5
La pubblicazione nel 1999 dello studio del professor Samuel Kline Cohn Jr.,
dal titolo “Creating the florentine state, peasants and rebellion“, dedicato in
buona parte alle ribellioni delle Alpi Fiorentine, ha dato ancor più risalto
all’importanza strategica di queste comunità montane.
Il vicariato del Podere sorse in una zona rimasta estranea all’organizzazione
due-trecentesca del contado fiorentino. Non si conosce molto del
funzionamento del governo del territorio prima dell’arrivo della dominante ma
è probabile che gli statuti del 1406 di Palazzuolo e del 1418 di Firenzuola
conservino parte delle strutture di controllo e coordinazione antecedente.
Dagli statuti non emerge una netta superiorità di un centro su di un altro
all’interno del vicariato. L’entità territoriale si governava con una costituzione
di fatto federale con ampie autonomie alle comunità e questo può sembrare un
lascito del periodo signorile.
I vicariati non sorsero per una volontà centrale del tutto indifferente al contesto
locale: sembra anzi che le precedenti realtà amministrative influenzarono le
scelte della dominante che prese atto della necessità di salvaguardare l’identità
istituzionale delle comunità montane. Prima di esaminare le vicende storiche e
gli statuti del podere fiorentino è però necessario uno sguardo d’insieme alla
città repubblica di Firenze.
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LA CITTA’ REPUBBLICA DI FIRENZE E LE SUE
ISTITUZIONI
Evoluzione istituzionale della città repubblica di Firenze.
Il governo fiorentino, com’è agli inizi del Quattrocento, ha origine nel 1282,
quando viene costituito il priorato, proseguendo poi sino al 1530, sia pure con
caratteristiche diverse.
Istituzionalmente il lungo periodo in cui Firenze è retta dal governo del
priorato può essere suddiviso in due periodi: uno dal 1282 al 1434 e l’altro dal
1434 al 1531 quando comincia il predominio mediceo culminante con la
grande riforma dello Stato del 1480 attuata da Lorenzo de’ Medici che instaura
un nuovo tipo di governo nel quale l’autorità ha origine da una sola forza
politica costituita dal potere quasi signorile della famiglia Medici affiancata da
aristocratici e la cessazione quasi totale della partecipazione alla vita dello stato
delle arti, della parte guelfa e delle compagnie di popolo. Nel 1531, sulle
rovine dell’ultimo regime repubblicano, si costituisce, col ducato mediceo, un
governo assoluto.
Nella storia di Firenze i primi anni del Quattrocento non rivestono una
particolare importanza, ma sono fondamentali per fotografare la situazione
politico-istituzionale poiché nel 1408-1409 appaiono gli statuti e nel 1415
questi stessi statuti sono ulteriormente selezionati.
Nel 1328 gli uffici maggiori dello stato sono i priori delle arti e il gonfaloniere
di giustizia, che insieme costituiscono il priorato, coadiuvati dai XII
buonuomini e dai gonfalonieri di compagnia; questi istituti restano al vertice
del governo fino al 1530.
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Anche i consigli del popolo e del comune restano sino al 1530 salvo breve
interruzione dal 1494 al 1512 e dal 1527 al 1529. Dal 1328 l’elezione delle
cariche pubbliche si svolge prevalentemente per squittino e successiva
imborsazione.
Dal 1329 al 1433 Firenze non subisce eventi rivoluzionari e il suo governo si
evolve in una lenta ma continua trasformazione. Le istituzioni sostengono una
prova durissima sotto la rivolta dei Ciompi ma anche in questi anni, nonostante
l’azione rivoluzionaria dei lavoratori dipendenti, affiancati dalle arti minori,
non si ha nessuna novità istituzionale ma solo un mutamento del rapporto con
cui le forze politiche partecipano al formarsi della volontà (tra arti maggiori e
arti minori e si fa posto anche alle tre arti dei lavoratori dipendenti).
La continuità delle istituzioni fiorentine non significa stasi ma continua
evoluzione, perfezionamento.
Nell’ambito della suddivisione politico-amministrativa del territorio soggetto
allo stato di Firenze non tutte le realtà locali godevano degli stessi diritti e
libertà. Il comune di Firenze, nell’espandersi oltre le proprie mura cittadine,
tenne conto delle antiche norme, delle consuetudini e del particolarismo
municipale dei centri che venivano a far parte del contado e del distretto,
adottando una politica di rispetto, lasciando in funzionamento le istituzioni
preesistenti e limitandosi a nominare le persone atte a coprire gli uffici.
I confini non erano né stabili né ben definiti. Vaste zone erano quasi totalmente
indipendenti. Il particolarismo municipale, i modi in cui feudi e comuni
entrano a far parte del dominio creano la nascita di numerose norme che
regolano i rapporti con Firenze.
La distinzione del territorio dello stato in contado e distretto non è del tutto
definita. Contado indica i territori più prossimi alla città, dove in genere
vengono usati gli statuti già esistenti, con privilegi di poco dissimili da quelli
della città; distretto i territori assorbiti o conquistati al di là dei confini del
comitatus, circoscrizione territoriale governata dal comes o conte. Agli effetti
dell’amministrazione pubblica del Trecento, contado e distretto hanno lo stesso
significato.
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Pluralità delle forze politiche che concorrono alla sovranità.
Nel corso del Trecento vengono emanate un complesso di norme che rendono
pluralistica la partecipazione al governo. Questo pluralismo si concreta in
diversi campi della vita dello Stato. Nell’ambito elettorale le recate, la
la preparazione degli elenchi per gli eleggibili per lo squittino, vengono
predisposte con elenchi diversi dalle compagnie del popolo, dalle arti e dalla
parte guelfa, e il vasto complesso collegiale che procede al voto di tutti i
cittadini compresi nelle recate, lo squittino, dal 1361 è composto da uomini
facenti parte di tutte le forze politiche.
Nello squittino è minima l’autorità del priorato e gonfaloniere. Il voto di ogni
membro di questo consesso vale quanto quello di un priore o del gonfaloniere
di giustizia e tutti coloro che hanno superato il voto dello squittino e i cui nomi,
scritti in cedole, vengono compresi nelle borse, sono appartenenti ad almeno
una delle tre forze politiche. Per la ripartizione degli incarichi gli uffici
vengono assegnati tutti a veri guelfi, ripartendoli in base alle arti e ai quartieri.
Vi è poi la partecipazione all’azione di governo; dalla metà del Trecento si fa
sempre più frequente l’uso di sentire un console per arte, o i consiglieri della
mercanzia, la parte guelfa e i sedici gonfalonieri delle compagnie del popolo,
su tutte le questioni eccedenti l’ordinaria amministrazione.
9
La sovranità poggia su tre assi: a) Le arti, di carattere economico e sociale.
b) Le compagnie del popolo, che riuniscono i popoli in senso territoriale. c) La
parte guelfa, di carattere partitico. Sono esclusi i grandi e il popolo minuto.
1
Sono detti grandi o magnati coloro che esercitano o possono esercitare un
potere limitativo dell’altrui libertà (verso la metà del Trecento non sono più
distinti per censo, perché si è riconosciuti grandi indipendentemente dalla
situazione economica). Il grande si pone o tenta di porsi al di sopra delle leggi
dello stato e contro il consolidamento dello stato cittadino come potenziale
nemico della repubblica. Ad entrambi non è ammessa alcuna possibilità di
associazione e gravi sanzioni colpiscono coloro che tentano di riunire uomini
di queste classi. I grandi sono ammessi agli uffici per un limitato numero di
posti, purchè non si tratti di incarichi vitali. I grandi hanno una possibilità,
quella di “farsi di popolo“ e in tale caso, dopo un certo numero di anni,
vengono ammessi ai maggiori uffici. I minuti o lavoratori dipendenti hanno
una sola possibilità per accedere alla cittadinanza e agli uffici: elevarsi
entrando a far parte di una delle XXI arti.
2
I minuti hanno il loro momento di
gloria nel breve periodo dei Ciompi che va dal 1378 al 1382 quando vengono
create le tre arti dei lavoratori dipendenti, con partecipazione al potere. Ma poi
le forze conservatrici fecero cadere queste conquiste. Vi è un continuo
dinamismo nella vita politica e sociale perché le diverse forze sono sempre in
lotta per acquisire una parte più ampia di autorità. Uno dei fattori per cui il
regime istituzionale fiorentino resta saldo nei secoli è la capacità di prevedere e
regolare gli eventi straordinari che si verificano nello Stato. Quando cambia
l’influenza di una forza politica ciò si ripercuote sull’ordinamento giuridico
con atto, sì rivoluzionario ma incruento, che cambia il rapporto con cui si
partecipa alla sovranità senza modificare le istituzioni (anche nel breve periodo
dei Ciompi).
1
G. GUIDI, Il governo della città repubblica di Firenze del primo Quattrocento. Politica e
diritto pubblico, Firenze, 1981 (Biblioteca storica toscana) pp. 5-30.
2
BARTOLO DA SASSOFERRATO Tractatus de regimine civitatis cit. da G. Guidi, Il governo, I, p.
30.
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Non hanno nessuna possibilità di influire sugli organi di governo della città
repubblica di Firenze gli istituti politici e gli uomini del contado e del distretto
che partecipano al formarsi della volontà collettiva del comune di appartenenza
e quindi non privi di diritti politici ma con diritti limitati.
Nel tipo di governo esistente a Firenze il territorio gioca un ruolo secondario in
quanto l’autorità sul suolo è conseguenza del fatto che gli istituti politici che vi
sono insediati hanno rinunciato a parte della propria sovranità in favore della
città repubblica. Firenze non ha dei confini al margine del suo contado e
distretto e l’autorità della dominante, allontanandosi dal centro, subisce delle
diminuzioni di potere fino a scomparire.
E’ importante comunque ricordare la distinzione medievale tra popolo e
popolazione (coloro che abitano al di fuori della città sono esclusi dalla vita
politica così come il popolo minuto). E’ solo il popolo il soggetto degli
organismi istituzionali.
Nella repubblica fiorentina la sovranità ha origine dalla rinuncia a parte della
propria autonomia fatta da diversi istituti politici in suo favore. E’ sovranità
perché una volta che le diverse forze politiche hanno accordato il loro consenso
al costituirsi del nuovo organismo si pongono al di sotto di esso. Per questo
riguarda il contado e distretto la sovranità fiorentina ha origine nel fatto che
comuni cittadini e rurali, feudi e leghe hanno rinunciato, non sempre
volontariamente, a parte della propria autonomia.
3
3
GUIDI, Il governo, I, cit., pp. 33 e 34.
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Guida collettiva della cosa pubblica.
Tutti gli organi e le cariche dello Stato, delle compagnie del popolo, delle arti e
della parte guelfa, sono elettivi, sono retti collegialmente e ogni deliberazione
viene presa con il voto favorevole di oltre il 50% dei membri che partecipano
alla riunione; per le deliberazioni più importanti è richiesta una maggioranza
qualificata. Il voto è segreto. Agli uffici della città repubblica, dai più elevati ai
meno importanti, direttivi o esecutivi, si accede per elezione. Ciò contribuisce
all’ostilità verso qualsiasi forma di asservimento; gli incarichi sono accordati
non da persone, famiglie o correnti, ma impersonalmente dallo stato o dagli
altri istituti politici. Con lo squittinio, antica forma che significa scrutinio, si
ha una larga partecipazione del popolo.
La durata delle cariche pubbliche è brevissima; 2-4 mesi. Per gli incarichi
esecutivi è di 6 mesi-1 anno. I divieti per il reincarico della stessa persona allo
stesso ufficio o concorrente è di tre o due anni per i posti di maggiore
importanza, un anno o sei mesi per i minori. E’ proibita ogni forma di
propaganda elettorale. Un istituto non opera mai da solo perché le sue
deliberazioni sono la risultante della volontà di più organi. Ogni ufficio di una
qualche importanza ha al suo fianco uno o più istituti qualificati a collaborare
con esso nell’assolvimento del compito anche se ad ogni organo è riconosciuta
la piena sovranità. L’estendersi o il restringersi dei compiti di un istituto deriva
anche dall’influenza che questo gode e dall’ascendenza dei titolari che lo
reggono in questo breve periodo. La pluralità di organi che reggono lo Stato,
l’assenza di funzioni esclusive, consentono risoluzioni di problemi e
approfondimenti politici, in quei tempi, sconosciuti nelle altre realtà politiche.
Non vi è gerarchia di istituti, non vi è distinzioni di poteri, ma una divisione
orizzontale del potere. Fulcro del governo sono il priorato (8 membri) e il
gonfaloniere di giustizia, che per discutere e deliberare su quasi tutti i
problemi, anche di ordinaria amministrazione, si riuniscono con i 12
buonuomini e i 16 gonfalonieri di compagnia. Essi prendono verso la fine del
Trecento il nome di maggiori uffici. I membri che ricoprono questi istituti
iniziano il loro compito in tempi diversi e decadono in momenti diversi. Non
hanno poteri vasti perché molte funzioni pubbliche non sono di loro
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competenza e perché per la validità delle deliberazioni è necessario il voto
favorevole dei consigli.
La condotta di guerra e parte della politica estera è compito dei Dieci di guerra.
La polizia politica è riservata agli Otto di guardia e balìa o di custodia.
L’amministrazione della giustizia e l’ordine pubblico sono di competenza dei
diversi ufficiali forestieri.
Nel contado e distretto alcuni dirigenti sono eletti da Firenze ma si inseriscono
nel quadro delle autorità autonome locali. I diversi podestà e i capitani hanno il
compito di amministrare la giustizia e di sorvegliare che gli organi eletti dalla
popolazione non violino gli statuti che li reggono. I castellani hanno invece per
compito la difesa militare e il mantenimento dell’ordine pubblico.
Sulle questioni più importanti il priorato e i Dieci di guerra prima di assumere
una decisione o deliberare sentono la Pratica un consesso che esprime un
parere che riunisce i componenti dei più influenti istituti e savi cittadini che,
per necessario avvicendamento e divieto, in quel momento non ricoprono
incarichi pubblici. L’autorità dello stato si esprime nel consiglio del popolo,
composto da popolani e guelfi, e nel consiglio del comune, composto da
popolani e da un certo numero di grandi. Essi approvano con voto tutte le
riforme legislative ma non hanno alcun compito sull’elezione delle cariche
pubbliche. Funzioni secondarie dei due consigli erano le deliberazioni sulle
petizioni, sulle esenzioni, sui diritti e l’amministrazione delle comunità del
dominio. Le principali funzioni dello stato consistono nella difesa e nel
pacifico e ordinato svolgimento della vita associata, in un regime istituzionale
che consente ai cittadini il massimo sviluppo della libertà.
Non esiste un esercito stanziale, né una stabile organizzazione militare. I Dieci
della guerra, i capitani della guerra, l’ufficio alle castella, gli uffici di condotta,
gli uffici dè difetti, sono gli organi che assumono, guidano e controllano le
truppe mercenarie e le poche milizie a disposizione dei castellani.
Non esiste un servizio diplomatico specializzato. Non esiste un’anagrafe
centralizzata, così nel dominio si fa spesso ricorso agli elenchi delle parrocchie.
Il mondo economico è tutto regolato dalle arti che hanno propri ordini
giudiziari. Solamente per l’amministrazione della giustizia vi è gerarchia.