4
Si è poi proseguito, attraverso un esame approfondito dei documenti
americani, nell’analisi degli obiettivi e della strategia americana per
risolvere la situazione creatasi nel Golfo. In questa parte del lavoro si
è messo in evidenza come l’amministrazione G.H.Bush cerchi,
inizialmente, di rispondere all’attacco al Kuwait con un’azione
diplomatica, individuando nelle Nazioni Unite e nelle sanzioni
economiche gli strumenti più adatti. Successivamente si sono
analizzati i rapporti tra l’amministrazione e il Congresso cercando di
capire se vi fu tra il Presidente e il Parlamento unità di intenti e
condivisione della strategia.
Nella parte finale del primo capitolo è stato descritto il periodo
successivo (8 novembre 1990 - 15 gennaio 1991). Si è messo qui in
evidenza come, con l’invio del secondo contingente americano in
Arabia Saudita, l’amministrazione abbandoni totalmente la linea di
comportamento seguita fino a quel momento, facendosi portatrice di
una strategia e di una politica prettamente offensiva dando vita così,
in merito alla strategia da seguire, ad un aspro scontro con il
Congresso.
Lo studio della terza ed ultima fase (15 gennaio 1991 – 28 febbraio
1991) è stato volutamente tralasciato. L’ obbiettivo di questo lavoro
non è stato, infatti, l’analisi della Guerra nel Golfo Persico da un
5
punto di vista militare. Il lavoro si è concentrato, invece, sull’analisi
delle dinamiche e delle strategie adottate dall’amministrazione per
risolvere la situazione creatasi nel Golfo e sui rapporti interni tra
Esecutivo e Presidenza, tralasciando quindi ogni aspetto bellico.
Nel secondo capitolo si è cercato, invece, di capire come la sconfitta
militare in Vietnam abbia condizionato oltre all’amministrazione e il
Congresso, anche la società americana nel rapportarsi all’intera
vicenda irachena.
Partendo da un’analisi dei cambiamenti prodotti dalla sconfitta in
Vietnam e osservando come tale sconfitta abbia comportato
un’inevitabile ridefinizione della strategia globale americana, si è
cercato di capire come l’esperienza in Indocina abbia ridisegnato i
rapporti istituzionali e politici tra Congresso e Presidenza. Attraverso
una lettura del lungo dibattito congressuale riguardante la crisi
irachena, nella prima parte del secondo capitolo si è indagato se e
come, a livello politico-istituzionale, la “Sindrome del Vietnam” abbia
avuto ancora un’influenza decisiva nel condizionare i comportamenti,
sia del Congresso che della Presidenza, durante una crisi di livello
internazionale.
La persistenza della “Sindrome del Vietnam” non è stata, tuttavia,
analizzata solamente da un punto di vista politico-istituzionale. Il
6
lavoro ha preso in esame anche l’aspetto culturale e sociale di tale
influenza. Si è, quindi, descritto il tentativo effettuato
dall’amministrazione G.H.Bush di controllare e gestire l’informazione
sia durante le fasi precedenti il conflitto che durante le operazioni
militari. Tenendo presente l’esperienza del Vietnam
l’amministrazione G.H.Bush cercò in tutti i modi, riuscendovi, di
presentare la Guerra del Golfo come l’evento decisivo per cancellare
dalla memoria collettiva americana la traumatica esperienza
indocinese.
Le conclusioni tratte a fine capitolo sono, tuttavia, in parte diverse
dalle affermazioni fatte dal Presidente G.H.Bush. A mio avviso
l’intera vicenda irachena non portò ad un totale e completo
superamento della “Sindrome del Vietnam” ma solamente ad un suo
ridimensionamento. L’influenza negativa dell’esperienza vietnamita
viene, infatti, ridimensionata per quanto riguarda l’aspetto culturale e
sociale – la riacquisita fiducia del pubblico verso le forze armate – ma
non ancora del tutto superata da un punto di vista politico-
istituzionale.
Il terzo e ultimo capitolo si concentra, invece, sul futuro delle relazioni
internazionali dopo la vittoria militare sull’Iraq e sul ruolo degli Stati
Uniti nel mondo post- Guerra Fredda.
7
L’analisi del concetto di Nuovo Ordine Mondiale è il tema principale
di questo capitolo, che prova a descrivere quali furono le idee
dell’amministrazione G.H.Bush per il futuro, e i meccanismi
attraverso i quali l’America avrebbe dovuto gestire il nuovo ordine
globale emerso dalla fine della Guerra Fredda.
Nel primo paragrafo di questo ultimo capitolo vengono illustrate le
opzioni possibili che, tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni
Novanta, l’amministrazione G.H.Bush si trovò di fronte. Nel
paragrafo successivo si è cercatodi individuare, invece, quali fossero le
idee e le proposte dell’amministrazione per il futuro delle relazioni
internazionali e l’influenza da esse avuta nell’intera gestione della
crisi nel Golfo Persico.
Ciò che emerge dai documenti dell’amministrazione è un tentativo di
assemblaggio di vari pezzi di differenti strategie, che non danno però
un risultato organico e preciso. Il Nuovo Ordine Mondiale rimane
qualcosa dai contorni incerti, difficile da comprendere e da spiegare.
La mancanza di una precisa strategia per il futuro delle relazioni
internazionali (causa anche del periodo transitorio in cui
l’amministrazione si trovò ad operare) viene indicata nella parte
conclusiva del capitolo come il motivo sottostante la gestione
altalenante e estremamente pragmatica dell’ intera vicenda irachena.
8
Considerando il periodo a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta come
una fase di transizione verso un Nuovo Ordine Mondiale ancora tutto
da definire, e tenendo presente la mancanza di una linea strategica
chiara e precisa, la parte conclusiva del capitolo mette in evidenza
come le politiche neo-conservatrici seppero sfruttare al meglio il
“vuoto strategico” di fine secolo. Traendo vantaggio dalla vittoria
sull’Iraq e dall’assenza di un’ alternativa concreta all’egemonia
americana le idee neo-conservatrici poterono acquisire dopo, e grazie
alla Guerra del Golfo, un ampio margine di manovra fino a pochi anni
prima impensabile.
Collocandosi a metà strada tra un vecchio sistema di sicurezza e un
Nuovo Ordine Mondiale, la Guerra del Golfo Persico non apparterrà,
quindi, a nessuno dei due periodi. Non può essere dunque
considerata come il modello fondante di una nuova era delle relazioni
internazionali, ma neanche l’atto conclusivo di un vecchio sistema di
sicurezza in via di smantellamento. La sua peculiarità sarà quella di
essere un “caso a se” nello scenario internazionale frutto di
cambiamenti storico-politici estremamente importanti quanto rapidi.
9
Capitolo 1 - L’invasione del Kuwait e la risposta americana
1.1 L’inizio della crisi
“…In the life of a nation, we're called upon to define who we are and
what we believe. Sometimes these choices are not easy. But today as
President, I ask for your support in a decision I've made to stand up for
what's right and condemn what's wrong, all in the cause of peace”
1
.
Con queste parole, pronunciate l’ 8 agosto 1990 alla Casa Bianca, il
Presidente degli Stati Uniti George H. Bush motivava quello che
sarebbe diventato il più importante e massiccio spiegamento di forze
americane in territorio straniero dalla sconfitta in Vietnam. Da allora
mai, un numero così consistente di reparti di fanteria, forze aeree e
navali era stato impiegato in un’azione militare, con l’obiettivo di
proteggere la sovranità di uno stato estero (il Kuwait) e garantire la
stabilità in una regione (il Golfo Persico), ritenuta di estrema
importanza per gli obiettivi strategici ed economici degli Stati Uniti
2
.
La mattina dello stesso giorno il Presidente, nella sua qualità di
comandante in capo, ordinava che reparti della 82d Airbone Division,
1
Address to the Nation announcing the deployment of United States Armed Forces to Saudi
Arabia, 8 Agosto, 1990, http://bushlibrary.tamu.edu/research/papers/1990/90080800.html
2
Sull’argomento confronta il contenuto del “National Security Directive 26”, 3 Ottobre, 1989
http://www.fas.org/irp/offdocs/nsd/nsd26.pdf
10
corpo di elite dell’esercito americano, assieme a reparti dell’aviazione,
fossero posti a difesa del confine settentrionale dell’ Arabia Saudita,
con l’obiettivo di prevenire un attacco iracheno verso i vicini sauditi,
possibilità avvalorata da fonti dell’amministrazione e confermata
dalla CIA a seguito di rilevazioni satellitari
3
. E’ l’inizio dell’operazione
militare denominata “Desert Shield”.
In realtà la crisi nel Golfo, così come si sviluppò tra la fine del 1990 e
l’inizio del 1991, ha inizio 6 giorni prima del dispiegamento, lungo il
confine saudita, dei militari U.S.A.
Il 2 agosto 1990 truppe irachene, con alla testa i reparti speciali della
Guardia Repubblicana, l’elite dell’esercito e le più fedeli al Presidente
Saddam Hussein, invadono il vicino Kuwait e, dopo aver superato
rapidamente la flebile resistenza opposta dal piccolo ma ricchissimo
stato del Golfo, occupano la capitale. Pochi giorni dopo, proprio l’8
agosto, il Kuwait viene annesso e dichiarato diciannovesima provincia
dell’Iraq.
Si sono fatte più ipotesi
4
sulle ragioni che hanno spinto l’Iraq, che
aveva da poco chiusa la più che decennale e sanguinosa guerra
3
Cfr. N.Bresheeth, N.Youval-Davis, The Gulf War and the new world order, Zed Books Ltd.,
London, 1991, pp. 56-58. Le stesse rivelazioni satellitari furono però contestate da i servizi
di sicurezza sovietici che non rilevarono, attraverso i loro satelliti, alcun spostamento di
truppe irachene in direzione del confine con l’Arabia Saudita.
4
In merito alla tesi che sostiene il complotto americano cfr. N.M.Ahmed, Dominio. La
guerra all’Iraq e il genocidio umanitario, Fazi Editore, Roma, 2003, pp. 50-63; Per la tesi
che individua nell’attacco al Kuwait l’esclusiva responsabilità irachena cfr. M.Sterner,
11
contro l’ Iran, a decidere nel giro di pochi mesi l’invasione del Kuwait,
iniziando un’avventura che avrebbe potuto aggravare la già precaria
situazione economica nazionale e quella della popolazione civile, già
stremata dal conflitto con l’Iran.
Oltre a ragioni di natura politica, individuate nell’esigenza di
affermare la forza militare di Saddam Hussein, e in quelle di natura
commerciale - la conquista del Kuwait da parte irachena garantiva un
sicuro e importante sbocco sul Golfo Persico - si aggiungevano quelle
di ordine economico. Il Kuwait era, infatti, uno dei maggiori
produttori di petrolio al mondo assieme all’Iraq e all’Arabia Saudita,
cosicché la sua annessione avrebbe consentito di controllare gran
parte delle riserve petrolifere della regione. Non di minore
importanza erano le motivazioni culturali. L’annessione del Kuwait
era il coronamento di una rivendicazione che le élite politiche irachene
sostenevano da anni: una parte della dirigenza lo riteneva, infatti, la
diciannovesima provincia, l’unica che mancava per realizzare il
Grande Iraq.
Non è mancato chi per spiegare la crisi irachena, tanto negli U.S.A.
che nell’area medio orientale, ha sostenuto l’ipotesi che l’invasione del
Navigating the Gulf, Foreign, Policy, Winter 1990-1991, pp. 39-45; J.G.Stein, Deterrence
and compellence in the Gulf, 1990-91: a failed or impossible task?, “International Security”,
Vol.17, N° 2 Autumn, 1992, pp.147-155; A.Dal Piaz; O.Ottonelli, Guerra e media. La
guerra in Iraq, Centro di documentazione Città di Arezzo, Arezzo, 2004, pp. 22-25.
12
Kuwait fosse stata architettata dagli U.S.A. per fornire un pretesto a
una guerra di cui avevano bisogno
5
. Secondo questa tesi, che tuttavia
trova scarso seguito
6
, l’amministrazione Bush e gli interessi delle
corporations e delle lobbies militari che l’appoggiavano, intendevano
per questa via accrescere la spesa militare, generando allo stesso
tempo una rinnovata popolarità della Presidenza repubblicana. In
quest’ottica, ora che l’Unione Sovietica aveva esaurito il ruolo di
principale rivale della potenza americana, l’Iraq sarebbe dovuto
diventare la nuova minaccia del XXI secolo nella regione del Golfo
Persico. Secondo questa ipotesi, dunque, gli Stati Uniti incoraggiarono
il Kuwait a violare gli accordi sulla produzione petrolifera sottoscritti
con l’OPEC abbassando il prezzo del petrolio, debilitando così l’intera
economia irachena, che proprio sull’elevato prezzo dell’oro nero,
sosteneva il proprio sistema economico. Non solo: gli Stati Uniti
avrebbero spinto il Kuwait a richiedere la restituzione dei prestiti fatti
all’Iraq in occasione della guerra con l’Iran e a sottrarre, sempre dietro
consiglio americano, ingenti quantità di petrolio dal giacimento di
5
N.Chomsky, The U.S. in the Gulf crisis, in N.Bresheeth; N.Youval-Davis, The Gulf War
and the new world order, Zed Books Ltd., London, 1991, pp. 15-27; Nafez M. Ahmed,
Dominio.La Guerra Americana all’Iraq e il genocidio umanitario, cit. p. 47
6
Cfr. N.Bresheeth; N.Youval-Davis; The Gulf War and the new world order, cit. pp. 30-40;
N.D.White, H.McCoubrey, International law and the use of force in the Gulf, “International
Relations”, Vol. X, N° 4, November 1991, pp. 347-373; R.Petrignani, L’era americana. Gli
Stati Uniti da Franklin D. Roosvelt a George W. Bush, Il Mulino, Bologna, 2001; pp. 353-
360; A. Dal Piaz; O.Ottonelli, Guerra e media, la guerra in Iraq, Centro di documentazione
Città di Arezzo, 2003, p. 20.
13
Rumalia situato all’interno del confine iracheno e oggetto di una
decennale contesa tra i due paesi. Così facendo, gli Stati Uniti
intendevano spingere l’Iraq a un azione militare contro il Kuwait,
potendo in questo modo giustificare l’intervento statunitense nel
Golfo Persico, con lo scopo di distruggere l’Iraq e impadronirsi dei
pozzi di petrolio.
Questa ipotesi non rispecchia, a mio avviso, il reale andamento dei
fatti
7
.
Le motivazioni con le quali l’Iraq diede inizio alla crisi vanno sì
individuate in rivendicazioni di tipo economico-commerciale e
territoriale, ma appare davvero difficile sostenere che gli Stati Uniti e
l’amministrazione Bush fossero i registi assoluti di una crisi
internazionale che avrebbe, come vedremo in seguito, messo a dura
prova l’intero sistema politico americano e la società statunitense
8
.
L’inizio della crisi irachena va, quindi, spiegato evitando di ricorrere
alla tesi, che ha largo seguito nel mondo arabo ma scarso a livello
internazionale, che individua nella “provocazione” americana l’unico
e il solo fattore scatenante.
7
Cfr. J.G.Stein, Deterrence and compellence in the Gulf, 1990-91: a failed or impossible
task?, cit. pp.147-155; I.Naifie, La nazione Araba e la guerra del Golfo, Le Lettere, Firenze,
1992, pp.48-53.
8
Cfr. F.A.Boyle, International War Crimes: the search for justice, simposio alla facoltà di
Legge di Albany, 27 Febbraio 1992; ristampato col titolo “US war crimes during the Gulf
War”, New Dawn Magazine, Settembre-Ottobre, N° 15, 1992.
14
Le responsabilità dell’attacco al Kuwait vanno individuate,
soprattutto, nelle decisioni prese autonomamente da Saddam Hussein
e dal gruppo dirigente iracheno. Il maggior responsabile
dell’invasione del Kuwait fu, quindi, Saddam Hussein
9
che
sottovalutò la volontà e la disponibilità americana di intervenire nel
Golfo se l’Iraq avesse attaccato il piccolo emirato. Ad indurlo in
questo errore furono anche le ambiguità di Washington nei mesi
precedenti la crisi, di fronte alle avvisaglie di una possibile invasione
irachena del Kuwait
10
. Pochi giorni prima dell’invasione il
Sottosegretario agli Affari del Medio Oriente Kelly dichiarò infatti alla
Commissione Affari Esteri del Congresso che lo interrogava sulle
minacce irachene al Kuwait, che gli Stati Uniti non erano legati all’
emirato del Golfo da alcun trattato di aiuto militare
11
. Atteggiamenti e
dichiarazioni simili a quelle rilasciate da Kelly vennero espresse,
anche, dall’ambasciatrice americana in Iraq April Glaspie. Nel luglio
1990 in un incontro con Saddam Hussein la diplomatica avrebbe
9
I.Nafie, Oltre la tempesta, Casa Editrice Le Lettere, Firenze, 1994, pp.VI-VII.
10
L’amministrazione Americana, tramite l’ambasciatore statunitense a Baghdad, dimostrò nei
mesi precedenti l’invasione del Kuwait, un limitato interesse verso le minacce irachene nei
confronti del vicino Kuwait. L’ambasciatore americano in Iraq, lasciò intendere in più di un
incontro con il leader iracheno che gli Stati Uniti non avevano ipotizzato alcuna pressione
internazionale, tanto meno un’ azione militare in risposta alle minacce che Saddam Hussein
andava facendo verso il Kuwait dalla fina del 1989. Cfr: Elaine Sciolino, M. Gordon, “U.S.
gave Iraq little reason not to mount Kuwait assault”, New York Times, September 23, 1990.
11
Cfr. M.Nozzi, Informazione e Guerra:la Televisione Nella Guerra del Vietnam e del
Golfo,http://www.noemalab.org/sections/ideas/ideas_articles/pdf/nozzi.pdf
15
lasciato intendere al dittatore iracheno che gli Stati Uniti non avevano
alcuna intenzione di intervenire all’interno delle dispute tra stati arabi
“…I have a direct instruction from the President to seek better
relations with Iraq […]But we have no opinion on the Arab-Arab
conflicts, like your border disagreement with Kuwait. I was in the
American Embassy in Kuwait during the late 60's. The instruction we
had during this period was that we should express no opinion on this
issue and that the issue is not associated with America. James Baker
has directed our official spokesmen to emphasize this instruction. We
hope you can solve this problem using any suitable methods via Klibi
or via President Mubarak. All that we hope is that these issues are
solved quickly…”
12
.
E’ probabile, dunque, che Saddam avesse colto nell’atteggiamento
americano il segnale dell’indisponibilità ad intervenire in aiuto del
Kuwait.
L’atteggiamento che il dittatore iracheno tenne nei mesi precedenti la
crisi denotò, quindi, un’incomprensione di fondo nell’analizzare la
12
Copia del documento con l’intera registrazione del colloquio avvenuto il 25 Luglio 1990
tra l’Ambasciatrice Glaspie e Saddam Hussein venne consegnata al New York Times il 26
Luglio 1990 e riportata dal giornale il 23 Settembre. Cfr.: “Excerpts From Iraqi Document on
Meeting with U.S. Envoy Special to The New York Times”, The New York Times
International Sunday, September 23, 1990.
http://www.chss.montclair.edu/english/furr/glaspie.html
16
situazione
13
. Si trattò, in effetti, di una molteplicità di errori. Saddam
si illuse che il fatto compiuto sarebbe stato accettato da tutti; che
l’operazione di annessione e distruzione del Kuwait non sarebbe
durata per un lungo periodo; che l’Arabia Saudita non avrebbe osato
chiedere l’aiuto delle forze straniere e, infine, che gli Stati Uniti non si
sarebbero impegnati con la loro forza militare e la loro autorità in
difesa del Kuwait tanto meno della famiglia saudita
14
.
Saddam sbagliò, quindi, tanto le valutazioni politiche che quelle
strategiche, e si illuse che la comunità internazionale non sarebbe
intervenuta nel Golfo, né avrebbe avuto la volontà o la forza di
intervenire.
La convinzione che un eventuale attacco al Kuwait non portasse ad
una decisa reazione politica e militare americana, indusse Saddam a
preparare e dare inizio all’invasione del piccolo emirato
15
.
Come abbiamo ricordato non vanno dimenticate le storiche
rivendicazioni irachene verso il Kuwait come diciannovesima
provincia, e quelle economiche.
13
Cfr. J.G.Stein, Deterrence and compellence in the Gulf, 1990-91: a failed or impossible
task?, cit. pp. 160-165.
14
I.Nafie, Oltre la tempesta, cit. p. 18.
15
Cfr. Bob Woodward, The Commanders, Simon and Schuster, New York, 1991, pp.190-
204; J.G.Stein, Deterrence and compellence in the Gulf, 1990-91: a failed or impossible
task?, cit. pp.160-165; N.Pdhoretz, La quarta Guerra mondiale, Lindau, Torino, 2004, p.33.
17
Sul piano economico erano, principalmente, due le ragioni per le quali
Saddam Hussein intendeva rivalersi sul Kuwait. La prima muoveva
dalla convinzione che durante la guerra Iran-Iraq, il Kuwait avesse
trafugato dal giacimento di Rumalia ingenti quantità di petrolio
iracheno, per un valore approssimativo di 2,4 miliardi di dollari.
La seconda rimarcava che il Kuwait, nei mesi precedenti la crisi, al di
fuori di ogni accordo con l’OPEC, l’organizzazione che riunisce le
nazioni maggior produttrici di petrolio, aveva innalzato le quote di
produzione, portando ad un abbassamento consistente del prezzo del
petrolio con, gravi conseguenze economico finanziarie per l’Iraq.
L’ 8 agosto 1988, infatti, il Kuwait decise in modo del tutto autonomo
di aumentare la produzione, appena due giorni dopo che l’Iran aveva
acconsentito ad un cessate il fuoco con l’Iraq. La violazione delle
quote dell’OPEC fece precipitare il prezzo del greggio da 21 a 11
dollari al barile proprio quando prezzi del petrolio stabili erano
diventati essenziali all’Iraq per finanziare la ricostruzione del
dopoguerra
16
.
16
Per una valutazione delle cifre riguardanti il mercato del petrolio iracheno nei mesi
precedenti l’inizio della crisi nel Golfo, e le conseguenze che la crisi irachena ebbe sul
mercato petrolifero confronta http://www.cfr.org/publication/5954/addendum.html. Per
valutazioni su l’economia irachena e l’andamento del mercato petrolifero, cfr. Addendum:
Oil and Iraq-Opportunities and Challenger, May 9, 2003 Council on Foreign Relations,
Report of an Independent Working Group Cosponsored by the Council on Foreign
Relationsand the James A. Baker III Institute for Public Policy of Rice University.