?
12
commissari governativi, estendendo ad essi alcune norme
incriminatrici dettate per gli amministratori delle società; il capo
quinto contiene disposizioni comuni a una serie di delitti rientranti
nei capi elencati precedentemente : la circostanza aggravante del
danno di particolare gravità (art. 2640), nonchè una norma di
carattere processuale (comunicazione della sentenza di condanna
agli organi professionali da cui dipendono i responsabili dei reati
societari, art. 2642).
All’attuale disciplina del codice civile nella materia penale in
tema di società si è pervenuti per gradi, sotto la pressione di
concrete esigenze via via manifestatasi nel corso degli anni.
Nella seconda metà del XIX secolo, l’impresa collettiva si
andava affermando sempre di più nella prospettiva economico-
produttiva. Nuovi e ambiziosi obiettivi industriali non potevano
più essere raggiunti dalle forze fisiche ed economiche di un
imprenditore individuale, ma esigevano il concorso di più persone.
Si assumeva la necessità di una disciplina specifica che
regolamentasse la nuova impresa che si affacciava all’orrizzonte di
un mondo sempre più industrializzato.
Gli interessi non rientravano più nello schema che vedeva
contrapporsi l’imprenditore con i suoi clienti o con i suoi fornitori
ma si riflettevano anche all’interno dell’impresa stessa, assumendo
la figura della società.
Costante era l’esigenza di una tutela delle posizioni di coloro
che investivano i loro capitali nell’impresa collettiva,
nell’aspettativa di realizzare dei guadagni. Si richiedeva sempre di
più una normativa in grado di imporre la maggior chiarezza
possibile in sede di costituzione e di gestione dell’impresa
collettiva. Si applicarono le prime normative, le prime
codificazioni, fino a raggiungere una completa tutela degli interessi
connessi all’impresa collettiva con le prime norme di diritto penale
?
13
commerciale, dapprima all’estero, poi anche in Italia.
Le prime legislazioni straniere a proporre le disposizioni penali
in materia societaria furono la legge francese del 24 luglio 1867, la
legge belga del 18 maggio 1873, che riprendeva in forma più
organica e completa una prima normativa del 1866, le leggi inglesi
del 1862 e del 1867(riprese più organicamente nel 1890);
importante anche se successiva al nostro codice di commercio è la
legge tedesca del 18 luglio 1884 (Handelgesetzbuch).
Nel sistema penale introdotto in Francia è presente fin dall’inizio
il delitto di “abuso del mandato sociale” che costituisce
un’evidente duplicazione (rafforzativa) della fattispecie comune in
tema di “abuso di fiducia”, già presente nel codice penale all’art.
408 : si puniscono gli amministratori responsabili di aver fatto uso
in mala fede (de mauvaise foi) dei beni, dei crediti o dei poteri
sociali per un interesse contrario a quello sociale, per uno scopo
personale, ovvero, per favorire un’altra società alla quale risultino
interessati direttamente o indirettamente. Non si tratta di colpire
manovre fraudolente destinate ad ingannare i terzi, bensì si tratta
di una ipotesi di “infedeltà nei confronti della società
nell’espletamento della carica di amministratore”. Nella
legislazione francese troviamo anche una dura repressione degli
illeciti commessi in occasione della fase di costituzione della
società : si tratta dei delitti di simulazione di sottoscrizioni o di
versamenti, ovvero, di pubblicazione di dati falsi. Altri delitti
importanti sono quelli connessi all’emissione irregolare di azioni;
gli illeciti in materia di pubblicità di documenti ufficiali della
società, nonchè delitti in materia di bilancio e di illegale
ripartizione di utili.
Nel sistema penale tedesco lo scopo principale era quello di
salvaguardare l’integrità del patrimonio sociale, considerato quale
bene comune dei soci e come garanzia per la soddisfazione delle
?
14
pretese dei creditori. Le fattispecie incriminatrici, sanzionando le
inosservanze delle regole in materia di costituzione e di
funzionamento delle società commerciali, avevano come scopo
fondamentale quello di assicurare la consistenza iniziale del
patrimonio sociale, nonchè quello di salvaguardarne l’ammontare
rispetto a possibili comportamenti fraudolenti dei soggetti preposti
all’amministrazione della società medesima.
Sotto il profilo dell’oggetto della tutela penale è agevole
riscontrare una maggiore attenzione verso gli interessi dei soci che
non verso gli interessi dei creditori o dei terzi comunque interessati
alla concretezza della gestione sociale. Importante
nell’ordinamento tedesco era il delitto di “danneggiamento della
società” di cui al par. 249 del codice di commercio del 1884. La
disposizione incriminava gli organi (amministratori, sindaci e
liquidatori) della società commerciale nell’ipotesi in cui “agivano
dolosamente a danno della società”, mirava ad offrire una tutela
penale rafforzata rispetto al delitto di infedeltà patrimoniale che era
già previsto nel codice penale (par. 266), ma che era giudicato
idoneo a reprimere soltanto le infedeltà a carattere strettamente
patrimoniale e non qualsiasi atto pregiudizievole per la società.
Poichè l’elemento soggettivo della norma si prestava a creare non
poche complicazioni, la giurisprudenza trovava modo di superare
qualsiasi ostacolo osservando come per la sussistenza del reato
fosse sufficiente la consapevolezza nel soggetto agente del
carattere “oggettivamente dannoso” del suo comportamento, senza
la necessità di accertare la specifica volontà di arrecare danno alla
società. Importanti erano anche altre gravi figure criminose: il
reato di falsificazione della volontà della maggioranza o le diverse
ipotesi di azioni fraudolente dirette ad influenzare gli affari della
società, enunciazione di dati falsi nell’iscrizione della società nel
registro delle imprese, falsa rappresentazione dello stato dei
?
15
rapporti sociali.
1
In Italia con il codice di commercio del 1882 si hanno le prime
disposizioni penali in riferimento alle società commerciali. Il
legislatore, benchè mosso da esigenze concrete di tutela, operò con
una estrema cautela volendo riservare l’intervento delle norme
penali ai casi di maggiore gravità, dove i rimedi civilistici
risultavano insufficienti.
L’estrema prudenza nell’introdurre lo strumento penale in un
settore nuovo in rapida evoluzione è indicativa di una precisa
scelta del legislatore dell’epoca.
2
Il legislatore del 1882 pose la sua attenzione sia al momento di
costituzione della società sia alle attività di gestione della società
stessa.
1
Mazzacuva, “Profili storici e sistematici dei reati societari”, ne Il trattato
del diritto penale dell’impresa a cura di A. Di Amato, vol II, pag. 3 e ss.
2
Si veda ad esempio la relazione Finali (pag. 228) :”... in ogni caso in cui la
responsabilità civile assicuri in modo non dubbio l’esatta esecuzione della
legge, e in cui la guarentigia ond’è circondata la formazione delle società e la
loro vita siano tali da evitare ogni abuso si è omesso di accordare mezzi penali
di repressione”. Anche il Ministro Guardasigilli nella sua esposizione al
Senato del progetto del codice di commercio ribadiva che “non avverrà mai
che si espongano amministratori a provvedimenti penali che venissero con
leggerezza o per malevolenza contro di essi promossi. La cosa avrebbe
qualche fondamento se si trattasse di punire l’enunciazione di semplici
opinioni o errori nei giudizi : e veramente per questi fatti sarebbe soverchio
rigore ed anzi ingiusto applicare una sanzione penale. Ma noi non intendiamo
punto di molestare coloro che abbiano manifestato semplicemente
un’opinione non fondata, che siano caduti in errore nelle loro esposizioni e
nelle comunicazioni fatte alle società.”
?
16
A giustificazione dell’impiego della sanzione penale nel settore
si assume la maggiore pericolosità di alcune azioni commesse
dagli organi della società commerciale, il richiamo all’opportunità
di adeguarsi alle innovazioni normative già previste negli altri
ordinamenti europei.
Palesi risultano i vuoti normativi: a differenza delle altre
legislazioni, il nostro codice di commercio non prevede importanti
reati quali, ad esempio, le fraudolenti manovre per influire sul
corso delle azioni e quelle fraudolenze adoperate in ordine al
diritto di voto e al suo esercizio, l’indebito uso delle altrui azioni
per votare, il rilascio di false attestazioni e l’uso di queste allo
scopo di esercitare il diritto di voto.
Successivamente alla prima codificazione del diritto penale
commerciale fu emanata la legge 4 giugno 1931 n. 660 con la
quale fu convertito il R.D.L. 30 ottobre 1930 n. 1459, recanti
disposizioni penali in materia di società commerciali. I motivi per i
quali il legislatore del tempo ritenne necessario ed urgente
procedere ad una riforma del diritto penale societario, senza
attendere la riforma globale della disciplina civilistica delle società,
già consentita per la legge 30 dicembre 1923, n. 2814 sono
desumibili nella Relazione ministeriale: si va dall’esigenza di
adeguare il nostro ordinamento alle altre esperienze normative più
specifiche al riscontro dell’inefficacia delle disposizioni fino ad
allora in vigore: “un’esperienza di quasi un cinquantennio ha
dimostrato l’assoluta insufficienza delle sanzioni penali ora in
vigore per le azioni delittuose di coloro che hanno nelle proprie
mani il delicatissimo meccanismo delle società commerciali. Fatti
gravissimi generatori di danni ingenti per numerose cerchie di
cittadini capaci di turbare profondamente la compagine economica
della nazione, sono puniti con semplici pene pecuniarie, di
?
17
tenuissima entità”.
3
Compare, inoltre, l’esigenza di dirigere
l’ordinamento penale delle società commerciali non tanto sulla
protezione di interessi individuali dei soci, dei creditori o della
stessa società (quale ente individuale), quanto sulla tutela di
fondamentali interessi pubblici.
La stessa Relazione ministeriale afferma che la straordinaria
mitezza della regolamentazione precedente non trova altra
spiegazione che nella concezione nettamente individualistica.
Secondo il legislatore dell’epoca le società per azioni assorbono il
risparmio nazionale e coloro che dirigono le società amministrano
non tanto i capitali appartenenti a un numero più o meno limitato
di individui singoli, quanto il capitale della nazione. Le
malversazioni e dispersioni del capitale della società sono
dispersioni della ricchezza nazionale; si assume una rigida
repressione dei delitti in questione nell’interesse non tanto dei
singoli quanto di quello della difesa della stessa economia
nazionale.
Ad un ampliamento degli interessi tutelati segue un generale
inasprimento delle pene sia detentive che pecuniarie e una nuova e
più moderna struttura degli illeciti penali.
La riforma del diritto penale societario del 1930/31 che fu
dettata da motivi di particolare necessità ed urgenza, aveva
anticipato la riforma del diritto societario conclusasi con
l’emanazione del codice civile del 1942, punto conclusivo della
globale riforma codicistica voluta dal regime dell’epoca. La
precedente riforma, proprio perchè anticipatrice di quella più vasta
riguardante il diritto societario in genere, non poteva avere i
caratteri di completezza che solo una normativa di riforma
3
La relazione del Guardasigilli al Re che accompagna il testo del R.D.L.
1459/1930
?
18
civilistica poteva presentare. L’attuale diritto penale societario,
così come risulta dal vigente codice civile, presenta rispetto alla
riforma del 1930/31, una più ampia estensione dei settori tutelati.
E’ da constatare che se il legislatore del 1942 ha ampliato le ipotesi
di reato nella materia societaria, non ha però posto validi strumenti
per l’accertamento di detti reati.
Il quadro attuale del diritto penale societario è significativamente
mutato rispetto ai testi originari del codice civile. Una riduzione
dell’ambito di rilevanza penale è conseguita alle leggi di
depenalizzazione (legge 24 dicembre 1975, n. 706 poi superata
dalla legge 24 novembre 1981, n. 689) che hanno degradato a
illeciti amministrativi una serie di contravvenzioni punite con la
sola ammenda (artt. 2626, 2627, 2633, 2634, 2635); il d.p.r 31
marzo 1975 n. 136, introducendo nell’ordinamento le società di
revisione, ha altresì previsto una serie di norme penali applicabili
agli amministratori e dipendenti delle società mededesime (il d.p.r
è stato abrogato dal d.lgs 24 febbraio 1998 n. 58). Per converso
taluni fronti di intervento penale in campo societario si sono estesi
dando vita a nuove figure di reato. Ciò soprattutto in sede di
recepimento di importanti direttive comunitarie, la cui carica
innovativa ha portato a una crescente “europeizzazione” del diritto
penale societario. Le tappe più rilevanti sono rappresentate dal
d.p.r. 10 febbraio 1986 n. 30 in tema di tutela del capitale sociale;
dal d.lgs 16 gennaio 1991, n. 22 in tema di fusioni e scissioni; dal
d.lgs 2 maggio 1994, n. 315 in tema di azioni proprie. Per non dire
dei riflessi penali della novellata disciplina dei conti annuali e
consolidati (d.lgs. n. 127/1991).
?
19
1.2 Deficienze della disciplina legislativa
Il sistema penale in materia di società è caratterizzato da norme
incomplete, per la cui interpretazione si rende necessario ricorrere
all’esame di una serie di precetti sparsi nel libro V del codice civile
o in leggi speciali. Importante è notare che i compilatori delle
disposizioni di cui si tratta, versati nella tecnica del diritto privato,
non hanno effettuato la configurazione dei reati in termini
penalistici : hanno adottato il sistema spicciolo e frettoloso di
rafforzare con una sanzione penale alcune regole di stampo
privatistico. Si tratta di un sistema casistico che comporta molti
inconvenienti accresciuti dal fatto che sovente in un solo articolo
sono previste diverse figure criminose, alle quali corrispondono
situazioni diverse, che non hanno nulla in comune.
Le numerose figure di reato, integrate con quelle del codice
penale, non attuano una tutela contro le più gravi violazioni che si
riscontrano nell’ambito delle società commerciali. Basti notare che
è del tutto insufficiente l’incriminazione di quell’abuso di fiducia o
infedeltà patrimoniale degli amministratori che risulta meglio
disciplinato nella maggior parte delle legislazioni moderne. Solo di
recente si è provveduto a colpire l’abuso di posizioni
monopolistiche e l’insider trading (utilizzo indebito a fini di
profitto dell’informazione societaria privilegiata) mancano, inoltre,
interventi efficaci contro la pubblicità deviante e sleale. Per contro
appaiono colpiti con gravi sanzioni restrittive di libertà personale
comportamenti per i quali potrebbero ritenersi adeguate semplici
pene pecuniarie. Non bisogna trascurare quanto sia oggi scarsa la
possibilità pratica di accertare molti tra gli illeciti penali previsti
dal codice civile e dalle leggi speciali.
?
20
1.3 L’ambito di applicazione delle norme
Le norme del capo I del titolo XI del codice civile si applicano a
tutte le società soggette a registrazione : le società che, avendo per
oggetto l’esercizio di un’ attività commerciale, a norma dell’art.
2249 devono costituirsi secondo uno dei tipi di società
commerciali previsti dal codice civile e conseguentemente sono
obbligate alla registrazione. L’obbligo di iscrizione nel registro
delle imprese è inoltre esteso dall’art. 2200 a tutte le società
costituite secondo un tipo di società commerciale e alle società
cooperative, anche se non esercitano un’attività commerciale. La
situazione non risulta mutata con la legge istitutiva del registro
delle imprese (d.p.r. 7 dicembre 1995 n. 581), la quale (art. 9.4)
assoggetta a registrazione anche la società semplice, se pure in una
sezione speciale del registro, con mera “funzione di certificazione
anagrafica e di pubblicità notizia” (art. 9.5). La società semplice
resta estranea all’ambito di applicazione della normativa penale in
esame (a meno che non svolga di fatto attività commerciale). La
soggezione al diritto penale societario è legata all’obbligo di
registrazione, ancorchè concretamente inadempiuto : i reati
societari del capo I possono commettersi anche nelle società
irregolari o di fatto (in quanto esercenti attività commerciale). Le
norme del capo II hanno come ambito di applicazione le sole
società di capitali (società per azioni, in accomandita per azioni e a
responsabilità limitata) e le società cooperative, le quali vengono
ad esistenza solo con l’iscrizione dell’atto costitutivo nel registro
delle imprese.
Le norme penali in esame trovano applicazione nell’ambito delle
società soggette alla legge italiana : vale a dire, a norma dell’art. 25
della legge 31 maggio 1995 n. 218, delle società il cui
?
21
procedimento di costituzione è stato perfezionato in Italia, nonchè
delle società aventi in Italia la sede amministrativa o il loro oggetto
principale. Non è sufficiente l’esistenza nel territorio dello stato di
una sede secondaria con rappresentanza stabile, che a norma
dell’art. 2506 c.c. comporta la soggezione alle sole disposizioni
della legge italiana sulla pubblicità degli atti sociali. Il disposto
dell’art. 2507 c.c., secondo cui le società costituite all’estero di tipo
diverso da quelle regolate nel codice, sono soggette alle norme
della società per azioni per ciò che riguarda gli obblighi di
iscrizione nel registro delle imprese e la responsabilità degli
amministratori, vale per le responsabilità penali a condizione che la
società estera, avendo in Italia la sede amministrativa o l’oggetto
principale, rientri nell’ambito di applicazione della legge italiana.
Un’espressa estensione della normativa penale del codice civile
al di fuori del campo societario è disposta dall’art. 135 T.U. delle
leggi in materia bancaria e creditizia nei confronti di chi svolge le
funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso le banche
“anche se non costituite in forma societaria”. Un’estensione
soltanto parziale discende dall’art. 13 del decreto legge 23 luglio
1991 n. 240 : agli amministratori e ai liquidatori del gruppo
europeo di interesse economico (GEIE), nonchè al rappresentante
designato dalla persona giuridica nominata amministratore (art. 5),
si applicano le sole disposizioni penali di cui agli artt. 2621, n. 1,
2622, 2624 e 2625 e le disposizioni amministrative di cui agli artt.
2626 e 2627, del codice civile.
?
22
1.4 I soggetti attivi dei reati societari
I reati in materia di società appartengono alla categoria dei reati
propri. Questi possono essere realizzati soltanto da determinate
persone : i promotori, i soci fondatori, gli amministratori, i direttori
generali, i sindaci, i liquidatori, i rappresentanti degli
obbligazionisti, gli amministratori giudiziari e i commissari
governativi.
Il reato proprio presenta un carattere fondamentale : il precetto
viene formulato non nei confronti della generalità dei consociati,
ma di una sfera più limitata di destinatari avente particolare
qualifica soggettiva. Nel campo dei reati propri la qualità personale
dell’agente non rileva quale elemento modificativo della
responsabilità penale nel senso aggravante, ma come elemento
costitutivo della struttura del reato. Pertanto, se non ricorre la
richiesta qualità personale (o qualifica) rilevante nell’ambito di
strutture associative, l’incriminazione non è configurabile o la
responsabilità viene in considerazione con diverso nomen iuris.
Occorre tenere presente che anche gli altri soggetti possono
rispondere penalmente di tali reati, a titolo di concorso con il
soggetto qualificato. Alla stregua di tale principio va risolto il
problema dell’amministratore occulto, di colui, cioè, che
amministra dall’esterno la società servendosi di altri soggetti, che
sono formalmente investiti dei poteri di amministrazione.
Evidentemente l’amministratore occulto, potendo agire solo con
l’accordo degli amministratori palesi, sarà penalmente responsabile
unitamente a questi ultimi a titolo di concorso. Problema diverso è
quello degli amministratori di fatto : di quei soggetti che solo di
fatto e non formalmente rivestono le qualità richieste dalla legge
per i soggetti attivi dei reati societari (ad esempio colui che
?
23
effettivamente amministra la società pur non essendo formalmente
investito dei relativi poteri). Una parte della dottrina esclude la
rilevanza penalistica della qualifica di amministratore di fatto sul
rilievo che, avendo il diritto penale societario una funzione
meramente sanzionatoria dei precetti civilistici, a questi dovrebbe
farsi ricorso per l’identificazione della fattispecie, compresa
l’individuazione dei tratti salienti delle qualifiche soggettive :
essendo ignota al diritto civile la qualifica di amministratore di
fatto, nessun rilievo potrebbe avere la stessa anche sotto il profilo
penale.
4
La giurisprudenza e la dottrina maggioritaria attribuiscono
rilievo penalistico alla posizione dell’amministratore di fatto sulla
base della considerazione che il diritto penale nell’individuazione
dei soggetti attivi procede ad una autonoma valutazione.
5
E’ frequente nelle grandi e medie imprese societarie che il
soggetto titolare delle funzioni proprie di determinate qualifiche,
come quella di amministratore, ne deleghi l’esercizio ad altro
soggetto sia socio sia collaboratore esterno. La delega può limitarsi
nell’ambito interno, come per esempio quando il consiglio di
amministrazione deleghi alcune funzioni al comitato esecutivo,
oppure ad uno o più consiglieri. La delega esterna, invece, si ha
quando il consiglio di amministrazione o l’amministratore delegato
affida l’esecuzione di uno o più adempimenti determinati ad un
dipendente o a un collaboratore esterno. Ci si chiede se la delega di
funzioni, consentita all’interno del consiglio di amministrazione
4
Pedrazzi, “Gestione d’impresa e responsabilità penali” in Rivista delle
società, 1962 pag. 255 e ss.
5
Conti,”I soggetti”, in Trattato di diritto penale dell’impresa a cura di A. Di
Amato, vol I, pag 224 e ss., Antolisei “ Manuale di diritto penale, leggi
complementari”, I; La Monica, “Diritto penale commerciale”, vol II
?
24
entro limiti determinati (art. 2381 c.c.), oltre a costituire un motivo
di esonero dalla responsabilità civile verso la società (art. 2392
primo comma, ultima parte), escluda anche la responsabilità penale
dei deleganti. La dottrina è propensa nel valutare favorevolmente
prospettive del genere, sia sottolineando il fenomeno della pratica
inesistenza della gestione collettiva del potere nelle grandi società,
sia tenendo presente la concreta impossibilità per gli
amministratori, nell’ambito di tali enti, di far fronte personalmente
a tutti i compiti a loro assegnati. Requisiti di validità della delega,
necessari perchè essa dia origine a posizioni sostitutive di garanzia,
sono sia formali, in quanto l’atto deve rivestire la forma imposta
dall’ordinamento societario, sia sostanziali, in quanto l’effetto
traslativo delle funzioni e delle connesse responsabilità deve essere
coerente con le regole che presiedono il predetto ordinamento. La
persona del soggetto delegato deve essere idonea ad esercitare i
poteri sostitutivi.
In tema dei reati societari sono configurabili gli illeciti posti in
essere dai singoli componenti di organi collegiali della società, con
funzioni sia amministrative che di controllo. Secondo una corrente
dottrinaria
6
il reato collegiale è quello commesso non da persone
che si uniscono allo scopo di commettere uno o più reati, ma
quello realizzato da persone già costituite dalla legge in collegio,
come organo di una persona giuridica, pubblica o privata, per
compiere atti giuridici leciti, di natura amministrativa, giudiziaria o
di diritto privato. Il reato collegiale è stato poi autorevolmente
prospettato da una seconda corrente dottrinaria
7
, la quale ha fatto
riferimento alle disposizioni dell’art. 2392, comma tre, del codice
6
Rende “Saggio di una teoria del reato collegiale”
7
Grispigni,” Diritto penale italiano”, 1947, II pag. 230 e ss
?
25
civile. La configurazione del reato collegiale ha incontrato forte
opposizione nella dottrina
8
perchè si fonda su un equivoco. Non
esistono reati che si distinguono dagli altri per essere realizzati con
atti collegiali, e cioè reati nei quali la commissione mediante atto
collegiale figuri nella fattispecie legale come elemento costitutivo.
Se si esaminano i reati degli amministratori, liquidatori, ecc.
delineati dal codice civile, ci si rende conto che la realizzazione
mediante atti collegiali non è requisito essenziale e inderogabile
secondo le rispettive descrizioni normative. La commissione del
reato mediante atto collegiale non può essere ritenuta una
caratteristica distintiva di una particolare categoria di illeciti penali;
si tratta di una modalità del concorso di più persone nello stesso
reato.
9
8
Conti, “Diritto penale commerciale “, I, pag. 94 e ss., Id. “I soggetti”, in
Trattato di diritto penale dell’impresa a cura di Di Amato, I, pag. 255; La
Monica “Diritto penale commerciale”, I, pag. 117; Di Amato, “ Diritto penale
dell’impresa”, pag. 90 e ss.; Antolisei “Manuale di diritto penale, leggi
complementari”, I, pag. 76 e ss.
9
Antolisei, op. cit., pag. 76 e ss.