livello
macro e micro, con i quali l’impresa si dovrà necessariamente confrontare.
L’identificazione e la successiva declinazione della formula imprenditoriale sono,
invece, di competenza del management aziendale.
E’ l’imprenditore, in tal senso, il soggetto che nella realtà quotidiana si deve
confrontare con le variabili endogene ed esogene che possono favorire o ostacolare
la realizzazione degli obiettivi programmati.
Non è, d’altro canto, né semplice, né scontato che questi ultimi vengano sempre
raggiunti.
L’esperienza quotidiana, al contrario, ci insegna che è assai frequente che si
possano verificare alcuni scostamenti rispetto ai risultati auspicati.
In tal senso, occorre tener presente che il piano industriale costituisce uno
strumento complesso ed in divenire.
Esso va periodicamente adattato al mutare delle circostanze.
23
Il monitoraggio dello stesso, pertanto, costituisce una fase tanto importante quanto
quella della sua iniziale predisposizione.
Svolgiamo, di seguito, una breve disamina circa i tratti salienti che
contraddistinguono la disciplina del piano d’impresa.
Un valido ausilio per i redattori di quest’ultimo è fornito, in ambito professionale,
dalle “”Linee guida alla redazione del business plan”, predisposte a maggio del
2011 dal Gruppo di lavoro dell’area finanza aziendale del Consiglio nazionale dei
dottori commercialisti e degli esperti contabili
23
.
In via preliminare, va fatta una distinzione tra il business plan ed il piano
industriale.
I principi ispiratori e le tecniche di redazione di questi due documenti sono
sostanzialmente i medesimi.
Tuttavia, il primo si differenzia dal secondo in quanto è abitualmente utilizzato
dalle imprese in occasione dell’avvio di una nuova attività imprenditoriale o di un
nuovo progetto.
Il piano industriale, invece, viene prevalentemente impiegato da aziende già
consolidate, laddove si renda necessario svolgere una verifica circa le prospettive
di tenuta o di sviluppo della gestione aziendale.
Abitualmente, peraltro, le due definizioni vengono utilizzate indifferentemente per
riferirsi al piano d’impresa.
Le linee direttive da seguire nella predisposizione di tale documento sono quelle
della chiarezza, della completezza, della affidabilità, della attendibilità, della
neutralità, della trasparenza e della prudenza.
Il rispetto di tali regole assicura che la redazione del piano industriale avvenga in
modo professionale ed oggettivo.
Tale circostanza è imprescindibile affinché l’elaborato in questione possa costituire
un valido ausilio per l’imprenditore e per la funzione di controllo in sede di
monitoraggio delle situazioni di equilibrio a livello economico, finanziario e
patrimoniale.
L’orizzonte temporale oggetto di analisi è abitualmente compreso tra i tre ed i
cinque anni.
La predisposizione del piano d’impresa richiede il ricorso a figure professionali sia
interne, sia esterne all’impresa.
Queste ultime, in particolare, devono poter disporre di una certa dimestichezza nel
campo della programmazione industriale.
E’, inoltre, necessario che l’azienda sia in grado di fornire ai redattori un flusso
informativo aggiornato e completo.
In termini generali, è possibile procedere alla individuazione di tre parti ideali di
tale documento.
Esse sono quelle relative alla descrizione dell’impresa, alla identificazione del
progetto ed alla redazione del bilancio previsionale.
Le prime due rivestono un carattere qualitativo, mentre la terza presenta una
23
Aa.V .v., Linee guida alla redazione del business plan, Roma, CNDCEC, 2011;
24
connotazione di tipo maggiormente quantitativo.
Di quest’ultima, peraltro, avremo occasione di occuparci in occasione del prossimo
paragrafo.
Tanto premesso, procediamo all’analisi delle prime due sezioni del piano
industriale.
La prima si apre con una sommaria panoramica del profilo dell’azienda e della sua
storia.
Viene, inoltre, identificata la presenza di eventuali collegamenti con altre realtà
imprenditoriali, riconducibili ad un medesimo gruppo di aziende.
In tale fase, è necessario procedere ad una descrizione dell’assetto proprietario e
della governance.
Successivamente, occorre illustrare l’offerta.
Quest’ultima consiste nell’elencazione dei prodotti e dei servizi che vengono messi
a disposizione della clientela, di cui devono essere descritte le principali
caratteristiche.
Vengono, inoltre, illustrati i bisogni che l’azienda si prefigge di soddisfare.
Infine, si esaminano gli elementi caratteristici e distintivi dell’offerta dell’impresa
rispetto a quelli dei principali competitor.
Di seguito, si procede all’individuazione del mercato target.
Tale attività consiste nella definizione dell’insieme dei clienti attuali e di quelli
potenziali.
In tale fase, va evidenziata, in particolar modo, la portata della domanda corrente
e le previsioni per il prossimo futuro.
Un ruolo fondamentale viene ad assumere anche l’identificazione della marginalità
tipica del settore.
Essa, come avremo modo di vedere più avanti, riveste grande importanza ai fini
della pianificazione strategica.
In sede di monitoraggio del piano di impresa, infatti, tale informazione consente
di verificare l’adeguatezza dei livelli dell’Ebitda margin.
Eventuali scostamenti rispetto ai valori standard, al contrario, possono essere
sintomatici di una fase di incubazione della crisi d’impresa.
A tal proposito, è possibile ricorrere a studi appositamente predisposti, che sono a
disposizione delle aziende e dei professionisti che le assistono.
L’analisi del sistema competitivo allargato fornisce, invece, informazioni sui
concorrenti attuali e su quelli futuri, oltreché sull’ambiente nel quale l’azienda si
trova a dover operare.
In tal senso, per stabilire il grado di attrattività di un determinato settore, si ricorre
abitualmente al modello delle cinque forze di Porter.
Attraverso quest’ultimo, è possibile procedere ad un’identificazione degli elementi
che vengono ritenuti maggiormente determinanti ai fini della decisione se rimanere
o uscire da un determinato mercato.
I fattori da prendere in considerazione sono quelli relativi alla individuazione delle
prospettive di entrata di nuovi competitor, alla minaccia di possibili sostituti, al
potere contrattuale dei clienti e dei fornitori e, infine, al grado di rivalità esistente
25
tra i diversi concorrenti.
Tali aspetti devono essere costantemente verificati dall’impresa anche nelle fasi
successive rispetto a quella della predisposizione del piano industriale, ai fini della
procedura di allerta.
Essi, infatti, rappresentano elementi di rischio in grado di innescare una potenziale
situazione di difficoltà aziendale.
Il successivo step è quello dell’identificazione della strategia.
Con tale espressione si intendono i macro-obiettivi che l’impresa si è prefissata di
raggiungere e le scelte operative attraverso le quali essa ha inteso darvi concreta
attuazione.
A tal proposito, occorre evidenziare se vengono perseguite politiche di
diversificazione o, alternativamente, leadership di costo.
Nel primo caso, evidentemente, si punta ad intercettare una nicchia di mercato,
attraverso prodotti che possano presentare un certo grado di attrattività per la
clientela.
Nel secondo, ai fini del successo della strategia, riveste particolare importanza la
capacità di presentare un’offerta più conveniente rispetto a quella dei principali
competitor.
In tal caso, assume rilievo la decisione di sfruttare eventuali economie di scala o
di operare una politica di contenimento dei costi.
Successivamente, occorre procedere ad una descrizione delle scelte operative poste
in essere.
Esse si riferiscono alla programmazione del ciclo attivo e di quello passivo, alla
politica di gestione delle rimanenze o alle decisioni assunte a livello commerciale
e di marketing.
Viene, dunque, svolta una sommaria descrizione delle caratteristiche della
produzione.
In tale sede, occorre prestare particolare attenzione all’analisi del know-how
aziendale.
Infine, si procede all’illustrazione dell’organigramma dell’impresa.
La seconda sezione del piano industriale è quella relativa alla descrizione del
progetto che l’impresa intende porre in essere al fine di migliorare o rivedere la
propria formula imprenditoriale.
Essa assume una particolare importanza, come avremo modo di vedere in
occasione del terzo capitolo, in sede di predisposizione del piano di risanamento,
laddove si renda necessario implementare i livelli del cash flow prospettico
attraverso l’avvio di nuove iniziative industriali.
In primo luogo, occorre definire in termini generali gli obiettivi e gli investimenti
che l’impresa intende perseguire nel prossimo futuro
24
.
Per tali finalità, viene utilizzata la cosiddetta SWOT Analisys.
Attraverso di essa vengono identificati i punti di forza (strenghts) e quelli di
debolezza (weaknesses) dell’azienda, oltreché le opportunità (opportunities) e le
minacce (threats) del progetto.
24
Aa.Vv., Linee guida alla redazione del business plan, Roma, CNDCEC, 2011, pp. 42 e segg.
26
Assume particolare importanza, in tale fase, l’individuazione delle modalità
attraverso la quale l’impresa intende concretamente raggiungere gli obiettivi
programmati.
In termini generali, abbiamo già avuto modo di vedere come sia possibile
distinguere una politica di leadership di costo rispetto ad una strategia di
differenziazione.
Aggiungiamo ora che può essere correlativamente adottata una decisione di
crescita interna o esterna, di concentrazione, di fusione o di acquisizione.
Le scelte, in ogni caso, vanno effettuate a livello di singolo settore o per l’azienda
vista nel suo complesso.
Nella prima ipotesi, devono essere stabilite le aree strategiche di affari in cui
l’impresa intende operare
25
.
Tale valutazione dipende, in primo luogo, dalla marginalità tipica del settore.
Occorre, poi, tener conto del posizionamento strategico dell’impresa.
In tale fase, va anche presa in considerazione la quota di mercato cui l’azienda può
ragionevolmente ambire ad operare.
Infine, si deve valutare la capacità di introdurre innovazioni, usufruendo di un
eventuale vantaggio competitivo.
Di seguito, è necessario procedere all’analisi degli investimenti da effettuare.
A tale scopo, può essere svolto un processo di attualizzazione dei flussi di cassa
previsti in entrata ed in uscita.
In questo modo, è possibile addivenire alla determinazione del valore attuale netto
(V AN) del progetto.
Attraverso questa stima, l’impresa può verificare il grado di remunerazione
previsto per i propri investimenti.
Dopo aver selezionato il settore nel quale l’azienda intende operare, è necessario
prestare particolare attenzione al sistema di prodotto verso il quale essa ritiene di
dover focalizzare la propria attenzione
26
.
In particolare, occorre identificare le caratteristiche dello stesso.
In primo luogo, va stabilito il valore che esso è in grado di generare per la clientela.
Di seguito, devono essere definite le politiche dei prezzi e la competitività
dell’offerta, comparandole rispetto a quelle poste in essere da parte dei principali
competitor.
Occorre poi, decidere se l’iniziativa è tesa al mantenimento di un prodotto già in
essere o all’introduzione di uno nuovo.
Da ultimo, è necessario identificare le modalità attraverso le quali si intende
procedere alla misurazione dei risultati conseguiti attraverso la messa in opera del
piano industriale.
A tal fine, viene abitualmente utilizzato lo strumento del Balanced scorecard.
Quest’ultimo è un processo di rilevazione delle performance aziendali poste in
25
P.MAZZOLA, Il piano industriale, Progettare e comunicare le strategie d’impresa, Milano, Egea, 2003,
pp. 50 e segg.;
26
G.AIROLDI, G.BRUNETTI E V .CODA, Corso di economia aziendale, Milano, Il Mulino, 2005, pp. 333
e segg.;
27
essere da parte dell’impresa.
Vengono prese in considerazione, in particolar modo, quattro diverse prospettive.
Dapprima, il raggiungimento degli obiettivi dell’attività di progettazione è valutato
sulla scorta della percezione da parte degli azionisti (come ci percepiscono i nostri
azionisti?) e di quella da parte dei clienti (come ci percepiscono i nostri clienti?).
Occorre, successivamente, tener conto dell’identificazione delle attività in cui è
necessario eccellere (in che cosa è necessario eccellere?), nonché della
valutazione della capacità di migliorare e cambiare (come coltiviamo la nostra
capacità di cambiare e migliorare?)
27
.
Ovviamente, laddove, all’esito delle risposte alle domande sopraccitate, emergano
alcuni aspetti di criticità, sarà necessario adottare idonee misure correttive.
1.7 Il bilancio previsionale: il conto economico, lo stato patrimoniale ed il
rendiconto finanziario.
La parte quantitativa del piano industriale consente di dare traduzione a livello
numerico alle strategie e agli obiettivi pianificati da parte dell’impresa.
Essa, in particolare, consiste nella predisposizione pro forma del conto economico,
dello stato patrimoniale e del rendiconto finanziario.
Attraverso il successivo monitoraggio dei prospetti in questione è, poi, possibile
verificare l’andamento della gestione aziendale, intervenendo laddove si registrino
scostamenti rispetto ai dati previsionali.
La qualità di questi ultimi, d’altro canto, dipende in massima parte dalla fondatezza
delle assumption che ne sono alla base.
In particolare, occorre che la valorizzazione delle voci presenti nella sezione
quantitativa del piano industriale avvenga sulla scorta dei dati storici di bilancio
registrati nel corso dell’ultimo triennio.
Questi vanno opportunamente rielaborati per tener conto, oltreché della presenza
di eventi eccezionali, altresì delle prospettive dei mercati di riferimento e degli
impatti delle politiche di crescita e di investimento programmate da parte
dell’impresa.
Procediamo, di seguito, all’analisi delle tre tavole di cui si compone la sezione
quantitativa del piano industriale.
In primo luogo, prendiamo in considerazione la riclassificazione del conto
economico.
Quest’ultima ha, come principale finalità, quella di rappresentare la marginalità e
la redditività in via prospettica dell’azienda, a seguito della messa in opera delle
strategie aziendali.
Una prima tipologia di rielaborazione è quella a valore aggiunto.
Essa è la forma abitualmente utilizzata dagli analisti esterni, in quanto non richiede
di avere a disposizione un bilancio analitico.
27
AaVv, Gestione delle risorse umane, Santarcangelo di Romagna (RN), Maggioli editore, 2017, pp. 23-
25;
28
In tale caso, viene adottata una modalità di rappresentazione per natura dei
componenti positivi e di quelli negativi del reddito.
Sono evidenziati, in particolare, alcuni risultati intermedi particolarmente
significativi.
Tra questi rientrano il valore della produzione, il valore aggiunto, il margine
operativo lordo ed il risultato operativo.
Assume importanza soprattutto il MOL, il quale viene calcolato al lordo dei costi
non monetari.
Tale aggregato dà conto, almeno in via di prima approssimazione, del flusso di
cassa grezzo che l’impresa è in grado di generare attraverso lo svolgimento del
core business aziendale.
Una volta sottratti gli ammortamenti, gli accantonamenti e le svalutazioni si ottiene
il margine operativo netto (MON).
Quest’ultimo costituisce un indicatore della redditività imputabile al solo
svolgimento dell’attività caratteristica.
Il risultato prima delle imposte, poi, fornisce informazioni circa l’impatto della
gestione finanziaria dell’impresa nella determinazione dell’utile di fine periodo.
Infine, dopo aver considerato i componenti straordinari e la parte fiscale, si
perviene al calcolo del reddito netto.
La modalità di riclassificazione del conto economico maggiormente utilizzata ai
fini della predisposizione del piano industriale è, tuttavia, quella a margine di
contribuzione.
Anche in essa è presente una suddivisione per natura dei componenti positivi e di
quelli negativi del reddito.
In particolare, si procede ad una differenziazione dei costi a seconda che essi
presentino un carattere fisso o variabile.
Questa tipologia di rappresentazione consente di verificare le condizioni di
efficienza dell’impresa, nonché il grado di elasticità o, alternativamente, di rigidità
della struttura aziendale.
Attraverso di essa, gli analisti possono stabilire in modo più dettagliato il livello di
marginalità che l’impresa è in grado di generare grazie allo svolgimento
dell’attività caratteristica.
Tale circostanza si rileva decisiva soprattutto al fine di determinare lo stato di
salute di un’azienda.
Abbiamo già avuto modo di vedere in precedenza come la crisi d’impresa, in
corrispondenza della fase iniziale dell’incubazione, tenda a manifestarsi non solo
mediante una contrazione del livello dei ricavi, ma, anche e soprattutto, attraverso
una riduzione dei livelli dell’Ebitda margin.
Ne consegue che, in corrispondenza di una situazione di forte ed improvviso
decremento del volume degli affari, sarà necessario intervenire al fine di rivedere
al ribasso l’ammontare complessivo dei costi.
In particolare, il valore di quelli variabili dovrà essere parametrato rispetto a quello
dei ricavi.
Per i costi fissi, invece, i margini di manovra sono più limitati.
29
Essi, in buona parte, dipendono dalla tipologia degli stessi, a seconda che siano
discrezionali o non discrezionali.
In questo modo, è possibile prevenire la formazione di situazioni di squilibrio a
livello economico e finanziario in seno all’impresa.
Riportiamo, di seguito, un breve schema di conto economico riclassificato a
margine di contribuzione
28
.
Esso è tratto dal documento “Principi per la redazione dei piani di risanamento”,
elaborato a settembre 2017 dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e
degli esperti contabili.
Il modello sotto indicato consente di confrontare i dati realizzati a consuntivo con
quelli oggetto di previsione in sede di predisposizione del piano industriale.
Tale circostanza permette di cogliere con maggior facilità la presenza di eventuali
scostamenti.
Alfa Spa Conto Economico 20xx-
20xx
20xx
Consuntivo
20xx
Previsionale
20xx
Piano
20xx
Piano
20xx
Piano
Ricavi caratteristici - - - - -
Altri ricavi e/o ricavi non ricorrenti - - - - -
Ricavi - - - - -
Costi variabili diretti - - - - -
Margine di contribuzione - - - - -
Costi del personale - - - - -
Costi per servizi - - - - -
Costi per godimento beni di terzi - - - - -
Altri costi generali ed amministrativi - - - - -
Margine Operativo Lordo
(EBITDA)
- - - - -
Ammortamenti e svalutazioni - - - - -
Accantonamento rischi ed oneri - - - - -
Reddito Operativo (EBIT) - - - - -
Proventi ed oneri finanziari - - - - -
Proventi ed oneri straordinari - - - - -
Reddito Ante Imposte (EBT) - - - - -
Imposte - - - - -
Reddito Netto - - - - -
Innanzitutto, è necessario scorporare i ricavi caratteristici rispetto a quelli non
ricorrenti.
E’ evidente che i primi rivestono maggiore importanza, in quanto vengono
realizzati attraverso lo svolgimento del core business aziendale.
In seconda battuta, va presa in considerazione la componente dei costi.
In particolare, si devono distinguere quelli diretti rispetto a quelli indiretti.
I primi sono interamente imputabili al prodotto, mentre gli altri sono riferibili ad
28
Aa.V .v., Principi per la redazione dei piani di risanamento, Roma, CNDCEC, 2017, p. 27;
30
esso solo pro quota.
E, poi, possibile separare i costi variabili da quelli fissi.
I costi variabili, in particolare, mutano proporzionalmente rispetto al volume di
affari registrato.
Quelli fissi, invece, devono essere sostenuti indipendentemente dal livello dei
ricavi conseguito da parte dell’impresa.
La differenza tra i ricavi ed i costi variabili diretti origina, poi, il margine di
contribuzione.
Questo risultato riveste una grande valenza segnaletica.
Esso, infatti, consente di comprendere in quale misura i ricavi contribuiscano alla
copertura dei costi variabili indiretti, oltreché di quelli fissi.
Di seguito, come abbiamo già avuto modo di vedere per il conto economico
riclassificato secondo il valore della produzione, è possibile determinare, in
successione, il margine operativo lordo, il risultato operativo della gestione
caratteristica, il reddito operativo, il reddito ante imposte e quello netto.
Prendiamo, a questo punto, in considerazione la riclassificazione dello stato
patrimoniale.
Attraverso di essa, è possibile verificare se l’impresa presenti, o meno, una
struttura in equilibrio.
Lo schema maggiormente utilizzato è quello di tipo finanziario.
In esso, tutte le attività vengono ordinate sulla base del criterio della liquidità
crescente.
Viene distinto, in particolare, l’attivo circolante da quello fisso, a seconda che lo
smobilizzo delle poste di bilancio possa avvenire in un periodo inferiore o
superiore ai dodici mesi.
Le passività, di contro, sono suddivise mediante il metodo della liquidità
decrescente.
In questo caso, è possibile procedere ad una separazione delle passività correnti,
con scadenza inferiore ai dodici mesi, rispetto a quelle consolidate, con durata
superiore ai dodici mesi.
Infine, vi è il patrimonio netto, la cui fonte di rimborso non è predeterminabile a
priori.
Occorre, tuttavia, evidenziare come la modalità di riclassificazione dello stato
patrimoniale maggiormente utilizzata in sede di predisposizione del piano
industriale sia quella secondo il criterio della pertinenza gestionale.
In essa le attività e le passività vengono separate a seconda delle differenti aree
gestionali di riferimento.
In particolare, le fonti e gli impieghi sono suddivisi tra quelli relativi alle attività
operative e quelli riconducibili alle attività esterne rispetto alla gestione
caratteristica.
Di seguito, si riporta il prospetto di uno stato patrimoniale riclassificato secondo il
criterio della pertinenza gestionale
29
:
29
Aa.Vv., Principi per la redazione dei piani di risanamento, Roma, CNDCEC, 2021, p. 27;