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utilizzatori. Una killer application diviene "universale" solo se raggiunge e
supera il punto di massa critica di utilizzo. In coincidenza di tale punto la
pendenza della curva cambia e la diffusione delle nuove applicazioni
cresce e si sviluppa esponenzialmente. Nonostante l’Italia abbia superato
tale soglia relativa ad Internet (25-30%), manifesta un notevole ritardo
rispetto ad altri Paesi dell’area Oecd, le cui ragioni vanno ricercate nella
terza legge, la legge della distruzione, che spiega come le tecnologie si
sviluppano esponenzialmente, mentre i sistemi sociali, politici ed economici
si trasformano e cambiano solo incrementalmente a causa di problemi quali
lo scarso interesse manifestato da legislatore per il fenomeno, la rigidità al
cambiamento delle imprese e l’inadeguatezza delle infrastrutture.
L’informazione viaggia in maniera inarrestabile su Internet ma è
interessante notare anche il ruolo dei media tradizionali ed è per questo
che una sezione di questo capitolo è dedicata proprio alla evoluzione dei
mezzi di comunicazione nel tempo. Da questa analisi emerge la sempre più
rapida diffusione delle ICT ma non bisogna sottovalutare che metà della
popolazione mondiale non soltanto non ha accesso alla Rete ma
tantomeno accede alle reti televisive internazionali. Il Digital Divide, spesso
richiamato dai critici della new economy, è appunto il divario politico,
sociale, economico e culturale che separa chi può avere accesso alle
tecnologie da chi ne resta escluso. Esso si aggiunge a tutti gli altri divide
quali povertà, mancanza di elettricità, istruzione, degrado e rischia di
aumentare la forbice tra Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo.
Nel secondo capitolo viene analizzato l’impatto dell’ICT, le quali si
differenziano dalle altre tecnologie introdotte nel corso della storia per la
loro capacità di fornire l’infrastruttura necessaria affinché l’intera economia
mondiale possa operare come un’unica entità, in tempo reale e su scala
mondiale. La prima parte del capitolo è dedicata all’analisi dell’impatto ICT
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sul sistema produttivo. L’introduzione di ICT comporta infatti una
riorganizzazione dell’impresa. L’adozione di computer, ad esempio,
richiede domanda di lavoro qualificata che ha di conseguenza comportato
maggiori risultati nella campo della R&S e quindi ha così influito sulla
crescita. Un altro aspetto molto interessante che viene preso in
considerazione è l’impatto delle IBS (Internet Business Solution), cioè le
piattaforme applicative basate su Internet che consentono di governare in
modo più efficiente ed efficace i processi aziendali verso clienti, fornitori e
dipendenti. Le imprese utilizzatrici di IBS realizzano un risparmio di costi e
un aumento dei ricavi.
Dopo uno studio a livello produttivo si analizza l’impatto a livello
distributivo, il quale ha determinato la trasformazione del tradizionale
modello economico ad isole in un modello globalizzato in cui il processo
complessivo viene unificato. Ad esempio si porta la produzione là dove
costa meno la manodopera ed è più facile l’accesso ad investimenti
industriali. È proprio l’ICT a fornire l’infrastruttura necessaria per correlare i
diversi passi di un intero processo economico.
Un altro aspetto molto interessante è l’impatto dell’ICT sull’occupazione,
visto che la Net Economy è un settore caratterizzato da un numero
ragguardevole di occupati ed inoltre contribuisce a creare sempre più posti
di lavoro ad un ritmo elevatissimo. È stato notato che poiché la domanda di
lavoro è rivolta a lavoratori altamente qualificati, il trend occupazionale
potrebbe essere superiore a quello esistente se fossero risolti i problemi
legati allo skill shortage. Inoltre la rilevanza di settore sul sistema
occupazionale si desume anche dall’analisi del contributi che questo
settore fornisce come incubatore di nuove imprese.
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Dopo questa analisi generale del settore ICT, nel terzo capitolo viene
elaborato un set di indicatori che possa fornire un punto di riferimento
sull’evoluzione del mercato ICT a livello internazionale e nazionale.
Gli indicatori sono divisi in aree: mercato globale ICT, telefonia, Pc,
Internet, media e brevetti.
La prima area considerata è quella riferita al mercato ICT e viene
analizzata in due parti: il settore dell’informatica (IT) e quello della
telecomunicazione. Attraverso i dati relativi alla spesa sostenuta nei due
comparti a livello internazionale è possibile effettuare un confronto sia tra i
due mercati sia tra i vari Paesi presi in considerazione. La componente IT
sembra avere una maggiore influenza in quanto condiziona la posizione del
Paese, infatti gli Stati con una maggiore spesa IT risultano essere i meno
evoluti nel sistema complessivo dell’ICT.
Gli indicatori dell’area della telefonia sono analizzati sia nel caso di reti
fisse che mobili, e viene fatto particolare riferimento ai nuovi sevizi dati e a
valore aggiunto, quali SMS, UMTS e MMS, che stanno modificando il
mercato verso una sempre maggiore capacità di supportare applicazioni e
funzionalità avanzate, sebbene rivolte solo a pochi utenti a causa di
carenze infrastrutturali e di dispositivi inadeguati.
La terza area considerata è stata quella dei Pc. Dopo un periodo di
recessione che ha pesato sulla consegna di Pc sembra sia ricominciata
una lenta ricrescita soprattutto nel mercato italiano infatti nei segmenti
business, PA e scuole sono aumentati i Pc installati, soprattutto per la
necessità di collegarsi ad Internet.
Un’altra area analizzata di grande interesse è proprio quella Internet.
All’interno di questa area viene studiata l’evoluzione di Internet e il suo
allargamento a categorie che fino a non molto tempo fa rapprentavano solo
una piccola percentuale di utenza. Ne sono un esempio la presenza
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femminile online, che oggi è pari al 41%, e l’alta percentuale di non
occupati, spiegata da molti giovani che cercano il primo lavoro online.
Nell’area Internet vengono presi in considerazione anche i dati relativi al
commercio elettronico, che nonostante abbiano mostrato un aumento
complessivo degli acquisti online, riportano alla consapevolezza della realtà
italiana caratterizzata da una cultura e da una struttura dei consumi che
non consentono una portata del fenomeno pari a quella degli altri Stati,
visibile nel fatto che i buyer sono solo una piccola percentuale degli users.
Un’altra area che fornisce indicatori interessanti è quella dei media. La
televisione è, come già tutti sappiamo, il mezzo più usato, seguito dalla
radio, con 35,6 milioni di utenze. Il settore della pay-tv ha invece una
crescita lenta dovuta non solo a problemi infrastrutturali ma anche alla
pirateria.
L’ultima area analizzata è quella dei brevetti, che mostra un elevato
aumento del numero dei brevetti non solo negli Stati Uniti e Giappone ma
anche in Europa, dove le percentuali più alte sono da attribuire ad inventori
tedeschi, inglesi e francesi e sono relativi soprattutto al settore della tecnica
di comunicazione elettronica. L’Italia è al 7° posto in Europa con 259
brevetti, provenienti soprattutto da Lombardia, Piemonte e Lazio.
Dopo uno studio a livello internazionale, nel quarto capitolo si
analizzano i vari indicatori ICT a livello regionale, così da comprendere il
diverso grado di integrazione di queste tecnologie all’interno delle diverse
realtà locali. Il primo indicatore preso in considerazione è la spesa in ICT.
L’andamento positivo che si è verificato fino al 2001 non è stato confermato
dai dati dell’ultimo anno, infatti tutte le aree geografiche hanno evidenziato
un andamento negativo, più accentuato nel Sud e nelle Isole,
probabilmente a causa di problemi economici riscontrati falle famiglie in
seguito all’introduzione dell’euro.
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Per apprendere le potenzialità di sviluppo dei mercati nelle regioni
italiane viene analizzata la struttura dell’offerta locale di ICT, che evidenzia
un tasso di natalità medio annuo relativo alle imprese ICT più alto rispetto a
quello dell’intero comparto industriale. La Regione che presenta un
maggior numero di aziende operanti nell’Information Technology è la
Lombardia, con il 23,6% delle aziende complessivamente presenti in Italia
seguita dal Veneto con il 9,2% degli operatori dell’offerta. Nelle regioni
meridionali si evidenzia invece una situazione ribaltata, infatti in generale la
quota del mercato ICT è inferiore alla quota percentuale di imprese presenti
sul territorio ed è quindi evidente che l’offerta ICT è ancora insufficiente.
Grazie ad un’analisi per grandi aree geografiche è possibile vedere
ancora meglio il ritardo del Mezzogiorno riguardo alla disponibilità di
tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Dal grado di
penetrazione dei Pc emerge che il Mezzogiorno sconta un anno di ritardo
rispetto al Centro Nord.
Un altro indicatore analizzato è quello della telefonia. Il confronto delle
penetrazioni di apparati/servizi di comunicazione per aree geografiche fa
emergere una situazione fortemente dicotomizzata. Infatti, la penetrazione
di telefonia mobile risulta identica tra le varie aree geografiche, invece le
differenze nelle penetrazioni di apparati/servizi su telefonia fissa sono
rilevanti.
Per quanto riguarda Internet, si osserva che la sua penetrazione è solo
nel Mezzogiorno al di sotto della media nazionale ed inoltre si riscontrano
delle differenze anche nei luoghi di accesso, infatti il 45% degli utenti nel
Mezzogiorno si collega da casa, contro il 34% del Centro e il 32% del Nord.
L’ultima area analizzata è relativa ai media. Anche da questo punto di
vista il Sud rimane indietro ed è possibile vedere questo anche dal dato più
semplice, cioè quello riferito al numero di televisori. Il Centro possiede il
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numero più alto di apparecchi televisivi (1,92), mentre il Sud il più basso
(1,72).
L’analisi regionale presentata nel quarto capitolo consente di
comprendere anche le motivazioni del dislivello Nord-Sud che sono legate,
come sarà possibile vedere nel capitolo considerato, soprattutto a motivi di
carattere economico, demografico e culturale.
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Capitolo 1
L’Information Technology: cos’è e come sta cambiando
l’economia dei Paesi a sviluppo avanzato
1.1 Definizioni
Con il termine “New economy” si indica la recente diffusione di nuove
tecnologie basate su Internet, che ha molti più anni, traendo origine dal
sistema Arpanet, progettato dall’esercito americano, ma che grazie
all’invenzione del Web, nel 1995, da parte del Cern di Ginevra e alla
diffusione dei browser, si è rapidamente diffusa come un nuovo “media”
che si affianca a quelli tradizionali.
La new economy si differenzia dalla old economy soprattutto per lo
sganciamento dello spazio fisico all’interno del quale le società operano e
per la possibilità delle aziende di accedere ad un mercato globale
eliminando molti costi infrastrutturali. Il termine old economy identifica tutte
quelle attività e aziende che non si sono lasciate coinvolgere dal business
basato sulle nuove tecnologie informatiche e telematiche. Sono aziende di
qualsiasi tipo e dimensione, che operano al di fuori della rete Internet
utilizzando modelli di business detti quindi “tradizionali”.
I punti cardine su cui si basa la new economy non sono tanto i beni
materiali quanto immateriali:
- idee innovatrici;
- bene/informazione.
E’ un mercato estremamente giovane, immaturo e volatile, in cui quasi
tutto è basato su elementi di marketing e innovazione. Nella new economy
il tempo scandisce inesorabile a ritmi frenetici la vita delle aziende e degli
operatori.
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Il concetto di new economy è ben più ampio della mera diffusione di
nuovi processi e prodotti, intendendosi con esso anche la trasformazione
delle regole, dei principi, delle caratteristiche e, in ultima analisi, della
società stessa verso assetti diversi da quelli caratteristici della old
economy.
La new economy ha portato alla ribalta le Net Stocks, le azioni delle
società legate ad Internet ed alle nuove tecnologie, che sono state
protagoniste di un vero e proprio miracolo, raddoppiando in pochissimo
tempo le loro quotazioni, mentre moltissime altre si sono affacciate per la
prima volta al mercato borsistico raccogliendo ingenti flussi di denaro e
ripagando i propri azionisti con ottimi dividendi. E’ nata la febbre da IPO
(Initial Pubblic Offering), cioè da collocamento sul mercato. Nella seconda
metà degli anni Novanta il Nasdaq (il listino sul quale sono collocate le Net
Stocks) da sorella minore del NYSE di Wall Street è diventato regina e
termometro delle borse mondiali sulla scia del boom inarrestabile
dell’economia americana [Timi 2002].
Anche l’Europa si è fatta contagiare dopo un’iniziale diffidenza: sono
nati i nuovi mercati (modellati sul Nasdaq) e anche le IPO di aziende
italiane hanno incontrato il favore degli investitori (basti pensare a
Finmatica o Fiscali).
Quali sono le caratteristiche principali di un’impresa o di
un’organizzazione che si muove in sintonia con le esigenze e gli stimoli
della new economy? Creatività, partecipazione, professionalità, flessibilità,
velocità e interconnessione.
La new economy più che aprire business nuovi, cosa che pure ha fatto,
ha permesso di stravolgere le regole con le quali vengono gestiti quelli
tradizionali. Basti pensare all’e-mail che permette di contattare clienti,
fornitori, colleghi in pochissimo tempo e con pochissima spesa. Si pensi
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alla rivoluzione portata dal commercio elettronico soprattutto nel business
to business semplificando e abbattendo i costi delle transazioni
commerciali.
Non è ovviamente tutto oro quello che luccica. Molte net company
hanno chiuso, anche quelle con i proprietari più autorevoli e navigati, il
Nasdaq e le altre borse tecnologiche fanno tremare continuamente gli
investitori, alcuni business tipo il commercio al dettaglio su Internet (B2C)
non decollano. Ciò ci fa capire che senz’altro la new economy è una
rivoluzione ma non può essere lasciata a sé stessa, va governata e
senz’altro potrà continuare ad incrementare i vantaggi per gli utenti, siano
essi imprese o consumatori finali.
Le quotazioni in crescita del Nasdaq stanno ad indicare che gli
investitori americani (le famiglie ma anche i grandi investitori istituzionali,
poco inclini al rischio) hanno da tempo capito la grande novità dell’e-
economy, fatta essenzialmente di idee, di risposte ai nuovi bisogni di una
società post-materialista [Talamona 2000].
Ma se davvero abbiamo cominciato a capire questa novità radicale,
allora dobbiamo sperare che coerentemente cambino anche i
comportamenti diffusi nelle imprese, nella società e nelle istituzioni. Per
avere successo nella nuova economia dell’informazione non basta più
essere solo efficienti e neppure flessibili. Conterà soprattutto la conoscenza
e la capacità di fare innovazione continua; farà la vera differenza
l’intelligenza, che deriva dalla qualità del capitale umano e del capitale
sociale presente. E’ dunque sulla formazione degli uomini e sulle capacità
sociali ed istituzionali di interagire e di coordinarsi a meglio che occorrerà al
più presto investire.
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1.2 Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione
Come si è detto in precedenza, il dibattito sulla new economy deve
necessariamente incentrarsi sullo sviluppo delle tecnologie
dell’informazione e della comunicazione.
La definizione di new economy può essere fornita ricordando che nella
seconda metà degli anni Novanta, negli USA, una forte crescita del
prodotto si è accompagnata a bassa inflazione, globalizzazione dei mercati
e informatizzazione dei processi produttivi [Shreyer 2000].
Da ciò deriva che il ruolo giocato dall’Information and Comunication
Technology (ICT da adesso in poi) nel sostenere la crescita economica
risulta necessaria, anche se non sufficiente, per spiegare il passaggio ad
un nuovo ordine economico a livello internazionale [Iammarino, Lasinio,
Mantegazza e Picozzi 2000].
E’ cruciale ai fini di una corretta interpretazione del ruolo dell’ ICT nella
new economy, stabilire se e in che misura si tratti di un cambiamento
tecnologico di natura “orizzontale”- capace cioè di propagare la crescita nel
complesso del sistema economico e dunque di rappresentare un nuovo
“paradigma tecnologico”- o se non abbia invece natura specificamente
settoriale [S.D.Oliner, D.E. Sichel 2000].
Nonostante l’evidenza non sia univoca, dalla maggior parte degli studi
emerge che l’ICT ha mostrato non soltanto una dinamica particolarmente
sostenuta in quanto singolo comparto industriale ad alta intensità di
conoscenza, ma anche una notevole capacità di contribuire alla crescita di
altri settori, tanto intensivi di tecnologia quanto di input tradizionali.
Dall’evoluzione storica del progresso tecnologico, tuttavia, emerge che
il dibattito non è affatto nuovo. A metà del diciannovesimo secolo
l’introduzione delle ferrovie determinò un nuovo corso economico, con
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immensi ed improvvisi guadagni nelle Borse mondiali, che si protrasse fino
all’inizio della prima guerra mondiale.
Negli anni Venti, l’avvento della radio creò un clima di enorme
entusiasmo tra le imprese che vedevano nella commercializzazione della
nuova tecnologia opportunità di profitto e di crescita potenzialmente
vastissime. Anche allora il termine new economy fu coniato ad indicare un
nuovo assetto radio-based, e le quotazioni di Wall Street salirono alle stelle
fino alla grande crisi del 1929.
In questi casi, così come in tutti quelli in cui si è assistito all’introduzione
di nuove tecnologie di portata generale, la combinazione di cambiamenti
tecnologici radicali ed esplosione del numero di imprese coinvolte sui
mercati finanziari ha dato luogo ad accesi dibattiti sulle possibilità di
raggiungere tassi di crescita senza precedenti e di assistere a
trasformazioni drastiche della struttura economica [Bruland 2000]. Si
sarebbe dunque oggi in presenza di un nuovo paradigma e non, più
semplicemente, di nuovi settori industriali a crescita rapida.
Il contributo alla dinamica economica e alla produttività, come indicato
da numerosi studi empirici, deriva sia dalla “produzione” dell’ICT sia dalla
sua “diffusione” in settori di attività economica diversi da quelli strettamente
definiti dal comparto.
Gli investimenti effettuati dalle imprese nei beni e nei servizi della new
economy sembrano condurre ad un ripensamento delle tassonomie
tecnologiche dei settori industriali tipicamente usate nell’analisi economica.
Emerge infatti che alcuni dei settori a bassa o media intensità tecnologica,
misurata in termini di Ricerca e Sviluppo (R&S da adesso in poi), risultano
relativamente più ICT-intensive di molti comparti science-based [Pavitt
1984]: non sembra, cioè, che la relazione fra quantità di tecnologia
incorporata nel prodotto e grado di integrazione settoriale nella new
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economy sia strettamente significativa, potendosi considerare
relativamente ICT-intensive anche beni prodotti da settori quali il tessile-
abbigliamento, all’interno del quale l’ICT è fondamentale nella fase di
commercializzazione [Gambardella, Torrisi 2000].
Va poi considerato che, a rigore, non è corretto evocare il concetto di
new economy per le sole tecnologie ICT. E’ infatti impossibile non tenere
conto di nuovi e cruciali campi come quello delle biotecnologie, dei nuovi
materiali o della preservazione dell’ecosistema: come calcolare l’impatto di
altre general purpose technologies e come separare quello, fondamentale
e trasversale, dell’innovazione organizzativa e istituzionale?
E’ dunque difficile distinguere gli effetti dell’ICT da quelli della
internalizzazione e della globalizzazione. In entrambi i casi, le attività
economiche ed innovative vedono aumentare il livello di complessità,
varietà e qualità di prodotti, processi, organizzazione e mercati, ma risulta
arduo scindere cause ed effetti nel momento in cui le parole-chiave dei
mutamenti in atto nell’economia e nella società del terzo millennio
sembrano essere proprio “interdipendenza” ed “integrazione” [G.Haur
1998].
L’innovazione tecnologica sta radicalmente cambiando i parametri che
determinano la relazione tra domanda e offerta; sta diventando la reale
discriminante della produttività fino ad ora ancorata a fattori tradizionali:
terra lavoro e capitale. Le tecnologie dell’informazione, che secondo la
definizione di Freeman e Soete (1986) rappresentano sia una nuova
gamma di prodotti e di servizi, sia una nuova tecnologia in grado di
modificare profondamente i processi di produzione e vendita di tutti i vari
settori dell’economia, stanno generando una nuova rivoluzione industriale.
L’informazione e la conoscenza sono le risorse strategiche del nuovo
paradigma tecnologico della nuova economia. Oggi è infatti possibile
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elaborare, memorizzare, reperire e comunicare l’informazione
indipendentemente dal formato e senza limiti di volume, distanza e tempo.
Le imprese, dalle grandi alle piccole, stanno implementando le nuove
tecnologie, per rendere più efficienti i sistemi gestionali e produttivi.
L’attuale rivoluzione porterà soprattutto a trasformazioni nella struttura e
nel modo di concepire le organizzazioni sotto forma di: 1) minori costi di
coordinamento, che permetteranno lo sviluppo di nuove strutture operative
maggiormente integrate; 2) minori costi di transazione, con la conseguente
possibilità di creare una rete efficiente in grado di adattarsi in maniera
flessibile alle variazioni della domanda, trasferendo ad esempio gli ordini da
una fabbrica sovraccarica ad un'altra con capacità ancora disponibile; 3)
minori costi di localizzazione, nel senso che le tecnologie dell’informazione
hanno reso possibile l’abbattimento delle barriere spazio temporali,
consentendo la localizzazione di impianti, magazzini, centri di servizio
disarticolata da vincoli di distribuzione spaziale delle stesse attività e
funzioni aziendali (ad esempio la Diesel).
Quando si parla di information tecnology vi è riferimento obbligato agli
Stati Uniti, Paese dove è nata la nuova rivoluzione. Innanzitutto è indubbio
che il settore dell’ information and comunication tecnology abbia conosciuto
negli Stati Uniti ritmi di crescita (in termini di fatturato e soprattutto di
produttività) impressionanti negli ultimi anni e che questa crescita da sola,
nonostante il settore pesi per non più del 5% del PIL, sia in buona parte
responsabile dello sviluppo complessivo dell’economia americana [D.
Jorgenson 2001].
Ciò conferma un fatto ben noto agli storici economici: i grandi cicli di
sviluppo dell’economia mondiale sono determinati dai cicli di vita della
nuova tecnologia e, in particolare, dall’intervallo che separa la sua
introduzione dalla sua maturità, quella fase cioè in cui la curva dello
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sviluppo raggiunge tassi di crescita esponenziali. E’ stato così per il ciclo
iniziale del capitalismo mondiale trascinato dall’industria tessile, per quello
vittoriano segnato dalla diffusione delle ferrovie, della chimica e infine
dell’auto.
E’ dunque essenziale per un sistema che voglia partecipare ad una fase
di sviluppo sapersi inserire tempestivamente nel settore tecnologico
trainante di tale fase.
In Italia lo abbiamo saputo fare egregiamente con l’auto; abbiamo
invece perso il treno della microelettronica e dell’industria del software
legata alla prima fase di sviluppo dell’information technology e rischiamo di
perdere anche quello ben più essenziale delle tecnologie di rete e dei
servizi Internet.
Assai più controversi sono gli effetti indotti dalle nuove tecnologie
dell’informazione e della comunicazione sul resto dell’economia. I più cauti
sottolineano, infatti, come i tassi di crescita della produttività nei settori non
informatici siano aumentati negli ultimi anni, anche negli Stati Uniti, a ritmi
molto contenuti. Qualcuno anzi si sorprende di come i massicci investimenti
nelle tecnologie informatiche non abbiamo prodotto effetti ben più
consistenti sulla produttività e ne deriva un certo pessimismo sulla loro
capacità diffusiva e sulla tenuta dell’attuale ciclo di sviluppo. Altri invece
giungono, a partire dagli stessi dati, a considerazioni opposte.
Il settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione ha
spuntato aumenti della produttività grazie appunto alla capacità di sfruttare
integralmente le opportunità offerte dalle nuove tecnologie.
A questo punto è necessario fornire una breve spiegazione, per poi
analizzarlo meglio in seguito, del lag temporale con cui l’information
technology influenza la produzione ed il PIL.