Gli ETF in Italia
6
risparmiatore l’opportunità di allocare il capitale in maniere efficiente per cogliere i
vantaggi che entrambe le tecniche offrono. Successivamente si restringe l’analisi alla
descrizione delle diverse tecniche a disposizione del gestore per replicare un dato
indice. La scelta della modalità di replica più adeguata è influenzata anche dall’indice
di riferimento prescelto: si definisce quindi la nozione di benchmark e dopo averne
sottolineato le funzioni si enumerano un insieme di requisiti che dovrebbe presentare
per poter esser efficientemente scelto da parte di un fund manager.
Poiché l’indice di riferimento rappresenta un paniere teorico di azioni nel quale le
transazioni possono avvenire virtualmente in ogni momento senza alcun costo, è stato
necessario introdurre una statistica che permettesse di valutare la divergenza del
rendimento del fondo da quello dell’indice. È stato così introdotto il tracking error e
nel descriverne le possibili cause si è sottolineato come gli ETF possano essere usati
per superare alcune problematiche connesse come quella del cash drag.
Nel secondo capitolo sono prese in esame le tematiche principali di un ETF in termini
di modalità di funzionamento, vantaggi, svantaggi e opportunità di investimento. In
questo capitolo, dove non diversamente indicato, si fa riferimento al contesto
americano a causa della maturità che questo business ha raggiunto negli Stati Uniti. La
tematica è abbastanza ampia e dopo aver individuato il contesto competitivo del
mercato degli ETF nel mondo si effettua un excursus storico nel quale si citano i
prodotti che possono essere ragionevolmente considerati come predecessori degli
Exchange Traded Funds.
Gli ETF rappresentano una tipologia particolare di fondi comuni di investimento aperti
di tipo indicizzato. Sono definiti aperti i fondi comuni i cui partecipanti hanno diritto
di chiedere, in qualsiasi tempo, il rimborso delle quote secondo le modalità previste
dalle regole di funzionamento del fondo. Sono considerati passivi o indicizzati i fondi
comuni che hanno come obiettivo la replica del profilo risk-return di determinati indici
o panieri di titoli sia azionari che obbligazionari. Nell’effettuare una comparazione con
i normali fondi comuni di investimento aperti e chiusi sono descritti due degli aspetti
più innovativi di questo strumento: il meccanismo di creation-redemption in kind e
l’opportunità di poter esser negoziati sul mercato secondario di determinate Borse
Gli ETF in Italia
7
Valori al pari di un normale titolo azionario. Successivamente, si descrivono alcuni
fattori capaci di indicidere sulla convenienza effettiva di un ETF quali i costi espliciti
ed impliciti a cui sono soggetti, il trattamento fiscale e la liquidità del mercato. Un
Exchange Traded Fund è uno strumento molto flessibile e per questo motivo si dedica
un’intera sezione alla descrizione di alcune delle possibili strategie di investimento
idonee sia per investitori istituzionali che per piccoli risparmiatori.
Il terzo capitolo si propone di analizzare la dinamica del mercato degli Exchange
Traded Funds in Italia. Il 6 Settembre 2001, l’assemblea ordinaria di Borsa Italiana ha
approvato le modifiche alle istruzioni ed al regolamento di Borsa al fine di lanciare
sulla piattaforma di trading MTA (Mercato Telematico Azionario) un nuovo
segmento, denominato Mercato Telematico Fondi appositamente predisposto per
permettere le negoziazioni in ETF, fondi aperti indicizzati, Sicav e fondi chiusi.
Dopo una breve descrizione del trattamento fiscale dello strumento, si procede a
fotografare il contesto di mercato degli ETF italiani in termini di distribuzione degli
scambi per quota, emittente ed area geografica. Segue una breve rassegna delle
principali componenti di ogni ETF, e una valutazione dell’effettiva efficienza del
mercato e efficacia del prodotto mediante un’analisi empirica del bid-ask spread, del
NAV-to Index Tracking Error e del Price-to-Index Tracking Error.
L’ultimo capitolo concentra l’attenzione sull’ETF S&P/MIB Master Unit che
rappresenta l’unico ETF che replica un indice italiano. Per i risparmiatori ciò significa
la possibilità di poter coniugare i vantaggi dello strumento con la notorietà delle azioni
che lo compongono.
Successivamente si procede a confrontare l’ETF S&P/MIB Master Unit con il FIB 30:
si evidenziano i relativi vantaggi e svantaggi sottolineando come questi diversi
strumenti finanziari devono essere analizzati in un ottica di complementarietà piuttosto
che di contrapposizione in quanto destinati a soddisfare esigenze di mercato in parte
sovrapponibili e in parte distinte. L’ultimo capitolo si chiude con un approccio di tipo
analitico all’indice S&P/MIB che spazia dalla descrizione delle modalità di
costruzione, composizione e metodologie di ribilanciamento alle sfide che dovrà
affrontare come sottostante per strumenti derivati. Tale indice copre circa l’80% della
Gli ETF in Italia
8
capitalizzazione del mercato azionario italiano ed attualmente è composto da 40
azioni. Il numero di componenti non è comunque fisso, ma destinato a variare nel
tempo per meglio rispecchiare la dinamica del mercato borsistico nazionale. La sua
correlazione con il MIB30 è superiore al 99%
1
. Dal punto di vista tecnico si tratta di
un base-weighted index ponderato con il criterio della capitalizzazione azionaria
rettificata per il free-floating: il peso di mercato di ciascuna compagnia è determinato
moltiplicando il prezzo dell’azione per il numero di azioni ordinarie e successivamente
moltiplicando il prodotto ottenuto per un investable weight factor (IWF) per calcolare
lo specifico free-float adjusted market value
2
.
1
Fonte: “Brochure S&P/MIB Master Unit”, Lyxor Asset Management
2 Free Float = Prezzo * Numero Azioni in circolazione * IWF.
Gli ETF in Italia
9
Capitolo I
Tipologie di gestione e modalità di replica di un indice
1 Gestione attiva e Gestione passiva, opportunità e differenze
1.1 Gestione attiva e gestione passiva
Nel corso degli ultimi anni si è verificato un importante fenomeno a livello
internazionale: la crescente diffusione di portafogli gestiti in forma passiva che
replicano un determinato indice. I fondi indicizzati nascono nel 1971, con
l’apparizione sul mercato del primo strumento di questo tipo, creato da Wells Fargo
Bank con una dotazione iniziale di 6 milioni di dollari provenienti dal fondo pensione
di Samsonite Co. Nonostante la diversa penetrazione nei vari paesi (negli Stati Uniti
rappresentano il 20-30 % degli investimenti azionari e obbligazionari, mentre
nell’Europa continentale circa il 5% del risparmio complessivo), nell’ultimo decennio
hanno fatto registrare elevati tassi di crescita.
Per comprendere questo successo occorre ricordare la posizione di Sharpe il quale
afferma che, in media, la gestione attiva non può ottenere risultati migliori a quelli
della passiva. Il motivo chiave è che la performance del benchmark esprime la media
ponderata della performance dei fondi indicizzati attivi e passivi al lordo delle
imposte. L’ipotesi di fondo è che i gestori attivi e passivi selezionano le azioni dallo
Gli ETF in Italia
10
stesso paniere e la sola differenza è in termine di pesi relativi. Per cui per definizione
la gestione attiva è un gioco a somma zero.
Per gestione attiva si intende una modalità di gestione del risparmio in cui il fund
manager, nonostante definisca a priori un benchmark di riferimento, cerca di sfruttare
le opportunità che si presentano sul mercato attraverso scelte precise in termini di asset
allocation, stock picking e market timing, per ottenere rendimenti addizionali e
conseguire una performance risk adjusted superiore alla media. Con riferimento allo
stock picking, per esempio, una strategia attiva cercherà di acquistare azioni non
prezzate correttamente sulla base di una serie di parametri (per esempio l’alpha), con
l’ipotesi implicita che il mercato non è efficiente e che non tutta l’informazione
disponibile è scontata nel prezzo delle azioni.
In una gestione attiva, la strategia di benchmark hug è caratterizzata da una grande
attenzione al contenimento dei costi, a conseguire una performance almeno pari a
quella del benchmark, e alla capacità di sfruttare ogni possibile opportunità di
mercato. La posizione del manager è la seguente :
BppA hhh
Dove h
p
e h
B
sono i vettori dei pesi nel portafoglio e nel benchmark rispettivamente e
h
pA
esprime la posizione da gestione attiva.
In assenza di informazione i pesi del portafoglio e del benchmark sono uguali.
Bp hh
Mentre in presenza di informazione sono diversi, per poter realizzare extra-profitti
derivanti da opportunità speculative e di arbitraggio.
Bp hh ζ
Gli ETF in Italia
11
Per gestione passiva o indicizzata si intende, invece, un approccio gestionale in cui
l’obiettivo fondamentale è ottenere, consistentemente, una performance in termini di
rendimento e rischio pari a quella del benchmark di riferimento. L’ipotesi implicita in
questo caso è che il mercato è efficiente e che quindi i rendimenti possono essere
massimizzati attraverso un strategia del tipo “holding the market”.
La gestione passiva può essere intesa sotto due differenti accezioni:
ξ Basso livello di turnover: il massimo sforzo per un fondo passivo è nelle fasi
iniziali di costituzione, quando occorre definire con la massima attenzione le
caratteristiche più opportune del portafoglio rispetto al benchmark prescelto
(replica totale, stratificata o ottimale per fare un esempio) e massimizzare l’uso di
risorse scarse. Una volta costituito il fondo si adotta un strategia di buy and hold e
diventa improbabile che si proceda a una sua modifica se non in concomitanza a
particolari esigenze di cassa; mentre sono istituite efficienti procedure per la
gestione dinamica della raccolta netta del fondo. Saltuariamente possono essere
previste delle modifiche della composizione per ribilanciare il fondo al benchmark
di riferimento e in questi casi la tecnica privilegiata è il program trading.
ξ Far prendere al mercato le decisioni (anziché demandare tale funzione al fund
manager). A titolo esemplificativo, si pensi all’inclusione o all’esclusione di una
società dall’indice per svariati motivi (come una fusione o un take-over). A
seguito di tale avvenimento il fondo, per mantenere basso il tracking error, acquista
o vende l’azione in questione: è come se fosse il mercato (forse anche un pò gli
index-provider) e non il fondo a decidere quando gli scambi devono essere
effettuati. Ovviamente questo approccio market-driven, va spiegato meglio: il
benchmark in questo caso funge da input, e sulla base di questo il fund manager
deve poi decidere se e quali azioni effettivamente acquistare. Nel caso di un
ribilanciamento dell’indice, il gestore del fondo deve capire se il ribilanciamento
del portafoglio è immediatamente necessario o se incrementerebbe unicamente i
costi di transazione e, per esempio, nel caso di un right issue deve decidere se
aderire, in quale misura e attraverso quale modalità finanziare questo outflow
addizionale.
Gli ETF in Italia
12
La relazione tra gestione attiva e gestione passiva può essere considerata anche in
chiave evolutiva. In linea infatti con uno studio effettuato da Abn Amro, i due tipi di
gestione sono fortemente correlati e la loro distribuzione dipende essenzialmente dal
grado di maturità del mercato di riferimento. I mercati immaturi infatti sono altamente
inefficienti e i potenziali excess return ottenibili con una strategia attiva sono molto
ampi. Col tempo invece la competizione tra fondi a gestione attiva aumenta e il
mercato diventa così efficiente che alcuni fondi attivi escono dal mercato, permettendo
l’ingresso a fondi gestiti passivamente. Tuttavia, una strategia passiva non potrà mai
essere l’unica sul mercato, poiché in tal caso le situazioni di mispricing azionarie (e le
connesse opportunità speculative e di arbitraggio) sarebbero ampie: in una situazione
di equilibrio ci sarebbero abbastanza fondi attivi per giustificare un corretto pricing
degli strumenti finanziari, ma non troppi con riferimento ai costi e alle economie di
scala dell’analisi fondamentale.
Gli ETF in Italia
13
1.2 Aspetti chiave nella scelta del tipo di gestione
La scelta dell’una o dell’altra tipologia di gestione dipende da una serie di fattori tra i
quali si possono ricordare le prospettive di rendimento, la propensione al rischio, il
mercato di riferimento e le competenze distintive del fondo.
A questo proposito, evitando di assumere una posizione che supporti sistematicamente
l’uno o l’altro approccio, si evidenziano una serie di fattori che devono essere valutati
e ponderati da ogni singolo investitore. Va comunque ricordato che i due differenti stili
gestionali non sono incompatibili. In un ottica di diversificazione del portafoglio un
investitore ha infatti la possibilità di allocare il capitale in maniera efficiente per
cogliere i vantaggi che entrambe le teorie offrono.
1) Management Fee.
Tale valore può influire notevolmente sulla performance netta. Per un fondo con
gestione attiva questo può incidere per almeno 100-200 punti base: tale livello
implica l’obbligo per il fondo di superare il benchmark su base annua di almeno
l’1-2% per ottenere una performance netta pari a quella del parametro oggettivo di
riferimento. È evidente che un maggiore expense ratio caratteristico dei fondi a
gestione attiva si traduce in un più basso rendimento netto per gli investitori. Un
index fund presenta una forte riduzione del costo del personale, non impiegando
costosi ricercatori, analisti, market timers, stock pickers necessari per una gestione
attiva del portafoglio per ogni singola azione e per ogni singolo business day.
Tuttavia, va comunque sottolineato come un index fund sia soggetto a maggiori
costi di custodia e di amministrazione delle azioni in portafoglio.
Certamente l’importanza relativa di questo fattore dipende dalla percezione del
prodotto e dell’offerta e i costi annuali i gestione sono uno degli indicatori critici
dell’opportunità di scegliere un fondo piuttosto che un altro.
Gli ETF in Italia
14
2) Costi di transazione.
Una gestione attiva implica un turnover abbastanza elevato per cercare di
realizzare le opportunità che sono presenti sul mercato. Anche nell’ipotesi di un
elevato potere contrattuale del fondo e bassi costi di transazione, l’incidenza
annuale sarebbe almeno di altri 50 punti base sulla performance del fondo. Un
maggiore turn-over inoltre rende più probabile la realizzazione di capital gain
soggetti a imposta.
3) Trend di mercato.
Una gestione attiva è accompagnata normalmente dalla presenza di una maggiore
percentuale di cash nell’attivo (sia per la normale gestione della dinamica della
raccolta netta del fondo sia per cogliere rapidamente le opportunità di profitto che
si possono presentare), che può condurre a una underperformance del fondo nel
caso di crescita rapida del mercato, mentre può rappresentare un paracadute, anche
abbastanza significativo, nel caso di crollo dei corsi azionari.
4) Capitalizzazione.
In molti casi i benchmark sono costituiti da indici che comprendono tra i loro
criteri costitutivi quello della capitalizzazione azionaria. I fondi a gestione attiva
tendono a presentare una capitalizzazione media delle azioni in portafoglio
inferiore a quella del relativo indice. Ciò implica che l’andamento della
performance relativa tra società a elevata e a bassa capitalizzazione può condurre
a una outperformance o una underperformance. Nel 1989 la differenza di
rendimento tra società ad elevata capitalizzazione (misurato sulla base del FTSE
100) e quelle a bassa capitalizzazione (misurato dall’ Hoare Govett Smaller
Gli ETF in Italia
15
Companies’ Index) era pari al 30.3%, questa semplice statistica permette di
cogliere l’entità del problema e di intuire come anche una piccola differenza nei
pesi può determinare una differenza significativa dei rendimenti complessivi. Lo
stesso problema si presenta con riferimento a eventuali bias settoriali tra la media
dei fondi a gestione attiva e fondi indice.
5) Efficienza del mercato
Per sottolineare questo punto è utile accennare brevemente al concetto di
efficienza. Un mercato si dice efficiente quando i prezzi riflettono totalmente tutta
l’informazione disponibile.
ξ Un mercato è efficiente in senso “debole” se i prezzi delle azioni incorporano
correttamente tutta l’informazione che può essere desunta analizzando i dati
di mercato come i prezzi storici o il volume degli scambi.
In altri termini un mercato è efficiente in senso debole se i prezzi seguono un
“random walk”, perciò i movimenti futuri dei prezzi non possono essere
previsti analizzando quelli passati: uno stock picking basato sugli andamenti
passati del titolo non dà risultati consistentemente superiori ad una stock
selection totalmente casuale.
Matematicamente:
P
t
=P
t-1
+ Rendimento atteso + Errore casuale
t
Il prezzo in t è uguale alla somma del prezzo dell’ultima osservazione, del
rendimento atteso sull’azione e di una componente casuale. Il rendimento
atteso è funzione del rischio relativo all’azione, mentre la componente casuale
è dovuta all’arrivo di nuova informazione; tale componente ha valore atteso
pari a zero e il suo valore in un periodo non è collegato al suo valore nei
periodi precedenti.
Gli ETF in Italia
16
ξ Un mercato è efficiente in senso “semi-forte” se i prezzi incorporano tutta
l’informazione pubblica disponibile relativa alle varie società, comprendendo
anche la pubblicazione di bilanci o l’emissione di nuove azioni.
ξ Un mercato è efficiente in senso “forte” se i corsi azionari riflettono tutta
l’informazione rilevante relativa alle società, comprendendo anche
l’informazione privata nota unicamente a “company insider”
Nel caso in cui il mercato di riferimento è efficiente non vi è possibilità di
“beating the market “ o di outperformance del fondo in maniera statisticamente
significativa.
Se i mercati sono efficienti la capacità di battere il mercato in maniera continuativa
dipenderà, allora, esclusivamente dalla fortuna o dalla capacità di accedere ad
insider information (questa seconda via non funziona nel caso in cui il mercato è
efficiente in senso forte).
Sulla base di questa impostazione i fund manager tenderanno, in media, a superare
l’indice, ottenendo un risultato apprezzabilmente superiore a quello della gestione
passiva, solo in mercati meno efficienti e con maggiori e evidenti asimmetrie
informative.
6) Cross-sectional Volatility
Se il livello di volatilità è molto elevato, cioè le performance relative tra le varie
azioni tendono a cambiare, vi è una maggiore opportunità per bravi fund manager
di individuare azioni vincenti e poter così ottenere rendimenti superiori.
Gli ETF in Italia
17
7) Capital asset pricing model (CAPM).
Tale modello esprime una delle relazioni base tra rischio e rendimento.
E( Ri) = R
F
+β
i
(E( R
M
) - R
F
)
E( R) esprime il rendimento atteso relativo all’azione i-esima
R
F
esprime il tasso di interesse privo i rischio
β esprime la sensibilità dell’azione a movimenti nel portafoglio di mercato
E( R
M
) esprime il rendimento atteso del portafoglio di mercato
Il rendimento atteso di un’azione è collegato linearmente al suo beta.
Il rischio è misurato dalla varianza nei rendimenti, mentre il rendimento atteso ne
rappresenta la ricompensa. Un investitore avverso al rischio tra due investimenti
con stesso rendimento atteso ma differente varianza, sceglierà quello con la
varianza più bassa. Così come tra due investimenti con stessa varianza ma con
differente rendimento atteso sceglierà quello con rendimento atteso più elevato.
Sulla base di tale teoria, quindi, esiste una relazione lineare tra rischio assunto e
rendimento atteso. Un fondo indicizzato avente come benchmark un paniere molto
diversificato (per cui il rischio non idiosincratico è neutralizzato) è certamente
meno rischioso di un fondo attivo particolarmente aggressivo: questa minore
rischiosità può essere interpretata, per esempio, come la capacità di dare, in
normali condizioni di mercato, un rendimento di poco inferiore a quello dell’indice
di riferimento in maniera costante e consistente per ogni periodo. La strategia da
gestione attiva dovrebbe dare quindi un rendimento ben superiore a quello di
mercato, semplicemente per ricompensare il maggior rischio assunto da parte del
risparmiatore.
Gli ETF in Italia
18
8) Self full-filling prophecy
L’indicizzazione influenzerebbe i corsi azionari delle azioni del benchmark di
riferimento comportando un fenomeno di carattere inflativo che farebbe si che la
crescita degli asset under management di fondi passivi spingerebbe i corsi delle
azioni e di qui comporterebbe una minore possibilità da parte della gestione attiva
di superare l’indice.
Le tesi sono differenti e possono essere citati diversi studi :
1. uno studio condotto da Randall Morck e Fan Yang, docenti presso
l'Università Alberta, USA, ha dimostrato che la superiorità degli index mutual
fund è legata alla presenza di una palese inefficienza del mercato azionario.
Morck e Yang si riferiscono agli effetti che si verificano in seguito
all'inserimento di un titolo azionario all'interno dell'indice Standard and Poor's
500. In pratica, i due economisti hanno dimostrato che soltanto i titoli inseriti in
tale paniere riescono, nel lungo periodo, ad esprimere tutte le loro potenzialità. I
due studiosi hanno inoltre evidenziato come negli ultimi anni si è verificato un
trend crescente nel livello di tale inefficienza. Dinanzi a tendenze di questo tipo,
battere lo Standard and Poor's 500 sarebbe quasi impossibile.
2. In un’altra analisi
3
per testare la suddetta ipotesi si effettuava una
regressione lineare del differenziale della performance tra l’S&P 500 e il
Russell 2000: tale lavoro dimostra come questo differenziale non sia correlato
con il flusso di moneta investito in fondi a gestione passiva che replicano
quell’indice.
3
Si veda G.Burron,Malkiel e A. Radsich , 2002 “The growth of index funds and the pricing of equity securities”