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INTRODUZIONE
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Le origini della ricerca
Il lavoro di ricerca ha origine dal profondo interesse per la primissima
infanzia e per tutto ciò che ruota attorno ai bambini della fascia d’età 0-3 anni.
Lo studio universitario, lo studio della psicologia sociale e l’esperienza del
tirocinio hanno alimentato il desiderio di conoscere in maniera più
approfondita il mondo della prima infanzia e in particolare la figura del
genitore all’interno dei servizi integrativi all’asilo nido.
Il mondo in cui il bambino è “catapultato” alla nascita è un mondo di
relazioni, pieno di complessi rapporti interpersonali: una realtà sociale in cui
egli deve crescere, svilupparsi, imparare a vivere ed interagire.
Nel percorso di crescita, il bambino è accompagnato da diverse figure: la
madre, il padre, i fratelli, i parenti più stretti, la babysitter, il pediatra, le
educatrici dei servizi con cui entrerà in contatto, dai bambini con cui inizierà a
relazionarsi e tutte le altre persone che quotidianamente incontrerà lungo la sua
vita.
Riflettendo sui condizionamenti che queste persone possono avere sui
bambini, sorgono spontanee alcune domande.
Cosa sono le relazioni? Chi influenza il processo di socializzazione durante
la crescita del bambino? Questi sono i primi interrogativi che mi sono posta
nell’avviare la ricerca.
5
I genitori e i bambini in quel lungo percorso chiamato “vita”
Che cos’è un bambino: un adulto in miniatura, ovvero un individuo
ancora “ignorante”, che deve solo imparare una certa quantità di
nozioni e modi di comportamento, o piuttosto un essere
qualitativamente diverso, con emozioni, interessi, forme di
ragionamento peculiari?
1
I genitori si pongono queste domande sulla base di tacite convinzioni circa
la psicologia infantile. Da una parte gli adulti ritengono i piccoli capaci di
alcune basilari abilità, come riconoscere i colori o provare le emozioni, dall’altra
parte presuppongono che il bambino ignori molte cose e che abbiano delle
aspettative per quanto riguarda i ritmi dello sviluppo psicologico e sulla sua
durata complessiva. Queste aspettative sono pervase da distorsioni
sistematiche: essi tendono a sottovalutare le capacità dei bimbi in età prescolare
e a sopravvalutare le abilità dei bimbi in età scolare.
Nei secoli passati, più o meno fino al XVIII secolo, i bambini venivano
inseriti in società con gli stessi compiti degli adulti: infatti erano considerati
degli adulti in miniatura. Insomma, una fase della vita non degna di
considerazione, ciò che importava alle famiglie era che i bambini crescessero in
fretta e in forze per poter lavorare. Diciamo che l’infanzia era vista come fase
provvisoria, anche a causa dell’alto tasso di mortalità infantile.
Con il passare dei secoli, il miglioramento delle condizioni di vita e la
riduzione della mortalità infantile, hanno contribuito a rendere l’infanzia una
fase degna di essere studiata: d’altra parte i bambini di oggi saranno gli adulti
di domani, quindi preoccuparsi della loro educazione e del loro sviluppo era
nell’interesse della società.
Chi altri se non i genitori sono coloro che in primis accompagnano i bambini
nel loro percorso di crescita e sviluppo?
1
A. E. Berti – A. S. Bombi, La psicologia e lo studio del bambino, Petrini Editore, 1995, p. 3
6
Diventare genitori è l’esito di un percorso che parte da lontano e non
coincide con la mera nascita del figlio, bensì inizia con la propria esperienza di
essere figli.
Essere genitori per la prima volta, sancisce una nuova concezione
dell’adulto che sta arrivando a dover considerare nuove responsabilità, una
nuova dimensione della cura e accettare la presenza di una nuova vita nella
famiglia.
Essere genitori, al giorno d’oggi, non risulta essere facile: occorre rendere il
genitore consapevole del reale significato delle esperienze vissute, del ruolo
dell’adulto e del forte contributo che essi hanno nella crescita del bambino.
2
Il sostegno alla genitorialità, dunque, in sintesi, consiste in:
- Incoraggiare, rassicurare, accompagnare i genitori, attraverso la
valorizzazione e la promozione delle loro risorse e competenze;
- Favorire la creazione di reti sociali di aiuto, solidarietà ed amicizia tra le
famiglie.
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Occorre dunque favorire dialogo tra le famiglie e tra queste e le istituzioni e
i servizi dedicati all’infanzia, in maniera da accompagnare tutti le persone
coinvolte nel processo di crescita e sviluppo dei bambini.
La ricerca si pone l’obiettivo di studiare le dinamiche relazionali tra gli
adulti all’interno dei servizi integrativi per la prima infanzia, osservando con
particolare attenzione la figura genitoriale.
In questo studio mi sono immersa nel mondo che ruota intorno al bambino
della fascia 0-3 anni, una dimensione per me molto interessante e determinante
per la crescita del bambino.
Questo rapporto di ricerca è diviso in due parti ben distinte, ma allo stesso
tempo legate l’un l’altra. Una prima parte teorica, spiega le teorie della
2
A. Fortunati, Orientamenti per la qualità dei servizi educativi per bambini e le famiglie, Edizioni Junior,
2001
3
A. De Pasquale, Il sostegno alla genitorialità, in P. Di Nicola (a cura di), Prendersi cura delle famiglie,
ed. Carocci, Roma, 2002 citato in S. Mazzucchelli, Formazione alla genitorialità e capitale sociale,
Edizioni Unicopli, 2007
7
letteratura psicologica che riguardano lo sviluppo sociale del bambino, la figura
del genitore e i servizi integrativi per la prima infanzia. A seguire, la seconda
parte è il report vero e proprio della ricerca empirica effettuata in uno dei
servizi integrativi alla prima infanzia, uno Spazio per Bambini e Adulti Insieme.
Questa ricerca, ha portato alla conferma della necessità impellente di un
sistema che garantisca al genitore un aiuto e un sostegno che gli siano di
supporto per accompagnare il proprio bambino in quel percorso chiamato vita.
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9
PRIMA PARTE
Capitolo 1 – Lo sviluppo sociale
10
1.1 Lo sviluppo sociale del bambino
Nella psicologia dello sviluppo il settore che si occupa dello studio delle
relazioni è l’area dello sviluppo sociale, un’area che purtroppo non è ancora
riuscita a trovare la propria giusta collocazione, in quanto assume una
posizione ambigua al crocevia tra “individuale” e “sociale”. La sola espressione
“sviluppo sociale” ne è la prova. Se puntiamo l’accento sul primo termine, viene
automatico fare riferimento alla sfera individuale, in quanto richiama un
processo di crescita personale relativo a forze intrinseche. Se invece poniamo
l’attenzione al secondo termine, il riferimento è alla sfera del sociale, in
particolare ad un processo di sviluppo nel sociale, quindi non solo legato
all’interiorità dell’individuo, ma legato a tutto ciò che gli sta intorno.
La prima cosa che viene in mente pensando allo sviluppo sociale è una
semplice definizione: “acquisizione della competenza di rapportarsi con gli altri”
4
. Lo
sviluppo sociale viene dunque tradizionalmente definito come lo studio delle
diverse fasi della crescita del bambino e delle relazioni che è in grado di
instaurare con le altre persone durante la sua crescita. Una definizione povera
per la vasta area che va a ricoprire in realtà. Non si tratta solamente di studiare
come un individuo si relazioni con altri individui, ma è anche la collocazione di
queste relazioni in un universo fatto di luoghi, di ideologie, di valori, di culture,
un universo che imprime significati sempre diversi alle relazioni stesse.
5
Chi poteva pensare ad un tale cambiamento di rotta nello studio dello
sviluppo sociale? Si è passati da una visione del bambino “da modellare”
secondo le pratiche educative dei genitori tramite ricompense e punizioni,
strumenti volti a rinforzare i comportamenti voluti e ad evitare gli
atteggiamenti non desiderati, ad una visione del bambino che è in grado di
esercitare una forte influenza sul proprio sviluppo in quanto entra in relazione
con l’ambiente circostante e vi reagisce autonomamente. In materia di
educazione del bambino, non si deve più soltanto osservare il suo legame
4
L. Molinari, Psicologia dello sviluppo sociale, Società editrice Il Mulino, Bologna, 2002, p.13.
5
Ibidem.
11
esclusivo con la madre come se fosse l’unica a plasmare la personalità infantile
del neonato: il bambino diventa protagonista attivo del proprio sviluppo.
“Lo sviluppo è in sintesi un’impresa congiunta fra più partner: esso si
realizza sempre in un contesto sociale che entra in modo determinante nel
processo evolutivo, dando forma compiuta a ciò che è presente a livello
potenziale e trasformando i modelli comportamentali primitivi in funzioni
psicologiche sempre più sofisticate.”
6
6
H. R. Schaffer, Lo sviluppo sociale, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1998, p.XI
12
1.2 L’apprendimento sociale
Lo sviluppo sociale è caratterizzato da una diatriba relativa alle competenze
che il bambino manifesta fin dalla nascita: ci si chiede quale ne sia l’origine e da
cosa dipendano. Per rispondere a questi interrogativi sono state elaborate negli
anni diverse teorie.
La ricerca scientifica nel campo dello sviluppo infantile ebbe il suo maggior
incremento intorno ai primi anni del Novecento. All’inizio del secolo, intorno
agli anni Venti, per lo studio dell’età evolutiva nacque l’interesse per l’analisi
del comportamento infantile che prevedeva l’osservazione, fotogramma per
fotogramma, di registrazioni filmate in laboratorio. Nello stesso periodo in cui
si diffondeva l’interesse per gli studi basati sull’osservazione, maturò,
nell’opera di molti studiosi, l’idea che l’ambiente incidesse in modo
determinante sullo sviluppo e sul comportamento dei bambini: Freud, che
riteneva molto importanti gli effetti delle variabili ambientali sullo sviluppo del
bambino, evidenziò in modo particolare l’importanza della figura dei genitori
nei primi anni di vita.
7
Di rilievo è la considerazione di come inizialmente lo studio del bambino si
limitava all’osservazione di taluni comportamenti adottati dai bambini in una
situazione ricreata in laboratorio senza mai cercare le conferme nell’ambiente
naturale per verificare che cosa influenzasse veramente lo sviluppo del
bambino. Dagli anni Cinquanta agli anni Settanta si è arrivati a usare
esclusivamente questi esperimenti fatti in laboratorio come base per le teorie
sullo sviluppo, senza tenere presente in alcun modo le situazioni di vita
quotidiana. Nessuno, infatti, ritenne opportuno considerare le limitazioni di
questi esperimenti, finchè nel 1977, il famoso psicologo Urie Bronfenbrenner,
arrivò a denominare gli esperimenti come “studio di bambini in situazioni insolite
con adulti sconosciuti per il più breve tempo possibile”.
8
7
H. R. Schaffer, Lo sviluppo sociale, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1998
8
U. Bronfenbrenner, Ecologia dello sviluppo umano, Il Mulino, Bologna, 1986, citato in H. R. Schaffer,
Lo sviluppo sociale, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1998
13
Bronfenbrenner, con il suo modello ecologico, intende l'ambiente di
sviluppo del bambino come una serie di cerchi concentrici, legati tra loro da
relazioni:
- Il Microsistema: corrisponde al contesto immediato, la situazione
ambientale in cui si svolge la vita quotidiana del bambino e che avrà una
influenza diretta sulle sue esperienze, ad esempio la famiglia, la scuola e
il gruppo dei pari.
- Il Mesosistema: rappresenta le relazioni, i legami che intercorrono tra i
diversi microsistemi. Ogni microsistema può influenzare un altro
microsistema (le esperienze vissute in un contesto possono causare dei
condizionamenti in un altro contesto: ciò che accade a casa influenzerà il
modo in cui si comporterà il bambino a scuola e viceversa).
- L'Esosistema: comprende le condizioni di vita e di lavoro della famiglia,
della scuola e del gruppo dei pari, elementi che possono influenzare il
bambino anche se egli non è direttamente presente all’evento.
- Il Macrosistema: si riferisce ad una dimensione in assoluto più distante
dall’esperienza diretta del bambino e comprende le politiche sociali, i
valori sociali, le ideologie e le istituzioni politiche, elementi che
caratterizzano la comunità socioculturale in cui il bambino è inserito.
9
I primi studi importanti sullo sviluppo sociale infantile, portarono
dunque conferme alle teorie secondo cui la mente del bambino non fosse altro
che una tabula rasa da plasmare (Locke)
10
o un mero fascio di impulsi da
controllare (Freud)
11
. Secondo Locke, spettava al genitore quindi fornire al figlio
l’esperienza, tramite associazioni e abitudini apprese, mentre secondo Freud il
genitore aveva il compito di aiutare il bambino a sviluppare una giusta
9
L. Camaioni – P. Di Blasio, Psicologia dello sviluppo, Il Mulino, Bologna 2002
10
J. Locke, a cura di N. Abbagnano, Saggio sull’intelletto umano, UTET, Torino, 1982 citato in R. Tassi,
Itinerari pedagogici, vol. 2A, Seconda edizione ampliata, Zanichelli, Bologna 1994
11
S. Freud, Introduzione alla psicanalisi, 1932 citato in G. Chiosso, Novecento pedagogico, Editrice La
Scuola, Brescia 1997
14
valutazione della realtà esterna e ad imparare a rinviare ed inibire la
gratificazione dei propri impulsi.
Locke era però soltanto un filosofo, quindi non basava le sue scoperte su
dati empirici, ma le sue idee furono talmente interessanti che influenzarono un
altro studioso del comportamento infantile, Watson, il quale, riprendendo le
idee di Locke secondo cui l’ambiente determina il comportamento
12
, arrivò a
pensare lui stesso che il bambino alla nascita potesse essere considerato
infinitamente modificabile e su questo basò tutta la sua filosofia del
comportamentismo. Ne è la prova la sua famosa citazione:
“Datemi una dozzina di bambini in buona salute, ben formati, e il mio
mondo speciale nel quale crescerli e vi garantirò di poterne prendere uno a
caso e addestrarlo a divenire qualsiasi specialista a mia scelta (…)
indipendentemente dai suoi talenti, inclinazioni, tendenze, abilità, vocazione
e razza dei suoi antenati.”
13
Quindi era compito dei genitori assicurare ai propri figli le giuste
occasioni di apprendimento e, sempre ai genitori, spetta l’arduo compito di
utilizzare i rinforzi per favorire l’apprendimento di un comportamento
desiderato e scoraggiarne un altro non ben accetto. Il rinforzo era l’unico
elemento grazie al quale lo sviluppo poteva progredire. In sintesi quindi il
comportamentismo e la psicoanalisi consideravano rilevante l’unidirezionalità
dello sviluppo, ovvero l’influenza del genitore era l’unico elemento chiave dello
sviluppo sociale del bambino. Per i comportamentisti, la socializzazione era il
processo mediante il quale i genitori istruivano i figli tramite punizioni e premi
(rinforzi negativi e positivi) per permettere ai bambini di ampliare il proprio
repertorio di azioni, rinforzando i comportamenti voluti dai genitori e
scoraggiando quelli non voluti. Per la psicoanalisi, la socializzazione dipendeva
12
J. Locke, Pensieri sull’educazione, La Nuova Italia, Firenze 1963 citato in R. Tassi, Itinerari
pedagogici, vol. 2A, Seconda edizione ampliata, Zanichelli, Bologna 1994
13
J. B. Watson, Behaviorism, People’s Institute Publishing Company, New York, 1925, citato in H. R.
Schaffer, Lo sviluppo sociale, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1998
15
dalle pratiche genitoriali, dalla loro capacità di imporre restrizioni agli impulsi e
desideri e di contenere la rabbia dei figli.
14
Il comportamentismo fu gradualmente abbandonato come teoria grossolana
nel momento in cui si approfondirono gli studi sulla relazione madre-bambino
e grazie alle scoperte di Piaget riguardo alle capacità cognitive dei bambini: il
bambino come tabula rasa sparì per lasciare posto alla idea di bambino come
protagonista attivo della propria crescita. Piaget, infatti, teorizzò che
l’interazione delle variabili biologiche con quelle ambientali fossero rilevanti
nella determinazione del comportamento.
15
In seguito si concretizzarono le teorie dell’apprendimento sociale: un
esempio è lo studio condotto da Sears, Maccoby e Levin negli anni Cinquanta
che volle osservare le relazioni esistenti tra le pratiche educative dei genitori e le
caratteristiche della personalità dei bambini. Il suo studio si limitò, però, a
prendere in considerazione soltanto le madri come unica fonte di esperienza
per il bambino, le interviste alle madri come unica fonte per la raccolta dei dati
riguardo alle pratiche educative messe in atto e ai comportamenti dei bambini e
l’educazione fornita dai genitori come unica responsabile dello sviluppo del
bambino. Questo, come si scoprirà con l’evoluzione della ricerca in campo dello
sviluppo, non è veritiero, infatti, come già specificato in precedenza, il processo
di socializzazione è ben più complesso e multideterminato.
16
Fallita la prima teoria dell’apprendimento, Bandura ne ideò una seconda,
secondo la quale l’apprendimento era possibile tramite imitazione ed
osservazione degli altri. Inserito in quest’ottica, lo sviluppo veniva considerato
come il semplice atto di osservare dei modelli di comportamento desiderabili e
di riprodurli in seguito.
17
14
L. Molinari, Psicologia dello sviluppo sociale, Il Mulino, Bologna 2002
15
J. Piaget, La nascita dell’intelligenza nel bambino, La Nuova Italia, Firenze, 1977, citato in H. R.
Schaffer, Lo sviluppo sociale, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1998
16
R.R. Sears – E.E. Maccoby – H. Levin, Patterns of child rearing, Row&Peterson, Evanstor, IL, citato
in H. R. Schaffer, Lo sviluppo sociale, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1998, p.33
17
A. Bandura, Social learning theory, Prentice – Hall, Englewood Cliffs, NJ, citato in H. R. Schaffer, Lo
sviluppo sociale, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1998
16
A seguito di diversi esperimenti, Bandura si rese conto che il
comportamento attuato dal bambino e supposto come imitazione passiva in
realtà era il frutto di un’intenzione attiva e ragionata da parte del bambino. In
questo modo la teoria dell’apprendimento sociale di Bandura si allontanò
progressivamente dal comportamentismo per dare spazio ai processi cognitivi e
ad un punto di vista meno meccanicistico dello sviluppo infantile:
“Educare un bambino non significa plasmare una massa inerte di
argilla, ma iniziare un processo di negoziazione con un partner che ha delle
idee sul proprio io”.
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18
H. R. Schaffer, Lo sviluppo sociale, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1998