III
della normativa degli anni Cinquanta, si accompagni una prevenzione di tipo
organizzativo e un coinvolgimento consapevole dei lavoratori e dei loro rappresentanti
nei temi della salute e della sicurezza.
Si è operata dunque una sorta di «rivoluzione copernicana» della sicurezza dove «non
più – o meglio non solo – la macchina, bensì il lavoratore formato, addestrato e protetto
è posto al centro del microorganismo aziendale, con un ruolo attivo nel sistema della
sicurezza»
1
.
Le principali innovazioni riguardano:
a) l’ampliamento del campo di applicazione della disciplina prevenzionistica;
b) gli obblighi a carico del datore di lavoro e dei lavoratori;
c) la formazione dei lavoratori;
d) l’organizzazione del servizio di prevenzione e protezione e l’istituzione della figura
del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.
Il presente lavoro, che si articola in tre capitoli, ha come obiettivo quello di studiare i
soggetti del D.Lgs.n.626, focalizzando l’attenzione sulle figure innovative.
Dopo un’analisi del quadro normativo di riferimento (art.32 Cost., art.2087 c.c. e art.9
St. lav.), dei decreti prevenzionistici degli anni Cinquanta e Sessanta e delle principali
fonti comunitarie che hanno stimolato la produzione normativa italiana in materia di
sicurezza (con particolare riguardo alla Direttiva quadro n. 391 del 12 giugno 1989),
viene analizzato in maniera più specifica il D.Lgs.n.626: il campo di applicazione, la
valutazione del rischio, che costituisce un’innovazione notevole che il D.Lgs.626 ha
apportato alla normativa italiana, nonché i soggetti del decreto in oggetto, sottolineando
in modo particolare il ruolo attivo che essi giocano nell’azienda, grazie alla nuova
filosofia di partecipazione e coinvolgimento introdotta proprio dal D.Lgs.n.626.
Successivamente il presente lavoro si concentra sui soggetti innovativi del decreto: il
Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione e il Rappresentante dei
Lavoratori per la Sicurezza, figure introdotte con l’obiettivo rispettivamente di garantire
la presenza costante in tutti i luoghi di lavoro di personale competente sulle materie di
sicurezza e di dare attuazione a quella logica di coinvolgimento che si fonda
sull’assunto che l’obiettivo della sicurezza sul lavoro non può prescindere dalla effettiva
partecipazione dei lavoratori.
1
LEPORE, La rivoluzione copernicana della sicurezza, in LI, 1994, n.22, p.9
IV
Da tale analisi si evince che il D.Lgs.n.626/94 innova fortemente il «modo di gestire»
l’obbligo di sicurezza, che si caratterizza per il carattere vincolante dell’attività di
programmazione, per l’esplicitazione degli adempimenti a carico del datore di lavoro e
degli altri soggetti garanti della sicurezza e per il ruolo consultivo e di partecipazione
dei lavoratori, anche attraverso rappresentanze obbligatorie.
1
Capitolo 1:
Le linee evolutive della normativa in tema di
sicurezza
2
1.1 Il quadro normativo di riferimento
Il decreto legislativo n.626/1994 si inserisce in un quadro normativo e giurisprudenziale
ormai consolidato, le cui linee guida sono quelle di una tendenza alla assoluta
responsabilità del datore di lavoro in materia di sicurezza, a cui fa da contrappeso una
assenza di obblighi da parte del lavoratore
2
.
La normativa italiana è stata ed è ancor oggi, quasi unanimemente considerata dai
maggiori giuristi adeguata e moderna. Il nostro sistema si presenta tuttavia non esente
da ombre sia per la grande complessità di comandi e divieti contenuti in numerose fonti
della legislazione di tutela della sicurezza del lavoro a cui fa riscontro una diffusa
carenza di organismi aziendali finalizzati alla prevenzione, sia per i gravi limiti
dell’assetto dell’organizzazione preposta alla promozione e al controllo delle attività di
prevenzione e protezione
3
.
La legislazione prevenzionistica, certamente moderna ed adeguata negli anni Cinquanta,
è risultata nei decenni successivi solo sul piano ideologico ed astratto garantista. In
realtà, le lacune e le insufficienze della legislazione e dell’organizzazione territoriale ed
aziendale, evidenziatesi e non colmate, contrariamente a quanto avvenuto in altri Paesi
europei, ne hanno compromesso l’applicazione effettiva, vanificando anche gli aspetti
enfatizzati
4
.
L’art.2087 c.c. è stato messo in oblio per più decenni ed applicato poi solo nei casi in
cui l’infortunio si era già verificato e si doveva affermare la responsabilità del datore di
lavoro. La giurisprudenza non ha avuto occasione, invece, di applicarla nel suo
contenuto prevenzionale, che costituisce l’essenza stessa della norma.
La causa va ricercata nell’estrema ampiezza e genericità dell’obbligo previsto, che ha
un alto significato e un valore irrinunciabile di tutela, se è correlato e rafforzato da
corrispondenti specifiche tecniche, linee guida, istruzioni che esplicitano le misure e le
cautele prevenzionali a cui possono fare riferimento datori di lavoro, organi di controllo
e magistratura. Se è solo quest’ultima che ex post accerta la violazione e applica la
sanzione, è ovvio che l’incertezza sul contenuto dell’obbligo e la certezza di non essere
2
In dottrina non mancano per la verità opinioni diverse e anche opposte in particolar modo da parte dei
giuslavoristi. Si veda per tutti MONTUSCHI, Diritto alla salute ed organizzazione del lavoro, III Ed.,
Milano, 1989, in particolar modo pp.94-99
3
SALERNO, BERNARDINI (a cura di), Prevenzione e sicurezza sul lavoro, CEDAM, Padova, 1996
4
SALERNO, Insufficienze e lacune del sistema prevenzionistico italiano in Securitas, 1968
3
mai condannato a pene detentive, come insegna l’esperienza giudiziaria in merito, porta
fatalmente a quella generale e sistematica disapplicazione della normativa sulla
sicurezza del lavoro, che tutti con motivazioni diverse lamentano.
Anche la normativa tecnica presenta lacune ed incertezze che discendono dalla rigidità e
vecchiezza delle disposizioni, tali da presentare caratteristiche differenziate da settori a
settori tecnologici e persino nell’ambito di uno stesso settore, con l’esigenza di
soluzioni specifiche e passibili di aggiornamento costante in rapporto al progresso
tecnologico, senza quei meccanismi di consulenza e di assistenza, a cui la nuova
normativa di derivazione comunitaria fa ampiamente ricorso
5
.
In questo contesto il legislatore italiano ha proceduto al recepimento della direttiva
quadro e delle sette direttive particolari.
In generale, il quadro normativo di riferimento consiste:
- nell’art.32 della carta costituzionale, il quale ha carattere precettivo, considera la
salute un «fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività»
6
;
- nell’art.2087 del codice civile, il cui titolo “Tutela delle condizioni di lavoro”
inserito nel libro V° che tratta del lavoro, e che recita: «L’imprenditore è tenuto ad
adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del
lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la
personalità morale dei prestatori di lavoro»;
- nell’art.9 dello Statuto dei Lavoratori, il quale coinvolge i lavoratori stessi, mediante
le loro rappresentanze, nella prevenzione degli infortuni mediante il diritto del
controllo sulla applicazione delle norme, nonché nella prevenzione, ricerca
elaborazione, attuazione delle misure idonee a tutelare la loro salute ed integrità
fisica
7
.
5
Le carenze in tale campo si sono accentuate a seguito della soppressione dell’ENPI e dell’ANCC. Che
svolgevano attività di consulenza con centinaia di pubblicazioni ed opuscoli ed a seguito
dell’orientamento della dottrina e della giurisprudenza che non escludeva in caso di adempimento della
diffida dell’ispettore del lavoro la punibilità da parte del soggetto che avesse regolarizzato la situazione.
Sia sui profili della consulenza che sulla natura dell’intervento di vigilanza appare evidente il mutamento
di rotta da registrare.
6
SALERNO, BERNARDINI (a cura di), Prevenzione e sicurezza sul lavoro, Cedam, Padova, 1996
7
PACILIO, Aspetti penali e profili di costituzionalità del Decreto Legislativo n.626/1994, in Diritto delle
Relazioni Industriali, 1995, n.1, p.13 ss.
4
1.1.1 L’articolo 32 della Costituzione
Il riconoscimento della tutela della salute da un lato come diritto fondamentale
dell’individuo e interesse della collettività, dall’altro come limite espresso all’esercizio
dell’iniziativa economica privata emerge con chiarezza dall’art.32 della Costituzione.
Il diritto alla salute per molti anni è stato ridotto nei limiti di un problema assicurativo:
la tutela che si pretende dallo Stato come dovuta
8
ha coinciso in larga misura, così nella
prassi come nelle impostazioni dottrinali, con quella consegnata allo Stato moderno dal
corporativismo, una normativa per di più bisognosa di essere filtrata e controllata dal
punto di vista della legittimità costituzionale. Le conseguenze di ciò sono di una gravità
eccezionale: trova un fertile terreno per attecchire e germogliare l’ideologia della
fatalità dell’infortunio
9
, il cui rischio finisce per essere imputato alla sfera giuridica del
prestatore di opere, mentre si afferma la tendenziale irresponsabilità dell’impresa
secondo una logica di tipo privatistico, che ha, del resto, una significativa e non casuale
emersione nell’art.10 del T.U.del 1965 sull’assicurazione obbligatoria contro gli
infortuni sul lavoro (già art.4 R.D. 17 agosto 1935, n.1765). Sul piano collettivo e
sindacale matura inoltre la rassegnata convinzione che l’organizzazione del lavoro non
si tocca, costituendo uno dei termini immodificabili ed estranei al conflitto industriale,
un dato da assumere a priori. Di qui discende la filosofia della presunta neutralità e della
scientifica esattezza di un apparato organizzativo pensato e costruito, viceversa, per
realizzare uno scopo di lucro e di profitto e perciò senza tenere in minimo conto il
diritto alla salute di alcuno, nonché l’accettazione della monetizzazione del rischio
collegato all’insalubrità o alla pericolosità dell’ambiente di lavoro, quando presenti un
particolare indice di aggressività ed appaia una variabile certa ed ineliminabile di quel
«tipo» di organizzazione del lavoro
10
.
Sfugge o rimane in ombra, inoltre, la circostanza che «è al cittadino che deve essere
positivamente e attivamente garantito – nei limiti del possibile lo stato di salute»
11
.
8
Cfr. in questi termini spec. PASQUINI, La tutela della salute, 1966, p.251 e sulla stessa posizione DE
PALMA, RAINONE, La tutela della salute come diritto pubblico soggettivo, 1968, p.7
9
Cfr. spec. L’ideologia della fatalità, in Mag.Dem., Bollettino Trim. del Gruppo Triveneto, n.1, pp.1 e
segg.; SMURAGLIA, La tutela penale della sicurezza del lavoro alla luce dei principi costituzionali, in
Quale giustizia, n.27-18, pp.354 e segg.; MONTUSCHI, Diritto alla salute, pp.11 e segg
10
Cfr. sul punto spec. MONTUSCHI, Diritto alla salute, p.12; GIOVANNINI, Movimento sindacale e
tutela della salute, in Quale giustizia, n.27-28 pp.372 e segg.
11
Così AMATO, Regioni e assistenza sanitaria, in Problemi Sic.Soc, 1969, n.551
5
L’idea circa le necessità di una riforma sanitaria globale che comporti lo
smantellamento della costosa impalcatura burocratica previdenziale non riesce a
prendere corpo con lucidità e consapevolezza così come la svalutazione che tocca il
contenuto e il cuore della norma in esame, imputabile anche ad una dottrina che si
balocca con la categoria dei diritti pubblici soggettivi
12
, ne impedisce per alcuni lustri la
penetrazione a livello dei rapporti interprivati, nonché l’indiscussa prevalenza come
valore giuridico prioritario, laddove si determini l’impatto con norma penali portatrici di
confliggenti e subordinate ideologie.
Tutto ciò rimane valido fino agli anni ’60, quando la situazione muta radicalmente:
mentre cresce l’interesse della dottrina per la sorte dei diritti fondamentali di libertà ed
entra in crisi contemporaneamente la visione ottocentesca illuministico-liberale di
questi, intesi sino ad allora quali «diritti pubblici soggettivi che nascono contro lo Stato
a tutela della società politica e che rimangono pertanto estranei alla società civile, tutta
organizzata attorno al principio dell’autonomia contrattuale»
13
, matura nei fatti una
sensazionale rivolta contro quelle statiche e sonnolenti interpretazioni della norma in
esame risolventesi, tutt’al più, in inutili classificazioni o in astratte categorie concettuali.
Il movimento sindacale, pressato dalle istanze egualitarie della base, lancia, alla fine
degli anni Sessanta la sua sfida al padronato, ripudiando la prassi anteriore della
monetizzazione e imbastendo la prima seria strategia sul fronte del diritto alla salute,
basata sul principio della non delega al tecnico (e, perciò, dell’autogestione della lotta),
sul rifiuto di qualsiasi prestazione compensativa, nonché sul ruolo propulsivo affidato al
gruppo omogeneo in uno con l’affermazione del principio della c.d. validazione
consensuale a mezzo del quale si contrappone polemicamente alla pseudo-oggettività
padronale la c.d. soggettività operaia
14
. Si assiste così alla straordinaria e rapida
inversione di una linea storica di tendenza, che solo ieri appariva incontestabile e che
mostra subito i suoi vistosi limiti ideologici, nonché il suo vero volto: che è, tanto per
cambiare, quello della sopraffazione e della violenza, anche se trattasi di una violenza
sottile e simulata, fondata sulla separazione dei ruoli sociali e dell’ineluttabilità dei c.d.
omicidi bianchi che un Procuratore Generale della Cassazione non si perita di
12
Cfr. spec. DE PALMA, RAINONE, La tutela della salute come diritto pubblico soggettivo, 1968, n.15
13
Così MANCINI, Recesso unilaterale, II, p.91
14
Cfr. spec. MONTUSCHI, Azione sindacale e strategia padronale nella contrattazione collettiva, in
Quale giustizia, n.27-28, pp.377 e segg., nonché Diritto alla salute, pp.14 e segg.
6
dichiarare, in un discorso inaugurale dell’anno giudiziario, estranei alla «materia dei
reati»
15
.
Cadono così nella polvere tutta una serie di miti: l’organizzazione del lavoro non è più
accettata supinamente come un postulato estraneo alla dinamica e alla logica del
conflitto industriale
16
, il tecnico, il medico del lavoro sono messi sotto accusa per aver
servito per troppo tempo gli interessi padronali, gli stessi organi pubblici di controllo (in
particolare l’ENPI, coinvolto in una clamorosa vicenda giudiziaria)
17
sono apertamente
contestati e rifiutati dal movimento operaio che ricorre all’ausilio delle nuove strutture
sanitarie di base orientate in senso democratico che operano quali strutture mobili ed
aperte all’interno degli enti locali (si allude ai vari centri o collettivi di medicina
preventiva).
Con l’entrata in vigore dello Statuto dei Lavoratori (legge maggio 1970 n.300) l’istanza
operaia per una fabbrica a misura d’uomo ha trovato un avallo e una conferma della
giustezza dell’impostazione ideologica e tattica nell’art.9
18
, che proietta in una
dimensione collettiva più articolata e soprattutto credibile quel diritto all’integrità fisica
e morale già previsto a livello individuale dall’art.2087 cod. civ., una norma, questa,
non a caso pressochè inapplicata nella sua dimensione «prevenzionale»
19
.
In effetti, l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare «la salute e l’integrità fisica»
dei lavoratori è clamorosamente mancata in sede giudiziaria, a seguito di una
consapevole (ed integrale) sindacalizzazione di tutta la fase che segua all’indagine
sull’ambiente di lavoro, convogliata per solito all’interno di una piattaforma
rivendicativa e, quindi, assunta a contenuto ed oggetto di una battaglia sindacale
20
.
Ciò non toglie che per altra via il giudice sia intervenuto a ristabilire la priorità del
diritto alla salute rispetto alla libertà di iniziativa economica privata: così si è deciso che
15
L’opinione espressa dal Procuratore generale della Corte di Cassazione trovasi riferita nel saggio
Infortuni sul lavoro: l’inchiesta del Pretore, in Quale giustizia, n.20, p.338
16
FERRAROTTI, La salute nella fabbrica: riflessioni per una sociologia del lavoro alternativa, in
Critica Soc. 1971, n.18, pp.48 e segg., spec.57
17
I cui termini sono richiamati e commentati da BIAGI, L’ENPI: pubblica funzione o gestione privata,
Riv.Trim.Dir. e Proc.Civ., 1974, pp.1549 e segg. La disavventura giudiziaria ha avuto delle conseguenze
sul piano burocratico ed amministrativo: cfr. per un quadro della situazione che è sfociata poi nella
nomina di un commissario straordinario e nello scioglimento del Consiglio di Amministrazione dell’ente
spec. MONTUSCHI, Diritto alla salute, pp.122 e segg., 139 e segg.
18
Per un commento cfr. spec. MONTUSCHI, Diritto alla salute, pp.142 e segg., ove ampi riferimenti
bibliografici e giurisprudenziali (per questi ultimi cfr.spec. p.146, nota 312)
19
Cfr. spec. BRANCA, Sicurezza del lavoro e progresso tecnico nel diritto italiano, in Riv.Infortuni e
Mal.Prof. 1970, I, pp.1 e segg., spec.8
7
l’interesse dell’impresa e la giustificazione del licenziamento ex art.3 legge n.604 del
1966 deve misurarsi col diritto alla salute del lavoratore, che prevale nel conflitto «per
ragioni di utilità sociale»
21
, che lo scarso rendimento di un prestatore può essere
imputato non alla pigrizia o alla disaffezione al lavoro, bensì al ritmo troppo intenso
della catena di montaggio che imporrebbe uno sforzo tale da mettere a «repentaglio la
sua integrità psico-fisica»
22
. «Tra l’esigenza di un ritmo elevato richiesto al fine di
incrementare la produttività (e quindi i profitti aziendali) e quella di garantire condizioni
di lavoro tali da non compromettere la salute, intesa nel senso più ampio, dei prestatori
di lavoro, l’ordinamento è quest’ultima che privilegia», conclude il Pretore di Milano
nella citata ordinanza
23
, graduando con rigore indiscutibile i valori costituzionali in
conflitto.
Iniziative di questo tipo
24
dimostrano, da un canto, l’interesse del tutto nuovo del
giudice per quel micro-cosmo che tende a sottrarsi alle leggi dello Stato, che è stata sino
a ieri, la fabbrica
25
, dall’altro, la maturata consapevolezza che il diritto alla salute non
appartiene affatto alla categoria dei diritti pubblici, né può profilarsi nei termini riduttivi
di un diritto «alla tutela»
26
operando, viceversa, direttamente nell’ambito interprivato (e
quindi in senso polivalente) allo stesso modo di altri diritti fondamentali di libertà.
Fra gli effetti, riflessi o indiretti, della rivoluzione culturale operaia esplosa nel biennio
1968-70 è certamente da annoverare il recupero in senso polivalente della norma in
esame. La constatazione che la norma in esame è capace di calarsi all’interno dei
rapporti di diritto privato impone all’interprete una serie di riflessioni nuove ed
impegnative: anzitutto, con riguardo ai limiti in cui è ammissibile la giustiziabilità di
tale posizione soggettiva perfetta, poi intorno alla collocazione che spetta ad essa, ad
esempio, nel rapporto di lavoro subordinato, non più a latere delle obbligazioni
fondamentali, bensì nell’area della cooperazione del creditore di opere, sicché il
20
MONTUSCHI, Diritto alla salute, pp.137 e segg. e 142 e segg.
21
Cfr.spec. Pret. Torino, 3 dicembre 1973, in Quale giustizia, n.27-28, pp.395 e segg.: la sentenza è stata
confermata da Trib. Torino 18 febbraio 1974, pp.397 e segg.
22
Cfr.spec. Ritmi, ambiente di lavoro e poteri del giudice , in Quale giustizia, n.21-22, pp.402 e segg.:
l’inciso dall’ordinanza del pret. Milano, 28 giugno 1973
23
Così Pret. Milano, 28 giugno 1973, cit. nella nota precedente
24
Cfr. spec. GUARINIELLO, COTTINELLI e DI LECCE, La tutela processuale della sicurezza sul
lavoro. Spunti metodologici e note operative, in Quale giustizia, n.27-28, pp.409 e segg.
25
ROMAGNOLI, in Commentario del codice civile, statuto dei diritti dei lavoratori, sub art.1, pp.1 e
segg.
26
PASQUINI, La tutela della salute, in Problemi Sic.Soc, 1966, p.256; DE PALMA, RAINONE, La
tutela della salute come diritto pubblico soggettivo, 1966, n.7
8
debitum di lavoro debba trovare «la sua misura e il suo limite nel rispetto pregiudiziale
della persona del debitore stesso»
27
e, in ultima analisi, nel diritto fondamentale alla
salute protetto e garantito dalla norma in esame.
La polivalenza del diritto alla salute può dirsi un risultato ormai acquisito negli sviluppi
dottrinali e giurisprudenziali più recenti: sul piano del rapporto di lavoro privato le
riflessioni degli interpreti trovano ora un punto ideale di riferimento nella riscoperta
dell’art.2087 cod.civ., nonché nell’art.9 dello Statuto dei Lavoratori, ma l’idea che la
norma in esame sia capace di influire nella stessa misura su altre situazioni giuridiche è
tutt’altro che azzardata o campata per aria. La stessa Cassazione a sezioni unite ha
riconosciuto nel 1973 che il diritto alla salute è un vero e proprio diritto soggettivo e,
come tale, pone un limite invalicabile alla discrezionalità amministrativa
28
; con la
conseguenza che la sua lesione genera il diritto al risarcimento dei danni.
La prospettiva del diritto della personalità rischia dunque di sfumare o rendere meno
percettibile questa importante implicazione, valorizzandosi, perciò, solo la pretesa
secondaria al risarcimento dei danni in luogo di quella primaria volta ad ottenere un
ambiente di lavoro «a misura d’uomo» e, pertanto, la revoca o l’annullamento della
delibera amministrativa lesiva, in potenza o in atto, del diritto alla salute del singolo
dipendente.
Il diritto alla salute e la sua valutazione separata rispetto alla capacità di lavoro
(generica o specifica) del soggetto leso consente di smascherare la costruzione che
attribuisce un differente valore economico ad un’identica lesione a seconda
dell’attitudine, attuale o futura, del danneggiato alla produzione di un reddito più o
meno elevato
29
.
Laddove l’uomo è considerato solo nella sua qualità di produttore di ricchezza o
dispensatore di forza lavoro valutabile economicamente, non c’è spazio per una
protezione dell’integrità fisica quale bene giuridico autonomo e per una valorizzazione
27
MONTUSCHI, Diritto alla salute, pag.71-72
28
Cass.Sez.Un., 21 marzo 1973, n.796, in Foro Amm., 1974, I, pp.26 e segg.
29
Famoso è il caso “Gennarino” (cfr. Trib.Milano, 18 gennaio 1971, in Giur. Merito, 1971, pp.209 e
segg.) duramente criticata come sentenza «classista» in un commento in Pol. del Dir., 1971, pp.435 e
segg., nonché dal GALLOPPINI, Teoria e ideologia nel risarcimento del danno alla persona, in Quale
giustizia, n.11-12, pp.627 e segg.
9
del diritto alla salute che non può non essere egualitaria nel senso di prescindere dalla
situazione economica sottostante
30
.
Anche sul terreno della responsabilità aquiliana si affaccia dunque il valore precettivo
della norma in esame: la salute e l'integrità fisica va protetta, infatti, nella stessa ed
identica misura sia all’interno, sia al di fuori delle fattispecie oggettivamente pericolose;
il risarcimento dei danni ex art.2043 cod.civ. è dovuto perciò a causa della lesione del
bene in sé prima ancora che in relazione al pregiudizio eventuale che può seguire alla
capacità generica o specifica di lavoro dell’individuo.
E’ questa un’affermazione di notevole rilievo che segna un progresso sensibile nella
crescita della norma in esame, nella misura in cui ne orienta l’applicazione anche verso i
rapporti privati di origine extracontrattuale recuperando, al tempo stesso, con innegabile
coerenza quei valori e contenuti egualitari sui quali si fonda la carta costituzionale.
Il secondo comma dell’articolo in questione si limita ad ammettere l’obbligatorietà di
certi trattamenti sanitari, ove il legislatore li ritenga necessari, e non ha invece ad
oggetto l’applicazione in concreto nei confronti dei singoli di misure sanitarie ad opera
della competente autorità. La legge, rendendo obbligatorio un determinato trattamento,
può accompagnarlo con strumenti di esecuzione coattiva, affidati all’autorità
amministrativa
31
; il medesimo obbligo può essere accompagnato da sanzioni diverse dal
costringimento fisico.
30
BESSONE, ROFFO, Garanzia costituzionale del diritto alla salute, p.14; MONETTI, PELLEGRINO,
Proposte per un nuovo metodo di liquidazione del danno alla persona, in Foro It., 1974, V, pp.159 e
segg., spec.162
31
Esclude che l’obbligo di subire un trattamento sanitario possa essere eseguito con la forza
CATTANEO, Il consenso del paziente al trattamento medico-chirurgico, in Riv.Trim.Dir. e Proc.Civ.,
1957, pp.949 e segg., particolarmente 971. Non solo - egli osserva - il fatto che sia ammissibile l’obbligo
di subire un trattamento non vuol dire che sia possibile la costrizione, ma questa sarebbe probabilmente
contraria al rispetto della persona umana e costituirebbe un attentato alla libertà personale ben più grave
di un obbligo la cui violazione sia oggetto di sanzioni indirette per quanto gravi queste possano essere.
Che il trattamento sanitario obbligatorio possa esser applicato coattivamente quando la malattia del
singolo abbia ripercussioni sulla salute della collettività, sembra invece scontato nella maggior parte della
dottrina. Cfr. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, II, p.960; VASSALLI, La libertà personale nel
sistema delle libertà costituzionali, in Scritti per Calamandrei, vol.V, pp.355 e segg., particolarmente
p.380 e nota 50; BRUSCUGLIA, BUSNELLI e GALOPPINI, Salute mentale dell’individuo e tutela
giuridica della personalità, Rivi.Trim.Dir. e Proc.Civ., 1973, pp.658 e segg.. In tutti questi autori però è
poco chiaro quando il trattamento sia applicabile coattivamente senza la preventiva pronuncia del
magistrato e quando invece questa si renda necessaria.
Per la possibile applicazione coattiva cfr. anche LESSONA, Amministrazione della salute pubblica in
Italia, in Scritti per Jemolo, III, p.383; LESSONA, La tutela della salute pubblica, in Comment.
Calamandrei-Levi, I, pp.933 e segg.
10
Ritenere diversamente, infatti, escludere cioè che il legislatore, nell’imporre determinate
misure a tutela della salute possa predisporre mezzi adeguati per renderle effettivamente
operanti, significherebbe svuotare di molto del suo significato l’attribuzione del potere
stesso
32
.
Si tratta perciò di vedere come i diversi strumenti possano essere adoperati, quali siano
in altre parole le circostanze che legittimano, al di là della generica imposizione della
misura, l’uso di questo ovvero di quello strumento per garantirne l’osservanza.
La risposta a queste domande la si trova per intero nello stesso art. in esame ove se ne
sappiano utilizzare in modo correlato le diverse componenti.
Vanno tenuti presente qui:
a) il fine della tutela della salute (individuale e collettiva) che porta subito a
domandarsi se fini diversi possano giustificare l’imposizione di trattamenti
sanitari e in che rapporto stiano, a questo medesimo fine, la salute collettiva e
quella individuale;
b) il rispetto della persona umana, del quale è da vedere se possa essere considerato
indipendente dalla tutela della salute.
E’ subito evidente che la correlazione tra salute e tutela della persona umana non può
non esserci in un ordinamento che ha un fondamento personalistico
33
. Da ciò emerge il
primo e più importante significato del principio del rispetto della persona umana
nell’articolo in commento, ovvero che i trattamenti sanitari imposti devono essere diretti
32
Si finirebbe infatti per affidare la realizzazione del fine (tutela della salute del singolo e della
collettività) alla capacità deterrente di una sanzione pecuniaria. Questa capacità, però, si va sempre più
riducendo anche in settori di applicazione diversi, coinvolgenti interessi di carattere economico, dove, a
differenza di quello in esame, la sanzione indiretta pecuniaria – e ci riferiamo qui indifferentemente vuoi
alla multa ed all’ammenda, vuoi all’obbligazione civile del risarcimento dei danni – potrebbe realizzare in
qualche modo, anche se parzialmente, il fine che la norma violata voleva raggiungere. Nemmeno in questi
casi, infatti, quando l’interesse tutelato abbia assunto un rilievo tanto forte da non potersi ritenere più
interesse meramente individuale, quella sanzione viene ritenuta soddisfacente: si pensi alla disciplina del
licenziamento nel contratto di lavoro ed a quella dello sfratto nel contratto di locazione.
33
VINCENZI AMATO in BRANCA, Commentario della Costituzione, Rapporti etico-sociali, art.29-34,
Zanichelli, Bologna, 1976
11
alla cura ed alla prevenzione delle malattie
34
.
Una condizione che deve sempre essere rispettata è che il trattamento sanitario,
ancorché indirizzato alla tutela della salute non può essere imposto se non è volto a
favorire direttamente quella del singolo che è chiamato a subirlo.
Accertato che il trattamento sanitario non può essere imposto se non è in gioco anche la
salute individuale, lo si può imporre quando è in gioco solo la salute individuale?
La salute, secondo il primo comma dell’articolo in esame, è tutelata quale diritto del
cittadino e interesse della collettività. Ma deriva da questo interesse un dovere del
singolo di provvedere alla propria salute quando questa non abbia riflessi diretti su
quella degli altri cittadini?
La salute dell’individuo, si dice, ha ripercussioni sul benessere sociale che vanno assai
oltre la possibilità di diffusione e trasmissione delle malattie: essa condiziona la
produttività dell’individuo stesso e l’adempimento dei suoi doveri nell’ambito dello
Stato e delle comunità minori di cui fa parte. L’individuo malato rappresenta o può
rappresentare un peso per la collettività ed in alcuni casi anche un pericolo per
l’incolumità e la moralità dei cittadini. La tutela della salute del singolo è dunque non
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CARLASSARRE, L’art.32 della Costituzione ed il suo significato, in Amministrazione sanitaria, per la
quale è da escludere un’assoluta libertà della legge che potrebbe intervenire “quando entri in gioco non
soltanto la salute del singolo individuo come tale – anche se le condizioni psico – fisiche dei membri della
comunità sono innegabilmente rilevanti per la stessa – ma solo quando sia in gioco direttamente
l’interesse collettivo”. Così, dice la CARLASSARRE, cit., è senz’altro legittimo ogni intervento per
prevenire e reprimere malattie contagiose, ed illegittima l’imposizione al singolo in relazione alla sua
propria salute in mancanza di ripercussioni dirette sugli altri membri del corpo sociale. Un margine di
incertezza – precisa però l’A. – rimane aperto a seconda di come si interpreti quel ‘direttamente?, cioè se
la ripercussione debba essere immediata ovvero possa essere anche futura, ed a seconda che essa investa
la generalità ovvero singoli individui.
Nello stesso senso, e cioè per il collegamento della misura sanitaria all’esigenza di tutelare la salute degli
altri, MORTATI, in Riv.Inf. e Mal.Prof., 1961, I, pp.1 e segg.; MERLINI, in Dem. e Dir., 1970, pp.55 e
segg.. In senso contrario, ed anzi, più specificamente per la possibilità di trattamento sanitario coattivo a
tutela di interessi generali diversi dalla salute collettiva, BRUSCUGLIA, Infermità mentale, part. pp.64 e
segg. e ivi nota 23. Una posizione poco chiara su questo punto è quella di LESSONA in Commentario
Clamandrei-Levi, I, pp.933 e segg., il quale critica l’introduzione del limite del rispetto della persona
umana in quanto questo potrebbe portata a sacrificare l’interesse pubblico: «Chi può dire a priori – nota
l’A. – che il grado di intensità dell’interesse pubblico non possa giungere a un punto tale da imporre il
sacrificio della dignità della persona umana, sottoponendo l’individuo a trattamenti sanitari necessari per
preservare l’intero corpo sociale». Analoghe ambiguità in LEGA, Diritto alla tutela della salute e
PALMIERI, Tutela della salute.
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solo in funzione di se stessa, ma in funzione del benessere e dell’ordine sociale
35
.
Tutto questo è senz’altro vero, ma non vale a legittimare l’imposizione al singolo di
qualsiasi trattamento atto a modificare in senso positivo la sua salute
36
. Tutti i diritti e le
libertà fondamentali ed i c.d. diritti sociali sono orientati verso la realizzazione di quel
modello di società fondata sulla solidarietà e sulla piena partecipazione di tutti alla vita
del paese (artt.2, 3 e 4), cui si informa la nostra Costituzione. Se la nozione, dal lato
attivo, di quei diritti e libertà può e deve essere ricostruita in vista di quel modello, non
è vero però il contrario. Dal lato passivo, giustificare limitazioni a quelle libertà e a quei
diritti o, come nell’ipotesi prospettata, tradurre un diritto in soggezione avvalendosi del
richiamo all’interesse generale, significherebbe in realtà modificare il modello stesso:
poiché è evidentemente un modello di società diverso da quello sopra detto quello in cui
l’ordine, la partecipazione alla vita del paese e il benessere stesso dei cittadini si realizza
con l’imposizione
37
.
Se sarà perciò ammissibile, non in contrasto cioè con il rispetto della persona, che la
legge stimoli nei singoli la cura della propria salute, attraverso anche la comminazione
di pene pecuniarie e la privazione di certi vantaggi a chi si sottragga a determinati
controlli o cure, non sarà invece ammissibile, in mancanza di un pericolo diretto per la
salute collettiva, che questi vengano imposti con la forza, ovvero attraverso sanzioni
tanto gravi da lasciare uno spazio minimo alla libertà di scelta del soggetto
38
.
35
Così ZANOBINI, Corso, V, p.146. Dalla interdipendenza tra benessere sociale e salute individuale
derivano la doverosità dell’autodifesa senza tuttavia precisare se la sua osservanza possa essere imposta
con la forza, LEGA, Diritto alla tutela della salute; PALMIERI, Tutela della salute; l’esistenza di un
dovere di tutelare la propria salute è affermata anche da MORTATI, in Riv.Inf. e Mal.Prof., 1961, I, p.1 e
PERLINGERI, Personalità umana, pp.302 e segg., i quali tuttavia escludono espressamente la legittimità
di una coazione diretta. Che un tale obbligo esiste esclude invece DECUPIS, Diritti della personalità,
p.131: «l’integrità fisica, la salute personale…è protetta dall’ordinamento giuridico solo contro le offese
altrui, con l’attribuzione di un diritto alla persona, non già contro la stessa persona, con l’imposizione…
di un obbligo; sono protetti invece, attraverso tale imposizione, taluni interessi pubblici collegati
all’integrità e salute personale».
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Tra l’altro, vista in questa luce, la nozione stessa di salute, già così labile per ciò che concerne la sfera
psichica si allargherebbe fino a ricomprendere quello stato ottimale che consente il raggiungimento del
maggio ordine e benessere sociale, giustificando così qualsiasi intervento.
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Un discorso diverso, ed in buona parte accettabile, è quello che ricollega all’interesse alla salute e ai
doveri di solidarietà sociale l’esigenza di non sopravvalutare l’esclusività del diritto della persona sul
proprio corpo, a danno della salute altrui e di rendere in qualche modo vincolante (ma non imponibile con
la forza) il consenso già prestato a datti di disposizione del proprio corpo. Per LINGHIERI, Personalità
umana, pp.30 e segg.
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BRANCA, Commentario della Costituzione, Rapporti etico-sociali, art.29-34, Zanichelli, Bologna,
1976, pp.146-209