6
Introduzione
Dopo molti anni di relativa chiusura agli investimenti stranieri,
la maggior parte delle economie della sponda sud del Mediterraneo
(in particolare le economie del Medio Oriente e del Nord Africa)
hanno spostato, già sul finire degli anni ’80, le loro strategie di
sviluppo economico sugli investimenti diretti esteri (IDE). Queste
strategie sono state ribadite nel corso degli anni ’90, quando un
numero crescente di indagini empiriche ha iniziato a dimostrare i
potenziali effetti benefici degli investimenti esteri sulla crescita
economica dei paesi in via di sviluppo (PVS).
Oggi, gli effetti degli IDE sui paesi MENA (acronimo di Medio
Oriente e Nord Africa) sono ben documentati, anche se ci sono
pochissimi punti di consenso in letteratura a causa della scarsità di
modelli teorici e dei diversi approcci metodologici legati alla
misurazione dell’impatto dell’investimento estero sull’economia del
paese beneficiario. Ad ogni modo, l’evidenza empirica ha dimostrato
che, nonostante il cambio di strategia nelle scelte di politica
economica di cui si diceva sopra, i paesi MENA hanno attratto, negli
ultimi trent’anni, investimenti stranieri in misura comparabilmente
inferiore ad altre regioni in via di sviluppo.
Premesso ciò, il presente elaborato si propone di indagare le
performance della regione MENA, sia in termini di flussi che di stock
7
di IDE,
1
negli ultimi trent’anni, e confrontarle con quelle di altre
regioni in via di sviluppo. A tale scopo i primi due capitoli possono
essere definiti introduttivi al tema degli investimenti stranieri nei
paesi MENA che sarà analizzato nel terzo ed ultimo capitolo. In
particolare, nel primo capitolo saranno presentati i concetti base
relativi agli investimenti diretti esteri (definizione, tipologie di IDE,
determinanti), dopodiché si passerà in rassegna una breve indagine
empirica sugli IDE a livello mondiale, analizzando nello specifico
provenienza e destinazione dei relativi flussi internazionali. Per
concludere il capitolo, saranno offerte alcune indicazioni sui
potenziali effetti dell’investimento estero sull’economia del paese
beneficiario e di provenienza al fine di fornire una chiave di lettura
sugli effetti degli IDE nei paesi MENA.
Nel secondo capitolo, invece, sarà presentata la situazione
socio-economica dei paesi costituenti la regione MENA. Dopo aver
offerto alcune indicazioni sulle condizioni politico-economiche dei
paesi MENA, nei paragrafi successivi l’analisi verterà sui fattori che
sono stati alla base della crescita e dello stallo economico degli ultimi
quarant’anni, e sui miglioramenti conseguiti sul versante degli
standard di vita, servendoci di grafici che illustreranno l’andamento
storico di PIL, PIL pro capite, indice di sviluppo umano ed altri
indicatori socio-economici. Al fine di fornire un quadro più completo,
saranno poi prese in considerazione le riforme attuate in ogni singolo
paese nel corso degli anni ’90, e verrà presentato un indice di
1
La differenza tra flussi e stock non è irrilevante. Infatti, il flusso di IDE è l’ammontare di
investimenti esteri realizzati in un dato periodo, mentre lo stock di IDE si riferisce al valore totale
di attività estere accumulate fino ad un certo istante temporale.
8
stabilità che fornisce un’analisi dei risultati raggiunti in termini di
stabilità economica, sociale e politica dai paesi MENA.
2
Una volta forniti questi elementi introduttivi, nel terzo capitolo
si entrerà nel cuore della trattazione esaminando, dapprima
l’andamento storico dello stock e flusso di IDE nella regione MENA
nel periodo 1990-2010 e, successivamente, le determinanti che
influenzano in vario modo gli IDE, al fine di spiegare il divario che
separa i paesi del Medio Oriente e del Nord Africa da PVS come quelli
dell’America Latina e del Sud Est Asiatico che hanno tratto grandi
benefici dall’apertura delle relative economie ai capitali stranieri. Il
confronto con queste due macro-regioni non è casuale, giacché si
tratta di economie che, seppur equivalenti per grandezza a quella
della regione MENA, sono riuscite ad attrarre quote maggiori di IDE,
grazie alla predisposizione di un ambiente economico favorevole a
questo tipo di investimenti. Dopo l’indagine empirica e la valutazione
delle determinanti degli IDE nella regione MENA, si passeranno in
rassegna i risultati relativi all’applicazione di un modello di stima
elaborato da alcuni economisti al fine di misurare l’impatto di ogni
singola variabile sul flusso e lo stock di IDE nei paesi della regione in
esame.
Ma prima di entrare nel merito della presente ricerca,
appaiono indispensabili alcune brevi note di carattere metodologico
circa l’ambito d’indagine e la metodologia di ricerca adoperata. Per
quanto riguarda il primo punto, data la difficoltà di pervenire ad una
2
L’indice in questione è stato elaborato dalla rivista online di geopolitica “Equilibri.net”.
9
definizione univoca dei paesi componenti l’area MENA, si ricorrerà
alla classificazione offerta dalla Banca Mondiale, che include nella
regione 21 paesi: Algeria, Arabia Saudita Bahrain, Cisgiordania e
Territori Palestinesi, Djibouti, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Giordania,
Iran, Iraq, Israele, Kuwait, Libano, Libia, Malta, Marocco, Oman,
Qatar, Siria, Tunisia e Yemen.
Infine, i dati utilizzati nel lavoro sono tratti dai database di
organismi internazionali, quali: UNCTAD (United Nations Conference
on Trade and Development) IMF (International Monetary Found),
Banca Mondiale, UNDP (United Nations Development Programme) e
CIA (Central Intelligence Agency).
10
Capitolo 1
L’impatto degli IDE
sullo sviluppo territoriale
1. IL CONCETTO DI IDE
Nel corso degli ultimi decenni l’economia mondiale è stata
interessata da continui processi d’integrazione. Motore di questi
sviluppi dell’economia mondiale non può che essere il fenomeno
della globalizzazione. Infatti, da un secolo a questa parte, ma
soprattutto nell’ultimo ventennio, le dinamiche di mercato sono
state sempre più interessate da quell’ampio processo
d’internazionalizzazione che ha radicalmente trasformato i
tradizionali modelli produttivi.
In questo scenario, un ruolo decisivo è stato giocato
dall'aumento del commercio internazionale che, favorito dalla
liberalizzazione economica a scala planetaria e, di conseguenza,
dall'accresciuta interazione tra i vari Paesi, ha conosciuto un vero e
proprio boom nell'ultimo ventennio.
Ma non c'è solo il commercio alla base delle dinamiche
globalizzanti. Gli Investimenti Diretti Esteri (IDE)
3
giocano un ruolo
chiave nei processi di globalizzazione, tanto da essere al tempo
stesso motore e prodotto di questo vertiginoso incremento delle
3
In inglese Foreign Direct Investment (FDI).
11
attività internazionali. Gli IDE, infatti, sono considerati una delle
principali forme d’internazionalizzazione delle imprese dal momento
che svolgono un ruolo di fondamentale importanza per il
trasferimento, a livello globale, di conoscenze tecnologiche,
organizzative e gestionali. Nel 1999, l’Organizzazione per la
cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), in occasione della
terza edizione del “Detailed definition of FDI”, ha definito
l’Investimento Diretto Estero come “investimento finalizzato a
ottenere un duraturo interesse da parte di un soggetto residente in
un’economia di un soggetto non residente, e quindi in un'economia
diversa da quella dell'investitore”.
4
Si tratta, in altre parole, di investimenti in attività produttive di
un Paese da parte di operatori (siano essi persone o imprese)
stranieri. Nella maggior parte dei casi, essi hanno come oggetto
l’acquisizione di imprese esistenti o la creazione di nuove imprese
che operano nel Paese destinatario, o a partire da esso. Inoltre, il
fatto che si tratti di un investimento appunto “diretto” non esclude
che esso abbia anche effetti indiretti per l’intera economia locale. Per
esempio, lo stabilirsi di nuove imprese nel Paese destinatario di IDE
comporterà come risultato la creazione di nuova occupazione; a
nuova occupazione si accompagnerà un aumento dei redditi da
lavoro; a quest’aumento dei redditi corrisponderà un miglioramento
delle condizioni di vita dei nuovi occupati, e tutto ciò sia per un
effetto di “moltiplicazione” (i consumi di questi occupati si
4
OECD (1999).
12
trasformano a loro volta in nuova produzione occupazione e reddito
locale), sia per un aumento delle entrate fiscali derivanti da
tassazione.
Tornando alla definizione concettuale di IDE, va tuttavia
rilevato che non ogni ammontare di investimento può essere
qualificato come IDE, ma è necessario che ci sia una soglia minima di
partecipazione dell’investitore estero al capitale sociale dell’impresa.
In particolare, il criterio oggettivo del possesso da parte
dell’investitore estero di almeno il 10% delle azioni ordinarie o dei
diritti di voto dell’impresa partecipata è considerato un elemento
fondamentale per l’individuazione del concetto di IDE.
Stando alla considerazione sopra proposta, dunque, sono
imprese oggetto di investimento estero:
Le società controllate (Subsidiary Companies), vale a dire quelle
imprese in cui vi è la presenza di un investitore estero, che
detiene più del 50% del capitale sociale o, in alternativa, ha il
diritto di nominare o rimuovere la maggioranza dei membri del
consiglio d'amministrazione;
Le società consociate (Associate Companies), ossia quelle
imprese in cui l’investitore estero e le società da lui controllate
detengono una quota compresa tra il 10% e il 50% del capitale
sociale;
Le filiali (branches), vale a dire quelle imprese che sono
possedute interamente o congiuntamente dall’investitore
straniero. Rientrano in questa categoria: gli stabilimenti o gli
uffici permanenti dell’investitore estero, partecipazioni non
13
registrate o joint ventures tra un investitore estero e soggetti
terzi, terreni, strutture direttamente possedute da un residente
estero ed altre tipologie ancora che si trovano all’interno del
Paese ricevente per almeno un anno.
2. LE TIPOLOGIE DELL'INVESTIMENTO ESTERO: IDE ORIZZONTALI E
VERTICALI
La localizzazione delle attività delle multinazionali, vero motore
dell'afflusso degli IDE da un Paese all'altro (o da una regione all'altra),
dipende in larga parte dalla tipologia di investimento adoperato, vale
a dire a seconda che si tratti di IDE orizzontali o verticali. In
particolare, la scelta tra i due tipi di investimenti non è casuale, ma
risponde a ben determinate scelte di strategia d'impresa da parte
dell'investitore estero. In questo senso, gli IDE orizzontali tenderanno
a essere attratti in località che garantiscono un buon accesso a
mercati di dimensioni tali da permettere all'impresa multinazionale di
coprire i costi fissi a livello d’impianto. Pertanto, saranno diretti verso
Paesi ad alti livelli demografici e con bassi costi di accesso ai grandi
mercati. Al contrario, gli IDE verticali saranno attratti dai Paesi che
hanno costi dei fattori produttivi più bassi, e tali da offrire buone
opportunità di investimento. I costi del commercio internazionale,
infatti, sono particolarmente importanti per gli IDE verticali poiché i
prodotti devono attraversare più volte i confini nazionali in differenti
fasi del processo produttivo. In questo senso, le località a basso costo
14
del lavoro, con buoni collegamenti di trasporto e commerciali
saranno dunque più propense ad attirare l'investimento estero.
Tabella 1.1 Costi e benefici per l'impresa degli IDE orizzontali e verticali
Orizzontali Verticali
Costi Rinuncia a rendimenti di scala Costi di disintegrazione
delle attività
Costi di disintegrazione delle
attività
Benefici Accesso al mercato Risparmi sui costi dei
fattori
Risparmi sui costi dello
scambio
Vantaggi strategici
Fonte: Navaretti G. B. & Venables A. J. (2006)
Tabella 1.2 Le determinanti degli IDE secondo la teoria
DETERMINANTI DEGLI IDE
RELATIVE ALLE CARATTERISTICHE
DEI PAESI
PREDISPOSIZIONE PER TIPO DI
INVESTIMENTO
Orizzontali Verticali
Costi commercio internazionale
(distanza barriere commerciali)
+ -
Dimensione del mercato + ?
Differenziali nei costi dei fattori ? +
Fonte: Navaretti G. B. & Venables A. J. (2006)
Pertanto, da un punto di vista teorico, la scelta di prediligere
uno dei due tipi di investimento, dipende da una serie di fattori. I dati
empirici, tuttavia, non permettono una chiara distinzione tra le due
15
tipologie di investimento, rendendo difficile l’identificazione delle
determinanti che stanno alla base dell’investimento estero. Dunque,
prima di analizzare il ruolo delle determinanti specifiche, è
importante valutare l’importanza, da un punto di vista dimensionale,
dei due tipi di investimento.
Entrando nel merito della questione, va subito appuntato che i
modelli di investimento orizzontale e verticale non sono teorie in
concorrenza tra loro per spiegare una determinata attività
multinazionale, ma si presentano come predizioni che si applicano a
diversi tipi di investimenti e a diversi insiemi di Paesi investitori e
destinatari. Recenti indagini empiriche relative alle caratteristiche di
entrambi i tipi di investimento hanno messo in luce che l'ubicazione
di “controllate” estere è motivata prevalentemente da fattori
connessi al modello orizzontale, come la dimensione del mercato
ospite (fattore che sarà analizzato nel prossimo paragrafo) e l'affinità
tra le dotazioni di fattori disponibili nei paesi ospiti e in quelli di
origine.
5
3. IL RUOLO DEGLI IDE E L’IMPORTANZA DEL MERCATO
Gli IDE, al pari della delocalizzazione delle attività produttive, e
delle strategie delle imprese sui mercati internazionali, sono indice
del livello di competitività delle imprese multinazionali. Quest’indice
può essere misurato sia a livello d’impresa, sia a livello di territorio,
5
Markusen J. R. & Maskus K. E. (2002).
16
ossia attraverso la capacità di un’area (o distretto) di attrarre risorse,
in un contesto sempre più competitivo.
Come già accennato, gli IDE sono considerati veicoli per il
trasferimento internazionale di conoscenze tecnologiche,
organizzative e gestionali, e fonte, anche se non in via esclusiva, degli
incrementi di produttività, poiché favoriscono l’accumulazione di
capitale e la crescita di lungo periodo del Paese ricettore. Tuttavia,
nonostante il forte impatto che può avere l’investimento diretto
estero su una realtà economica, va comunque rilevato che un suo
maggiore afflusso dall’estero (sebbene desiderabile) non può essere
considerato un sostituto né di politiche industriali, né di investimenti
in ricerca e sviluppo (R&S).
Ciò nonostante, per molti Paesi, e specialmente per quelli in via
di sviluppo (PVS), gli IDE costituiscono un importante fattore di
crescita, e quindi oggetto di politiche economiche. In particolare, nei
PVS non si verifica un “effetto sostituzione” nelle scelte di politica
economica tra IDE e politiche di sostegno alle imprese locali.
Piuttosto, viene data priorità all’investimento estero nel presupposto
per cui l’afflusso di IDE favorisce un aumento del potenziale
produttivo del Paese ricevente, nonché dei livelli di produttività.
Tuttavia, perché ciò accada, è necessario che il Paese destinatario
degli investimenti in questione predisponga una serie di strumenti di
politica economica che possano incidere su quelle che sono le
“determinanti” dell’investimento estero, in particolare: dimensione
del mercato, disponibilità di manodopera e, come avviene per molti
PVS, l’abbondanza di risorse naturali.