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CAPITOLO TERZO
IL CALCIO SOCIOLOGICO
3.1 Calcio e Sociologia
3.2 Comportamenti di massa
3.3 Il calcio come visione del mondo
3.4 La figura del tifoso
3.5 Le regole del calcio
3.6 Dimensioni rituali della partita di calcio
3.7 Il calcio come business
3.8 Notti magiche
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3.1 Calcio e Sociologia
La palla è sistemata al centro del campo. Un fischio, il calcio di un giocatore. La partita inizia…La
palla vola, rimbalza. Un giocatore la segue e la insegue, la spinge in avanti con il piede, se la fa
portare via da un avversario che a sua volta la conduce verso la rete…Quando l‟occasione è buona,
si avventa sulla palla e con un gran tiro la manda verso la rete. Il portiere, in guardia, si butta sulla
palla, l‟afferra e la rinvia a un compagno di squadra. Si ritorna all‟attacco. Con un‟abilità e una
rapidità che sfiorano l‟acrobazia, con una forza che rasenta la brutalità unita allo stratagemma, le
due squadre fintano, si traggono in inganno e finiscono per far entrare la palla tra i pali. L‟arbitro
fischia. Il risultato scatena l‟entusiasmo dei giocatori e dei tifosi.
Philippe Soupault
I contributi della storia sociale, fondamentalmente britannica, a cui dobbiamo le analisi decisive
sulla formazione nelle public school e poi sulla diffusione sociale e spaziale del calcio sono da
ritrovarsi in sociologi come Mason
26
che dedica particolare attenzione alle folle degli stadi inglesi
tra la fine del XIX e l‟inizio del XX secolo: egli con molta finezza mostra il diverso modo di
percepire il gioco da parte delle diverse categorie di spettatori.
Un pensiero forte è quello di Norbert Elias
27
, al limite tra storia e sociologia, il quale vede
nell‟emergere e nello svilupparsi delle pratiche e degli spettatori sportivi l‟espressione di un
movimento di fondo delle nostre società (quello che chiama il processo civilizzatore) tendente a un
controllo e una codificazione sempre più spinti degli scontri violenti, delle pulsioni e degli affetti.
Per Elias la ricerca di emozioni (the quest for excitement) è la molla che sta alla base dello
spettacolo sportivo.
I lavori di Ehrenberg
28
sono particolarmente illuminanti: “lo sport rappresenterebbe la realizzazione,
sul modello dell‟illusione realista, dell‟ideale delle società democratiche, in particolare della
competizione tra uguali che consacra giustamente i migliori, al di là delle differenze di classe, di
razza, delle difficoltà di partenza nella vita”.
26
T.Mason, Associationfootball and English society, 1863-1915, Brighton, Harvester Press, 1980
27
N.Elias e E.Dunning, Sport e aggressività, 1989, Bologna, Il Mulino.
28
A.Ehrenberg, Le culte de la performance, Paris, Calmann-Lévy, 1991.
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Infine l‟analisi di Geertz
29
sui combattimenti di galli a Bali, considerati come un gioco profondo nel
quale si possono leggere le caratteristiche salienti di una cultura, ha rappresentato un punto di
riferimento metodologico molto importante.
3.2 Comportamenti di massa
Due immagini si scontrano violentemente nella tradizione interpretativa e nei commenti quotidiani
quando si pensa agli spettatori e ai tifosi allo stadio: una festosa che esalta uno degli ultimi modi
che sono rimasti di restare insieme, l‟altra terrificante, diabolica che denuncia l‟orda ed il branco
che come definisce Moscoviti è “l‟animale sociale che ha infranto le sue catene”.
Sebbene in antitesi queste due concezioni creano l‟esistenza di una logica propria dei
comportamenti di massa che abolirebbero la psiche e la coscienza individuale per far posto a uno
stato di uguaglianza assoluta.
I sociologi tedeschi Le Bon
30
e Tarde
31
sono sostenitori della seconda visione ovvero quella
diabolica e hanno gettato su una “psicologia delle masse” per comprendere la società
contemporanea in cui è possibile riscontrare tre idee fondamentali:
- “Una folla non è un semplice aggregato di individui, ma una unità psicologica in cui le differenze
di personalità si sfumano, per fusione e contagio, e dove una volontà collettiva si impone al volere
del singolo.
Ognuno si sente trascinato, senza possibilità di resistere dalla convinzione di tutti, gli individui
diventano uguali, anonimi e simili, formano un solo corpo e una sola anima”.
- “Nella massa, individui abitualmente logici, razionali e ragionevoli, si trasformano in esseri
illogici, irrazionali, irragionevoli, perdono la coscienza e la loro vita psichica regredisce lasciando
emergere le immense montagne sottomarine dell‟inconscio collettivo. Nel momento in cui fanno
parte della stessa folla, l‟ignorante e il colto perdono nella stessa misura la capacità di osservazione
29
C.Geertz, Jeu d‟enfer, notes sur le combat de coqs balinais, in Id., Bali. Interprétation d‟une culture, Paris, Gallimard,
1983
30
G.Le Bon, Psicologia delle Folle, Milano, Longanesi, 1980.
31
G.Tarde, L‟opinion et la Foule, Paris, Puf, 1989.
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e sono pronti a passare all‟azione violenta se gli eventi non si conformano ai loro desideri”. (Le
Bon)
- “Fusi nella massa, gli individui sono come in uno stato di ipnosi e obbediscono alle suggestioni,
alle parole d‟ordine, alle influenze degli istigatori, la cui immagine si presenta come modello e
cemento che attiene assieme l‟edificio della massa”. (Moscovici)
32
.
In questa ottica, le folle sono essenzialmente pericolose e il loro destino è inevitabilmente tragico:
prigioniere dell‟illusione, sembrano regnare ma non governano mai, sono sorrette da leader pronti
ad accaparrarsi il potere, a instaurare la subordinazione, a imporre l‟uniformità.
A questo tipo di alienazione è possibile paragonare ad altri livelli i regimi totalitaristi nazista,
staliniano e maoista e a un altro livello ancora la cultura di massa diffusa dai media.
Allora è giusto parlare di tifosi che come Dr. Jekyll e Mr. Hyde, condurrebbero due vite parallele,
una onorata in città e l‟altra diabolica allo stadio?
Bisogna dire che anche se la partecipazione collettiva ci strappa alla routine e ai ruoli quotidiani,
comunque non li cancella, infatti dimostrare passione per una squadra non indica soltanto una
rottura verso la vita di tutti i giorni ma spesso rappresenta un suo prolungamento.
Infatti non vi è un abisso che separa l‟uomo massa dall‟uomo normale, ma secondo i sociologi del
tempo, “un ponte che li congiunge inclinandosi ora verso una riva ora verso l‟altra a seconda degli
individui, dei gruppi, della posta in gioco e dei contesti”. Tra questi estremi lo status della folla è
qualcosa di misto, ibrido, oscillante tra l‟affermazione di una volontà collettiva e una lucida
comprensione delle singole appartenenze, tra la coscienza di ciò che si dice e si fa e il libero corso
delle emozioni.
Se non si riconoscono queste caratteristiche contraddittorie si corre il rischio di perdersi come la
“psicologia delle folle” e più tardi la scuola di Francoforte, in una visione non reale delle masse
ridotte ad agglomerati omogenei, incoscienti e impulsivi. La realtà dello stadio sconfessa questa
immagine e vi contrappone quella di una folla strutturata che parla di ciò che la unifica e la
suddivide, in cui le pulsioni sono molto spesso controllate.
Elias definisce la specialità delle emozioni sportive con il combinarsi di due caratteristiche
contraddittorie: “da un lato lo scatenamento dei sentimenti umani che provoca l‟insorgere di una
gradevole eccitazione e dall‟altro il mantenimento di un insieme di freni che tengono sotto controllo
le emozioni scatenate”.
Secondo Durkheim
33
, lo scopo essenziale delle cerimonie consisterebbe “nell‟assicurare la
continuità di una coscienza collettiva e nel confermare a se stessi e agli altri, che facciamo parte di
32
S.Moscovici, L‟âge des foules, Paris, Éditions Complexe, 1985.
33
É.Durkheim, Les formes élémentaires de la vie religieuse, Pris, Puf, 1990
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uno stesso gruppo, nell‟affermare e ricordare periodicamente la preminenza della comunità
sull‟individuo”. In occasione di queste azioni comuni, la società prende coscienza di se stessa e
come dice Augè
34
“i destini individuali si ordinano in base a norme collettive”.
In queste situazioni liminari, caratterizzate dalla pesantezza e dalle gerarchie quotidiane, si afferma
un sentimento di COMMUNITAS “ovvero un legame umano fondamentale e generico senza il
quale non potrebbe esistere nessuna società
35
, in quest‟ottica, il rituale non dice ma fa,
ricomponendo periodicamente i frammenti di un corpo in frantumi”. (Turner)
34
M.Augé, D‟un Rite à l‟autre, in Terrain, 1987
35
V.W.Turner, Le phénomèn rituel, tructure et contre-structure, Paris, Puf, 1990
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3.3 Il calcio come visione del mondo
La partita di calcio genera un sentimento di communitas
36
che nella vita quotidiana sembra essersi
smarrito o dissolto. Gesti, parole, pratiche esprimono questa trasformazione effimera delle relazioni
sociali: abbracci con vicini mai visti, conversazioni appassionate con il primo venuto e pasti
consumati con persone che quasi non si conoscono; il calcio è un fenomeno che tocca anche chi non
ha mai giocato con un pallone in vita sua e sembra essere l‟unica forza capace di mobilitare l‟intera
nazione nella stessa direzione, è molto più di uno sciopero generale: ai ministeri non risponde più
nessuno, la politica si ferma, i sindacati, gli uffici e le fabbriche si svuotano, così parlare della
partita, tener conto dell‟orario di inizio dell‟incontro, informarsi dei risultati, diventano obblighi
anche per chi non si interessa di questo sport.
Le passioni sportive cristallizzano le identità e sono diverse a seconda dei luoghi, delle età, delle
classi sociali e dei gruppi.
La partita di calcio favorisce la continuità di una coscienza collettiva mettendo a confronto noi e gli
altri, mette in comunicazione il singolare e l‟universale, permette al gruppo di celebrarsi
rappresentandosi a se stesso sulle gradinate e in campo e infine si presta a una pluralità di letture
(dall‟esaltazione alla glorificazione del lavoro di squadra), di reazioni emotive (dal riso
all‟angoscia), di modi di partecipazione (dal fervore chiassoso all‟attenzione a eclissi). Con la sua
flessibilità, con la sua struttura paradossale, non è né semplice spettacolo, né rituale riconosciuto ma
è sicuramente il simbolo di un‟epoca in cui i punti di riferimento classificatori delle forme della vita
collettiva si uniscono.
L‟identificazione con una squadra è percepita come modello specifico di esistenza collettiva,
incarnato dallo stile della squadra in un linguaggio che è divenuto universale. Molti studiosi hanno
sottolineato le affinità esistenti tra modo di giocare e modo di vivere e rappresentare l‟esistenza, il
sociologo Da Matta
37
mette in evidenza come una delle caratteristiche stilistiche del calcio
brasiliano sia “il gioco di cintura”, cioè una malizia e una furbizia vera e propria che mira a schivare
l‟avversario anziché affrontarlo direttamente.
Da Matta vede in ciò esemplificata la “regola d‟oro dell‟universo sociale brasiliano” che consiste
nel sapersi districare con tanta eleganza da far credere agli altri che tutto sia molto semplice.
36
Con il termine communitas, Turner intende uno stato sociale opposto al regime strutturato di relazioni tra gli uomini
che restituisce a questi ultimi, attraverso il compimento di riti, un modo di partecipazione sociale non sottomesso
all‟ordine statuario e in mancanza del quale non sarebbe possibile alcuna forma di coesistenza.
37
R. Da Matta, Notes su le futebol brésilien, in Le Débat, 19, 1982
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Un altro sociologo, R.Grozio
38
ci mostra come lo stile della squadra azzurra, dagli anni ‟30 agli anni
‟80, fosse una metafora espressiva dell‟”italian way of life”, basato sulla collaborazione tra i
braccianti del catenaccio e gli artisti del contropiede: questo tipo di gioco spiegava due aspetti
opposti, uno negativo l‟altro positivo dell‟italianità, ovvero da una parte l‟assenza di metodo, di
preparazione, di organizzazione e dall‟altra il genio creativo e la generosità nello sforzo.
Così il gioco della nazionale uruguaiana si è segnalato per una tecnica rude e difensiva, decisamente
protettiva della propria metà-campo esattamente come il paese che è stretto tra due potenti vicini.
Negli anni ‟30 la Svizzera ha inventato la tattica difensiva del catenaccio a immagine di uno stato
neutro che nel contesto dei conflitti nascenti, ha poi deciso il non intervento ripiegando su se stessa.
Possiamo dunque dedurre che lo stile di una squadra sia l‟immagine stereotipata, radicata nel tempo
che una squadra ha di se e che auspica trasmettere agli altri o meglio una mentalità, un immaginario
collettivo in cui una nazione si rispecchia.
Merita di essere citato a questo proposito la figura di Maradona il quale non avrebbe mai raggiunto
certi livelli di popolarità se non ci fosse stata una profonda somiglianza tra il suo stile di gioco e la
città di Napoli: virtuoso, astuto, furbo, amante dei colpi da maestro, con famiglia e amici al seguito,
ricco che ha mantenuto una cultura da povero, con le sue gambe corte, la faccia da delinquente e
l‟orecchino di diamante, Diego era diventato per tutti un vero napoletano.
L‟amore per le belle donne e il mangiar bene, la passione per le macchine di lusso e al tempo stesso
la sua devozione per la chiesa e la famiglia, il suo pessimo carattere capriccioso, esuberante,
indisciplinato e il suo sguardo malizioso che ricordava quello degli scugnizzi dei quartieri poveri
faceva di lui un vero figlio legittimo della città a tal punto che non bastarono i rapporti difficili con
la dirigenza, i figli illegittimi e il suo vizio di consumare cocaina per intaccare il suo mito che
ancora oggi resiste sulle gradinate degli stadi.
Lo stile della Juventus è lo stile di una vecchia signora aristocratica, che unisce le buone maniere
alla disciplina rigorosa del mondo industriale, un modello di rigore professionale e di intelligenza
tattica.
Dal 1923 la squadra è nelle mani della dinastia Agnelli che esercita più o meno direttamente il
potere, lo stile Juventus inventato da Edoardo Agnelli è simboleggiato da tre S (SERIETA‟,
SEMPLICITA‟, SOBRIETA‟).
In modo stereotipato e immaginario Torino si contrappone a Napoli come Platini, il filosofo, a
Maradona, il poeta, come l‟austerità alla fantasia sfrenata; la Juve è tutto un comportamento, una
scuola di vita, il senso della serietà il cui regolamento interno sottolinea che: “ Dobbiamo vigilare
affinché il nome del nostro club sia ovunque sinonimo di correttezza e di educazione…I soci che
38
R.Grozio, Credono gli italiani alla nazionale?, Roma, Pellicani, 1990
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frequentano la nostra sede devono essere vestiti in modo adeguato. E‟ vietato il turpiloquio,
bestemmiare, urlare nei locali o dai balconi…E‟ altresì vietato insultare i tifosi e i giocatori delle
squadre avversarie, gli arbitri, i giornali…Il Presidente incarna perfettamente lo spirito della casa:
distinzione, discrezione, senso dell‟organizzazione, autorità affabile”.
La partita di calcio si configura come il nucleo di una gamma straordinariamente variegata di
possibilità identificatorie, come un linguaggio universale sul quale ogni collettività imprime il
proprio marchio e, più ancora, come la teatralizzazione del successo nelle nostre società.
La proprietà di questo tipo di spettacolo e i comportamenti dei tifosi più accesi invitano a fare un
parallelo tra la partita di calcio e un rituale religioso.
La complicità che si stabilisce con i tifosi preoccupati di far condividere gioie, pene ed entusiasmo,
la bellezza del gioco e dei colori delle gradinate, l‟intensità del dramma, il calore delle discussioni
davanti allo stadio o appoggiati al bancone di un bar. La complicità è la sola via di accesso
all‟intimità e, di conseguenza, ai significati dei comportamenti.
Gioco profondo, il calcio affascina perché mette a nudo, sotto forma di dramma caricaturale,
l‟orizzonte simbolico della nostra società: la trama di una partita e di una competizione raffigura
l‟incerto destino degli uomini nel mondo contemporaneo.
In modo brutale e realistico, la storia di una partita e di un club mostrano e fanno riflettere sulla
fragilità e la mutevolezza della condizione individuale e collettiva, rappresentate dall‟alternanza di
vittorie e sconfitte, promozioni e retrocessioni, dalle figure emblematiche dei giocatori in panchina,
dall‟ascesa e dalla decadenza dei campioni.
Allo stesso modo, e anche in questo consiste la loro forza metaforica, una partita, un campionato
rappresentano un concentrato delle gioie, dei drammi, delle tappe di cui è disseminata un‟esistenza
ma soprattutto ci ricorda che nella nostra società i giochi non sono mai chiusi in modo definitivo e
che il merito è la pietra angolare del successo.
Se gli incontri catturano è perché essi incarnano valori fondamentali delle società democratiche:
“con i loro eroi ci fanno vedere che chiunque può diventare qualcuno nella vita, indipendentemente
dalla razza, dalla classe sociale e dalle condizioni di partenza sfavorevoli” (Ehrenberg)
39
, quindi lo
status non si acquisisce con la nascita, ma si conquista con il valor nel corso dell‟esistenza.
Se Pelé e Maradona ci affascinano è perché abbiamo la certezza che hanno raggiunto la gloria con
le loro forze e non perché hanno avuto la fortuna di essere nati in una famiglia benestante e di
essere figli di qualcuno.
39
A.Ehrenberg, Le show méritocratique. Platini, Stéphanie, Tapie et quelques autres, in Esprit, 4, Le nouvel âge du
sport, 1987
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Lo stadio è il luogo per eccellenza in cui si concretizza l‟immaginario democratico che esalta le pari
opportunità, la competizione universale e il merito personale.
La trasformazione graduale degli stadi in parchi d‟attrazione (aperti ad altre manifestazioni diverse
dal calcio), la familizzazione e la femminilizzazione relative del pubblico hanno comportato senza
dubbio una progressiva standardizzazione di questo tipo di spettacolo che tende a perdere le sue
caratteristiche di rituale unicamente virile.
Oltre alla prestazione individuale, il calcio valorizza la divisione dei compiti, la solidarietà e la
coesione necessarie per raggiungere il successo. Combinando qualità individuali e azione collettiva,
il calcio ci fa vedere, pensare e commentare tutta una gamma di possibilità tra le quali dobbiamo
scegliere nel corso di un giorno o di una vita: l‟azione solitaria, l‟impresa individuale, la
cooperazione, l‟abnegazione, l‟astuzia, lo scontro, il temporeggiamento, la decisione di rischiare e
la furbizia.
In un solo colpo, la partita di calcio, dove si coniugano merito individuale e collettivo, fortuna,
furbizie e decisioni opportune, rivela quali sono i fattori determinanti del successo nella società
contemporanea e con le sue caratteristiche di incertezza, ci propone una serie di interpretazioni
accettabili della sconfitta.
In essa trovano nutrimento e sono riunite una cultura positiva del successo e una filosofia che
accetta con rassegnazione la sconfitta.