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INTRODUZIONE
Il Regno Unito, attraverso l’esito positivo del referendum sull’uscita dall’Unione
Europea, ha dato inizio a un cambiamento epocale; si appresta così a riacquisire
completamente la propria sovranità e indipendenza nazionale, elementi da sempre
molto sentiti ed apprezzati dal popolo britannico.
Vedremo, all’interno della trattazione, cosa potrebbe comportare la decisione di
lasciare l’Unione Europea da parte dei cittadini britannici, che insieme alla
comprensione di tale scelta, rappresentano le motivazioni principali che mi hanno
spinto ad affrontare e approfondire questo argomento.
Il voto del referendum ha sancito l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, ed
ha avuto un enorme impatto sull’agenda europea e internazionale, in quanto gli
interessi derivanti da questo processo sono estremamente elevati, lasciando aperti
molti interrogativi su come questo avverrà. Nella campagna elettorale non sono
state presentate proposte chiare e concrete da attuare dopo un’eventuale vittoria
della Brexit. Saranno presi in considerazione i possibili scenari ed opzioni per il
Regno Unito al di fuori dell’UE, tenendo presenti le conseguenze economiche e
politiche per ciascuna possibilità. Partendo dall’alternativa che massimizza
l’integrazione economica tra il Regno Unito e l’Unione Europea, come quella
norvegese, verranno poi analizzate le opzioni con più bassi livelli d’integrazione. Di
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fondamentale importanza per la Gran Bretagna è l’accesso al Mercato Unico,
naturale sbocco per i suoi beni e soprattutto per i suoi servizi. Emergerà
l’inevitabile trade-off tra i benefici economici dell’integrazione e il costo politico di
rinunciare alla totale sovranità nazionale. Tutto questo sarà indagato nella prima
parte della trattazione.
L'appartenenza all'Unione Europea è stata indubbiamente positiva per l'economia
britannica, sia in termini di impulso alla crescita sia di potenziamento degli
investimenti diretti esteri (IDE).
L'Unione Europea costituisce inoltre il maggiore partner commerciale del Regno
Unito rappresentando circa il 50% degli scambi britannici a fine 2015. Si stima,
infine, che circa la metà degli IDE nel Regno Unito provenga dall'Europa e che il
Vecchio Continente accolga quasi il 50% degli investimenti britannici diretti
all'estero.
Nel secondo capitolo si analizza come l’uscita dall’Unione Europea influenzerà il
commercio britannico con gli altri Paesi, in particolare con i Paesi membri dell’UE.
Nel modello esaminato si considerano uno scenario ottimistico e uno scenario
pessimistico, con variabili che assumono valori più favorevoli al Regno Unito nel
primo caso e più negativi nel secondo. Successivamente sono presi in
considerazione gli effetti dinamici del commercio sulla produttività, che possono
anche triplicare gli effetti statici.
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Altro fattore importante analizzato è come potrebbero variare gli investimenti
diretti esteri; viene stimata, inoltre, l’incidenza degli IDE e del commercio sul
reddito pro-capite. Sono poi riportati gli esempi di due settori chiave britannici:
quello automobilistico e quello dei servizi finanziari.
Uscendo dall'UE, per il Regno Unito potrebbe diventare più arduo e più costoso
commerciare con l'Europa, con una conseguente riduzione della crescita
economica. Inoltre, la minore attrattiva del Regno Unito come porta d'accesso
verso l'Europa inciderebbe sicuramente sugli IDE provenienti dai Paesi al di fuori
dell'UE, con la possibilità che tali flussi vengano reindirizzati su investimenti e posti
di lavoro all'interno dell'UE.
In un primo momento la Brexit ha reso i mercati finanziari più sensibili alle
vulnerabilità della zona euro. La sterlina ha subito un netto deprezzamento,
scendendo ai minimi negli ultimi 30 anni, e si è accompagnato ai timori generali di
banchieri e grandi società con sede a Londra. Nonostante la forte perdita
d’acquisto della sterlina, i dati non hanno indicato alcun effetto radicale nel Regno
Unito o nell’UE. Questo può essere parzialmente spiegato dal fatto che gli
investitori sono coscienti del tempo necessario per implementare la Brexit e hanno
adottato di conseguenza un approccio in attesa di ulteriori sviluppi. Il “passaporto
finanziario”, che consente a 5.500 società finanziarie di collocare i servizi finanziari
nell'intera UE dalla base di Londra, è ora fortemente a rischio con la Brexit. Sul
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mercato azionario, una sterlina debole e un ridimensionamento delle aspettative di
espansione comprimerebbero le previsioni sugli utili per il mercato nel suo insieme.
Tuttavia, visto che il 75% della base reddituale del mercato britannico viene
generato al di fuori del Regno Unito, la debolezza valutaria potrebbe compensare
in misura significativa l'impatto sulla fiducia degli investitori e delle imprese. Le
quotazioni delle maggiori aziende britanniche, dopo un iniziale crollo, hanno
incrementato il proprio valore azionario fino a superare distintamente le quotazioni
pre-referendum. Le società con utili esteri potrebbero anche beneficiare, in termini
di utili riportati, di una sterlina più debole, guadagnando pertanto l’attenzione degli
investitori, che potrebbero ridurre i loro portafogli sugli utili domestici tipicamente
delle aziende a media capitalizzazione, protagoniste del mercato negli ultimi mesi.
Nel terzo capitolo si osservano dinamiche e variabili economico-finanziarie: dagli
afflussi di portafoglio agli investimenti stranieri, passando per esaminare il mercato
valutario, obbligazionario e azionario, oltre al mercato immobiliare in seguito al
referendum. Si prevede anche, cosa possa comportare a livello globale la Brexit.
L’immigrazione è stato il tema più spinoso del referendum; molti cittadini britannici
temono che elevati livelli di immigrazione possano danneggiare i loro posti di
lavoro, i salari e quindi la qualità della vita. L'immigrazione nel Regno Unito è
cresciuta notevolmente negli ultimi 20 anni, soprattutto dopo il 2004 con l'adesione
all’UE di otto Paesi dell'Europa Orientale. Tra il 1995 e il 2015, il numero di
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immigrati provenienti da altri Paesi UE è triplicato, passando da 0.9 a 3.3 milioni.
L’uscita dall’Unione Europea consentirebbe di riacquistare il controllo dei confini
del Regno Unito e poter decidere la misura di cittadini europei aventi il diritto di
lavorare e vivere in Gran Bretagna.
Nel quarto e ultimo capitolo si prende in considerazione proprio il fondamentale
tema dell’immigrazione: se ne delinea la portata, l’impatto sui posti di lavoro e i
salari, sulle finanze pubbliche e la produttività britannica. In ultimo si discutono le
conseguenze della Brexit sull’immigrazione proveniente dai Paesi membri
dell’Unione Europea.
Nel presente lavoro, si è cercato di offrire una visione chiara e completa delle
principali tematiche che incideranno sull’economia del Regno Unito, in seguito alla
separazione dall’Unione Europea.
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CAPITOLO 1: LE OPZIONI DEL REGNO UNITO
FUORI DALL’UNIONE EUROPEA
Negli ultimi anni i cittadini britannici si sono interrogati sempre con maggior
frequenza sulla bontà della loro permanenza nell’Unione Europea. L’ormai ex
primo ministro e leader del partito conservatore, David Cameron, è stato più volte
messo di fronte alla necessità di consultare l’elettorato sulla questione, e nel 2013
ha aperto alla possibilità di un referendum. Quando nel 2015 Cameron ha rivinto le
elezioni politiche, ha voluto mantenere la promessa fatta agli elettori ed ha indetto
pertanto il referendum sulla “Brexit”. Parola quest’ultima coniata dai media,
derivante dalla fusione dei termini “Britain” ed “exit”, per indicare appunto l’uscita
della Gran Bretagna dall’UE.
Il voto del referendum ha sancito l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea,
lasciando aperti molti interrogativi su come questo avverrà. Nella campagna
elettorale, infatti, né il governo né il comitato per la Brexit hanno presentato
proposte chiare e concrete di ciò che sarebbe stato dopo un eventuale vittoria del
Leave. Analizziamo quali possibili scenari ed opzioni si potranno delineare per il
Regno Unito al di fuori dell’UE.
Innanzitutto un Paese che desidera lasciare l’UE deve notificarle la propria
intenzione d’uscita, e questa notifica innesca una serie di negoziati per stabilire un
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accordo di recesso tra il Paese ed il resto dell’UE. La procedura formale da seguire
è stata introdotta all’articolo 50 del Trattato di Lisbona
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, entrato in vigore nel
2009. I trattati cessano di essere applicabili al Paese interessato a decorrere dalla
data di entrata in vigore dell'accordo di recesso o due anni dopo la notifica del
recesso. Il Consiglio europeo può decidere di prolungare tale termine. Il nuovo
primo ministro inglese Theresa May sembra essere intenzionata ad avviare la
procedura prevista entro marzo 2017.
Sarà molto importante, naturalmente, il contenuto di tale accordo. Diverse ex
colonie e territori d'oltremare dei Paesi europei, come l'Algeria nel 1962 e la
Groenlandia nel 1985 hanno lasciato la Comunità Economica Europea (CEE), il
predecessore dell’UE; ma nessun Paese europeo indipendente ha mai lasciato la
CEE o l'UE. Pertanto, non vi è alcun precedente rilevante che possa essere
utilizzato per comprendere i dettagli di come saranno sviluppati i futuri accordi
d’uscita dall’UE. Per certi versi, questo passaggio rappresenta una sorta di “salto
nel buio”, in quanto l’articolo 50 del Trattato di Lisbona traccia solo i caratteri
formali dell’operazione senza alcuna altra specifica.
Il governo del Regno Unito e l'UE hanno bisogno di prendere decisioni su cinque
aree principali.
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http://eur-lex.europa.eu/summary/glossary/withdrawal_clause.html?locale=it