6
L’Unione europea cerca di aiutare i paesi in via di sviluppo ad
estendere il loro apparato industriale nazionale e ad aumentarne il
valore di produzione attraverso flussi di capitali che si stanno sempre
più spostando dall’assistenza ufficiale allo sviluppo agli investimenti
esteri diretti.
Partendo da queste prime considerazioni verrà sviluppata
l’evoluzione, in linee generali, della cooperazione comunitaria allo
sviluppo, con particolare attenzione alla cooperazione industriale ed
agli strumenti attraverso i quali è attuata.
Per cooperazione industriale comunitaria è intesa quella
politica dell’Unione europea volta al sostegno del settore privato ed
alla promozione e protezione degli investimenti stranieri.
Su questi due elementi la Comunità punta per la ristrutturazione
e la crescita economica sia dei paesi in via di sviluppo che
dell’Unione europea, se si considera il fatto che il mercato unico sarà
più forte e tanto meno protezionista, quanto più le imprese europee
saranno internazionalizzate, integrate e proiettate sui mercati extra-
europei. Quindi, uno degli obiettivi prioritari per l’Unione europea è
attualmente quello di creare un ambiente favorevole allo sviluppo
della competitività delle imprese comunitarie ed alla promozione
degli investimenti esteri diretti privati.
In quest’ambito di globalizzazione ed internazionalizzazione,
hanno assunto un ruolo preponderante le piccole e medie imprese che
grazie alle loro peculiarità, di flessibilità e dinamismo, si adattano
meglio a questo processo in cui stanno sempre più assumendo un
ruolo rilevante i fattori tecnologici: informatica e telematica,
favorendo comportamenti e flussi economici impossibili da attuare
fino a pochi anni fa.
L’importanza del ruolo delle piccole e medie imprese
all’interno della Comunità è emerso già negli anni ‘70 e da allora
sono state sempre più le politiche a loro favore.
Le piccole e medie imprese hanno però bisogno per affrontare
nuovi mercati di alleanze con partners locali, che oggi sono divenute
una scelta obbligata per passare dall’attività di esportazione ad una
7
internazionalizzazione reale e per conquistare una quota crescente del
mercato globale.
La Comunità ha perciò messo a punto una serie di strumenti
specifici per migliorare la cooperazione tra imprese. Tra questi
emerge in qualità di strumento finanziario l’ECIP (European
Community Investment Partners), al fine di promuovere società miste
tra imprese comunitari e dei paesi in via di sviluppo.
Nel corso degli anni ‘80 era, infatti, emersa l’esigenza di uno
strumento flessibile capace di assistere le imprese private interessate
ad investire attraverso attività di produzione nei paesi in via di
sviluppo. La convinzione della mutualità dei vantaggi in operazioni di
questo tipo ha portato alla conseguente creazione dell’ECIP.
Istituito originariamente come progetto pilota della durata di
due anni (1988-1991) è stato successivamente riconfermato nel ‘92 e
nel ‘96. Oggi l’ECIP rappresenta l’unico strumento finanziario che si
rivolge direttamente agli imprenditori intenzionati a creare joint
venture o a stilare accordi di licenza con partners dei paesi del
Mediterraneo, America Latina, Asia, e Sudafrica.
Analizzare l’ECIP è importante anche in virtù del fatto che è
stato il precursore di altri due strumenti di finanziamento volti
soprattutto alle piccole e medie imprese per progetti di investimento
nell’Europa dell’Est e all’interno della Comunità: JOPP e JEV.
Inoltre, se da un lato l’ECIP testimonia gli innumerevoli sforzi fatti
fino ad oggi dall’Unione europea in ambito di cooperazione
industriale dall’altro evidenzia le difficoltà relative alle pratiche
burocratiche a cui è collegato, fornendo occasione di riflessione sui
legami tra Comunità ed operatori privati.
La prima parte dell’elaborato è dedicata all’analisi
dell’evoluzione nei rapporti tra la Comunità europea ed il sud del
mondo.
Il capitolo primo tratterà le origini della cooperazione allo
sviluppo comunitaria.
8
Il secondo capitolo svilupperà nello specifico la cooperazione
industriale presentando gli atteggiamenti comunitari in relazione alle
aree geografiche ed alla scelta dei diversi strumenti adottati.
Nella seconda parte verrà analizzato il ruolo delle piccole e
medie imprese, partendo dalla presentazione dell’evoluzione storica
della politica industriale comunitaria per arrivare all’analisi
dell’attuale ruolo delle piccole e medie imprese all’interno della
Comunità e nei processi di internazionalizzazione e globalizzazione
dei mercati. Nel fare questo verranno presi in considerazione gli
strumenti finanziari comunitari volti alle piccole e medie imprese sia
all’interno che all’esterno dell’Europa.
Il terzo capitolo tratterà l’evoluzione della politica industriale
comunitaria con particolare attenzione al ruolo delle piccole e medie
imprese.
Nel quarto capitolo, invece, saranno presentati i programmi ed i
finanziamenti dell’Unione europea per l’internazionalizzazione delle
piccole e medie imprese.
La terza ed ultima parte sarà riservata all’analisi del programma
ECIP.
Il quinto capitolo verrà, infatti, dedicato all’illustrazione della
disciplina che regola questo strumento finanziario con la
presentazione di alcuni dati relativi all’utilizzazione dell’ECIP.
Il sesto capitolo approfondirà la prima agevolazione prevista
dall’ECIP: partendo da un’analisi teorica verrà trattata il suo
funzionamento reale, grazie all’utilizzo di un questionario allegato in
appendice 1.
Nel settimo capitolo verrà analizzata la seconda agevolazione
dell’ECIP, anche in questo caso con l’ausilio di un questionario,
allegato in appendice 4. In questa parte, inoltre, sarà proposta
un’esercitazione svolta in relazione all’analisi di una domanda di
richiesta della facility 2 dell’ECIP, allegata in appendice 2, cercando
di evidenziare i punti nei quali si sono commessi errori ed
imprecisioni.
9
L’ottavo capitolo sarà, invece, dedicato alla presentazione
rispettivamente delle agevolazioni tre e quattro dell’ECIP, che
saranno, però, trattate in linee generali a causa della loro scarsa
applicazione.
L’elaborato termina con alcune considerazioni conclusive sul
lavoro svolto, in relazione al fatto che la Comunità ha compiuto
notevoli progressi sia in campo di politica di cooperazione industriale
verso i paesi in via di sviluppo, che di politica industriale. Ma
l’analisi dell’ECIP evidenzia come esista ancora uno squilibrio tra i
programmi comunitari e le esigenze dei piccoli e medi imprenditori.
10
PARTE PRIMA
CAPITOLO 1 La cooperazione allo sviluppo della Comunità
Europea verso il Sud del Mondo
Il primo passo da compiere quando si parla di cooperazione allo
sviluppo comunitario è chiarirne le dinamiche di evoluzione. La
discussione sui modelli di sviluppo è oggi più che mai aperta in vista
della globalizzazione dei mercati ed è quindi estremamente
interessante verificare la presa di posizione dell’Unione europea.
In questo primo capitolo verranno evidenziate le motivazioni
che hanno spinto la Comunità ad allargare la propria azione a favore
dei paesi in via di sviluppo.
Saranno analizzate innanzitutto le problematiche che hanno
accompagnato l’evolversi della cooperazione allo sviluppo con
particolare attenzione alle soluzioni adottate. Il punto di maggiore
interesse è sicuramente la decisione presa dalla Comunità, a partire
dalla fine degli anni’80, di decentrare il suo operato in ambito di
cooperazione verso i paesi in via di sviluppo.
Questa volontà è attuata in linea con gli orientamenti della
cooperazione comunitaria a favore dello sviluppo sociale e duraturo e
del rafforzamento della democrazia e dei diritti della persona umana.
1
11
Si veda artt. 130 U e seguenti del Trattati di Maastricht.
11
1.1 Le origini della cooperazione comunitaria allo sviluppo
La cooperazione allo sviluppo della Comunità Europea affonda
le sue radici nel tradizionale legame creato ed utilizzato, in
particolare dalla Francia, per preservare l’influenza della madrepatria
sulle proprie colonie, pur concedendo diversi gradi di autonomia:
l’associazionismo. Già presente ufficialmente nella Costituzione
francese del 1946, l’associazionismo divenne espressione della
continuazione dei legami con le colonie anche nel Trattato di Roma
(parte IV, artt.131-136).
La definizione di paesi associati
2
comprende i paesi e territori,
così chiamati nel Trattato, non europei che vantavano strette relazioni
con alcuni Stati membri. Gli associati non sono chiamati a contribuire
al bilancio comunitario e sono esenti dagli obblighi inerenti
all’attuazione del trattato, salvo per le particolari disposizioni che li
riguardano. Ricevono preferenze doganali, e aiuti finanziari e tecnici
in cambio di preferenze inverse e della graduale eliminazione dei
contingenti relativi alle importazioni comunitarie.
L’associazionismo comprende azioni sia di natura
commerciale, che aiuti comunitari: abolizione dei dazi; regolazione
della libera circolazione della forza lavoro e delle imprese pubbliche o
corporazioni, tra i paesi associati e gli Stati membri e viceversa;
creazione del Fondo Europeo per lo Sviluppo (FES)
3
, per sostenere
gli aiuti finanziari agli associati.
2
Con il Trattato di Roma, del 1957, si associarono alla CEE i paesi: dell’Africa
Occidentale francese (Dahomay, Guinea, Costa d’Avorio, Mauritania, Niger,
Senegal, Sudan, Alto Volta), dell’Africa Equatoriale francese (Cameroon, Chad,
Congo francese, Gabon, Ubangi-Chari), gli altri territori francesi (Autonoma
Repubblica del Togo, Madagascar, Comorre, Polinesia francese, Algeria, Reunion,
Guiana, martinique, Guadalupo, St.Pierre e Miquelon, Somalia francese, nuova
caledonia), e Congo, Ruanda-Urundi, Somalia e Nuova Guinea.
3
Il FES nasce come strumento finanziario extra-budgetario per gli stati associati
alla CEE (cioè gli attuali paesi ACP). I crediti sono accordati sotto forma di aiuti
non rimborsabili per gli investimenti economici e sociali affinché questi progetti
contribuiscano allo sviluppo di infrastrutture. Il I FES se pur di dimensioni ridotte
- 580 milioni di ecu - fu significativo perché i fondi provenivano direttamente dal
budget degli Stati membri.
12
Questa prima politica di sviluppo seppure voluta
principalmente dall’esigenza della Francia di inglobare i propri
territori d’oltre mare nella nascente Comunità, rappresentò il primo
passo verso la mondializzazione dell’operato comunitario.
La Comunità europea lasciò, infatti, aperta la possibilità per un
altro tipo di associazionismo rivolto soprattutto, anche se
implicitamente, ai paesi del bacino del Mediterraneo: l’art. 238 del
Trattato di Roma stabilisce che “La Comunità può concludere con un
terzo paese, un unione di Stati o un’Organizzazione Internazionale,
accordi che istituiscano un’associazione caratterizzata da diritti e
obbligazioni reciproci, da azioni in comune e procedure particolari.”
Con il Trattato di Roma venne istituita, inoltre, la Banca
Europea per gli Investimenti (BEI) per contribuire principalmente allo
sviluppo equilibrato del Mercato Comune. L’articolo 18 dello statuto
della BEI, però, prevede che: “La Banca può.... ugualmente concedere
crediti per progetti di investimenti realizzati o tutti o in parte fuori dai
territori europei degli Stati membri.”; evidenziando la sua ulteriore
qualifica di strumento per gli aiuti allo sviluppo.
Oggi la BEI partecipa alla costituzione dell’Europa unita,
principalmente in termini di integrazione economica e maggiore
coesione economica e sociale, ed i finanziamenti accordati all’interno
dell’Unione europea rappresentano circa il 90% della sua attività
4
. Ma
la BEI è anche ai primissimi posti della scena internazionale e,
all’esterno dell’Unione europea, opera in qualità di banca per lo
sviluppo per sostenere la politica comunitaria di cooperazione e aiuto
allo sviluppo in più di 120 paesi
5
.
I prestiti della BEI vengono concessi a condizioni privilegiate
in Africa, nei Caraibi e nel Pacifico, grazie all’istituzione di un
sistema di capitali a rischio, e mediante risorse del FES, in grado di
4
Si veda Banca Europea per gli Investimenti, BEI informazioni, n°90, 4° trimestre,
Lussemburgo, BEI, 1996, p.10.
5
Per approfondimenti Banca Europea per gli Investimenti, La Banca Europea per
gli Investimenti, Lussemburgo, BEI, 1996, p.14.
13
coprire gli abbuoni d’interesse e le dilazioni di pagamento. In Asia ed
in America Latina, essi sono, invece, generalmente garantiti dal
bilancio comunitario, mentre nel bacino del Mediterraneo possono
essere accompagnati da abbuoni di interesse provenienti dal bilancio
comunitario
6
.
L’ondata di proclamazioni di indipendenza che iniziarono a
cavallo degli anni ‘50-’60 ha contribuito fortemente a modificare la
politica di cooperazione comunitaria. I paesi che ottennero
l’indipendenza uscirono dal confine degli art.131-136, ma chiesero
ugualmente, ad esclusione della Guinea, di associarsi alla Comunità,
per mantenere l’accesso preferenziale ai mercati della CEE e per
continuare a ricevere aiuti.
Gli accordi di associazione tra le nuove Nazioni africane,
riunite sotto il nome di Stati Africani e Malgascio Associati
(SAMA),
7
e la Comunità Europea iniziarono nel dicembre del 1962, e
l’anno successivo venne siglata la I Convenzione di Yaoundé.
Agli inizi degli anni ‘60 la Gran Bretagna iniziò a negoziare la
sua entrata nella Comunità ed il ruolo dei paesi del Commonwealth.
L’entrata nella CEE della Gran Bretagna avrebbe significato, per la
comunità, un incremento degli aiuti comunitari allo sviluppo e, per le
ex-colonie francesi, un aumento della concorrenza sul mercato
comunitario.
Fino al 1973 la Gran Bretagna non entrò nella CEE, ma nel
1963 la Comunità, mediante una dichiarazione di intenti, voluta
soprattutto da Germania, Italia e Paesi Bassi, lasciò aperto la
possibilità per i paesi aventi “strutture di produzioni comparabili con
quelle degli associati” di rientrare nella Convenzione di associazione;
e quindi di sancire accordi speciali di associazione con la Comunità
6
Cfr. Commissione CE, Aiuti e prestiti dell’Unione Europea, Lussemburgo,
Ufficio delle pubblicazioni della Comunità Europea, 1996, 134.
7
Burundi, Camerun, Repubblica Centrafricana, Ciad, Congo, Zaire, Dahomey,
Gabon, Costa d’Avorio, Madagascar, Mali, Mauritania, Niger, Ruanda, Senegal,
Somalia, Togo e Alto Volta.
14
europea e di siglare accordi commerciali per facilitare gli scambi tra
gli Stati membri ed i paesi in via di sviluppo.
8
Benché ancora in piena epoca di cooperazione allo sviluppo
intesa come concessione di aiuti pubblici, fu un passo avanti per
l’allargamento dell’influenza comunitaria.
8
La Nigeria aveva negoziato il primo accordo di questo tipo (formalmente sotto
l’art.238 del Trattato di Roma) e nel 1966 siglò la Convezione di Lagos, mai
entrata, però, in vigore a causa della guerra del Biafra. Sulla stessa linea, venne,
poi, firmata la Convenzione di Arusha nel 1968 tra i sei Stati membri e Kenya,
Tanzania e Uganda.
15
1.2 Dall’associazionismo alla politica globale di cooperazione
allo sviluppo
All’inizio degli anni ‘70, l’aumento dei tassi di crescita nei
paesi in via sviluppo, il boom dei prodotti primari e l’aumento del
prezzo del petrolio, spinsero la CEE a considerare la possibilità di
definire una politica globale di cooperazione allo sviluppo.
9
Nel Summit del 19 e del 20 ottobre 1972 a Parigi, per la prima
volta, i Capi di Stato e di governo dei paesi membri della CEE
definirono una politica globale di cooperazione allo sviluppo
stabilendo come assi portanti: il proseguimento della cooperazione
privilegiata con i paesi già legati all’Europa, e l’inizio di una
cooperazione generalizzata a tutti i paesi in via di sviluppo.
10
Il fattore più importante fu, probabilmente, il successo del
cartello OPEC (Organization of Petroleum Exporting Countries) sul
controllo nel mercato mondiale dei prodotti petroliferi. La forza
dell’OPEC fece sentire alla Comunità tutta la sua debolezza, in un
momento in cui emerse contemporaneamente il problema dell’elevata
inflazione e della scarsità di materie prime in Europa.
A partire dal 1973 l’ingresso della Gran Bretagna pose il
problema dell’allargamento del regime preferenziale di Yaoundé alle
ex-colonie inglesi facenti parte del Commonwealth. Con il protocollo
n°22 del Trattato di Accesso della Gran Bretagna nella Comunità
Economica Europea vennero invitati i paesi di lingua inglese
dell’Africa e gli altri Stati associabili a negoziare accordi con la CEE
ed i paesi asiatici del Commonwealth (non-associabili) a negoziare
accordi commerciali.
9
Cfr. Carlo Secchi “Una valutazione critica della politica comunitaria nei
confronti dei paesi in via di sviluppo” in Le politiche delle Comunità europee a
cura di Fausto Pocar, Milano, Unicopli, 1986, pp.231-232.
10
Comunità europea, La politique europeenne de cooperation ou developpement
philosophie regionaliste ou mondialiste?, Bruxelles, Ufficio delle pubblicazioni
delle CE, 1991, p.41.
16
Il 28 febbraio 1975 nella capitale del Togo venne firmata la I
Convenzione di Lomé rivolta ai paesi dell’Africa sub-sahariana, ed ad
alcuni piccoli Stati caraibici ed arcipelaghi del Pacifico; cioè il
gruppo degli Stati ACP (Africa sub-Sahara - escluso il Sud Africa -
Caraibi, e Pacifico).
11
Al di fuori della Convenzione di Lomé venne, però, creato un
separato network di aiuti allo sviluppo per determinati paesi ed
organizzazioni regionali nel bacino del Mediterraneo, Asia e America
Latina.
Per quanto riguarda l’area mediterranea, i primi accordi
bilaterali con la Comunità europea entrarono in vigore già negli anni
‘60, mentre è con il regolamento 442/81 del 1981 che il Consiglio
della Comunità europea ratificò la politica di cooperazione progettata
per l’Asia e la America Latina, nel tardo 1976.
11
L’Angola ed il Mozambico sono stati gli ultimi paesi africani non associati alla
Comunità ad entrare nel gruppo dei paesi ACP, con la partecipazione alla
Convenzione di Lomé III, ed oggi i paesi ACP sono settanta.
17
1.3 L’Unione Europea ed il rinnovamento della politica allo
sviluppo
Dall’inizio degli anni ’90, la Comunità europea ha
profondamente rinnovato la sua politica di sviluppo verso l’emisfero
sud del mondo, in un contesto caratterizzato dalla dissoluzione del
blocco sovietico e dall’adesione di molti paesi in via di sviluppo alle
regole dell’economia di mercato.
Questi nuovi orientamenti sono stati ufficializzati nel Trattato
di Maastricht, che stabilisce obiettivi generali per le politiche di
sviluppo attivate dalla Comunità. In particolare, il nuovo articolo 130
U traduce la filosofia comunitaria nei confronti dei paesi in via di
sviluppo, proponendo il raggiungimento di tre grandi obiettivi socio-
economici: 1) sviluppo economico-sociale durevole; 2) inserimento
progressivo dei paesi in via di sviluppo nell’economia mondiale; 3)
lotta contro la povertà. Ma il Trattato vuole anche evidenziare la
dimensione politica che deve accompagnare i suddetti fini, ponendo
l’accento (art. 130 U, comma 2) sul fatto che: “La politica della
Comunità (...) contribuisce a l’obiettivo generale dello sviluppo e
della consolidazione della democrazia e dello Stato di diritto, così
come all’obiettivo del rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali”.
12
La Cooperazione allo sviluppo è diventato, inoltre, un settore
distinto e prioritario nelle attività della Comunità europea che deve
attivare i programmi di sviluppo tenendo presente la
complementarietà con quelli dei singoli Stati membri; cioè
conformemente al principio di sussidiarità.
13
12
In questo articolo è espressa la natura della cooperazione decentrata che vede
concreta attuazione attraverso la voce del bilancio comunitario B7-5077 creata nel
1992. La comunità europea e il sud del mondo, pp.76-78.
13
Si veda Joel Lebullenger “La rénovation de la politique communautaire du
développement” in Revue Trimestrelle de droit européen, n°1, gennaio-marzo
1994, p.642.