2
Gli exchande traded funds consentono ad un investitore di:
- Prendere posizione su un mercato di riferimento con una sola
operazione di acquisto.
- Ottenere una performance identica a quella dell’indice preso come
riferimento.
- Avere un prezzo di mercato costantemente allineato con il valore
ufficiale dell’ETF, il Net Asset Value (NAV), grazie ad un
particolare meccanismo di funzionamento detto
creation/redemption in kind.
- Ottenere un’ampia diversificazione prendendo posizione su un
intero indice di mercato.
- Ridurre il costo dell’investimento, data la ridotta commissione
annua totale e l’assenza di commissioni d’entrata, d’uscita e di
performance.
- Ottenere proventi periodici data la possibilità di distribuire
periodicamente agli investitori i dividendi o gli interessi che l’ETF
incassa.
In riferimento alle tipologie di asset class su cui gli ETF possono andare
ad investire, troviamo:
- Indici azionari rappresentativi di singoli mercati e di intere aree
geografiche
- Indici azionari di mercati emergenti
- Indici azionari settoriali
- Indici obbligazionari
- Indici azionari style (value, growth, small cap, mid cap, dividend)
- Indici di materie prime
- Indici di società immobiliari
Per quanto riguarda le tipologie d’investimento, questi strumenti si prestano a
differenti modalità d’impiego: investimenti di medio/lungo termine, trading di
3
breve periodo ed anche vendite allo scoperto al fine di assumere posizioni
ribassiste sull’indice di riferimento. Le caratteristiche di questo strumento, gli
consentono inoltre di essere utilizzato per la costruzione di piani di accumulo
(PAC) attraverso versamenti periodici effettuati dai singoli investitori.
2.2 La storia degli ETF
Prima di entrare in dettaglio nell’analisi delle caratteristiche e del
funzionamento di questi strumenti finanziari, ci proponiamo di delinearne la
loro storia, analizzandone la loro nascita ed evoluzione.
Per risalire alle origini di questi strumenti, dovremo prendere in
considerazione diversi elementi, quali il mercato azionario, i fondi comuni e
persino il mercato delle materie prime. Come è stato esposto nel precedente
capitolo infatti, intorno agli anni settanta cominciarono ad affermarsi le ipotesi
sull’efficienza dei mercati finanziari e le teorie di economisti quali Eugene
Fama. Un buon numero d’investitori, influenzati dalle nuove teorie, sentirono
l’esigenza di strumenti finanziari che consentissero di mettere in pratica
quanto proposto a livello teorico, ossia la possibilità di investire direttamente
nel mercato tramite strumenti che ne replicassero la performance. La prima
risposta a queste esigenze, venne nel 1971 da John McQuown, James
Vertin e William Fouse, presso la banca Wells Fargo. Usando una strategie
di indicizzazione, venne da loro creato per la “Samsonite Corporation” un
indice basato sui 1500 titoli quotati al New York Stock Exchange
1
.
Due anni più tardi, nel 1973, lo stesso John McQuown, assieme a Rex
Singuefield dell’American National Bank di Chicago, sviluppò il primo indice
basato sulla performance dell’indice S&P 500. Sino al 1975 però, questi
nuovi strumenti erano destinati ai soli grandi investitori istituzionali; il grande
pubblico, era ancora escluso da questa tipologia d’investimenti. Fu proprio in
quell’anno però che John Bogle, fondatore del gruppo Vanguard, con la
cooperazione di Burton Malkiel, creò il primo fondo indice (index mutual
1
Principale mercato azionario della borda statunitense
4
fund), destinato agli utenti normali. L’indice, denominato Vanguard 500 Index
Fund, si basava anch’esso sulla performance dell’indice Standard & Poor’s
500. Oltre ad essere uno strumento innovativo, quest’indice si caratterizzava
inoltre per una forte efficienza fiscale e bassissimi costi di commissione.
Intanto, più o meno in parallelo, cominciavano a nascere prodotti che
consentivano di negoziare sul mercato portafogli di diverse azioni, come se si
trattasse di un’azione singola e cioè con un'unica transazione. Queste
diverse tipologie di prodotti finanziari possono essere definiti come gli
“antenati” degli attuali Exchange-traded funds. Tra questi, a cavallo degli anni
settanta ed ottanta, sorsero i cosiddetti “portfolio trading”, strumenti grazie ai
quali era possibile acquistare un intero portafoglio di azioni piazzando un
singolo ordine d’acquisto. Pressappoco nello stesso periodo in cui sorsero gli
strumenti di portfolio trading, sorse anche un futures
2
sull’indice S&P 500.
Tutto questo, diede la possibilità di negoziare portafogli di titoli azionari
tramite contratti futures, rendendo di fatto le negoziazioni di portafogli di
mercato una nuova possibilità per gli investitori istituzionali.
Il successo di questi strumenti, destinato però solo ai grandi investitori,
ha fatto sorgere il problema di renderli accessibile anche ai piccoli investitori,
creando quindi nuovi strumenti a questi accessibili.
La prima risposta a queste esigenze, venne dai cosiddetti “Index
Participation Shares” (IPS). Questi prodotti cominciarono ad essere negoziati
nel 1989 presso il Philadelphia Stock Exchange, sotto il nome di “Cash Index
Participations” (CIPs), e presso L’American Stock Exchange sotto il nome di
“Index Participation Shares” (IPS). Il loro scopo principale era quello di
replicare l’andamento di alcuni indici di riferimento, come ad esempio l’indice
S&P 500. Questi strumenti, che divennero in breve tempo molto popolari,
sebbene fossero trattati come azioni possedevano anche alcune
caratteristiche che li accomunavano ai futures. Come questi ultimi infatti
presentavano una “posizione corta”
3
per ogni “posizione lunga”
4
ed una
2
Termine generico per i contratti di borsa che creano una obbligazione irrevocabile ad acquistare o
vendere una risorsa base ad una data futura definita
3
Posizione che si crea con la vendita di una certa attività di cui non si ha il possesso
4
Posizione che si crea con l’acquisto di una certa attività
5
“lunga” per ogni “posizione corta”, fornendo lo stesso ritorno dei titoli
rappresentativi dell’indice sottostante. Proprio per questa loro caratteristica,
questi strumenti subirono una denuncia da parte del Chicago Mercantile
Exchange (CME) a dalla Commodity Futures Trading Commission (CFTC).
Queste due istituzioni, rivendicavano il fatto che come futures gli IPS e i CIPs
non potevano essere negoziati presso una normale borsa valori e dovessero
invece essere trattati sotto la loro giurisdizione. Sia L’AMEX che la borsa di
Philadelphia furono presto costrette a sospendere la negoziazione dei loro
prodotti. La soppressione di questi prodotti, ne portò alla ricerca di altri che
potessero prendere il loro posto. Nello stesso anno, il 1989, simili prodotti
sorsero presso la borsa di Toronto, in Canada. Si trattava dei Toronto Stock
Exchange Index Participations (TIPS), strumenti basati su ricevute di
deposito (warehouse receipt-based), ed ebbero inizialmente l’obiettivo di
replicare l’andamento dell’indice TSE-35. Il primo ad essere lanciato, fu infatti
il Toronto 35 Index Participations (TIPS 35); i beni sottostanti all’indice erano
le stesse azioni delle aziende formanti il TSE-35 che, mantenute nella stessa
proporzione dell’indice di riferimento, venivano negoziate ad 1/10 del loro
prezzo di mercato. Più tardi, venne introdotto anche il Toronto 100 Index
Participation Units (HIPs), replicanti l’andamento delle 100 azioni contenute
nell’indice TSE-100. Entrambi gli strumenti si caratterizzavano per bassissimi
costi di gestione; questi erano infatti pari allo 0,05%, nettamente inferiore alla
media dei fondi comuni trattati sul mercato canadese, pari all’epoca al
2.19%
5
. Inoltre, si caratterizzavano per un’ottima efficienza fiscale. Le
distribuzioni sui “capital gains” erano infatti molto limitate, data la necessità di
vendere azioni solamente a causa di cambiamenti nella composizione
dell’indice sottostante di riferimento. Data la somiglianza di questi prodotti
con gli attuali ETF, il Canada è considerato da molti come il vero luogo di
nascita di questi strumenti.
Per assistere alla nascita del primo vero e proprio Exchange traded
fund, dobbiamo aspettare l’anno 1993, con il lancio dello “Standard & Poor’s
5
A. Seddik Meziani, Exchange‐traded funds as an investment option, Palgrave Macmillan, New York,
2006
6
Depositary Receipts” (SPDR), in seguito denominato “Spider”. Il sorgere di
questi strumenti ebbe tra le principali cause le difficoltà economiche in cui si
trovò l’American Stock Exchange (AMEX) agli inizi degli anni ‘90. Per
superare questa crisi, si considerò l’ipotesi di quotare nuove tipologie di
strumenti finanziari; la risposta venne trovata negli ETF. Uno dei creatori del
primo ETF, Nathan Most affermò: “non conosco nessuno strumento
finanziario, se non gli Exchange Traded Funds, la cui genesi debba essere
ricondotta principalmente alla necessità di una borsa valori di trovare
qualcosa da scambiare sul mercato”
6
. Fu proprio Most, che utilizzando le
competenze apprese nel campo delle commodities, ideò questa nuova
tipologia di prodotti. Nel mercato delle materie prime (commodities) infatti, è
consuetudine depositare merci presso società depositarie in cambio di
ricevute di deposito o “depositary receipt”. Queste ricevute, rappresentanti i
diritti proprietari delle merci depositate, possono essere acquistate e vendute
comodamente sul mercato senza quindi la necessità di dover spostare i beni
fisici sottostanti, che rimarranno dunque in deposito. Grazie a Most, questa
logica venne applicata anche agli ETF. Si pensò infatti di creare un
portafoglio di titoli azionari replicanti un indice e di collocarli presso una
banca depositaria in cambio di ricevute di deposito rappresentative dei titoli
depositati. Tali ricevute sarebbero poi state divise in un numero elevato di
titoli e scambiate sul mercato come avviene per qualsiasi titolo azionario
7
.
Dopo alcuni ostacoli regolamentari che ne rallentarono l’approvazione da
parte della SEC (Securities and Exchange Commission), il primo ETF giunse
finalmente sul mercato nel gennaio 1993; si trattava dello Standard & Poor’s
Depositary Receipts (SPDRs), basato sull’indice S&P500. Questo ETF venne
istituito con una struttura Unit Investment Trusts (UIT). Questa si
caratterizzava per semplicità, bassi costi e non necessitava la presenza di un
consiglio d’amministrazione. L’AMEX, incerta del successo dei nuovi
strumenti, scelse proprio questa struttura per non incorrere in costi eccessivi.
6
J. Wiandt e W. McClatchy, Exchange Traded Funds, John Wiley & Sons, New York, 2002
7
Carlo Mazzola, Umberto Fuso, Investire in etf: la sfida ai fondi comuni e alle gestioni, Franco Angeli,
Milano, 2007
7
Sebbene nei primi anni questi nuovi strumenti non abbiano riscosso un
grosso successo, verso la seconda metà degli anni ‘90, le ottime
performance del mercato e la diffusione delle teorie sulla gestione passiva,
contribuirono a farne aumentare enormemente la richiesta. Da allora il
numero e le tipologie di ETF proposti con le rispettive quote di mercato sono
aumentate enormemente.
Nel 1996 La Barclays Global Investor introdusse sul mercato una nuova
tipologia di ETF in grado di replicare la performance degli indici di mercato
nazionali di diversi paesi. Gli investitori, ebbero dunque la possibilità di
investire direttamente sul mercato di una nazione di loro interesse con uno
strumento facile e flessibile. Questi strumenti, denominati WEBS (World
Equity Benchmark Shares) si caratterizzavano inoltre per l’avere una
struttura simile a quella di un normale fondo comune di investimento, una
struttura di tipo Management Investment Company. A differenza della
struttura UIT (Unit Investment Trust) vista in precedenza, questa conferiva
maggiore flessibilità e maggiore efficienza in termini di reinvestimento dei
dividendi. Nel 1998 vennero poi introdotti ETF in grado di replicare
l’andamento di specifici settori industriali di mercato, i cosiddetti Sector ETF.
Grazie a questi, divenne possibile investire nei settori considerati più
promettenti e ad alto potenziale di crescita. La strategia principale, basata
sulla rotazione di settore o “sector rotation”, consiste nell’investire
massicciamente in quei settori più promettenti sulla base dei cicli di mercato,
uscendo al contrario da quei settori ormai a basso rendimento. Sempre nello
stesso anno, sorsero i cosiddetti Diamonds, basati sull’indice Dow Jones
Industrial Average, mentre nell’anno seguente sorsero invece ETF basati
sull’indice tecnologico Nasdaq-100, il QQQ. Grazie all’alta volatilità di questo
indice, ci fu un riscontro molto positivo da parte degli “intraday traders” che
utilizzarono questo strumento per speculare sui rialzi e sui ribassi giornalieri.
Da sottolineare poi, la nascita dei Bond ETFs, introdotti nell’anno 2002 dalla
Barclays Global Investors (BGI) e replicanti le performance degli indici
obbligazionari.
8
Il 2000, è stato poi un anno importante in quanto ha visto lo sbarco in
Europa degli Exchange-traded funds. Alla Xetra, viene infatti quotato un ETF
basato sull’indice Dow Jones Eurostoxx 50; a Londra, nascerà poco dopo un
ETF basato sull’indice nazionale FTSE 100.
Il loro arrivo in Italia è avvenuto nel settembre 2002 con l’emissione del
DJ Euro Stoxx 50 Master Unit, da parte della Lyxor Asset Management.
Anche negli anni successivi, si sono continuamente registrate
innovazioni e sviluppi. Tra i principali prodotti sorti, ricordiamo gli ETF che si
basano sulle materie prime (gli Exchange Traded Commodities) e gli ETF
strutturati.
Gli Exchange Traded Commodities (ETC) replicano passivamente le
performance delle materie prime o degli indici di materie prime a cui fanno
riferimento. Tra gli indici più conosciuti su cui sono stati quotati gli ETF
troviamo il Goldman Sachs Commodity Index (GSCI) ed il Reuters/Jefferies
CRB Global (CRB).
Gli ETF strutturati, si differenziano dagli ETF tradizionali in quanto
permettono all’investitore di perseguire rendimenti non solo in funzione del
benchmark ma anche:
- partecipare in maniera più che proporzionale all’andamento di
un indice (ETF a leva)
- partecipare inversamente ai movimenti dell’indice di riferimento
(ETF short con o senza leva)
- partecipare ai rialzi dell’indice di riferimento proteggendo allo
stesso tempo il valore del portafoglio in caso di ribassi (ETF a
protezione)
8
.
Elemento che accomuna quest’ultima tipologia di ETF a quelli
tradizionali, resta la politica d’investimento “passiva”.
“Attiva” invece, è la politica d’investimento che caratterizza gli ultimi ETF
nati in ordine di tempo, gli ETF attivi. Questi ultimi, a differenza dei
predecessori, hanno come obiettivo quello di battere il loro benchmark
8
Etf plus. Il mercato degli etf e degli etc, in “Borsa Italiana”, Aprile 2008
9
piuttosto che replicarne solo l’andamento. Essi vanno a replicare
l’andamento di indici costruiti appositamente dai gestori; indici che in base al
criterio di selezione dei titoli si distinguono in fondamentali e quantitativi. I
primi, alla base degli ETF di seconda generazione, selezionano i titoli in base
ad indicatori di bilancio quali il patrimonio netto, il fatturato, il cash flow e i
dividendi, cercando di ottenere extraprofitti rilevando segnali di
sopravvalutazione o sottovalutazione. Gli ETF quantitativi invece, alla base
degli ETF di terza generazione, selezionano le società in base a modelli
deterministici, in base ai quali si stabilisce una classifica di appetibilità. In
base a tale classifica, solo le società migliori verranno incluse nel paniere di
riferimento
9
.
Tra i principali gestori che ad oggi propongono queste tipologie di
prodotti, citiamo Claymore e Powershares.
NASCITA ED EVOLUZIONE DEGLI ETF
1971 Creato il primo indice da parte della banca Wells Fargo
1973 Primo indice basato sullo S&P 500
1975
Vanguard crea il primo fondo indice (il Vanguard 500 Index
Fund)
ANNI ‘80
Lo sviluppo del mercato dei futures permette agli investitori
istituzionali di investire su titoli costituenti indici
1989
Introduzione degli Index Participation Share (IPS) e dei
Toronto Index Participation Share (TIPS)
1993 Nascita del primo ETF, lo SPDRs basato sullo S&P 500
1996 Introduzione dei WEBS (World Equity Benchmark Shares)
1998 Introdotti i Sector SPDRs e i DIAMONDS
1999 Nascita dell’ETF sul Nasdaq 100, il QQQ
2000 Sbarco in Europa degli ETF
2002
il DJ Euro Stoxx 50 Master Unit è il primo ETF quotato in
Italia
Tabella 2.1 Nascita ed evoluzione degli ETF
9
Gabriele Candita, Nuove generazioni di Etf: gli Etf attivi, in “Centro Studi Finanza.it”, Maggio 2008