6
attività commerciali, che vendevano nella Selva prodotti non reperibili in natura, come
sapone, riso, batterie, sigarette e cibo in scatola2.
Nel 1979, con l’apertura di nuove strade, gli abitanti della Selva entrarono in contatto
con il mondo esterno. Due anni dopo gli indios vendevano i loro archi e le loro frecce ai
turisti che visitavano la Selva3. Con il denaro che guadagnavano, gli Hach Winik
iniziarono ad assumere alle loro dipendenze Maya Tzeltal nelle milpas, e ad acquistare
macchine –che solo pochi erano in grado di guidare- per raggiungere i vicini villaggi4.
L’introduzione del denaro produsse un significativo mutamento nel sistema di
distribuzione della ricchezza. I cicli economici della colonizzazione influirono sulla vita di
comunità provocando fratture al suo interno5.
La percezione indigena del processo di deforestazione della Selva Lacandona è il tema
centrale di questa ricerca antropologica.
Il primo capitolo presenta una introduzione etnostorica della conquista della Selva nel
XVII secolo, i primi contatti con i missionari spagnoli ed il tentativo di conversione degli
Hach Winik. Questa prima parte si è rivelata indispensabile - nel rispetto di una seria
ricostruzione del processo di un cambiamento culturale, che ha avuto inizio con i primi
contatti dei Lacandones con il mondo esterno.
Il secondo capitolo descrive l’habitat del gruppo etnico oggetto di studio, introducendo
le forme di vita tradizionali, e il complesso rituale lacandón. La nascita della foresta nei
miti cosmogonici esplica il profondo rapporto degli Hach Winik con l’ambiente naturale.
La Selva è una foresta di simboli6, che i miti permettono di esplorare e codificare. Il
contesto mitico illumina l’universo magico religioso lacandón, dando eco a una cultura.
Il terzo capitolo affronta il processo di sfruttamento della Selva Lacandona avviato nei
secoli scorsi dalle imprese internazionali di esportazione del legname. Le inesorabili
ondate della colonizzazione e i flussi migratori endemici hanno determinato il
depauperamento delle risorse della foresta, influenzando lo stile di vita dei suoi abitanti,
che hanno così reinterpretato il loro rapporto con la Selva.
2
Mc Gee, 1990. Nel 1986 le famiglie lacandone ricevevano ogni tre mesi dagli 8,000 ai 20,000 pesos
messicani, secondo lo status civile del beneficiario, l’età e la composizione della famiglia. A Lacanjá
Chansayab, un numero di uomini lavora oggi per la compagnia PEMEX, compagnia petrolifera dello Stato,
ricevendo un salario. Boremanse, op. cit.
3
I Lacandones oggi hanno abbandonato questi strumenti di caccia per i moderni fucili.
4
Ibid.
5
L’introduzione del denaro comportò, inoltre, un aumento della competizione tra le famiglie lacandón
minando i principi di generosità e solidarietà che caratterizzavano la vita di comunità.
6
Espressione di J. Turner in Singer, 1999.
7
I dati etnografici analizzati in questo capitolo sono stati raccolti in Messico, presso
l’Università UNAM e l’Istituto Nacional Indigenista di Città del Messico nel 2004. Le
interviste ai testimoni oculari della distruzione della foresta hanno permesso una lettura
emica del processo di deforestazione della Selva Lacandona e una lettura antropologica
della percezione di sostenibilità degli indios.
Il quarto capitolo si inserisce in una prospettiva di riflessione sul tema della
deforestazione. I dati statistici qui analizzati sono stati raccolti da documenti FAO e da
stime elaborate dall’INI7 in questi ultimi anni. Il capitolo offre un punto di osservazione
sull’attuale processo di acculturazione in corso nella Selva, aprendo interrogativi sul
processo di risoluzione del problema ecologico.
Il contatto con i bianchi indusse processi di segmentazione culturale che si tradussero in
una parziale perdita di tratti culturali e in un mutamento degli stili di vita del gruppo
etnico. L’eccessiva estrazione arboricola, un uso inadeguato del suolo, l’abuso di pesticidi
e fertilizzanti introdotti dall’esterno, hanno condotto ad una graduale caduta della capacità
produttiva e ad un disequilibrio ecologico che si sta traducendo in una netta diminuzione
della biodiversità ed in un principio di erosione della regione della Selva Lacandona.
Gli Hach Winik sono stati, in passato, proiettati in un contesto idilliaco nel quale
vivevano in armonia con la natura. Il loro stile di vita rivelava una totale comunione con il
mondo vegetale, in cui essi conducevano un’esistenza libera da ogni forma di oppressione.
La visione astratta di un ambiente naturale che sfiorava la perfezione influenzò lo sviluppo
di flussi migratori endemici, che degenerarono in una silenziosa opera colonizzatrice. La
progressiva diminuzione delle risorse naturali e il depauperamento della foresta degli Hach
Winik, hanno indotto funzionari -e campesinos in primis- a ripensare il loro rapporto con la
Selva.
Il mutamento climatico avvertito dalle comunità che abitano la foresta preannuncia la
distruzione di un ecosistema millenario e minando l’identità culturale degli Hach Winik.
Le migrazioni endemiche e i contatti con il mondo esterno hanno introdotto nella foresta
tropicale forme di tecnologia sconosciute ai suoi abitanti. Il processo di acculturazione ha
determinato un profondo mutamento nella vita degli Hach Winik. Un tempo si pensava che
il cambiamento «dovesse esprimere sempre uno stesso movimento, quello
dell’adattamento, dell’aggiustamento delle società tradizionali ai valori della società
7
Istituto Nacional Indigenista.
8
moderna» (Kilani, 1998). In questo contesto esso ha indotto una risposta decisiva allo choc
culturale che ha scosso la società degli Hach Winik.
9
CAPITOLO I
“En algunos memoriales…
llaman a estos pobres lacandones fieros,
crueles, comegentes…son unos miserables desnudos,
hijos del miedo y del temor,
temblando del nombre español y de nosotros,
que somos los hombres tan desnudos como ellos…”
Fray Francisco Gallegos, 16768
1.1 La paz de Dios y del Rey
Un mercoledì dell’anno 1695, verso mezzogiorno, un frate francescano risaliva una
collina a poche leghe dove il fiume Ixcán confluiva con lo Jataté, per formare il fiume
Lacantún. Con gran soddisfazione contemplava ciò che, dopo quaranta giorni di faticosa
marcia, compensava infine i suoi sforzi. Ai suoi piedi si estendeva, avvolta dalla foresta,
una immensa distesa di alberi da frutta e seminagioni di mais. Ai piedi del monte, opposto
alla pianura, si intravedeva un piccolo agglomerato, un centinaio di case ben costruite e
dipinte di bianco. Non vi era alcun dubbio, il missionario francescano aveva scoperto la
leggendaria dinastia degli indios lacandones, ultima tribù indigena del Chiapas, non ancora
soggiogata dagli Spagnoli9.
Il frate veniva da Huehuetenango, con lui vi erano quattro indios del pueblo10 di San
Mateo Ixtatán, per i quali i Lacandones costituivano i peggior nemici. Gli indios
rifiutarono fin dall’inizio di accompagnare il francescano nella sua conoscenza con i temuti
Hach Winik. Prima di continuare solo la marcia, il missionario si fermò e appuntò sul suo
taccuino le seguenti parole:
«Il Signore non ha concesso la volontà ai quattro compagni di passare di qua,
per questo mi accingo, in nome di Gesù misericordioso, al pueblo di Nostra Signora dei Dolori11,
per annunziare ai suoi abitanti la pace di Dio e del Re».
Fra Pedro della Concezione
8
De Vos, J. 1996.
9
Ibidem.
10
La parola “pueblo”, sarà usata nel corso di questa tesi per indicare una comunità o più propriamente un
villaggio.
11
Dopo 1695 il villaggio degli Hach Winik visitato dal missionario francescano, prese il nome di Nostra
Signora dei Dolori del Lacandón. Ibid. Per approfondimenti, cfr. AA. VV.,1997: XXX-LI.
10
“La pace di Dio e del re”. Quale era il vero significato di queste parole? Quale valore
rivestiva l’annuncio del missionario, per i destinatari che si apprestavano a riceverlo?
L’annuncio presagiva l’imposizione del regime coloniale, con tutte le conseguenze che
questo implicava per gli indios. La formula non era nuova, era stata utilizzata in passato
dai conquistatori spagnoli e dai primi missionari domenicani che giunsero venti anni più
tardi nella foresta per evangelizzare.
I conquistadores del Chiapas furono in primo luogo soldati, avidi di gloria e di
ricchezza- ma spesso ebbero anche l’illusione di fare della regione del Lacandón, una
nuova, migliore immagine della loro patria: la Nuova Spagna. I primi seguaci di Padre
Bartolomé de las Casas, giunsero in Chiapas con l’ideale di convertire gli indios ad una
nuova forma di cristianesimo, non contagiato dalle deformazioni e dalle contraddizioni di
cui soffriva la Chiesa in Europa. In quanto ai nativi, si lasciarono persuadere facilmente
dalla promessa di pace che li invitava ad abbracciare una vita migliore, sotto la protezione
di un re lontano ma benevolo, e ad accogliere la benedizione di un Dio misconosciuto ma
tuttavia più misericordioso del loro.
Alla fine del XVII secolo il panorama era mutato, i soldati spagnoli si erano convertiti
in coloni, coscienti e orgogliosi dello status di classe privilegiata che avevano conseguito.
“La pace di Dio e del Re” si era rivelata una mera menzogna, e i nuovi titoli di “figli di
Dio” e “vassalli del re” non avevano più alcun valore. Gli indios –riuniti in villaggi dove
vivevano in stile spagnolo- furono battezzati, ora veneravano i santi e i sacerdoti, pagavano
i tributi al re e obbedivano ai suoi vassalli.
Gli indios soffrono, ancora ai nostri giorni il peso dello sfruttamento coloniale, l’essere
stati considerati dalla Chiesa minori di intendere e di volere e trattati dallo Stato al pari di
cittadini infermi, buoni unicamente per essere sfruttati dai colonizzatori12.
Alla fine del XVII secolo i Lacandones rappresentavano l’unica etnia indigena del
Chiapas sopravvissuta all’invasione spagnola.
12
De Vos, op. cit.
11
1.2 Un passo indietro
Il 1524 fu l’anno in cui i primi Spagnoli posero piede nello stato di Chiapas. La Selva
Lacandona appariva come un tappeto verde, ricoperto di una densa ed alta vegetazione
tropicale, in cui i piccoli gruppi e i villaggi indigeni formavano –nel linguaggio suggestivo
di Eric Thompson- «conchiglie fluttuanti in un mare verde»13. Durante il periodo classico
maya14, l’area della Selva era una delle zone più risplendenti e rigogliose del
Centroamerica.
Il primo tentativo di entrare in territorio lacandone risale al 1525. Pedro de Alvarado,
informato della spedizione di Hernán Cortéz, lasciò il Guatemala al principio del 1525 e si
diresse verso la provincia del Lacandón con la speranza di incontrare il conquistatore
proveniente dal Messico. Nessun cronista della Conquista fece menzione nei suoi scritti a
questa esplorazione, probabilmente perché non vi fu alcun esito. Pedro de Alvarado non
arrivò mai ad incontrare Hernán Cortéz, tanto meno entrò mai in contatto con i
Lacandones. Esistono tuttavia due documenti redatti in Guatemala nel 1553 e nel 1564 che
testimoniano che la spedizione ebbe realmente luogo15.
Nel 1530 un gruppo di ottanta conquistatori capeggiati da Alonso Dávila16 penetrò nella
Selva, alla ricerca di un cammino che li avrebbe condotti al Sud, nella provincia di
Acalán17. I conquistatori dovettero affrontare una foresta tropicale fitta e spesso
impenetrabile, ricca di lagune nascoste nella densa vegetazione, prima di giungere
sull’isola di Lacam-tún. L’incontro occasionale con gli indios, si tradusse in una presa di
potere di questi ultimi nei confronti degli invasori. Alonso Dávila non era interessato a
colonizzare «una piccola e insignificante tribù selvatica» (De Vos, 1996: 49). Continuò
così il suo cammino, ansioso di abbandonare la Selva per raggiungere le pianure di Acalán,
che a quel tempo avevano fama di essere una delle terre più prospere e popolate del
Centroamerica. Di questa prima entrata nel Lacandón conserviamo la testimonianza di un
testimone oculare, Alonso de Luján, compagno di Alonso Dávila nella spedizione del
13
Thompson, in De Vos, 1996.
14
Il Periodo Classico Maya va dal 300 al 900 d.C.
15
De Vos, op. cit.
16
Alonso Dávila era un capitano al servizio di Francisco Montejo, governatore dello stato di Tabasco. Ibid.
17
Acalán deriva dal náuatl e significa “terra del popolo delle canoe”. Ibid.
12
1530. Luján raccontò più tardi la sua esperienza ai cronisti18, che la trascrissero nella loro
Historia del 1559.
Nella sua relazione Oviedo non riporta alcun nome19, tuttavia la sua descrizione si rivela
dettagliata e le sue fonti attendibili. Non vi sono dubbi sulla veridicità dell’avvenuto
incontro dei conquistatori spagnoli con gli indios di Lacam-tún. Grazie ad altre fonti sulle
entrate del 1559 e del 1586 nella Selva, sappiamo che i Lacandones vivevano su un’isola
situata in una grande laguna a Sud della Selva Lacandona. Le recenti spedizioni
archeologiche20 hanno identificato la laguna del Lacandón con la laguna Miramar.
La scoperta di Lacam-tún da parte di Alonso Dávila destò l’interesse di Pedro de
Alvarado, che cinque anni dopo delegò uno dei suoi uomini di fiducia di conquistare la
zona di sua giurisdizione. Alla fine del 153521 Francisco Gil Zapata, capitano per ordine di
Alvarado, abbandonò Città Reale di Chiapas22 con l’obbiettivo preciso di sedare gli animi
ribelli e fondare nella Selva una città di dominio spagnolo, che avrebbe funzionato da torre
di controllo sui villaggi indigeni circostanti23. Un documento del 1537 conservato nell’
Archivio delle Indie, racconta le atrocità che il conquistatore spagnolo infierì agli indios
della Selva Lacandona.
«…A los catorce señores los quemó y a otro señor del dicho pueblo,
mostrando su crueldad y diabólico ánimo, le cortó una mano y la narices y se las echó colgadas
al pezcuezo y los invió así a dar mandado a los demás naturales para que viéndolo
se retrujesen de temor y él pudiese so falsos colores hacerlos esclavos…»24
La spedizione era composta di cinquanta soldati spagnoli e di un elevato numero di
indios amici di Città Reale di Chiapas.
18
Ponzalo Fernández de Oviedo e Valdés. Historia General y Natural de las Indias. Libro XXXII, Cap. 4, p.
406-411. De Vos, op. cit
19
Ponzalo Fernández de Oviedo non rende noto i nomi della laguna e degli abitanti con cui entrarono in
contatto i conquistatori spagnoli nel 1530. I suoi racconti sono incentrati principalmente sulle entrate militari
nella regione del Lacandón. Tuttavia nella sua cronistoria descrive la città di Lacantún, una piccola
popolazione composta di una sessantina di case dipinte di bianco. Ibid.
20
Si fa riferimento alle spedizioni dell’archeologo danese Franz Blom del 1950.
21
La data è indicativa, De Vos sostiene che potrebbe trattarsi dei primi del 1536.
22
Antica capitale della provincia del Chiapas. Corrisponde all’attuale cittadina di San Cristóbal de Las Casas.
23
Gil Zapata, giunto sulla sponda del fiume Usumacinta, fondò Villa de San Pedro, situata nei pressi del
villaggio indio di Tenosique. Due mesi dopo la fondazione Zapata e il suo compagno Godoy, divenuti
commercianti senza scrupoli, intrapresero una campagna di schiavitù, al fine di rivendere gli indios nei
mercati di Messico e Guatemala. Ibid.