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INTRODUZIONE
Questo lavoro riguarda gli stati emotivi e passionali nel diritto penale. Ci si è
concentrati sia sulla loro disciplina normativa, con particolare rilievo nel
capito terzo di questo lavoro, ma anche del collegamento di questa tematica
con i concetti di capacità di intendere e volere e, quindi, con quello di
imputabilità. Sono concetti portanti del nostro Codice penale, in quanto vanno
ad influire sulla punibilità del soggetto (che è esclusa se al momento del fatto
egli era totalmente incapace di intendere e di volere, quindi non imputabile),
sulla commisurazione della pena (nel caso di semi-imputabilità), nonché
sull’applicazione delle misure di sicurezza. Si è visto poi come gli stati emotivi
e passionali possano rilevare, al di fuori della disciplina generale di cui all’art.
90 c.p., in situazioni particolari, quali la legittima difesa, tema su cui la
dottrina ha opinioni contrastanti. Si cercheranno infine di evidenziare i
vantaggi e i limiti dell’articolo 90 c.p nell’attuale sistema penale.
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CAPITOLO I
IL CONCETTO DI IMPUTABILITA’ E IL VIZIO DI MENTE
SOMMARIO: 1. L’imputabilità secondo il Codice penale – 1.1 La capacità di intendere –
1.2 La capacità di volere – 2. Il vizio di mente – 2.1 Il vizio di mente totale – 2.2 Il vizio di
mente parziale –
1.L’imputabilità secondo il Codice penale
A norma dell’art. 85 c.p., “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge
come reato, se, nel momento in cui lo ha commesso, non era imputabile. È imputabile chi
ha la capacità di intendere e volere.”
Il codice Rocco definisce quindi l’imputabilità come la capacità di intendere e volere. È
imputabile colui che, nel momento della commissione del fatto era capace di intendere e di
volere
1
.
Volendo fare un excursus storico della disciplina che regola l’imputabilità nella nostra
tradizione giuridica, si può partire dal progetto di Codice penale presentato dal Ministro
Zanardelli nel 1887
2
. Il tema dell’imputabilità era condizionato dal dibattito tra la Scuola
classica e la Scuola positiva: la prima era quella guidata da Cesare Beccaria, sotto
l’influenza dell’idealismo di Kant ed Hegel, secondo cui l’individuo era visto come libero
di autodeterminarsi in base al concetto di libero arbitrio in capo al soggetto.
1
ROMANO, commentario sistematico del Codice penale Art. 85-149, Milano, 2015
2
ZANARDELLI, Relazione ministeriale sul libro primo del progetto del Codice penale, 22 novembre 1887
6
Per la scuola classica lo scopo principale della pena doveva essere quello deterrente, ciò
presupponeva che l’essere umano fosse un soggetto libero e razionale che doveva essere
capace di controllare il suo comportamento. In quest’ottica la pena era fondata sui principi
di volontà, imputabilità e retribuzione
3
. Nel suddetto contesto si ritiene che l’an, il quantum
della pena e l’imputabilità dipendano dall’esistenza e dal grado di libero arbitrio, inteso
come la facoltà di autodeterminarsi
4
. La concezione del libero arbitrio era chiamata “teoria
del libero arbitrio o indeterminismo”, dove alla base dell’imputabilità c’è la libertà di
volere; pertanto, è necessario che l’uomo sia stato causa cosciente e libera del fatto
commesso
5
. La scuola classica distingueva due tipi di deterrenza: la prima era definita a
carattere specifico che sottostava al principio di proporzionalità, ovvero il contro
bilanciamento tra reato e punizione; la seconda era a carattere generale e serviva per
scoraggiare gli individui dimostrando che un soggetto reo non traeva nessun beneficio dalla
commissione del reato.
Sulla base dell’influenza della Scuola classica il Ministro Zanardelli delineava la disciplina
in tema di imputabilità nel progetto definitivo di Codice penale
6
; bisogna chiarire che,
all’epoca, non c’erano delle chiare indicazioni in merito agli elementi che dovevano
costituire il giudizio di imputabilità. Tuttavia, era opinione condivisa che “la sola
esecuzione materiale del fatto non possa ritenersi sufficiente per dichiarare l’autore
medesimo colpevole di un reato ed assoggettarlo alla sanzione penale corrispondente”
7
.
L’articolo 47 del progetto di Codice prevedeva che: “Non è punibile colui che, nel momento
in cui ha commesso il fatto, era in tale stato di deficienza o di morbosa alterazione di mente
da togliergli la coscienza dei propri atti o la possibilità di operare altrimenti.”
8
In relazione
a questo articolo va precisato che lo stato di deficienza implicava il mancato o non completo
sviluppo delle facoltà mentali anche se transitorie che potessero escludere l’imputabilità,
mentre l’alterazione morbosa era qualunque patologia mentale, permanente o meno,
generale o parziale
9
. A seguito di modifiche apportate nel corso dell’iter di approvazione
del Codice penale del 1889, il testo definitivo dell’art. 47 recitava: “Non è punibile colui
3
PONTI, Compendio di criminologia, V edizione, pg 40. ss
4
MANNA, L’imputabilità nel pensiero di Francesco Carrara, cit. P. 464
5
ANTOLISEI, Diritto penale. Parte generale, XIII ed., aggiornata da L., Conti, Milano, 1994.
6
ZANARDELLI, Relazione ministeriale sul libro primo del progetto del Codice penale, 22 novembre 1887
7
VILLA, Relazione della commissione della Camera dei deputati sul progetto del Codice penale, Torino
1888, LXIV
8
ZANARDELLI, Relazione ministeriale sul libro primo del progetto del Codice penale, 22 novembre 1887
9
BERTOLINO, L’imputabilità e il vizio di mente nel sistema penale, Milano, 1990, cit 368.
7
che, nel momento in cui ha commesso il fatto, era in tale stato di infermità di mente da
togliergli la coscienza o la libertà dei propri atti”.
10
La modifica principale rispetto al progetto iniziale riguardava l’introduzione del concetto
di infermità mentale, il quale apre alla possibilità che vi sia una condizione patologica sia
biologica, ma anche psicologica. Inoltre, la possibilità di operare altrimenti venne sostituita
con la libertà dei propri atti perché venne ritenuta un’espressione più efficace.
Nel testo definitivo del Codice penale del 1889, più precisamente, l’art 46 prevedeva che:
“L’uomo è irresponsabile quando qualunque infermità, cioè causa morbosa, che attacchi la
psiche, produca o la mancanza di coscienza – che comprende i casi di follia intellettiva- o
la mancanza di libertà degli atti- che comprende i casi di follia impulsiva o volitiva”
11
.
Successivamente alla definizione del presupposto psico-biologico venne stabilito l’istituto
della semi-imputabilità, che venne così definito dall’art. 47: “Quando lo stato di mente
indicato nell’articolo precedente era tale da scemare grandemente l’imputabilità, senza
escluderla, la pena stabilita per il reato commesso è diminuita”
12
.
Dopo l’emanazione di tale disciplina si pose il problema, che creò un acceso dibattito, del
trattamento per i soggetti riconosciuti non imputabili. Inizialmente si propose di introdurre
la facoltà del giudice di decidere che la pena detentiva fosse scontata in case di custodia,
prevedendo l’istituzione di manicomi criminali sulla base delle idee della Scuola Positiva.
Ma il progetto non venne accettato per la paura di espandere troppo il potere discrezionale
del giudice. Così la norma venne modificata prevedendo che i soggetti prosciolti in quanto
non imputabili, che fossero tuttavia ritenuti pericolosi, venissero affidati alle autorità
competenti.
In sostanza il Codice Zanardelli aderiva ai concetti della scuola classica basata sulla
responsabilità morale e sul concetto di pena etico-retributiva.
Successivamente il totalitarismo e le due guerre mondiali misero in crisi la visione liberale
del Codice penale Zanardelli, mentre, nel frattempo, si insidiavano già le basi e le ideologie
della Scuola Positiva, che avrebbero in parte influenzato la codificazione penale del 1930.
La Scuola Positiva iniziò a svilupparsi nel diciannovesimo secolo, cui i principali autori
10
VILLA, Relazione della commissione della Camera dei deputati sul progetto del Codice penale, Torino
1888, LXIV
11
BERTOLINO, L’imputabilità, cit., 371.
12
ZANARDELLI, Relazione ministeriale, cit. 224
8
furono: Cesare Lombroso, Enrico Ferri e Raffaele Garofalo. Il concetto principale di questi
autori era definito come determinismo biologico
13
secondo cui il comportamento umano è
predeterminato da tratti biologici. In sostanza si riteneva che l’individuo delinquente nasce
con la propensione al crimine, senza possibilità di essere altrimenti. In quest’ottica il
comportamento criminale non è il risultato di una libera scelta, ma è la manifestazione di
cause predeterminate. Questa concezione ribaltò l’idea di pena come deterrente sociale e la
fece vertere su quella di protezione sociale: il soggetto considerato deviante doveva essere
curato per la sua anormalità psichica; allo stesso tempo, bisognava proteggere la società
dalle persone pericolose.
Nel tentativo di trovare un compromesso tra le posizioni della Scuola classica e quelle della
Scuola positiva il Codice Rocco, emanato nel 1930 durante il Fascismo, introdusse il
sistema del doppio binario, il quale accostava alla pena, basata sulla retribuzione della
colpevolezza, le misure di sicurezza per i soggetti pericolosi, finalizzate al contenimento
della pericolosità dell’autore pericoloso a protezione della società stessa. Inizialmente il
Codice Rocco prevedeva alcune presunzioni di pericolosità e, inoltre, l’applicazione di
misure di sicurezza a tempo indeterminato tramite ricovero in un manicomio, mentre per i
soggetti semi-imputabili vi era l’assegnazione in una casa di cura e custodia.
Quanto alla disciplina dell’imputabilità, il codice del 1930 introduce l’art 85 c.p. come
norma generale che sorregge il concetto di imputabilità e la distingue dalle altre componenti
del reato. Il Codice disciplina poi una serie di cause che escludono la capacità di intendere
e di volere: tra questi, in particolare, figurano il vizio di mente totale e parziale,
rispettivamente regolati dagli artt. 88 e 89. Viene, inoltre, introdotto l’art. 90 c.p. in merito
alla non incidenza degli stati emotivi e passionali sulle capacità di intendere e volere e,
dunque, sull’imputabilità (v. infra, cap. II).
Il vizio di mente può dipendere da stati patologici sia psichici che fisici.
Un ulteriore chiarimento va fatto sulla differenza tra l’art. 85 c.p e l’art. 42. Il primo norma
l’imputabilità che, secondo la prevalente concezione c.d. normativa, costituisce il
presupposto della colpevolezza del soggetto (un soggetto può essere colpevole solo se
capace di intendere e di volere); secondo la più risalente concezione normativa,
l’imputabilità costituisce invece un requisito della capacità giuridica penale, cioè della
13
PONTI, MERZAGORA Compendio di criminologia, V edizione, pg 50 ss.
9
capacità di essere sottoposto a pena
14
. L’art. 42 riguarda invece la coscienza e volontà della
condotta (c.d. suitas) e l’elemento psicologico del reato (dolo o colpa). La differenza tra i
due articoli è basata sull’idea che alcune persone sono imputabili ma in determinati casi
concreti non possono rispondere penalmente delle loro azioni, perché non agiscono con
dolo o colpa. Normalmente si può affermare che imputabilità e normalità psichica
coincidono, ma in concreto non è sempre così. La consueta interpretazione riconduce
l’imputabilità alla libertà di volere, ovvero come capacità dell’agente di “esercitare poteri
di inibizione e controllo idonei a consentirgli scelte consapevoli tra motivi antagonistici”
15
.
Il fondamento dell’imputabilità come capacità di intendere e volere è riscontrabile anche ai
fini della pena, in quanto è necessario che il soggetto destinatario della sanzione sia capace
di comprendere il disvalore della sua azione, in primo luogo, e, successivamente, deve
essere rieducabile e capire il significato del trattamento per accettarlo. In assenza di questi
requisiti la pena perderebbe le sue funzioni: quella preventiva e quella rieducativa. In tal
senso, “la limitazione del trattamento punitivo in senso stretto ai soli soggetti
psicologicamente maturi, d’altra parte, continua a riflettere la concezione socialmente
dominante della responsabilità umana: la coscienza sociale avvertirebbe, ancora oggi, come
ingiusta la sottoposizione a pena di chi non è compos sui”
16
.
Com’è naturale non si può parlare di imputabilità come un concetto a sé stante, in quanto
essa si pone in rapporto con gli ulteriori elementi del reato. Le principali teorie si basano
sui concetti di imputabilità e reato, in cui il primo termine, l’imputabilità, è da considerarsi
la base per la destinazione della sanzione penale; mentre il reato è un fatto umano tipico,
antigiuridico e colpevole. Quest’ultimo concetto trova il suo fondamento già nella
Costituzione, all’art 27, comma 1, secondo cui “La responsabilità penale è personale”. In
questo modo si capisce da subito come nessuno può essere colpevole di un fatto commesso
da altri, ma, in particolare, per l’esecuzione della pena è necessario che si attribuisca il
singolo fatto alla responsabilità colpevole del soggetto. Il terzo comma sancisce il fine
rieducativo della pena che non deve essere contraria ai principi di umanità. Pertanto, chi
agisce senza dolo o colpa non mostra quel comportamento psicologico che consente al
trattamento penale di esplicare la sua funzione rieducativa. Ma, anzi, potrebbe sortire
l’effetto contrario visto che il soggetto non comprende il motivo per cui viene punito.
14
GROSSO, PELISSERO, PISA, Manuale di diritto penale, Parte generale, Torino, 2020, p. 457 ss.
15
FIANDACA, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2010, 325.
16
FIANDACA, Diritto penale, cit., p. 326.