2
chiunque conosca un minimo il profilo storico della Tunisia noterà che la
situazione del paese in questi ultimi anni è assai paragonabile a quella degli
anni precedenti l’instaurazione del Protettorato e la storia sembra
presentare delle ciclicità. Ad esempio il regime politico promuove molto il
cosiddetto “partenariato” euro-mediterraneo che risulterebbe molto
vantaggioso economicamente e socialmente per i tunisini. In realtà la
tendenza alla dipendenza economica dai paesi Europei dell’epoca
precoloniale non è poi così cambiata da un secolo all’altro pur escludendo
l’esperienza coloniale; forse il paese non è indebitato fin sull’orlo della
bancarotta come lo era invece dopo la metà del XIX secolo, tuttavia ha
firmato un trattato con l’UE per una zona di libero scambio che almeno agli
inizi sarà decisamente sfavorevole per l’industria locale. Durante l’epoca
del protettorato (1881-1956) l’economia tunisina presenta le caratteristiche
di un’economia coloniale alla francese. Vengono effettuati molti
investimenti sotto la diretta regia della potenza protettrice e con la
partecipazione dell’enclave di europei residenti nel paese, ma da questi
vengono esclusi i tunisini. Dall’esperienza del colonialismo la Tunisia ha
ereditato le infrastrutture economiche, il sistema d’insegnamento, il sistema
giudiziario e la lingua usata negli affari (basti pensare che oggi la Tunisia
fa parte dell’area della francofonia).
Nel secondo capitolo parleremo delle relazioni economiche tra paesi del
Nord Africa e Unione Europea e del processo d’integrazione tra i paesi del
Maghreb, prendendo in esame il loro tentativo di creare un’unione su
imitazione della Comunità Economica Europea. Le relazioni tra UE e
Maghreb sono ancora molto ricalcate sui vecchi rapporti che i paesi
nordafricani avevano già durante il periodo del colonialismo. Dopo
l’esperienza coloniale infatti, le economie dei paesi del Nord Africa, si
3
erano ritrovati con strutture produttive altamente specializzate nella
fornitura di materie prime e una dipendenza accentuata dall’Europa per
l’acquisto di prodotti finiti. Si passa pertanto da una cooperazione tra CEE
e paesi del Nord Africa centrata sugli scambi commerciali negli ani ’70 al
primo accordo di associazione euro-mediterraneo firmato dalla Tunisia nel
1995 e in seguito anche da Marocco e Israele. Ci si chiede come mai altri
paesi quali Egitto ed Algeria siano ancora in fase di negoziazione e non si
siano precipitati anch’essi ad accettare le condizioni di una zona di libero
scambio con l’Europa come ha fatto invece la Tunisia. Tra i numerosi
motivi vanno citati la maggiore stabilità economica e sociale della Tunisia
che la ha resa un partner privilegiato dell’UE e degli organismi
internazionali, nonché il fatto che si tratta di un paese di dimensioni
limitate che potrebbe diventare l’oggetto di mire espansionistiche di altri
vicini più temibili (per esempio la Libia di Gheddafi, basti ricordare i
tentavi di destabilizzazione politica da lui promossi in Tunisia a metà degli
anni ’70 quando era ancora al potere l’ormai anziano presidente Bourguiba)
e la cui politica quindi tende a prediligere un riavvicinamento con le
antiche potenze protettrici. Per quanto riguarda invece il processo
d’integrazione con il Maghreb, si noterà il fallimento verso cui è destinato
fino a che l’Algeria non uscirà dallo stato di crisi multiforme che sta
diventando strutturale e rappresenta una minaccia per l’intera area
mediterranea. Per di più l’avvicinamento di Marocco e Tunisia all’UE non
costituirà un fattore di motivazione per il processo di unificazione regionale
del Maghreb, la Mauritania non potrà mai essere una valida sostenitrice,
trattasi infatti di un paese semidesertico e scarsamente popolato, mentre la
politica imprevedibile di Gheddafi - deluso dai passati tentativi di unione
con altri Stati arabi (sono stati effettuati tentativi a turno con Tunisia,
Algeria e Marocco) – ultimamente sembra orientata alla creazione dei
4
cosiddetti “Stati Uniti d’Africa” e quindi a privilegiare i rapporti con i paesi
dell’Africa nera.
Nel terzo capitolo si cercherà di introdurre l’ambiente economico dei paesi
del Nord Africa ponendo come punto di riferimento la Tunisia, che in
contrasto con l’interminabile crisi algerina, con l’isolamento economico e
politico della Libia e con l’instabilità della crescita dell’economia
marocchina (anche in molti parametri sociali quali tasso di analfabetismo e
altri indici il Marocco dimostra meno performance) e grazie ai progressi
della politica economica degli anni ’90 si è guadagnata lo status di paese
più moderno dell’Africa del Nord). Dai risultati di un’analisi qualitativa
effettuata durante uno stage presso l’Ambasciata d’Italia a Tunisi, sembra
che in Nord Africa l’alternativa alla Tunisia per un imprenditore straniero
nella stragrande maggioranza dei casi siano solo il Marocco e l’Egitto.
Infatti mentre l’Algeria poteva essere ripresa in considerazione grazie alle
enormi potenzialità per gli investimenti e al giudizio positivo degli
operatori economici internazionali (nel 1999 la “Guida al Rischio Paese”
del Sole 24 Ore segnalava una sensibile diminuzione del rischio in
Algeria), agli inizi del nuovo millennio si è assistito di nuovo ad ondate
ripetute di violenze che dissuadono tutti gli investitori stranieri ad investire
nel paese.
Nel quarto capitolo si tratterà delle politiche d’incentivazione agli
investimenti. Nel corso degli anni ’90 infatti tutti i paesi del Nord Africa si
sono dotati di un dispositivo di leggi con l’obiettivo di promuovere gli
investimenti stranieri. I contenuti delle misure d’incentivazione sono molto
simili, anche se il Codice Unico tunisino sembra essere più aperto delle
leggi vigenti in Libia e Algeria, e spesso le differenze risiedono nelle
5
diverse applicazioni pratiche tra un paese e l’altro. Mentre per la Tunisia
verrà presentata un’approfondita descrizione dei contenuti del codice e di
tutte le altre misure previste per promuovere gli investimenti stranieri con
le interpretazioni pratiche, nel caso degli altri paesi del Nord Africa
verranno elencati solo i punti essenziali delle speciali leggi in vigore e
l’esistenza o meno di istituzioni governative apposite per il disbrigo delle
pratiche amministrative e la promozione degli investimento all’estero.
Il capitolo quinto riguarda una breve analisi delle tendenze dei flussi
d’investimento diretto estero (IDE) in Nord Africa, passando in rassegna i
diversi paesi per quanto possibile dai dati disponibili. Nei successivi
paragrafi si approfondirà la situazione degli investimenti in Tunisia, con la
presentazione solo di alcune tabelle, poiché gran parte dei dati forniti dalle
istituzioni locali di Tunisi, sono il più delle volte parziali, aggiornati al
1998 e spesso discordanti tra loro. A conclusione del capitolo effettueremo
delle considerazioni basate sull’esperienza del primo soggiorno in Tunisia
(autunno 1999) e sulle informazioni raccolte durante l’attività svolta presso
l’ufficio commerciale dell’Ambasciata d’Italia.
Nel sesto capitolo si tenterà di fornire i risultati della ricerca sul campo
effettuata in Tunisia nel febbraio 2001 sulla base di incontri con i
responsabili delle unità produttive locali, visite in fabbrica e interviste con i
coordinatori della sede centrale dell’azienda in Europa durante le quali si è
proceduto alla compilazione di un apposito questionario mirante a sondare i
fattori di motivazione e di dissuasione della Tunisia come sito
d’investimento e la strategia aziendale seguita nel processo
d’internazionalizzazione. In particolare sono state scelte 7 aziende per un
totale di 17 unità produttive del settore tessile abbigliamento e
6
componentistica per automobili che secondo i dati della FIPA (Foreign
Investment Promotion Agency) rappresentano i settori maggiormente
attraenti in termini di flussi di investimento e numero di imprese straniere
create e anche quelli in cui la Tunisia ha dimostrato di beneficiare di
vantaggi comparati più consistenti.
7
CAPITOLO PRIMO
1.1 Il Maghreb nell’epoca moderna (XVI – XIX secolo)
Quale sarebbe stata la storia dell’umanità se Annibale avesse vinto Roma,
se Massinissa re dei Numidi si fosse alleato con Cartagine e non con Roma
o se Giugurta avesse avuto la meglio nelle resistenze alla “Pax Romana”?
Forse è scontato per noi pensare all’indiscutibile supremazia della sponda
settentrionale del Mar Mediterraneo su quella meridionale, territorio della
“Carthago delenda”, e comunque dal colpo inflittole tantissimi secoli fa
Cartagine non si è mai più ripresa. Le relazioni economiche, politiche e
culturali tra le due rive del Mediterraneo risalgono a tempi antichissimi. La
prossimità geografica dell’Ifriqiya all’Europa e la vocazione commerciale
delle città della costa nordafricana, Cartagine in primis, hanno reso l’Africa
minore un crocevia di popoli dediti a “fare affari” di durata più o meno
lunga.
L’epoca moderna in Europa fu il periodo delle armi da fuoco, delle
costruzioni politiche centralizzate, del capitalismo dei mercanti prima e
degli industriali del settore manifatturiero in seguito. All’aumento delle
forze materiali e politiche della Cristianità e alle sue offensive sulle coste
maghrebine, corrisposero nuove condizioni nel Maghreb, costretto ad
adattarsi alla nuova epoca o sparire come entità culturale e politica.
Tuttavia l’adattamento non fu che esteriore: esso consistette
nell’imposizione di un sistema politico – militare “moderno” in una società
rimasta fondamentalmente “tradizionale”. L’offensiva iberica, iniziata sin
dal XV secolo sulle coste marocchine per poi arrivare a colpire perfino
Tripoli nel XVI secolo, provocò il crollo degli stati maghrebini già
8
indeboliti dalla crisi delle città, dell’economia monetaria e dal trionfo delle
forze centrifughe (tribù arabe, comunità berbere, città autonomiste, autorità
religiose …). Per il Maghreb, dalla Tripolitania fino ai confini orano-
marocchini, la salvezza venne dall’esterno: i Turchi presero piede in nord
Africa, cacciarono gli Spagnoli e organizzarono le loro conquiste. In
Marocco invece i “combattenti della fede”, detti “sherif”, si imposero con
la forza delle armi per far fronte alla minaccia cristiana e divennero i capi
carismatici del Marocco “moderno”. Nelle nuove province ottomane del
Maghreb e in Marocco venne messa in piedi un’organizzazione politica,
amministrativa e militare basata su eserciti armati allogeni che imponevano
l’ordine agli elementi eterogenei delle società locali e che divennero presto
membri della classe dirigente. I nuovi stati traevano le risorse dallo
sfruttamento delle popolazioni locali e da redditi esterni quali la corsa
(soprattutto ad Algeri), il commercio marittimo (Tunisi) e il traffico
transahariano (Marocco e Tripoli). Mentre le popolazioni rurali dell’interno
vedevano peggiorare le proprie condizioni di vita, i notabili autonomi –
proprietari terrieri, commercianti ed altri cittadini sedentari - consolidavano
la loro ricchezza e la loro posizione sociale e appoggiavano i poteri stabiliti
anche se questi avevano un carattere allogeno marcato. Ma è proprio
dall’alleanza tra lo stato e i quadri autoctoni che dipendeva l’evoluzione dei
regimi: questi si integravano relativamente bene alla società dei notabili a
Tunisi, in Marocco e a Tripoli nel XVIII secolo. Ad Algeri invece i
dirigenti restavano separati, marginali e anche da questo fenomeno -
potremmo pensare - scaturì la debolezza del regime e il suo crollo di fronte
all’invasione coloniale
1
.
1
Fonte: L’histoire de l’Afrique du Nord jusqu’à l’indépendance du Maroc, de l’Algérie et de la Tunisie
de Mohamed Cherif, in Introduction à l’Afrique du Nord Contemporaine, Centre de recherches et
d’études sur les sociétés méditerranéennes, Aix-en-Provence, 1974.
9
In Nord Africa come nelle maggior parte dei paesi extraeuropei, i fatti
importanti della storia nel corso del XIX e XX secolo sono costituiti dai
rapporti di questi paesi con le potenze industriali europee la cui superiorità
determinò la rottura di un equilibrio plurisecolare e l’imposizione del loro
dominio diretto in tutti i paesi non industrializzati. Trionfo coloniale in un
primo momento ma anche gravi equilibri e contraddizioni che sono
all’origine delle reazioni delle società colonizzate e dei movimenti
nazionali che portarono i rispettivi paesi verso l’emancipazione politica.
Quello che fu il trionfo delle imprese e delle numerose colonie europee
rappresentò per la maggior parte dei Maghrebini la “notte coloniale”:
occupazione militare, sottomissione politica, impatto dell’economia e della
tecnologia europee, trionfo dei valori della civiltà occidentale. Dal punto di
vista politico e amministrativo un po’ ovunque il potere decisionale fu
trasferito alle autorità coloniali che ebbero un rispetto solo formale delle
istituzioni locali anteriori (nel caso del protettorato in Marocco e Tunisia) o
praticarono l’amministrazione diretta (nel caso di Libia e Algeria). Tuttavia
anche nel caso di Tunisia e Marocco le autorità francesi tennero sotto
controllo i settori considerati “protetti”quindi le finanze, i lavori pubblici,
l’agricoltura, l’insegnamento e non ebbero scrupoli nel porre le risorse dei
due paesi al servizio della colonizzazione. Nel sistema coloniale francese il
Nord Africa ebbe un trattamento particolare, ivi furono investiti i capitali
più importanti e fu attiva la colonia europea più numerosa. La tecnologia
europea, quella più avanzata, si impone in Nord Africa declassando tutto
ciò che era indigeno: il termine “arabo” designa sin da allora anche per i
colonizzati tutto ciò che è arcaico, poco efficace o di poco conto. I risultati
furono impressionanti anche dal punto di vista economico: un’infrastruttura
di ferrovie, strade, centri urbani ecc. cambiarono il paesaggio e la vita nel
paese, tutte le miniere furono sottoposte a sfruttamento e circa quattro
10
milioni di ettari, tra le migliori terre, furono accaparrate dagli Europei
2
. Nel
settore commerciale e industriale, a parte alcune gigantesche holding a
capitale francese o internazionale, una moltitudine di imprese europee di
medie o piccole dimensioni, si concentrarono nelle città che furono da
allora suddivise in settore moderno (la cosiddetta città europea) e in
“medina” (città araba).
Dei vantaggi della colonizzazione beneficiarono i protagonisti europei
dell’economia capitalistica e generalmente le colonie europee, valutate a
circa un milione e mezzo di elementi nel solo Maghreb, concentrate nelle
città, che intanto imponeva stili di vita, tecniche, valori, la lingua
influenzando per sempre la società maghrebina. Tra gli aspetti economici
negativi del colonialismo sulle società colonizzate vanno annoverati
almeno:
- espropriazione delle terre e le conseguenti gravi difficoltà delle
società rurali che pagarono così il tributo più pesante,
- effetti distruttivi della concorrenza industriale sui settori commerciali
e artigianali tradizionali,
- squilibri generali dovuti alla coesistenza di due sistemi economici e
sociali diversi e ad un ineguale stadio di sviluppo.
Va ricordato tuttavia che nelle città la borghesia autoctona ed alcune grandi
famiglie poterono conoscere momenti propizi soprattutto agli inizi del
periodo coloniale, mentre la borghesia ebrea sin dall’inizio optò per la
causa del colonizzatore come fecero anche alcune categorie di
commercianti e uomini d’affari.
2
Fonte: Mohamed Cherif, op. cit..
11
1.2 L’Economia della Tunisia precoloniale (XVIII – XIX sec.)
L’economia della Tunisia precoloniale è caratterizzata dalla permanenza
delle proprie strutture nel corso del tempo. Tra il XVIII e il XIX secolo ad
esempio, non si nota nessun cambiamento essenziale, la stessa
infrastruttura economica si è mantenuta fino alla metà del XIX secolo:
stessi mezzi tecnici, sistemi culturali, organizzazione dei mestieri.
Malgrado la mancanza di cambiamenti significativi, l’economia della
Reggenza di Tunisi ha subito alcuni sconvolgimenti congiunturali: in tutti i
settori è evidente un grande contrasto tra un XVIII secolo relativamente
prospero e descritto dai cronisti tunisini come “età dell’oro” della
Reggenza, e un XIX secolo decadente e soggetto a numerose crisi cicliche
spesso catastrofiche
3
.
Lo storico Lucette Valensi in un suo studio sull’agricoltura della
Reggenza
4
, distingue tre periodi, uno prospero per l’economia della
Reggenza che va dal 1753 al 1774, un periodo di regressione dal 1776 al
1810 e una fase di irresistibile declino che va dal 1815 al 1840. Invece lo
storico M. H Cherif
5
distingue due fase principali, la prima di prosperità
risalente al XVIII secolo che vede termine nel 1815 con la morte di
Hamouda Pacha e la seconda, inaugurata nel 1815, caratterizzata da
numerose difficoltà economiche. Entrambi gli autori sopra citati
riscontrano l’esistenza di un punto di rottura intorno al 1815 tra un periodo
di pace e di relativa prosperità - ricordato dai cronisti dell’epoca come
l’”età dell’oro” della Tunisia pre-coloniale - che va dal 1759 al 1814 e un
periodo immediatamente successivo di crisi irreversibile in cui il bey e la
3
Kraiem M., La Tunisie Précoloniale. Deux Tomes, S.T.D., Tunis, 1973.
4
La conjoncture agraire en Tunisie au XVIII et XIX siècles, in Revue Historique Avril-Juin 1970.
5
M. H. Chérif, Expansion Européenne et difficultés tunisiennes de 1815 à 1830 in Annales, Mai-Juin
1970.
12
classe dirigente, non potendo più contare sui profitti del commercio e altri
profitti accessori come la corsa ed i tributi accaparrati agli Europei, si
dettero allo sfruttamento sistematico dei propri amministrati e in breve
tempo il paese, da esportatore di cereali, ne divenne importatore, la
popolazione cominciò a vivere periodicamente epidemie disastrose, il
numero di abitanti diminuì, la bilancia dei pagamenti diventò deficitaria.
Nel corso del XVIII secolo fino al 1814 i meriti della relativa stabilità
politica ed economica sembra siano da attribuire alle personalità di Bey Ali
prima e di suo figlio Hamouda Pascià in seguito (morto appunto nel 1814)
sempre attivi nelle riforme in campo monetario e fiscale. Anche se i
contemporanei avranno certamente esagerato nel dipingere un quadro
euforico della situazione, sembra sia il caso di poter affermare che le
strutture dell’economia tunisina, basata essenzialmente sull’agricoltura,
erano quelle di un paese in equilibrio
6
con una bilancia dei pagamenti in
attivo e una congiuntura internazionale favorevole che le garantivano
l’indipendenza dalle forze straniere. Le popolazioni sedentarie invece
vivevano coltivando le terre, perfino i cittadini si accaparravano le terre
intorno alle città, ad esempio “mentre il negoziante di Sfax esercitava il
proprio commercio in città, il resto della sua famiglia coltivava l’orto fuori
città”
7
. Come tutte le società pre-industriali, l’attività agricola nella Tunisia
pre-coloniale era il barometro degli affari anche se non era stata
minimamente sfiorata dalle innovazioni dell’agricoltura europea, l’innesto
degli alberi non veniva praticato, nessuna scuola impartiva l’insegnamento
agricolo, veniva usato l’aratro indigeno ancora molto primitivo e così i
rendimenti risultanti erano molto bassi.
6
Kraiem M. Op. cit.
7
Kraiem M. Op. cit.
13
Dalla metà del XVII secolo il regime della proprietà aveva acquisito
caratteri stabili e differiva a seconda della regione:
intorno alle città e sul litorale dominava la piccola proprietà,
all’interno della regione settentrionale si trovavano delle proprietà più
grandi (da 50 a 100 ettari) in sui si coltivavano solamente cereali e i
raccolti erano regolari grazie alle piogge relativamente abbondanti,
nel centro e soprattutto nel Sud si trovavano le grandi terre spesso di
proprietà collettiva appartenenti alla famiglia o alla tribù,
ancora più a Sud verso le oasi, si ritrovava la piccola proprietà.
Il diritto di proprietà era precario, spesso quando un paese si ribellava
all’autorità del Bey, questi gli confiscava le terre che andavano così ad
aggiungersi alle sue proprietà private e ridistribuite in seguito ai membri
della sua famiglia o ad altri beneficiari. Ma le terre che così passavano
dalle mani del Bey a quelle dei personaggi della corte e da questi ultimi ai
particolari, non cessavano di essere accessibili ai piccoli agricoltori, ai
cittadini, ai commercianti e agli artigiani che potevano chiedere in affitto i
lotti a tassi spesso vantaggiosi.
L’agricoltura si basava sulle colture di alcuni prodotti classici che
resteranno costanti durante il XVIII e il XIX secolo, determinate dal clima
del paese: i cereali erano i più importanti seguiti dall’ulivo, fichi, uva da
tavola (mancava l’uva destinata alla produzione del vino), pesche, prugne,
mandorle, datteri (che avevano un ruolo fondamentale nell’economia e nel
regime alimentare della popolazione), pomodori, mais e fichi d’India
(questi ultimi alimenti molto importati furono introdotti a partire dal ‘700)
8
.
8
I viaggiatori Europei dell’800, Pélissier e Reynaud rilevavano l’importanza del fico da Cactus
nell’alimentazione dei tunisini (fonte: Kraiem M., op. cit.).
14
Oltre alla coltura dei cereali (per lo più grano e orzo) e dell’ulivo, i Tunisini
del periodo pre-coloniale praticavano su larga scala l’allevamento del
montone.
In epoca pre-coloniale infatti gran parte degli abitanti conducevano una vita
nomade e l’allevamento, in particolare del montone, costituiva il
fondamento della loro ricchezza e serviva spesso anche come mezzo di
scambio per l’acquisto di altri prodotti. Il problema più importante di
questa parte della popolazione consisteva nella ricerca di terre da pascolo;
le contestazioni e le rivalità per le terre riempivano le cronache dell’epoca.
Mentre per la coltivazione dei cereali veniva assunto un mezzadro, tutti gli
allevatori dal più ricco al più modesto, affidavano il loro gregge a un
pastore che in primavera conduceva il gregge da Sud verso il Nord del
paese per la transumanza.
Non solo l’agricoltura e l’allevamento ma anche gli altri settori
dell’economia della Reggenza di Tunisi vissero la stessa stagnazione e
dovuta essenzialmente alla conservazione di infrastrutture economiche
arcaiche e all’impermeabilità ai progressi tecnici e alla rivoluzione
industriale che avevano luogo nella vicina Europa. Ad esempio l’arcaismo
e l’inadeguatezza dell’infrastruttura economica si rivelava in primo luogo
nel campo delle misure e dei pesi caratterizzati da una disparità e
confusione totali per cui l’unità di peso e di misura aveva un valore a Sfax,
un altro a Sousse e un altro ancora a Tunisi: come rendere possibile in tali
condizioni l’unificazione del mercato e facilitare così le transazioni? Inoltre
vi era l’assenza di vie di comunicazione in grado di avvicinare le distanze,
la gente, le merci; il territorio della Reggenza non disponeva di alcun fiume
navigabile, una via di comunicazione determinante nello sviluppo delle
società medievali europee.
15
I primi binari furono inaugurati in Tunisia nel decennio precedente
l’instaurazione del Protettorato non tanto in seguito ad una politica di
sviluppo economico e sociale quanto per i fini imperialistici delle potenze
europee, le strade e le piste erano inesistenti e a parte alcuni ponti, il
governo beycale non si era mai curato dello sviluppo di una infrastruttura
stradale. Il trasporto di prodotti agricoli da regioni ricche a regioni
deficitarie era molto lungo e costoso soprattutto durante l’inverno al punto
che in alcune regioni come quella di Mateur, l’importazione dei cereali
dall’estero per via marittima risultava più agevole
9
.
In ultimo i Bey di Tunisi non disponevano di una flotta mercantile propria e
il commercio di importazione e d’esportazione veniva assicurato da mezzi
europei e si faceva essenzialmente attraverso il mare mentre sulla
terraferma veniva praticato il commercio carovaniero – in decadenza a
partire dal XIX secolo - verso l’Africa profonda con l’ausilio di bestie da
soma e che durante l’inverno si era costretti ad interrompere perché le piste
non erano percorribili.
Per quanto riguarda l’artigianato, a metà ottocento esso si basava su
un’organizzazione medievale per sistema delle corporazioni, costumi e
regole. Tunisi era la grande capitale dei souks ma anche le altre città, Susa
e Sfax in particolare, avevano i loro quartieri industriali suddivisi per
corporazioni di mestieri e regolamentati con statuti corporativi; in tutte le
maggiori città della Reggenza si potevano trovare cuoiai, conciatori,
ciabattini, stacciai, fabbricanti di cardi per lane, ferraioli, fabbri ottonai,
tessitori di lana, di cotone e di seta (quest’ultima veniva lavorata
specialmente a Tunisi, Djerba e nel Sahel). Analogamente erano
organizzati i grossi centri tessili del Sahel, del Cap Bon e del Sud Tunisino,
in particolare Zarzis e soprattutto Djerba che si distinguevano per i tessuti e
9
Fonte: Mohammed Bayram, op. cit..