6
venivano fuori degli altri. Innanzitutto, perché loro hanno bisogno di noi?
Ovvero: cosa spinge milioni di individui a lasciare le loro case, le loro
famiglie, i loro amici, per intraprendere un viaggio di migliaia di chilometri
verso un Paese sconosciuto, in cui non hanno né una casa, né un lavoro e che
non vuole nemmeno farli entrare? Quindi, perché hanno scelto di venire a
vivere proprio in Italia?
Queste poche domande, a cui studiosi di tutte le discipline tentano da
decenni di rispondere, rendono l’idea dell’estrema complessità del fenomeno
migratorio. Esso è innanzitutto un fenomeno interattivo, in continua
evoluzione, che coinvolge tante di quelle variabili da rendere impossibile
prevedere quando avrà fine e quali saranno i suoi effetti sul lungo periodo. Un
fenomeno che rompe con gli schemi del passato, che impone una revisione del
patto sociale su cui si fonda lo Stato nazionale, capace di innescare dinamiche
evolutive della nostra società e, contemporaneamente, ad alimentare circoli
viziosi pericolosi e problemi difficilmente risolvibili. Una medaglia a doppia
faccia, insomma, in cui ogni aspetto può causare ricadute positive e negative,
allo stesso momento e la cui regolamentazione appare sempre più un miraggio
distante, piuttosto che una meta a portata di mano.
Di una cosa sola possiamo essere certi: le migrazioni degli ultimi
vent’anni sono diverse rispetto a quelle innescate dallo sviluppo economico
del dopoguerra, che hanno visto l’Italia come uno dei maggiori punti di
partenza dei flussi migratori. Fino agli anni ’70, infatti, i migranti partivano da
aree del continente europeo afflitte da disoccupazione, per andare a lavorare in
Paesi «affamati» di manodopera, al fine di stimolare uno sviluppo economico
che pareva inarrestabile; la loro condizione giuridica e retributiva era identica
a quella dei lavoratori autoctoni ed era fissata in accordi internazionali ben
precisi, che stabilivano le quantità di lavoratori che potevano migrare e la
temporaneità della loro permanenza nello Stato ospitante. Oggi, invece, i
migranti partono da Paesi diversi ed eterogenei, per i motivi più disparati
(lavoro, ricongiungimenti, asilo, ecc.), per andare a vivere in Stati che non li
7
vogliono far entrare, che hanno alti tassi di disoccupazione, con economie che
crescono a tassi inferiori al 2% l’anno; la loro condizione giuridica è incerta,
sono costretti (nella stragrande maggioranza dei casi) ad entrare illegalmente,
a cercare lavori nell’«economia sommersa», nascondendosi (a volte per anni)
in attesa di essere regolarizzati dalla prima sanatoria utile.
Queste differenze, nelle caratteristiche delle migrazioni internazionali tra
le due epoche, hanno reso obsolete le chiavi di lettura utilizzate in passato per
spiegare il fenomeno migratorio. Però, se gli studiosi stanno tentando di
interpretare le migrazioni contemporanee attraverso nuove teorie (pur non
riuscendo a chiarirne tutti gli aspetti), bisogna constatare che i legislatori
continuano a proporre soluzioni vecchie a problemi nuovi. Infatti, come
tenterò di spiegare nel corso della trattazione, le normative dei Paesi ospitanti,
«in primis» quella italiana (ma nemmeno negli altri Paesi europei si ravvisano
grosse novità), sono pensate per un’immigrazione temporanea, omogenea
nella sua composizione, in gran parte legata al contratto di lavoro e realmente
controllabile in tutti i suoi aspetti: una serie di caratteristiche proprie dei flussi
migratori del passato, non di quelli odierni.
Per tentare di spiegare come e perché gli immigrati si inseriscano nel
nostro Paese, in particolare nel nostro mercato del lavoro, è stato necessario
guardare al fenomeno da molteplici punti di vista. Perciò la trattazione è stata
suddivisa in quattro parti, ognuna delle quali è stata ripartita in capitoli e
relativi sottocapitoli.
Nella prima parte, in primo luogo vengono presentate le definizioni dei
termini che verranno utilizzati nel corso della trattazione, al fine di inquadrare
le diverse tipologie di migranti che circolano oggi nel mondo. Poi si passa a
trattare l’evoluzione storica del fenomeno migratorio, focalizzando
l’attenzione sulle dinamiche evolutive innescate dalla «crisi energetica» degli
anni ’70. Infine, vengono proposti i dati statistici maggiormente significativi
sui flussi migratori che si dirigono verso l’Europa e sugli effetti demografici di
8
lungo periodo, che avranno le migrazioni sulla popolazione del nostro
continente.
Nella seconda parte, si procede con l’analisi delle normative
internazionali, comunitarie e nazionali, che regolamentano l’immigrazione. Si
comincia con l’esaminare la produzione normativa delle organizzazioni
internazionali, a partire dall’ILO, dall’ONU e dal Consiglio d’Europa, fino ad
arrivare all’Unione Europea e ad i suoi tentativi di coordinare le politiche
sull’immigrazione dei Paesi che la compongono. Poi, viene proposta una
comparazione tra le legislazioni di quattro Paesi europei, tra loro diversi per
storia ed approccio al fenomeno: si parte dai Paesi di lunga tradizione
migratoria, fino ad arrivare alla Spagna che, come l’Italia, è passata di recente
dalla condizione di Paese di partenza di consistenti flussi migratori, a quella di
meta d’arrivo di milioni di migranti. Infine, si vanno ad esaminare le varie
leggi sull’immigrazione prodotte in Italia, considerandone le differenze, ma
soprattutto le somiglianze, frutto di comuni impostazioni di fondo, che danno
un’idea del perchè, nonostante la normativa sia stata modificata a cadenza
pressoché quinquennale, i problemi irrisolti siano rimasti sempre gli stessi.
Nella terza parte, invece, si analizza l’incontro tra la domanda e l’offerta
di lavoratori immigrati. Si comincia con l’esaminare le determinanti del
fabbisogno di lavoratori dall’estero dell’economia italiana, illustrando
preventivamente i cambiamenti strutturali che hanno inciso negli ultimi anni
sull’economia del nostro Paese, per poi focalizzare l’attenzione sulle carenze
di manodopera nelle imprese e nei servizi alle famiglie; concludendo con le
iniziative messe in atto dalle istituzioni del «Terzo Settore» e dagli enti locali
per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoratori immigrati. Nel
capitolo seguente, il punto di vista dell’analisi si sposta sul lato dei migranti:
in primo luogo, vengono analizzate le varie teorie che tentano di spiegare i
«fattori di spinta» dei flussi migratori; poi si passa a valutare il ruolo delle reti
sociali, imbastite dagli immigrati, nel favorire (o meno) l’inserimento nel
Paese ospitante di coloro che ne fanno parte; dopodichè viene illustrato il
9
fenomeno, in espansione in tutti i Paesi di destinazione dei flussi,
dell’imprenditoria degli immigrati, analizzando sia i fattori che ne consentono
lo sviluppo, sia le ricadute positive e negative (spesso trascurate)
sull’economia italiana. Infine, vengono valutati gli effetti, sul Paese di
destinazione e su quello d’origine, dei flussi migratori, focalizzando
l’attenzione, nella parte finale del settimo capitolo, sul rapporto tra «economia
sommersa» ed immigrazione irregolare.
Infine, nella quarta parte si passa all’analisi dei dati, mediante i quali
possiamo stimare l’impatto degli immigrati nel mercato del lavoro italiano.
Dopo aver esaminato l’inserimento degli immigrati nell’economia italiana, si
passa all’analisi delle peculiarità dell’Umbria e della provincia di Terni.
Infine, vengono analizzate le iniziative regionali per favorire l’inserimento
degli immigrati nel mercato del lavoro umbro, in particolare, quelle erogate
dal Centro per l’Impiego della Provincia di Terni, focalizzando l’attenzione
sul «Progetto Taking Care», che ho avuto modo di valutare personalmente,
durante lo «stage» svolto presso l’Amministrazione Provinciale di Terni.
10
PARTE PRIMA
LE MIGRAZIONI
11
CAPITOLO I
IL FENOMENO MIGRATORIO
1.1 Migranti e immigrati
Definire con precisione chi siano gli immigrati non è facile, vista
l’eterogeneità e la fluidità delle migrazioni internazionali: la definizione di
immigrato varia a seconda dei contesti politici, dei momenti storici, dei sistemi
giuridici, ecc. Si può utilizzare, come punto di partenza, la definizione di
migrante utilizzata dall’ONU: una persona che si è spostata in un paese
diverso da quello di residenza abituale e che vive nel paese ospitante da più di
un anno. Ci sono i tre elementi fondamentali delle migrazioni internazionali
(un paese di partenza, uno d’arrivo ed un periodo minimo di residenza), ma
ciò non basta per definire il fenomeno nella sua complessità: infatti restano
fuori, da questa definizione, sia gli immigrati stagionali sia le cosiddette
«seconde generazioni» (il cui status varia, al variare dell’ordinamento
giuridico del paese ospitante).
Per ampliare la definizione, bisogna innanzitutto cogliere la natura
processuale delle migrazioni, dato che esse sono dotate di una propria
dinamica evolutiva, che le plasma in maniera peculiare, a seconda del contesto
in cui si esplicano. Inoltre, bisogna evidenziare come esse siano dei sistemi di
relazioni, in cui interagiscono una pluralità di attori, principalmente tre
1
:
1) La società di origine: con la sua capacità di offrire benessere
economico, libertà e diritti ai propri cittadini e con politiche più o
meno favorevoli all’espatrio.
1
Ambrosini, Sociologia delle Migrazioni, Il Mulino, Bologna, 2005, pag. 18.
12
2) I migranti attuali e potenziali: con le loro aspirazioni, i loro
progetti ed i loro legami sociali.
3) Le società riceventi: sotto il duplice profilo del fabbisogno di
lavoratori dall’estero e delle modalità di accoglienza dei nuovi
arrivati.
Partendo da questo schema, possiamo distinguere tra i termini migrante
ed immigrato: il primo si riferisce ai soggetti che si spostano, per motivi di
insediamento, dal Paese d’origine verso uno di destinazione; il secondo, si
riferisce agli stessi soggetti, ma solo nel momento in cui entrano nel Paese di
destinazione e vi rimangono per un periodo più o meno lungo.
Possiamo distinguere 10 diverse tipologie di immigrati
2
:
1) Immigrati per lavoro: coloro che entrano nel Paese destinazione
per cercare un lavoro. Anche se non sempre sono privi di
qualifiche o esperienze professionali pregresse, di solito sono
impiegati nelle occupazioni meno ambite e tutelate dei Paesi
ospitanti. Non sono più una categoria composta esclusivamente da
uomini, ma sta emergendo, negli ultimi anni, anche la componente
delle donne sole in cerca di lavoro («primomigranti»). I problemi
maggiori di questa categoria sono: le scarse possibilità di ingresso
regolare, le difficoltà nel farsi riconoscere i titoli già acquisiti e le
scarse opportunità di miglioramento sociale.
2) Stagionali: si differenziano, dalla categoria precedente, per la
temporaneità della loro permanenza sul territorio dello Stato
ospitante. Necessitano di una specifica regolamentazione, sia per
poter svolgere la loro attività legalmente, sia per poter rientrare, a
distanza di tempo, nel paese ospitante.
3) Immigrati qualificati: sono solitamente ingegneri, tecnici
altamente qualificati e medici, che si solito vengono reclutati
2
Castles, Migration and Community formation under conditions of globalization, International
Migration review, Winter 2002, New York 2002, pag.1150.
13
attraverso specifici programmi. Pur essendo una categoria semi
sconosciuta in Italia, questi immigrati rappresentano una quota
crescente dei flussi in entrata verso gli USA, l’Australia, il Canada
e, in anni recenti, verso i Paesi del Nord Europa.
4) Immigrati Imprenditori: un fenomeno che si sta sviluppando in
tutti i Paesi ospitanti, dove gli immigrati di lungo periodo, date le
scarse possibilità di miglioramento sociale nel lavoro subordinato,
accumulano le competenze ed i capitali, necessari a mettersi in
proprio.
5) Familiari ricongiunti: dopo la chiusura delle frontiere nei
confronti degli immigrati per lavoro (in seguito alla crisi del
1973), i ricongiungimenti familiari sono diventati il motivo più
frequente per l’ingresso legale nei Paesi di destinazione. Con
l’arrivo dei familiari, al seguito dei lavoratori, è aumentata sia la
quota di immigrati che non partecipano al mercato del lavoro, sia
la domanda di abitazioni e servizi sociali; inoltre, il profilo
anagrafico della popolazione immigrata è divenuto sempre più
simile a quello della popolazione autoctona.
6) Rifugiati e richiedenti asilo: componente importante delle
migrazioni degli ultimi decenni, i cui flussi sono caratterizzati da
fasi alterne e stimolati da guerre e carestie. Le due categorie sono
distinte dalla Convenzione di Ginevra del 1951: i rifugiati sono
coloro che vivono fuori dal proprio paese e non possono tornare
indietro per fondati motivi di razza, religione, nazionalità,
appartenenza ad un gruppo sociale od opinione politica; i
richiedenti asilo, invece, sono coloro che si spostano dal proprio
Paese in cerca di protezione, ma che non possono dimostrare di
essere vittime di una persecuzione esplicita.
14
7) Irregolari: coloro che sono entrati legalmente in un Paese, ma che
sono rimasti oltre la scadenza del titolo che aveva consentito loro
l’ingresso.
8) Clandestini: coloro che sono entrati in maniera illegale in un altro
Paese.
9) Seconde generazioni: sono i figli degli immigrati, nati nel paese
ospitante. Sono “migranti senza migrazione”
3
, cresciuti al di fuori
del Paese d’origine e verso i quali l’atteggiamento delle
legislazioni dei Paesi ospitanti, è influenzato dal principio in base
al quale viene concessa la cittadinanza: nei Paesi in cui viene
concessa in base al principio dello «ius sanguinis», sono ritenuti
stranieri e possono richiedere di diventare cittadini una volta
divenuti maggiorenni (come in Italia); nei Paesi in cui vige il
principio dello «ius soli», invece, sono considerati cittadini sin
dalla nascita. La crescita delle seconde generazioni può portare,
nel giro di qualche decennio, alla creazione di minoranze etniche
nei paesi ospitanti.
10) Migranti di ritorno: coloro che rientrano nel Paese d’origine dopo
aver vissuto, per un certo periodo, come immigrati in un Paese
straniero. E’ una tipologia di immigrati incentivata sia dai Paesi di
destinazione che da quelli d’origine, ma è una condizione
problematica per il migrante, che deve sopportare tutti i problemi
di reinserimento sociale nell’ex società d’origine.
3
Ambrosini, op. cit. , pag. 23.
15
1.2 L’evoluzione storica
Le migrazioni sono un fenomeno che risale agli albori della storia
dell’umanità, quando i nostri antenati erano nomadi, che si spostavano
continuamente alla ricerca di uno spazio vitale in cui poter sopravvivere. Nella
Bibbia, si parla degli spostamenti delle tribù d’Israele alla ricerca della «terra
promessa». Nelle «città-stato» dell’antica Grecia, un ruolo fondamentale era
svolto dai «meteci»: mercanti e lavoratori stranieri privi di diritti politici. Poi,
è venuto l’Impero Romano, con le colonizzazioni dei territori conquistati ed
alla cui dissoluzione hanno contribuito le invasioni barbariche, interpretabili
anche come migrazioni, all’interno dei confini dell’Impero, di intere
popolazioni semi-nomadi. Nel Medioevo, ci si spostava molto meno che in
precedenza, ma non possiamo dimenticare né i mercanti italiani, che
stanziavano nelle piazze commerciali di tutta Europa, né la migrazione forzata
degli ebrei dalla Spagna, né la fuga dei Greci dall’avanzata degli Ottomani nei
Balcani. Con la scoperta dell’America, inizia la colonizzazione del «Nuovo
Mondo», accompagnata dalla migrazione forzata di 15 milioni di schiavi
dall’Africa e di milioni di Europei verso il Nord del continente.
Per quanto riguarda le migrazioni dell’età contemporanea, possono essere
suddivise in 6 periodi storici
4
:
1) Sviluppo industriale: periodo che va dal 1830 (per i paesi
nordeuropei e dal 1880 per l’Italia) ed arriva sino allo scoppio
della Prima Guerra Mondiale. E’ una fase caratterizzata dallo
spostamento di grandi masse di individui dall’Europa verso gli
Stati Uniti, dove serviva manodopera per la costruzione di grandi
opere pubbliche, per lo sviluppo delle grandi industrie e la
coltivazione di grandi appezzamenti di terreno agricolo. I migranti
provenivano, in gran parte, dalle aree rurali del «Vecchio
Continente», erano poveri ed analfabeti. Gli ingressi negli USA
4
Ivi, pag. 24.
16
erano scarsamente regolati, fatta eccezione per le norme sanitarie,
volte ad evitare l’importazione di epidemie. Dall’Italia escono, in
questo periodo, “13 milioni e mezzo di emigranti, sia verso
l’America, sia verso i paesi del Nord Europa”
5
.
2) Primo dopoguerra: con lo stravolgimento dei confini nazionali,
causato dalla guerra, si verificano grandi spostamenti di profughi e
rifugiati all’interno del continente europeo e verso il Nord
America. Viene creato l’«Ufficio Internazionale del Lavoro»
presso la Società delle Nazioni e si afferma l’dea della
regolamentazione delle migrazioni attraverso trattati
internazionali. Con la crisi del 1929, gli Stati Uniti chiudono le
frontiere ai nuovi ingressi, causando la drastica diminuzione dei
movimenti migratori internazionali. In Italia, si “scende da 300
mila emigranti l’anno negli anni ’20, a meno di 100 mila negli
anni ’30”
6
.
3) Secondo dopoguerra: dal 1945 ai primi anni ’50, è il periodo della
ricostruzione post-bellica, quando partono consistenti flussi
migratori dall’Italia, verso Francia, Svizzera e Belgio; mentre in
Germania Ovest affluiscono milioni di profughi da est.
“Dall’Italia, verso l’estero, partono 1 milione di emigranti tra il
1946 ed il 1951”
7
.
4) Il decollo economico: dagli anni ’50 al 1973, quando l’occidente
vive un’epoca di sviluppo economico senza precedenti. In Europa,
nasce la CEE e dal sud del continente (Italia, Spagna, Portogallo e
Grecia) emigrano consistenti gruppi di lavoratori verso le industrie
del Nord Europa. Vengono stipulati accordi intergovernativi per la
fornitura di manodopera, grazie ai quali i migranti per lavoro
5
Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni interne, Il Mulino, Bologna, 2002, pag.
48.
6
Ibidem.
7
Ivi, pag. 49.
17
possono entrare regolarmente nei Paesi ospitanti. In Italia, è il
periodo delle grandi migrazioni interne da sud verso nord,
comunque “2 milioni e 200 mila persone emigrano all’estero tra il
1951 ed il 1971”
8
.
5) La chiusura delle frontiere: siamo nel 1974, quando il primo
shock petrolifero manda in stagflazione le economie occidentali e,
conseguentemente, i Paesi del Nord Europa chiudono le frontiere
agli ingressi ufficiali per motivi di lavoro. La chiusura, però, non
fa diminuire il flusso di immigrati, ma soltanto cambiare i canali
d’ingresso: si passa dagli ingressi per lavoro a quelli per
ricongiungimento familiare, per richiesta d’asilo o,
semplicemente, all’immigrazione irregolare. A partire dagli anni
’80, inoltre, i Paesi del Sud Europa diventano poli d’attrazione per
gli immigrati provenienti dai Paesi in via di sviluppo (PVS).
6) La globalizzazione: dopo la fine della Guerra Fredda, in tutti i
Paesi europei, agli immigrati provenienti dal Nord Africa e dalle
ex-colonie, si sommano gli arrivi dall’Europa dell’Est che, dalla
fine degli anni ’90, diventano preponderanti rispetto agli altri. In
tutti i Paesi dell’Unione Europea, inoltre, si avvia una revisione
della rigida politica di chiusura delle frontiere e viene avviata una
cooperazione intergovernativa per il controllo dei confini comuni,
come logica conseguenza degli «Accordi di Shengen». In
quest’ultima fase, si possono riscontrare 4 tendenze, destinate a
svolgere, in futuro, un ruolo fondamentale
9
:
a) Globalizzazione delle migrazioni: cresce il numero dei
Paesi di partenza dei migranti e quello dei Paesi di
destinazione delle migrazioni; di conseguenza, aumenta
anche l’eterogeneità culturale, etnica, linguistica e religiosa
8
Ivi, pag. 50.
9
Castles e Miller, The Age of Migrations: International population movement in the modern World,
«International Migration review», Summer 1993, New York, 2002, pag. 115.
18
degli immigrati, con cui devono confrontarsi le società
ospitanti.
b) Accelerazione delle migrazioni: crescono a ritmi rapidi le
dimensioni quantitative dei flussi migratori, comportando
sia enormi difficoltà per i Paesi ospitanti, che tentano di
governare il fenomeno, sia la percezione di un’invasione da
parte delle popolazioni autoctone.
c) Differenziazione delle migrazioni: mentre in passato i
migranti erano in gran parte lavoratori, a causa della
chiusura ufficiale delle frontiere per motivi di lavoro,
hanno fatto il loro ingresso nuove tipologie di immigrati
(ad esempio: donne e minori per ricongiungimento
familiare, rifugiati, richiedenti asilo, ecc.); questo ha
provocato, nei Paesi ospitanti, una crescente difficoltà nella
regolazione del fenomeno.
d) Femminilizzazione delle migrazioni: è cambiata anche la
struttura di genere degli immigrati, che dalla predominanza
maschile si va riequilibrando verso una situazione di parità
tra uomini e donne (non solo grazie ai ricongiungimenti,
ma anche all’aumento di donne che migrano
autonomamente in cerca di lavoro). Questo cambiamento
ha causato un aumento della domanda di servizi erogati dal
«welfare», con conseguente crescita della spesa sociale per
i paesi ospitanti ed il sorgere del timore, nelle fasce più
basse della popolazione autoctona, di una competizione con
gli immigrati nell’accesso ai benefici erogati dallo Stato
sociale.
19
Perché i Paesi dell’Europa meridionale (Italia, Spagna, Portogallo e
Grecia) sono passati, nel giro di pochi anni, per di più in un momento di crisi
economica mondiale, dall’essere punti di partenza dei flussi migratori, a
diventare luoghi d’arrivo? Questa inversione di tendenza si è sviluppata negli
anni ’80, ma “in realtà la riduzione dei flussi in uscita da questi Paesi è
precedente al 1974”
10
, quando il blocco delle frontiere dei Paesi nordeuropei
aveva definitivamente chiuso il rubinetto dei flussi migratori ufficiali.
TAB. 1.1
Tra la fine degli anni ’70 ed i primi anni ’80, per tutti i Paesi del Sud
Europa, il saldo tra flussi in entrata e flussi in uscita è diventato positivo. In
particolare, in Italia si è passati da flussi in uscita misurati in decine di
migliaia, negli anni ’70, a flussi in entrata di centinaia di migliaia di unità, nel
volgere di dieci anni; “un’eccezione è costituita dal caso spagnolo, dove tra il
10
Venturini, Le migrazioni dei paesi sud europei: un’analisi economica, Università di Bergamo,
Monografia del Dipartimento di Scienze Economiche, Bergamo, 1996, pag. 2.