costruzione del portafoglio, oltre che nella selezione dell’indice di riferimento, per cui
variazioni del mix di attività individuate si avranno in presenza di eventi che vadano a
modificare il peso dei titoli sulla capitalizzazione complessiva del mercato (nuove
emissioni, cancellazioni di titoli, aumenti di capitale ed altro), o qualora il cliente richieda
la liquidazione parziale dell’investimento.
D’altra parte però la strategia in esame presenta caratteristiche sue proprie che gli
investitori devono comprendere a fondo in modo da poter ne usufruire correttamente; in
particolare per poter affidare consapevolmente i propri risparmi ad un index fund manager;
gli investitori devono conoscere:
• Le motivazioni, teoriche e non, che hanno condotto all’affermarsi della strategia;
• I metodi utilizzati per gestire questa tipologia di fondi;
• Le caratteristiche dei diversi prodotti indicizzati offerti dagli intermediari.
Prima tuttavia di descrivere i principali aspetti della gestione indicizzata (che saranno
analizzati nei paragrafi successivi), si vuole esaminare, con attenzione: il quadro
economico istituzionale in cui l’indicizzazione ha potuto prosperare, la crescita di questo
settore dell’industria della gestione del risparmio, riferendosi prima al mercato americano
dove il primo index fund fu creato nel 1973, e dove oltre 375 miliardi di dollari sono oggi
gestiti tramite questa strategia.
La grande espansione dell’economia statunitense nel dopoguerra, vide il
finanziamento dei grandi progetti di sviluppo da parte del mercato finanziario, mentre il
settore creditizio si specializzò principalmente nel campo dei prestiti a breve; la maggiore
innovazione dal punto di vista finanziario fu rappresentato dal rapido sviluppo dei fondi
pensione aziendali (Pension Funds) dovuto ad alcune ragioni:
• L’aumentato potere dei sindacati nelle contrattazioni collettive;
• Gli elevati profitti realizzati dalle imprese;
• Il favorevole trattamento fiscale che prevedeva la deducibilità dei contributi versati
dall’azienda (che non venivano considerati reddito imponibile per i lavoratori), e la
tassazione differita al periodo del pensionamento per i redditi conseguiti dal fondo.
Tra il 1950 e il 1970, i fondi pensione crebbero fino a raggiungere un valore
complessivo di 193 miliardi di dollari, la maggior parte dei quali erano investiti sul
mercato azionario in un’ottica di lungo periodo (data la natura delle passività, la gestione
di tali risorse era affidata prevalentemente alle compagnie di assicurazione e alle aziende di
credito, mentre circa un sesto veniva gestito internamente dalle tesorerie delle imprese.
Nel 1974 fu approvato dal Congesso l’ERISA
1
(Employment Retirement Income
Security Act); questa legge introdusse nuovi standards cui i fiduciari dei pension funds
dovevano uniformarsi, pena la perdita dei benefici fiscali. In particolare sui fiduciari
gravava l’onere di monitorare la performance del fondo e di controllare il grado di rischio;
inoltre, in materia di politica di investimento, in aggiunta ad un generale principio di
prudenza della gestione (“prudent man rule”), e ad evitare conflitti di interesse fra
amministratori e fondo, l’ERISA introdusse il principio della diversificazione degli
investimenti, rafforzato dal divieto di investire più del 10% delle riserve dell’attivo
dell’impresa sponsor. Nel concreto tale atto ha determinato un aumento della gestione
professionale, con lo sviluppo di strumenti analitici atti a controllare la performance e la
rischiosità dei fondi pensione, insieme ad un’enorme diffusione di index funds fra gli stessi
fondi.
Gli anni settanta furono, dal punto di vista economico, caratterizzati da una
stagflazione e da una deregulation finanziaria:
• Una grande varietà di strumenti di controllo del rischio (soprattutto di interesse) furono
sviluppati;
• Aumentò la quota di obbligazioni nei portafogli degli investitori;
• I managers di fondi azionari di dimensione rilevante non riuscivano a battere il
mercato, per cui si concentrarono sulla minimizzazione dei costi (ad esempio riducendo
le transazioni).
Durante gli anni ottanta si ebbe una lunga espansione economica che vide un
incremento degli investimenti in tutte le categorie di assets, e dell’utilizzo di strumenti
1
Cfr. Pisani R., “I Fondi pensione Aziendali”, Milano, EGEA 1992.
derivati sia con lo scopo di hedging, sia con finalità di trading; la crisi del 1987 ha
raffreddato gli entusiasmi di molti operatori, come i pension funds, che sono tornati
massicciamente verso strategie “buy and hold”, e verso programmi di “tactical allocation”,
vale a dire l’adozione di regole di investimento che dicono di acquistare azioni quando i
prezzi scendono piuttosto che essere i primi a vendere cercando di anticipare il trend.
Allo stato attuale circa il 5% della capitalizzazione dei fondi di investimento, per
investitori retail, è gestita passivamente; mentre per quanto riguarda gli investitori
istituzionali la quota raggiunge circa il 16%. Nel corso del tempo anche il loro numero,
oltre alla loro capitalizzazione, è costantemente cresciuto, come si può vedere dalla Tabella
1 e dalle Figure 1 e 2.
Tabella 1. Mercato dei fondi indice negli USA.
Mercato dei fondi indice USA
Anno Capitalizzazione
totale in mld di $
Numero
1995 59,1 68
1996 98,0 95
1997 163,9 125
1998 254,1 161
1999 375,6 205
2000 375,1 263
Fonte: Investment Company Institute.
Figura 1. Capitalizzazione dei fondi indice negli Stati Uniti.
Fonte: Investment Company Institute.
Figura 2. Numero fondi indice negli Stati Uniti.
Fonte: Investment Company Institute.
Oltre ai fondi pensioni americani negli anni ottanta, in Inghilterra i fondi pensione
sono entrati massicciamente nel mercato della gestione indicizzata, con un trend di crescita
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1995 1996 1997 1998 1999 2000
Capitalizzazione totale
in mld di $
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150
200
250
300
1995 1996 1997 1998 1999 2000
Numero
che continua sino ai giorni nostri, dove l’8,6% del totale del mercato azionario inglese è
gestito passivamente.
In Italia i prodotti indicizzati sono sempre stati un mercato ristretto che in ogni modo
ha fee di ingresso o di gestione troppo alte, molto vicine a quelle dei fondi gestiti
attivamente; altri sono stati dedicati solo ad investitori istituzionali o ad individui high net
worth, poiché hanno soglie di investimento minimo non affrontabili da un medio
investitore (500 mila euro). Solo nel quarto trimestre del 2001 hanno fatto la loro
apparizione i primi due fondi indice italiani con costi e soglie minime di tipo anglosassone,
e quindi alla portata di investitori retail. Infatti, questi ultimi sono caratterizzati da costi di
gestione pari allo 0,48% annuo e da soglia minima di ingresso di 1000 euro.
L’inizio degli anni novanta ha corrisposto con l’introduzione sul mercato americano
del primo exchange traded fund, che con una costante crescita oggi ha quasi raggiunto i
trenta miliardi di dollari di fondi gestiti. Gli investitori americani, dopo alcuni anni di
diffidenza, hanno cominciato ad investire massicciamente in questi strumenti soprattutto
dal 1999, con l’introduzione dell’eft sull’indice Nasdaq 100, e nel 2000 quando il loro
numero è cresciuto esponenzialmente (vedi Tabella 2).
Attualmente sono gestiti in questo mercato circa 80 miliardi di dollari (Figura 3) e
sono presenti 102 diversi exchange traded funds (Figura 4), che sono per la maggior parte
quotati all’American Stock Exchange (Amex). I trackers sono gli strumenti più trattati
sull’Amex, ed hanno permesso, a questo Mercato regolamentato di sopravvivere alla
concorrenza dei due più sviluppati del paese (il NYSE e il NASDAQ). Infatti, per volumi
trattati nel 2000 gli SPDRs sono stati i titoli più trattati, mentre ora sono stati superati
dall’etf sul Nasdaq 100 (Cubes o QQQ). Questi nuovi strumenti hanno fatto si che i volumi
di azioni trattati sull’Amex crescessero tra il 1994 e 1998 del 400%, e tuttora continuano a
far sopravvivere questo mercato. Su questi strumenti, ora, sono trattate delle opzioni che
continuano a mantenere questa Borsa una piattaforma innovativa.
Tabella 2. Mercato degli ETF negli Stati Uniti.
Mercato ETF negli USA
Anno Capitalizzazione
totale in mld di $
Numero
1995 0,9 2
1996 2,3 19
1997 6,4 19
1998 28,6 19
1999 35,9 30
2000 70,8 92
2001 78,9 102
Fonte: Investment Company Institute.
Figura 3. Capitalizzazione degli ETF negli Stati Uniti
Fonte: Investment Company Institute.
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1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001
Capitalizzazione
totale in mld di $
Figura 4. Numero ETF negli Stati Uniti
Fonte: Investment Company Institute.
Oltre all’America, anche nel resto del mondo si è assistito ad un interesse crescente
di questi strumenti. Il primo paese, extra USA, dove si sono sviluppati è il Canada, dove
nati nel 1994 sono arrivati ad una capitalizzazione di 3,2 miliardi di dollari USA. Da
notare, che la Toronto Stock Exchange (TSE) è stata la prima a lanciare degli etf che hanno
come sottostante degli indici obbligazionari nel novembre del 2000, innovando l’offerta di
questi strumenti finanziari.
Lo sviluppo asiatico degli exchange traded funds comincia nel 1999, quando viene
quotato ad Hong Kong un fondo che traccia la performance dell’indice locale, Hang Seng
Index. I gestori di questo prodotto detengono allo stato attuale asset per 3,7 miliardi di
dollari USA. La storia di questo tracker è molto particolare, in quanto fu creato per mettere
sul mercato una grande quota azionaria detenuta dal governo della tigre asiatica.
Nell’anno 2000 il numero delle Borse che hanno creato un segmento per la
contrattazione degli etf è aumentato in maniera significativa. Le Borse del Sud Africa (che
attualmente quota un solo eft), dell’Australia (due) e di Israele (uno) hanno cominciato ad
entrate nel settore mondiale dei tracker, ed in Europa nello stesso momento diverse piazze
meditavano lo stesso. Il primo mercato che ha aperto un segmento nel vecchio continente,
0
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1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001
Numero
per lo scambio dei fondi indicizzati quotati, è stata la Deutsche Borse di Francoforte con
l’XTF; la seconda piattaforma continentale che ha dato inizio alle contrattazioni è stato
l’Euronext (nato dall’unione delle borse di Parigi, Bruxelles e Amsterdam e Lisbona) con
la creazione del NextTrack. Al London Stock Exchange, nello stesso periodo si è deciso di
non rimanere esclusi dal business degli etf dando vita all’ExtraMark dove si possono
giornalmente scambiare questi particolari fondi indicizzati. Un altro attore europeo di
rilievo è il mercato svizzero, che dall’inizio del 2001 ha cominciato a proporre eft sia in
valuta locale sia in euro. Per dare un quadro completo degli attori non si può dimenticare
l’OM Stockolm Exchange, che ha quotato alla fine del 2000 un prodotto che replica
l’indice OMX Index; rimanendo nei paesi del Nord Europa la Borsa di Helsinki ha quotato,
nel febbraio 2002, un etf. La Figura 5 può dare l’idea di quanto il mercato dei trackers si
sia sviluppato in Europa dall’aprile del 2000.
Figura 5. Evoluzione degli asset investiti negli ETF, evidenziando l’apporto di ogni
gestore.
Fonte: Merrill Lynch.
European ETF Assets Under Management by Provider (EURMn)
LDRS
iShares
IndexChange
Mastershare
CSAM
streetTRACKS
Others
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Others
streetTRACKS
CSAM
Mastershare
IndexChange
iShares
LDRS
Infatti, nel corso del 2001, molti gestori di fondi hanno cominciato a mettere sul
mercato i propri prodotti, e c’è stato un notevole aumento delle masse investite. Oltre a ciò
è messo bene in evidenza quanti nuovi gestori si sono affacciati sul mercato nel 2001, e la
velocità con cui hanno accumulato risorse.
Gli assets degli exchange traded funds quotati sulle Borse europee sono cresciuti più
dell’800% nel corso del 2001 arrivano nel mese di dicembre alla cifra di 6,2 miliardi di
euro da 0,8 mld che erano alla fine del 2000. In Europa a febbraio 2002 sono presenti 72
etf, anche se ne sono quotati 91 (per effetto della doppia quotazione).
Il mercato europeo rispetto, a quello statunitense, è arrivato più tardi al lancio dei
fondi quotati, ma al contempo ha apportato un’innovazione: i fondi quotati gestiti
attivamente. In Germania sono stati autorizzati e perciò scambiati da circa un anno undici
etf a gestione attiva, tutti presenti sullo stesso mercato dedicato, denominato XTF. Come
già avviene per gli etf classici, anche quelli di quest’ultimo tipo sono scambiati
continuamente durante tutta la giornata.
Nel panorama mondiale sono entrate nel 2001 altre Borse che hanno cominciato a
trattare questi nuovi strumenti finanziari. Una è la New Zeland Stock Exchange dove sono
gestiti da 4 etf circa 445 milioni di dollari. Altre due Borse sono la Osaka Stock Exchange
e la Tokyo Stock Exchange che complessivamente negoziano 9 etf per una capitalizzazione
all’incirca di 6 miliardi di dollari.
Infine è interessante rilevare che nelle Borse di Honk Kong e di Singapore sono
quotati alcuni etf, che sono stati lanciati inizialmente in America, facendone le prime
piattaforme ad avere dei fondi già quotati in altri paesi.
L’esplosione di questi strumenti finanziari è tale, che l’anno passato il loro numero è
più che raddoppiato passando da 92 a 202. Dei 110 nuovi etf lanciati nel 2001, 21 sono
stati quotati negli USA gli altri nel resto delle altre Borse mondiali.
Per quanto riguarda la capitalizzazione complessiva a livello mondiale degli etf, i
dati raccolti alla fine di gennaio descrivono un mercato che raccoglie circa 103 miliardi di
dollari in assets, di cui 83 negli Stati Uniti e 20 nel resto del mondo.
In un anno gli assets gestiti dagli etf sono cresciuti del 41% in tutto il mondo,
nonostante i fondi azionari di tutto il mondo accusavano disinvestimenti diffusi. A queste
risorse si devono aggiungere anche 5 miliardi di dollari investiti nei 17 Merrill Lynch
HOLDRs (che sono simili agli altri etf sul mercato americano ma hanno delle particolarità
che li rendono non totalmente assimilabili ai primi), e 4 miliardi gestiti attraverso i trackers
attivi in Germania.
Ora anche in Italia lo sviluppo di un mercato di questi strumenti innovativi sembra
più vicino. I primi etf ad essere autorizzati alla commercializzazione in Italia, da parte della
Consob e della Banca d’Italia, sono i LDRs della Merrill Lynch. In più, il 27 dicembre, il
Ministero delle Finanze ha accettato la richiesta dell’Associazione dei gestori e della Banca
d’Italia affinchè le sottoscrizioni e i rimborsi degli etf avvengano in natura. Ammettendo
che questo avvenga attraverso la consegna dei titoli che compongono l’indice di
riferimento del fondo anziché in denaro, caratteristica principale di questi prodotti.
1.2 Definizione di index fund
Un index fund è un portafoglio di titoli che è stato costruito in modo da replicare le
caratteristiche e certi attributi di un indice di borsa.
Si cerca di ottenere un rendimento dal fondo che sia parificato a quello realizzato
dall’indice uguagliando la stessa esposizione dell’indice verso alcuni fattori come la
dimensione delle imprese piuttosto che l’andamento di specifici settori dell’economia. Il
processo di costituzione di un index fund, ed in particolare il processo di gestione dello
stesso affinchè possa continuare a replicare fedelmente l’indice nel tempo è definito
indicizzazione.
Per la costruzione di un fondo indicizzato si possono attuare differenti tecniche; nei
fatti un fondo può comprendere tutte le azioni (nel caso sia azionario) che siano incluse
nell’indice di riferimento o solamente una parte delle stesse.
Se consideriamo il primo caso in esame dobbiamo parlare di “full replication”. Per la
seconda categoria si deve utilizzare la nozione di “sampled funds”.
Chiaramente nel momento della creazione i costi saranno minori nel caso di un
sampled fund rispetto all’istituzione di un fully replicated fund, mentre se si entra
nell’ottica del cliente dove entra in considerazione la valutazione del tracking error, cioè
della grandezza statistica che indica la divergenza del rendimento del fondo da quello
ottenuto dall’indice. Se un fondo fosse costituito da tutte le azioni comprese nell’indice
detenute esattamente nella medesima proporzione, potrebbe essere caratterizzato da un
tracking error nullo; maggiore è il numero dei titoli detenuti in portafoglio dal fondo,
minore sarà lo scostamento tra l’andamento di quest’ultimo e il fondo a parità di altre
condizioni Difficile dire quale sia la tecnica più idonea al variare delle circostanze, ma
affermazione largamente accettata è quella che individua nella scelta del manager del
fondo indicizzato il fattore che in via principale influisce sul rendimento finale del fondo.
Le qualità richieste ad un index fund manager devono comprendere anche la
conoscenza di modelli matematici e dei metodi di costruzione dei vari indici, capacità di
trattare i dati e profonda esperienza nella negoziazione dei titoli. Tutto questo perché, la
gestione di un fondo passivo, è un processo dove anche piccoli errori possono esercitare un
enorme impatto sulla performance del fondo ed è la notevole abilità, esperienza e qualità
del team di gestione che garantisce il continuo monitoraggio del fondo stesso. Le decisioni
che un gestore di un fondo passivo deve prendere sono essere sempre supportate da una
molteplicità di informazioni che deve avere a sua disposizione. L’indicizzazione può essere
considerato un processo capital-intensive, dove il fattore critico necessario è il software
che deve essere sviluppato e non l’hardware, che può essere sviluppato internamente o
acquistato da una azienda di consulenza specializzata.
Il software per la gestione del fondo deve permettere lo svolgimento di alcuni
compiti, in quanto devono permettere al gestore di avere un quadro completo della
situazione in qualsiasi momento; oltre a ciò il fund manager non dovrebbe aver bisogno di
altro come consulenze di analisti o di specialist.
Le uniche mansioni che deve saper svolgere il programma sono:
• Costruire il portafoglio;
• Monitorare l’indice;
• Elaborare le informazioni sui prezzi delle azioni;
• Analizzare i costi di negoziazioni;
• Mettere a confronto differenti benchmarks;
• Seguire i dividendi che verranno pagati;
• Controllare eventuali cambiamenti nella capitalizzazione dell’indice.