8
1
Per l’idea di τέθμoς si veda anche Od .8. 88; 29; Pind. I. 6.20; P. Pae. 6. 57.
2
Rossi 1971.
3
Rossi 1971, p. 75.
4
Giannotti 1975, p. 121-22;
L ’ IPOR C HE MA
τὰ μα κ ρὰ δ᾽ ἐ ξε νέ π ε ιν ἐ ρύκ ε ι με τε θμòς
ὧρα ί τ᾽ ἐ π ε ιγ όμε να ι.
(Pind . N . 4. 33-34)
In diversi passi della produzione pindarica è presente l’idea di “τέ θμoς ”
1
, che sarebbe
esagerato rendere con la concezione odierna di “legge” quanto piuttosto con quella di
“tendenza”, di modus operandi imposto dal costume degli antichi e unanimemente
osservato, che si inserirebbe in quel complesso di “leggi non scritte, ma rispettate”
2
preso in
considerazione sia da parte del poeta nell’atto compositivo che, soprattutto, dalle aspettative
del pubblico. “D'altra parte, anche in mancanza di opere tecniche specifiche, tacere delle
leggi non si può: ogni opera che le ignori è condannata all'insuccesso, esse sono
l'espressione più chiara del legame col pubblico.”
3
Pindaro si ribella tacitamente a tutto ciò; è consapevole infatti che il compito del poeta sia
quello di scovare nel mare magnum del “già composto” una propria modalità di sviluppo e
nei temi e negli stili, talvolta con innovazioni strutturali profonde; “Pindaro nelle sue opere
fa spesso riferimento all’immagine della ‘via’, che presenta un carattere ambivalente,
mentre serve a ricordare il carattere convenzionale del genere letterario della lirica corale,
anche serve a dare rilievo alla personalità del cantore nel momento in cui attua le sue scelte
poetiche. Questo ha spinto a parlare di autonomia ed eteronomia presente in tutta l’opera
pindarica, e che, paradossalmente le conferisce unità”
4
.
Esempio di ciò si ha con gli iporchemi, principale oggetto di trattazione in questo lavoro; la
maestria di Pindaro è quella di riprendere generi letterari di antichità remota, per adattarli
alle proprie esigenze poetiche e a quelle del committente. Nel frammento 105 Sn.- M. il
poeta indirizza l’iporchema non più ad Apollo o ad una qualsiasi divinità ma a Ierone di
Siracusa. Nel farlo trasgredisce quindi al τε θμός che gli antichi gli avevano affidato,
9
5
vd. dopo , La danza iporchematica .
modificando l’andamento metrico, il destinatario e probabilmente anche le occasioni di
performance
5
. Si trasformano i generi per gli dei in generi per gli uomini, si adattano il
metro, la musicalità e di conseguenza probabilmente la danza. Nonostante ciò, il
componimento viene sempre classificato come iporchema; doveva risuonare quindi nelle
orecchie degli antichi una continuità che noi non percepiamo.
Per Pindaro, la Suda ( s.v . Πίνδα ρος , π 1617, IV, 133 Adler) registra le seguenti opere:
ἔγραψ ε δὲ ἐν βιβλίοις ιζʹ Δωρίδι διαλέκτῳ ταῦτα· Ὀλυμπιονίκας , Πυθιονίκας ,
Προσόδια, Παρθένια, Ἐνθρονισμούς , Β ακχικά, Δαφνηφορικά, Παιᾶνας ,
Ὑπορχήματα, Ὕμνους , Διθυράμβους , Σκολιά, Ἐγκώμια, Θρήνους , δράματα τραγικὰ
ιζʹ, ἐπιγράμματα ἐπικὰ καὶ καταλογάδην παραινέσεις τοῖς Ἕλλησι, καὶ ἄλλα πλεῖστα.
Scrisse dunque in dialetto dorico in libri tali opere: Olimpiache, Pitiche, Prosodi,
Parteni, Intronazioni, Baccanali, Dafneforici, Peani, Iporchemi, Inni, Ditirambi,
Scoli, Encomi, Treni, Drammi Tragici, Epigrammi epici ed esortazioni in prosa per i
greci, ed anche molto altro.
La produzione poetica di Pindaro fu divisa da Aristofane di B isanzio in 17 libri, secondo i
diversi generi e distinti in componimenti per gli dei e per gli uomini. C i sono rimaste due
liste antiche: la prima è contenuta nella Vita Ambrosiana (una delle quattro biografie
conservate dai codici medievali, e risalenti all’attività di biografi e storici della letteratura di
età ellenistica), mentre la seconda è stata restituita dal P. Ox. 2438 risalente al II secolo d.C .
Le due biografie divergono in numerosi punti: cronologia, presenza più o meno accreditata
di un figlio e soprattutto risulta interessante la differente menzione di generi letterari trattati
e l’inconciliabile numerazione di libri. La V.A. omette cinque generi (ἐ νθρονισμοί, βα κ χικ ά ,
δα φνη φορικ ά , σκ όλια , δρά μα τα τρα γ ικ ά ) che invece compaiono nella Suda ; di contro, la
Suda dà rispettivamente in un solo libro i ditirambi, i prosodî, gli iporchemi che nella V.A.
appaiono in due, e i partenî che sempre nella V.A. appaiono in
10
P. Oxy . 26 2438, II sec. d.C ., Vita di Pindaro
11
6
Arrighetti 1967, p.10.
7
Si veda Plat. Ion . 534c ἕκαστος ποιεῖν καλῶς ἐφ’ ὃ ἡ Μοῦσα αὐτὸν ὥρμησεν, ὁ μὲν διθυράμβους, ὁ δὲ
ἐγκώμια, ὁ δὲ ὑπορχήματα, ὁ δ’ ἔπη, ὁ δ’ ἰάμβους· τὰ δ’ ἄλλα φαῦλος αὐτῶν ἕκαστός ἐστιν.
tre. “Alle ipotesi dei predecessori, tutte fondate sul presupposto che gli elenchi differenti
corrispondessero a edizioni diverse, Hiller opponeva che quei titoli in più che compaiono
nella Suda, come tali non sono citati da nessun'altra fonte, quindi sono immaginari; che di
fatto nell'antichità circolava un solo elenco delle opere pindariche, quello riportato dalla
V.A .; e che infine per spiegare la Suda si può pensare che a qualche grammatico era capitato
l'elenco che come numero complessivo dei libri delle opere del poeta dava al solito 17, ma
mancante dei numeri dei libri delle singole opere, di modo che pareva che dall'elenco
mancassero appunto i titoli di cinque opere. Perciò questo grammatico avrebbe inserito, per
far tornare il conto, cinque titoli di opere, quelli appunto che compaiono in più nella Suda, in
sé non disdicevoli all'attività poetica di Pindaro”
6
.
Definizione del genere: l’iporc hem a
La definizione del genere iporchematico non risulta essere immediata per diverse
motivazioni:
1. a livello etimologico, viene definito iporchema “un canto accompagnato dalla danza”, ma in
un contesto quale la Grecia antica questo non è per niente distintivo. Non esiste canto che
non sia accompagnato da un movimento, più o meno accentuato;
2. un altro grande limite è nelle fonti: il primo scrittore che riconosce all’iporchema
l’autorevolezza di un genere letterario è Platone
7
; mentre Luciano, Didimo, Plutarco sono
tutti autori tardi, la loro trattazione è molto probabilmente di seconda mano; un testo giunto
per iscritto, senza musica e danza perde quanto di più caratterizzante esso possiede;
3. la tradizione antica è singolarmente reticente in materia e, fatta eccezione per pochissimi
autori (Pindaro e B acchilide) di cui si sono conservati alcuni versi, rimane solo qualche
nome di autore di iporchemi, non accompagnato da frammenti cum verbis ;
4. l’elemento imprescindibile è la mousikè , cosa che se per certi versi può aiutare nella
ricostruzione storica del genere, per altri non fa che aumentare le difficoltà; non avendo per
questi frammenti né una partitura metrica né testimonianze precise sul ritmo.
12
8
DELG 830.
9
Schwyzer, Gr. Gr . 1, 702, 719.
10
LSJ 1968, 928.
C ome detto sopra, la danza costituisce un elemento di partenza fondamentale per la
trattazione del genere; traccia della forte interdipendenza tra canto e ballo si riscontra già a
partire dall’etimologia.
Il termine iporchema è un sostantivo che deriva dal verbo ὀρχέ ομα ι, letteralmente “io ballo”.
C hantraine
8
cita le due possibili etimologie di Frisk e Schwyzer
9
secondo cui il verbo
sarebbe “un intensif-itératif de ἔ ρχομα ι, ce qui n’est tres satisfaisant ni pour le sens, ni pour
la forme, ἔ ρχομα ι étant un présent dérivé. Un autre hypothèse ancienne evoque skr. r̥ghāyáti
“trembler, se dechainer”. La prima ipotesi, da cui C hantraine si discosta, alluderebbe ad
un’occasione di performance simile ad una processione sacra in cui il testo sarebbe
accompagnato da un incedere ordinato più che da un vero e proprio ballo: un iporchema
prosodiaco; la seconda invece accenna ad una danza per certi versi sregolata e piuttosto
movimentata che è più facilmente associabile alla definizione di Liddell- Scott, per cui
ὑπ όρχη μα “is a song accompanied by dancing and pantomimic action”
10
Quest’ultima definizione è perfettamente in linea con quanto viene tramandato da P H O T .,
Bibl , cod. 239, 320b, 34 :
ὑπόρχημα δὲ τὸ μετ’ ὀρχήσεως ᾀδόμενον μέλος ἐλέγετο · καὶ γὰρ οἱ παλαιοὶ τὴν
ὑπό ἀντὶ τῆς μετά πολλάκις ἐλάμβανον .
Si chiamava iporchema il canto intonato con la danza: infatti gli antichi spesso
usavano ὑπό al posto di μετά.
Il patriarca bizantino, però, aggiunge un dato per la ricostruzione terminologica:
l’iporchema non si è sempre chiamato iporchema: doveva esserci un tempo in cui la
preposizione ὑπ ό poteva essere sostituita da με τά senza creare troppi problemi al senso
logico, come se le due preposizioni fossero interscambiabili; in realtà, ove la prima indica
propriamente una “sottomissione” (ὑπ ό “sotto”) del canto alla danza, la seconda (με τά
“con”) conferisce alla danza un ruolo di accompagnamento più che di preminenza. Questa
differenza doveva essere trascurabile per Fozio che porta testimonianza di un tempo in cui la
confusione tra i due valori era lecita, forse motivata da una comunanza di funzioni di με τά ed
ὑπ ό.
13
11
Rougier-Blanc 2018, p. 265.
12
Phot., Bibl. 318b. 21 ss.
13
Joannes Sard., Comm. in Aphtonii progymnasmata , 120.
14
PS. Plut., De Mus ., 1134 d.
Nell’ ὑπ όρχη μα , così come lo intendiamo oggi, la preposizione ὑπ ό è fondamentale.
“L’explication étymologique donnée ici du mot ὑπ όρχη μα signifie quel es mouvements des
danses étaient subordonnés au thème et au sens des paroles chantées”
11
.
L’i porc he ma: un c ant o sac ro
Fozio
12
colloca gli iporchemi tra i canti ε ἰς θε ούς , anche nella classificazione alessandrina
essi si dispongono tra i prosodi, canti ancora ε ἰς θε ούς e gli encomi, i primi tra quelli ε ἰς
ἀ νθρώπ ους .
Etymologicum Magnum, 690, 48:
Ὑπορχήματα δὲ , ἅτινα πάλιν ἔλεγον ὀρχούμενοι καὶ τρέχοντες κύκλῳ τοῦ βωμοῦ ,
καιομένων τῶν ἱερείων.
Si chiamavano iporchemi invece, quelli che anticamente danzavano e correvano in
cerchio attorno ad un altare, compiuti i sacrifici.
Si nota la menzione, rara altrove, di un sacrificio contemporaneo alla danza dell’iporchema,
cosa che comprova le origini sacre e l’esecuzione alla presenza di sacerdoti, all’aperto,
attorno ad un altare; una danza e un sacrificio rituale comunque non aggiungono nulla di
altamente specifico a quanto già presente in altri generi lirici dedicati agli dei. Il destinatario
dei canti era Apollo.
διῄρουν δὲ τοὺς ὕμνους κατὰ θεὸν ἕκαστον καὶ τοὺς μὲν εἰς Ἀπόλλωνα παιᾶνας καὶ
‘υπορχήματα ὠνόμαζον (…)
13
Distinguevo gli inni per ciascuna divinità, quelli per Apollo si chiamano peani e
iporchemi.
Ad Apollo vengono dedicate due tipologie di canti:
ὁ δὲ παιὰν ὅτι διαφορὰν ἔχει πρὸς τὰ ὑπορχήματα, τὰ Πινδάρου ποιήματα δηλώσει·
γέγραφε γὰρ καὶ παιᾶνας καὶ ὑπορχήματα.
14
I poemi di Pindaro dimostreranno chiaramente che il peana presenta una differenza
rispetto all’iporchema, infatti egli ha scritto sia peani che iporchemi.
14
15
Smyth 1900, p. 72.
16
Il . 5. 401, 899; 4. 232;
17
Si veda in seguito la problematica nella distinzione tra prosodi e peani.
18
Pastore 2017, 41.
19
Privitera 1972, 43.
20
Athen. V 181 a-b.
Fatta eccezione per la comune destinazione, i peani e gli iporchemi sono generi diversi,
caratterizzati da proprie peculiarità. La differenza principale, di cui parla anche Plutarco,
sarebbe nelle melodie; infatti per i peani il ritmo è più solenne, mentre per gli iporchemi più
vivace. “Nella sfera cultuale di Apollo il peana celebrava, almeno originariamente, gli
aspetti più severi del dio; l’iporchema, invece, quelli più gioiosi”
15
. Peani e iporchemi si
presentano dunque come se fossero due facce della stessa medaglia, i due generi celebrano il
dio completamente, in tutti i suoi aspetti. Il peana, in realtà, non nasce neppure come un
canto per Apollo; il destinatario primitivo doveva essere Paieon, un dio medico confuso con
Apollo già da Omero
16
. In virtù delle sue originarie caratteristiche “mediche”, il peana era
un canto di richiesta o di ringraziamento. Nella sua evoluzione, però, arriverà ad inglobare
anche delle caratteristiche tipiche di altri canti, esattamente come succederà con
l’iporchema; quindi in epoca tarda si può pensare ad una probabile confusione tra i due
generi (o con altri
17
), soprattutto in quei componimenti in cui manchi l’invocazione tipica al
dio iè iè paian. A detta delle fonti, la relazione tra canto e danza nel peana non doveva avere
la medesima rilevanza posta in essere dall’iporchema. “In generale la danza che
accompagnava il peana era assai più solenne dell’altra. La danza iporchematica era spesso
mimetica, non sempre eseguita da tutti i componenti del coro”
18
Luogo di origine del genere
Un probabile punto di contatto tra i due generi è invece rilevabile nel luogo d’origine: C reta.
“I peani cantati secondo la norma erano infatti detti cretesi”
19
ed anche gli iporchemi
rivelano la medesima provenienza, o quantomeno una forte vincolo con l’isola.
Κρησὶ γὰρ κατὰ τὴν ἱστορίαν ἐπιχώρια τό τε κυβιστᾶν καὶ ἡ ὄρχησις , ὡς καὶ Ὅμηρος
οἶδε , καὶ περιῄδοντο τοῖς πάλαι τὰ Κρητικὰ ἐμμελῆ ὑπορχήματα.
20
Infatti, secondo la tradizione, peculiarità dei C retesi erano le acrobazie e la danza,
come sa bene anche Omero, e si cantavano in giro da parte degli antichi gli iporchemi
cretesi ἐμμελῆ.
La genesi insulare di questi e di altri canti è motivata dal fatto che i cretesi vantino una fama
di eccelsi ballerini. In aggiunta a ciò, il fatto di collocare in un tempo e in un luogo tanto
15
21
Cfr. anche Schol. P. 2. 127 Σωσίβιος δὲ (φησὶ ) τὰ ὑ πορχήματα μέλη πάντα Κρητικὰ λέγεσθαι .
22
Athen. Deipn . V 181b (10).
23
Luc. De salt ., 31.
24
Di Marco 1974 critica Fozio per questo “goffo tentativo etimologizzante”, Severyns 1938 riportando
quanto detto dai grammatici, sottolinea che μετά ed ὑπό siano interscambiabili e quindi la differenza del
nome non comporta alcuna differenza di carattere del genere.
remoti gli albori del genere conferisce dignità e autorevolezza al genere stesso. Il legame
con il luogo è infatti tanto forte che il termine κ ρη τικ ά diviene sinonimo di iporchemi
21
.
« μετὰ δέ σφιν ἐμέλπετο θεῖος ἀοιδὸς φορμίζων» · δοιὼ δὲ κυβιστητῆρε κατ’ αὐτοὺς
μολπῆς ἐξάρχοντες ἐδίνευον κατὰ μέσσους . τοῖς μὲν οὖν Κρησὶν ἥ τε ὄρχησις
ἐπιχώριος καὶ τὸ κυβιστᾶν . διό φησι πρὸς τὸν Κρῆτα Μηριόνην · « Μηριόνη , τάχα κέν
σε καὶ ὀρχηστήν περ ἐόντα / ἔγχος ἐμὸν κατέπαυσε διαμπερές , εἴ σ’ ἔβαλόν περ» .
ὅθεν καὶ Κρητικὰ καλοῦσι τὰ ὑ πορχήματα.
22
« Tra questi un canto divino veniva celebrato con le danze con l’accompagnamento
della cetra », invece due acrobati dando inizio alla μόλπη roteavano su loro stessi al
centro. Dunque i C retesi si muovevano secondo questa danza indigena e questo modo
di roteare. Perciò uno di C reta dice a Merione: “Merione, presto che anche se sei un
ballerino, tieni a freno la mia lancia trafiggente, se la lanciai proprio su di te”. Per
questo gli iporchemi sono chiamati anche κρήτικα.
La diffusione geografica del genere insegue il culto di Apollo. L’affermazione degli
iporchemi è attestata anche a Delo, isola nativa del dio.
Ἐν Δήλῳ δέ γε οὐδὲ αἱ θυσίαι ἄνευ ὀρχήσεως ἀλλὰ σὺν ταύτῃ καὶ μετὰ μουσικῆς
ἐγίγνοντο . παίδων χοροὶ συνελθόντες ὑπ’ αὐλῷ καὶ κιθάρᾳ οἱ μὲν ἐχόρευον ,
ὑπωρχοῦντο δὲ οἱ ἄριστοι προκριθέντες ἐξ αὐτῶν . τὰ γοῦν τοῖς χοροῖς γραφόμενα
τούτοις ᾄσματα ὑ πορχήματα ἐκαλεῖτο καὶ ἐμπέπληστο τῶν τοιούτων ἡ λύρα .
23
A Delo i sacrifici non avvenivano mai senza danza ma con questa e con la musica. I
cori dei fanciulli che si radunavano al suono del flauto e della cetra, alcuni danzavano,
altri invece giudicati come i migliori tra questi, interpretavano i canti con i gesti,
questi canti erano chiamati iporchemi e la lirica ne era piena.
Tra questa testimonianza di Luciano e quella precedente di Ateneo si notano delle chiare
analogie, nonostante l’origine del genere cambi luogo di riferimento. In entrambi i passi
infatti il canto viene descritto come sacro ed abbinato ad una danza movimentata, come si
vedrà in seguito, separata dal canto.
La danza iporc hem at ic a
Ammesso che la paretimologia offerta da Fozio (vedi supra 1.1) corrisponda ad un dato
reale
24
, rimane comunque un elemento fondamentale comune a tutte le fonti: la danza come
elemento determinante del genere iporchematico.
16
25
Phot., Bibl. cod. 239, 318 b, 21 ss.
26
Luc. De Salt . 30.
27
Luc. De Salt. 16.
C i sfuggono necessariamente delle peculiarità nelle movenze che possano permettere al
ballo di assurgere a fondamento di un genere lirico. Non riusciamo a comprendere infatti
neppure alcune delle caratteristiche generali, ad esempio, chi fosse a ballare, chi a cantare e
se i due compiti fossero comuni alle medesime persone o distinti per “professione”.
Fozio/Proclo
25
, oltre che in base ai destinatari, classifica i canti in abbinamento alla danza.
In un primo gruppo si inseriscono ditirambi, peana, prosodi, parteni nei quali si deve
immaginare una coincidenza tra chi canta e chi si muove; nel secondo gli inni e gli
iporchemi cantati probabilmente da una parte del coro che rimaneva ferma mentre l’altra
danzava senza cantare.
Si pensa quindi ad una divisione del coro in tempi remoti forse dettata da questioni pratiche:
Πάλαι μὲν γὰρ αὐτοὶ καὶ ᾖδον καὶ ὠρχοῦντο· εἶτ’ ἐπειδὴ κινουμένων τὸ ἆσθμα τὴν
ᾠδὴν ἐπετάραττεν, ἄμεινον ἔδοξεν ἄλλους αὐτοῖς ὑπᾴδειν.
26
Anticamente infatti, le stesse persone cantavano e danzavano; poi, poiché il respiro
affannoso dovuto ai loro movimenti disturbava il canto, sembrò più opportuno che gli
uni cantassero al posto degli altri.
L’impossibilità di ottemperare ad entrambi i compiti in maniera eccellente deve aver
comportato la divisione dei due ruoli. Tra le righe si può ipotizzare che l’affanno fosse
determinato, forse, da movenze ritmate e incalzanti, che necessitavano di persone esperte e
di allenamento. La selezione doveva avvenire per merito; come ricorda lo stesso Luciano,
erano i migliori a ballare mentre i restanti cantavano:
παίδων χοροὶ συνελθόντες ὑπ’ αὐλῷ καὶ κιθάρᾳ οἱ μὲν ἐχόρευον , ὑπωρχοῦντο δὲ οἱ
ἄριστοι προκριθέντες ἐξ αὐτῶν
27
I cori dei fanciulli che si radunavano al suono del flauto e della cetra, alcuni
danzavano, altri invece giudicati come i migliori tra questi, interpretavano i canti.
Le danze erano dunque ispirate dal canto: questo il legame indissolubile. Si ballava in base a
ciò che si cantava, ad un ritmo veloce e gioioso dovevano corrispondere un canto e un ballo
altrettanto solleciti. Il ruolo del ballerino doveva essere piuttosto complesso e presupporre
una preparazione fisica non indifferente, essi vengono infatti definiti ἄ ριστοι. Questa
designazione, in realtà, può anche non riferirsi unicamente alla danza, ma ad una realtà
eticopolitica che sarebbe in linea con quanto sostenuto da C ameleonte, come si vedrà in
17
28
Smyth 1900, p. 71: “Il coro era composto tanto di uomini quanto di fanciulle e di fanciulli, o infine di
persone di ambo i sessi”
29
Athen. in Deipn . V 181b (10) cita i versi di Hom. Il . 18. 605-606 = Od. 4. 18-19.
30
si veda 1.2 L’iporchema come canto sacro.
31
Calame 1977, p. 109.
seguito. I ballerini principali, probabilmente non tutti
28
, erano due e da loro, forse, partiva il
canto:
δοιὼ δὲ κυβιστητῆρε κατ’ αὐτούς / μολπῆς ἐξάρχοντες ἐδίνευον κατὰ μέσσους
29
Due danzatori avviano la μ. roteando su loro stessi nel mezzo.
La μoλπ ή in questione è di difficile traduzione perché con essa si alluderebbe
sinergicamente al canto e alla danza. Quindi comprendere se questi κ υβιστη τῆ ρε ς mettano in
moto la danza, com’è naturale che sia, o il canto o addirittura entrambi è davvero complesso.
La rilevanza attribuita alla danza si evince dalla posizione riservata ai ballerini: quella
centrale. L’idea di una collocazione preminente, al centro, si collega con quella riservata a
una divinità o a un altare, attorno a cui gli officianti del sacrificio si dispongono.
Effettivamente, essa contrasta con quanto rilevato nell’ Etymologicum Magnum
30
, per cui
non si cantava attorno a dei ballerini, ma all’altare su cui avveniva il sacrificio per il dio.
“Le centre du chœur est occupé soit par un objet de culte, soit par la personne qui dirige le
chœur. […] Dans le Bouclier d’Hésiode, on voit Apollon jouer de la lyre au milieu du chœur
des Immortales. Le dieu jouer de lyre occupe également le centre du chœur des Muses dont
Pindare décrit longuement l’activité dans la VIII N éméenne ”.
31
Probabilmente l’idea di Ateneo viene incentivata da testimonianze più antiche per cui in
occasioni sacre dedicate ad Apollo è il dio stesso ad occupare il centro ed intorno a lui si
dispongono i sacrificanti o le Muse. La presenza di ballerini in un posto per eccellenza
divino non può che sottolineare ancora una volta l’aurea di sacralità che investiva la danza
iporchematica.
L’evidente perdita di tutto il contesto performativo consente di trattare l’esibizione solo
sulla base di fonti scritte. Proprio in questo contesto si presenta come una ὄρχη σις μίμη σις ,
appartenendo quindi a quel macro gruppo di danze mimetiche comprendente anche la pirrica
o, successivamente, il pantomimo.
Testimonianze degne di nota giungono da un peripatetico di III secolo, tradito per via
indiretta grazie ad Ateneo: C ameleonte (Fr. 42 Giordano).
La sua indagine poetica si concentra infatti sulle caratteristiche peculiari di ogni scrittore e
genere. Per quanto riguarda l’iporchema, egli lo prende come esempio di danza “ordinata”;
18
32
Athen., Deipn ., 628d.
33
Rougier-Blanc 2018, p. 266.
34
Di Marco 2009, p. 67.
dovevano esserci delle coreografie e delle modalità di procedere rigide e schematiche dalle
quali non si poteva prescindere, se si voleva inscenare una danza iporchematica.
καὶ γὰρ ἐν ὀρχήσει καὶ πορείᾳ καλὸν μὲν εὐσχημοσύνη καὶ κόσμος , αἰσχρὸν δὲ
ἀταξία καὶ τὸ φορτικόν . διὰ τοῦτο γὰρ καὶ ἐξ ἀρχῆς συνέταττον οἱ ποιηταὶ τοῖς
ἐλευθέροις τὰς ὀρχήσεις καὶ ἐχρῶντο τοῖς σχήμασι σημείοις μόνον τῶν ᾀδομένων ,
τηροῦντες αἰεὶ τὸ εὐγενὲς καὶ ἀνδρῶδες ἐπ’ αὐτῶν , ὅθεν καὶ ὑπορχήματα τὰ τοιαῦτα
προσηγόρευον .
32
Anche per quanto riguarda la danza e il procedere è un fattore positivo l’ordine e il
decoro. È invece vergognoso il disordine e la volgarità (nei movimenti). Per questo
infatti proprio dall’inizio dei tempi i poeti componevano le danze per gli uomini liberi
e si servivano di schemi fissi come indizi solo dei cantanti, osservando sempre la
nobiltà e la virilità per questi; da questo contesto anche gli iporchemi sono denominati
così.
Il punto di contatto tra la danza e il canto si nota in quei τοῖς σχή μα σι ση με ίοις μόνον τῶν
ᾀ δομέ νων: i poeti invitano i ballerini ad avanzare secondo delle movenze che rappresentino
delle avvisaglie guida per i cantanti in modo da avviare, interrompere, rallentare o
sollecitare il canto. Si comprenderebbe dunque ancora una volta, l’intimo legame delle due
componenti iporchematiche che viene evidenziato in quasi tutte le fonti antiche. Il
riferimento a τοῖς σχή μα σι ση με ίοις sarebbe un’allusione alla postura generale, tipica anche
della statuaria. Il marmo tra tutte le arti è quello che meglio rappresenta, attraverso la stasi,
un esempio di valori morali: “Les attitudes ou postures (σχή μα τα ) étaient les éléments
structurels qui, porteurs de valeurs morales, étaient communs aux trois arts. À partir de l’art
statique de la sculpture, qui en exhibait la valeur, ils étaient transférables dans la danse
(individuelle et chorale) et dans les exercices gymniques”
33
Per quanto riguarda invece la
componente maschile o femminile all’interno del coro, si può far ricorso all’archeologia.
Dalle ceramiche rinvenute a partire dall’epoca protoattica per le scene di danza si
preferiscono contesti di kommos, in cui a ballare sono menadi e comasti; al di fuori di questa
“baldoria istituzionalizzata”
34
le rappresentazioni di ballerini maschili sono sporadiche, con
una netta prevalenza di figure femminili. A C ameleonte preme sottolineare, dunque, come le
movenze e i ritmi, per quanto riguarda l’iporchema, siano nel rispetto dell’ἀ νδρῶδε ς , forse
proprio per contrastare una tendenziale divisione di ruoli, comune in epoca arcaica, dettata
dalla differenza di genere. Infine, la danza viene vista come un momento costitutivo e
aggregativo per la nobiltà e non circoscritto solo ad un momento di svago. C ameleonte vuole
19
35
Aten. Deipn., I 15d (27).
36
Aesch. Choe . 1023-1025.
conferire dignità a chi si muove secondo criteri “ordinati”, che contrastano il disordine e la
sconcezza del kommos.
C om’è stato già sottolineato sopra, la danza aveva di sicuro un carattere imitativo. Ma cosa
simulavano precisamente i danzatori? Erano coordinati?
Ateneo, nella sua rassegna di generi letterari, cita gli iporchemi proprio in relazione al valore
imitativo di alcune danze:
ὑποσημαίνεται δὲ ἐν τούτοις ὁ ὑπορχηματικὸς τρόπος , ὃς ἤνθησεν ἐπὶ Ξενοδήμου
καὶ Πινδάρου. καί ἐστιν ἡ τοιαύτη ὄρχησις μίμησις τῶν ὑπὸ τῆς λέξεως
ἑρμηνευομένων πραγμάτων·
35
Tra queste (scilic. le danze ad Olimpia) viene segnalato il genere iporchematico, che
si fiorì ai tempi di Senodamo e Pindaro. La danza stessa è mimesi degli avvenimenti
spiegati dal discorso.
In questo caso, è chiaro che il ballerino doveva attenersi al tema di fondo del poema. Si
cantava e si danzava con lo scopo di trasmettere un solo messaggio reso verbalmente dai
cantanti e gestualmente dai ballerini. L’effetto doveva essere quello di rimarcare il tema
principale scelto dal poeta.
Questa idea di mimesi è perfettamente coerente con il significato originario del verbo
ὑπ ορχέ ομα ι, per l’intenzione di inscenare un ballo che sia coerente con quanto espresso ὑπ ὸ
τῆ ς λέ ξε ως . Un elegante esempio di un progetto imitativo si noterà anche in tragedia:
ἐξωτέρω· φέρουσι γὰρ νικώμενον
φρένες δύσαρκτοι, πρὸς δὲ καρδίᾳ φόβος
ᾄδειν ἑτοῖμος ἡ δ’ ὑπορχεῖσθαι κότῳ.
36
La mente non si lascia comandare e mi porta via sconfitto; presso il cuore la paura è
pronta a cantare e a danzare al suono della rabbia.
(trad. Luigi Battezzato)
R isulta chiaro in questo contesto come sia la Paura la reale corega delle danze di Oreste, che
ormai riesce a muoversi solo da uomo intimorito e irato; φόβος infatti impartisce ordini e
coreografie in collaborazione con κ ότος . Quindi ὑπ ορχέ ομα ι non indica un semplice ballo,
ma una danza che sia manifestazione fenotipica di uno stato d’animo. Il valore di questo
passo è corroborato dalla vicinanza cronologica tra Pindaro e Eschilo. Si può immaginare
che questo senso di forte corrispondenza tra movimento e sentimento non rimanesse legato
solo ad un contesto cretese ma che fosse percepito ai tempi di Pindaro, così come lo sarà nel
teatro eschileo.