9
grado di analizzare i bisogni ed interessi comuni, ma anche
specificatamente individuali.
Ho compreso il notevole sviluppo legato soprattutto ai progressi della
psicofarmacologia e degli apporti delle discipline quali la sociologia,
l’ecologia, la psicologia, in particolare quella interculturale, dando la
possibilità ai malati di gestire la propria degenza in un clima sociale
dove ogni persona possa esprimersi, sentirsi responsabile e non
semplicemente “escluso” e trattato umanamente.
Nella prima parte di questo lavoro, vorrei partire dal presupposto che
queste persone, pur avendo dei disagi profondi ed interiori, dal punto
di vista biologico, ”sono esattamente uguali a noi”.
Grazie al Prof. Errani, a cui ho riferito questo mio progetto, mi sono
soffermata molto su questa considerazione molto importante da lui
esposta, ed ho incominciato a riflettere per sviluppare la mia ricerca,
ed imparare cose che mi serviranno poi per un mio futuro lavoro.
Nelle vesti di futuro educatore, che possiede delle risorse, vorrei poter
trasmetterle a loro e così anche i miei bisogni che sono fondamentali
per la mia esistenza, come la musica, strumento che stimola al
ragionamento e alla fantasia, esalta il sentimento e risveglia in noi
intensa spiritualità, slancio e vitalità e ci aiuta ad evadere dalla nostra
vita, o attraverso la lettura, con la quale ci si sente liberi dalla propria
realtà, a volte ingrata e triste, rivivendo nelle storie dei protagonisti
ciò che si vorrebbe essere, o attraverso lo sport, come il nuoto, per
ritrovare mediante il contatto con l’acqua, quella parte di sé che si è
perduta, e acquisire la forza fisica e capacità di tolleranza che sono
necessarie per avere un carattere forte ed affrontare poi le difficoltà.
Lo scopo di questo mio progetto è analizzarmi, ponendomi al centro
come futuro Educatore Professionale, per poter aiutare a far ritrovare a
queste persone quel collegamento che si è interrotto in loro tra bisogni
10
e risorse, affinché riacquistino fiducia in sé stessi, maggior sicurezza
ed autonomia.
In una seconda parte, inizia la ricerca vera e propria, dove ho voluto
indagare su come il territorio (ovvero la biblioteca, il teatro, la
piscina, ecc. …), interviene nei confronti di queste persone, se
vengono isolate e abbandonate a sé stesse, o se invece vengono
coinvolte in loro progetti educativi, attraverso i mezzi e le risorse di
cui dispongono, per farli sentire parte integrante della società, e far
nascere in loro sentimenti di amore e di amicizia, ritrovare un proprio
ruolo, un proprio status e maggior autostima.
Infine, ma non per ultimo, vorrei che questa mia piccola ricerca possa
unirsi ad altre come punto di partenza, per stimolare il territorio a
costruire un progetto di vita, per inserire queste persone affinché
ricomincino a vivere, nel senso lato della parola, all’interno della
comunità sociale, prendendo come modello proprio la grande forza e
capacità interiore di Adriano Milani Comparetti, che per tutta la sua
vita ha sempre combattuto, senza arrendersi alle difficoltà, affinchè
fossero riconosciuti alle persone disabili, in particolar modo i bambini,
i nostri stessi diritti, vero protagonista e precursore dell’integrazione e
della deistituzionalizzazione dei disabili in Italia, a partire dalla
scuola, a partire dai primi anni Sessanta.
11
CAPITOLO UNO
L’avventura educativa di Adriano Milani Comparetti: storia
di un protagonista dell’integrazione dei disabili in Italia.
Premessa.
Prima di partire con il lavoro vero e proprio della mia ricerca, è
doveroso fare una premessa sulla figura di un uomo straordinario che
ha combattutto tutta la sua vita, affinché anche le persone
diversamente abili non venissero isolate, ma integrate all’interno della
società: Adriano Milani Comparetti, neuropsichiatra infantile, che da
sempre si è occupato, primo in Italia, a partire dagli anni Sessanta, di
bambini con paralisi cerebrale, affinchè non fossero istituzionalizzati,
ma inseriti all’interno di scuole speciali, come passaggio graduale, per
arrivare poi a frequentare le scuole pubbliche, insieme con i bambini
normali.
La sua è una storia lunga vent’anni, piena di tentativi, di iniziative, di
coinvolgimenti personali e di gruppi, entusiasmi e riflessioni e che ha
portato l’Italia ad avere una delle migliori legislazioni inerenti
l’integrazione scolastica dei disabili.
Una ricerca di questo genere si giustifica tanto più che alcune
conquiste, come quella del valore e dell’importanza della scuola per
tutti, oggi vengono date per scontate, oppure se ne disconoscono la
storia e le ragioni che le hanno determinate, vengono spesso criticate.
In questo senso, culturale e politico, si è schierato, insieme con il
fratello Don Lorenzo Milani, anche se su fronti differenti e con
convinzioni talvolta così lontane, si sono entrambi occupati degli
emarginati, riuscendo ad incidere sulla vita sociale, con la propria
azione, ben oltre il loro ristretto territorio.
12
1.1. La passione educativa nella famiglia Milani.
Adriano Milani Comparetti nacque a Firenze il 4 Febbraio 1920, da
una famiglia molto colta, dove primeggiavano interessi veramente
intrecciati nel campo storico-letterario e in quello scientifico.
Ebbe accanto a sé figure illustri, originali e geniali, in quanto la casa
era frequentata da un élite di intellettuali. L’infanzia trascorse in un
ambiente vivace, ricco di discussioni, scambi di idee, in un clima di
grande apertura mentale, dove i bambini non erano solo oggetto di
attenzione, ma protagonisti nella vita comune.
La nonna poi, donna amante della letteratura e delle scienze moderne,
si appassionò in particolare alla pedagogia di Fröbel.
La sua pedagogia conteneva già diversi aspetti innovativi: primo fra
tutti, un’inedita idea di bambino, posto al centro dell’universo
educativo.
L’educatore, quindi, doveva giocare un ruolo di interprete ed
intermediario fra la natura ed il fanciullo ed il suo compito era quello
di farne rispettare la libertà, senza imporgli mai la propria volontà.
Tre erano le direzioni naturali lungo le quali l’uomo doveva essere
educato e sviluppato: “come essere operante, come essere senziente,
come essere cosciente”.
La principale attività che vi si svolgeva era quella del gioco, mezzo di
espressione naturale del bambino, attraverso il quale egli soddisfaceva
il desiderio di comprendere il mondo e di inserirvi sé stesso.
Così, egli poteva inventare, costruire, sperimentare nozioni pratiche ed
utili, fare e disfare a suo piacimento.
13
I Giochi dell’Infanzia erano considerati “il germe di tutta la vita a
venire, perché tutto l’uomo si svolge e quasi si rispecchia in essi, fino
alle più piccole disposizioni e nel più interno dell’animo”.
1
Per la famiglia Milani, cresciuta con queste solide basi pedagogiche, e
a cui si attribuiva scarsa importanza all’istituzione scolastica nella
formazione culturale dell’individuo, il gioco aveva un’importanza
centrale per il bambino, un’importanza per lo sviluppo di un
sentimento di socialità tra i più piccoli, un’attenzione affettuosa verso
una crescita armonica di ciascuno in ogni direzione, anche attraverso
gli oggetti e il fare concreto, liberi di poter dare sfogo alla loro
creatività.
Veniva dunque dato grande spazio ed attenzione al gioco, alle arti, al
teatro, ma anche alla libera espressività del corpo nello sport, visto un
po’ come ardimento, in cui gli adulti avevano grande partecipazione
nell’organizzazione dei giochi ed un amore per il movimento, unito al
piacere dell’avventura.
1.2. Le prime battaglie di Adriano Milani Comparetti.
Durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale, Adriano Milani,
studente in Medicina, fu arruolato per sei mesi come sergente di
sanità, anche se il suo scaglione non fu più richiamato, e decise quindi
di aderire alla lotta partigiana, in cui perseguì fin d’allora gli ideali di
libertà e di giustizia del Partito d’Azione, movimento nato con i
fratelli Rosselli ed in special modo convinto che il popolo non solo si
dovesse dare la libertà, ma soprattutto la cultura.
2
Ancora oggi, ciò che colpisce è il filo conduttore vivo che si era
mantenuto negli anni tra i suoi compagni, fatto non solo di sentimenti,
1
Formiggini E., Ciò che è vivo e ciò che è morto della pedagogia di F. Fröbel, 1926.
2
Guaita M. L., intervista, Firenze, 20/01/1991.
14
ma anche di impegno etico concreto. Il primo lavoro ebbe inizio
presso la Clinica Pediatrica Meyer, facendo parte di un gruppo di
medici eccezionali che riuscì a mettere a punto una metodologia
terapeutica vincente contro la meningite tubercolare.
Milani ebbe un ruolo importante ideando una metodica nella
somministrazione della streptomicina, che gli permise di raggiungere
la soluzione definitiva della meningite tubercolare
3
ed altre patologie
ad essa connesse (patologie secondarie).
Risolto il problema più grave dell’infezione acuta che portava i
bambini alla morte in pochi giorni, il suo interesse ed il suo studio
andò oltre e si volse alla patologia neurologica, che si manifestava nei
casi più gravi o non ancora risolti in tempo come paralisi, rigidità,
opistotono, contrattura degli arti ed altre.
Nel 1944, inoltre aveva prestato, nel suo tempo libero dalla Clinica, la
sua opera nel consultorio pediatrico O.N.M.I.. Questo suo contatto con
il bambino fece nascere in lui un atteggiamento clinico precursore di
quella che più tardi verrà definita medicina preventiva dell’infanzia.
Risultò chiaro che, per una valutazione completa dello sviluppo del
bambino, bisognava affiancare ai parametri pediatrici classici, una
nuovissima attenzione alle variabili ambientali in cui egli cresceva.
Trovò veramente importante ed autorevole, l’apporto della psicologia
clinica dell’età evolutiva nei campi della pedagogia e della neurologia,
dando così vita alla nascita di una nuova disciplina in Italia: la
neuropsichiatria infantile.
La neuropsichiatria infantile nacque dalla volontà di alcuni medici di
dare avvio ad un’educazione per i “piccoli minorati psichici”, e
rivendicò ben presto una sua autonomia e ragione d’essere, in quanto
3
Milani Comparetti A., Pasquinucci G., Zoli A., Su di una nuova prova diagnostica (indice di
diffusione) come guida alla terapia locale con streptomicina nella meningite tubercolare, in
“Rivista di Clinica Pediatrica”, n. XLVI, VII, 1948, p. p. 3-20.
15
disciplina, seguendo un’evoluzione ed un tracciato originale ed
innovatore nel panorama medico.
Adriano Milani Comparetti fu influenzato, dal punto di vista culturale,
in quegli anni evidentemente dal lavoro dello zio, il primo docente
universitario di neuropsichiatria infantile, e ciò fu un motivo di
scontro e di dibattito con la medicina ufficiale.
1.3. La nascita del centro di Educazione Motoria “Anna
Torrigiani”.
Dopo la nascita dell’Associazione italiana assistenza spastici
(A.I.A.S.) a Roma, che ha mosso i suoi primi passi nel 1952, dopo che
in Italia c’era sempre più bisogno di intervenire a livello sociale nei
confronti di bambini in difficoltà, per la necessità di costruire strutture
educative, assistenziali e riabilitative, ebbero il pubblico
riconoscimento con il varo della legge 218 del 12/4/54 che entrò in
vigore nel 1955 e che istituì il diritto alla cura, all’assistenza e
scolarizzazione degli spastici in appositi centri, limitandolo tuttavia a
quelli definiti “recuperabili”, ecco che a Firenze nacque in quegli anni
un servizio di riabilitazione, il Centro “Anna Torrigiani”, centro
residenziale per bambini spastici, nel quale lo stesso Adriano Milani
Comparetti fu nominato direttore, nel 1957.
Fin dall’inizio, fu evidente che il suo stile di conduzione era del tutto
innovatore, che si allontanava dalla pediatria classica, e ciò che
chiedeva, non era un impegno convenzionale, ma trovare un’attitudine
verso i deboli.
Milani parlò degli spastici, di come vivevano, di quello che si poteva
fare per loro, dell’Associazione, i centri da costruire, il personale da
formare, ma anche dello smarrimento, del dolore e dell’impotenza
delle famiglie.
16
Sentendo le testimonianze di persone che furono coinvolte all’interno
di questa Associazione, ne risulta un ritratto molto bello sulla figura e
sulla personalità di Adriano Milani, sempre entusiasta, coraggioso ed
instancabile.
Viene descritto come una persona carismatica e coinvolgente, in
quanto era riuscito a coinvolgere molte persone in questo progetto, in
quanto sentiva e vedeva questa malattia come un grande vero dramma.
Era l’amore che egli metteva nelle cose che faceva, un amore che si
vedeva persino nel modo in cui Milani si rivolgeva a questi ragazzi;
era ammirevole.
E poi questa continua ricerca della loro intelligenza, questa sicurezza
che si poteva, si doveva fare qualcosa per loro, che si doveva levarli
dall’ignoranza.
1.4. Scuola e scuole speciali in Italia.
Le novità nei confronti di una scuola che si basava sull’apprendimento
per imitazione e mirava al nozionismo mnemonico, erano sostanziali: i
programmi attribuivano importanza al “fare” del bambino,
promuovevano una visione della centralità dell’alunno nell’attività
educativa.
Ma al di là dei disabili sensoriali, per i quali, esisteva una legislazione
in materia di educazione scolastica, per tutte le altre forme di
disabilità, la scolarizzazione rimaneva una possibilità remota, legata
eventualmente all’iniziativa privata.
I temi della loro educabilità e della pedagogia speciale, avevano
cominciato ad interessare alcune categorie professionali ed erano
materia di confronto in riviste dedicate a questi argomenti.
La scelta di istituire delle scuole speciali per l’educazione dei bambini
con disabilità mentale, veniva confermata anche dalle esperienze in
17
altri paesi, come negli Stati Uniti, dove queste scuole venivano
considerate il più valido sistema fin allora sperimentato per offrire una
adeguata istruzione a questi soggetti, per calibrare l’insegnamento
sulle capacità mentali del singolo; anche in Italia, ciò sembrava essere
l’unica risposta alle loro esigenze educative.
1.5. Le attività al centro “Torrigiani”.
Dopo l’emanazione della legge che estendeva l’assistenza riabilitativa
agli spastici, si decise di dare, quindi, anche un diritto allo studio a
questi bambini.
Da allora cominciarono ad essere aperte delle classi speciali
all’interno dei centri di riabilitazione, in quanto anche loro avevano
diritto di studiare come tutti i bambini.
Gli obiettivi proclamati dai suoi organizzatori, era quello di permettere
al “soggetto minorato” di sviluppare e potenziare il suo bagaglio
psicologico, al fine di un riadattamento sociale definitivo, e per
ottenere un duplice potenziamento nel campo educativo ed in quello
riabilitativo, insieme alla figura degli educatori, pedagogisti,
psicologi, che dovevano lavorare insieme per arrivare a raggiungere
l’obiettivo proposto.
Adriano Milani, così, decise di studiare e conoscere in maniera
approfondita i principi e le metodologie di lavoro dei vari centri di
rieducazione per questi soggetti e ne constatò che la riabilitazione non
può essere imparata solo dai libri, ma nemmeno senza aver avuto un
contatto diretto con le tecniche manuali, con le esperienze degli altri
gruppi; egli poneva l’accento sull’indirizzo pedagogico e sociale che
doveva caratterizzare l’istituzione.
18
Secondo le sue incisive parole: “il bambino diverso è essenzialmente
un bambino, una persona, e come tale va trattato, e il nostro obiettivo
nei suoi confronti, non è quello di effettuare un “trattamento”, ma è
soltanto quello della educazione in senso ampio”.
4
Centri come il “Torrigiani” sorsero per dare soluzione ad un problema
che veniva considerato di natura prevalentemente sociale e che,
secondo Milani, poteva trovare soluzione in un moderno concetto di
riabilitazione, che poggiava i suoi presupposti fondamentali in una
specifica azione medico-psico-pedagogica.
5
La riabilitazione doveva essere considerata il risultato dell’azione
educativa, il suo obiettivo ultimo: “riabilitazione è un fine, piuttosto
che un metodo, che pone la meta ideale di restituire all’individuo
minorato la dignità della sua condizione umana con la soddisfazione
del massimo possibile dei suoi bisogni spirituali, affettivi, intellettuali,
fisici e sociali, in piena parità di diritti rispetto all’individuo
normale”.
6
A Milani la scelta della residenzialità, andò subito un po’ stretta, in
quanto era più importante intervenire finalmente, organizzare strutture
adeguate, avviare percorsi educativi e riabilitativi. Già nel 1963,
esprimeva i pro e i contro della residenzialità e qualche anno più tardi,
si trovò a concludere che l’istituzionalizzazione era stato un passaggio
obbligato e necessario, ma c’era già un indizio di un suo superamento.
Secondo Milani, il bambino ospedalizzato in un centro di educazione
motoria doveva trovare un’atmosfera che favorisca lo sviluppo della
4
Milani Comparetti A., The Basic Criteria for Prognosis and Assessment of Results in
Rehabilitation, in “Little Club Clinics in Developmental Medicine”, n. 2, 1960.
5
Milani Comparetti A., La scuola per i bambini affetti da paralisi cerebrale, Vallecchi, Firenze,
1961.
6
Milani Comparetti A., Problemi educativi e riabilitazione dei bambini con paralisi cerebrale, in
“Il Lattante”, 1963, p. XXXIV.
19
sua personalità, a dispetto di tutti gli ostacoli risultanti dalla sua
infermità fisica e psichica.
Egli era anche attratto da tutti quei principi che attribuivano
all’individuo una tendenza naturale all’attività, infatti è proprio
attraverso l’attività che si forma la personalità del bambino.
7
1.6. La scuola del centro “Torrigiani”.
I C.E.M.E.A. (centri di intrattenimento e di metodi di educazione
attiva), nati in Francia nel 1937, in Italia furono presieduti dal 1950 da
Ernesto Codignola per il rinnovamento dei metodi educativi.
8
Questi centri perseguivano un nuovo modo di educare, in tutte le
realtà verso le quali dirigevano la loro azione: scuola, formazione del
personale, ecc. … .
Alla base della loro azione educativa, vi erano diversi principi, tra i
quali il più importante era la fiducia nella persona e nella possibilità di
ogni essere umano di svilupparsi e trasformarsi nel corso della sua
vita.
Questa accentuazione del valore dell’individuo nella società, si
traduceva nella proposizione di un’azione educativa tesa alla
promozione delle capacità individuali, piuttosto che al loro
addestramento, a valorizzare l’ambiente di vita e la quotidianità nello
sviluppo dell’individuo, a sostenere l’importanza del fare, come
strumento principe dell’apprendere.
Nel 1960, il centro “Torrigiani” fu il primo centro riabilitativo di
soggetti con paralisi cerebrale in Italia, ad avere una convenzione
speciale per poter insegnare a questi soggetti, sulla base dei principi
dei C.E.M.E.A. .
7
Milani Comparetti A., 1962, cit.
20
Molte le attività che venivano organizzate al suo interno, seguendo
l’interesse spontaneo che si manifestava nei bambini a contatto con
un ambiente ricco di stimoli ed inviti; le attività svolte erano la pittura,
la decorazione, costruzioni, giochi, canti, ecc. …. .
Ogni bambino aveva la possibilità di scegliere le attività a cui
iscriversi, e di riavvicinarsi in nuovi gruppi, con quelli che la
ripartizione in classi aveva separato.
Forse Milani voleva, in un certo senso, fare della sua scuola speciale
un altro dei centri-pilota o modello in cui la pedagogia attiva veniva
applicata e sperimentata.
L’idea del bambino-soggetto, artefice e costruttore del proprio
sviluppo, la sua tendenza naturale all’attività, l’importanza del gioco,
seppe da subito tradursi in un linguaggio utile ed in indicazioni
necessarie al peculiare mondo della riabilitazione.
Così, tutta l’azione educativa deve essere il catalizzatore che permette
alle tendenze naturali del bambino di svilupparsi attraverso lo studio
dei suoi interessi e delle spinte psicologiche che lo muovono a
“costruire” sé stesso.
Un altro principio condiviso ed adottato da Milani, fu l’importanza del
lavoro di gruppo, dove il bambino era al centro dell’attenzione degli
operatori in ogni momento della vita quotidiana: quando giocava,
quando svolgeva attività scolastiche, quando era impegnato nelle varie
terapie e nei momenti del tempo libero, in quanto il bambino non è un
mosaico di problemi, ma prima di tutto un individuo; non c’è che un
atteggiamento educativo che tenga conto di questa verità
fondamentale e cerchi di rispondere alle esigenze dell’individuo per
8
Per una descrizione accurata delle attività dei C.E.M.E.A. e degli altri gruppi di comunità
scolastica italiani, vedi: Laporta R., La comunità scolastica, La Nuova Italia, Firenze, 1963 .
21
soddisfare i suoi bisogni., per guidare lo sviluppo della personalità
verso una fioritura armoniosa.
9
Ben presto la scuola acquistò una sua precisa fisionomia, e la scelta
degli insegnanti che aderirono ad una scuola pedagogica attiva, si
rivelò cruciale.
Gli insegnanti che ruotavano all’interno del centro, erano convinti che
il leggere dovesse essere una soddisfazione e non un esercizio
ripetitivo.
Compito della scuola, quindi, non doveva essere solo insegnare a
leggere e a scrivere, ma più di tutto offrire delle possibilità al
bambino, ampliare il raggio delle sue scelte, puntare sul fare come
strumento dell’apprendere.
Questo metodo adottato all’interno del centro, era considerato
rivoluzionario ed innovatore, in quanto l’entusiasmo che i bambini
provavano per una scuola così realizzata, ne era una prova per tutto
questo: invece di sottolineare la malattia, la scuola risolveva delle
difficoltà, con una duplice funzione educativa e riabilitativa, allo
stesso tempo.
Si trattò, quindi, di una vera scuola, una scuola per tutti gli attori
presenti, consapevoli partecipi di una sperimentazione, disposti a
mettere in gioco sé stessi, i propri strumenti e i propri risultati.
Milani di questo è stato educatore e maestro, di una riabilitazione in
cui lui era il vero protagonista, facendo capire che la riabilitazione o è
promozione della persona, o è contro di essa.
9
. Milani Comparetti A., cit., corsivo dell’A., 1962.