1
PREMESSA
Mi piace considerarla una parentesi del mio percorso biografico o molto
spesso mi è capitato di definirlo come “un sogno”, perché non si possono contare
le volte in cui quello che stavo vivendo pensavo non potesse appartenere alla
realtà. Tutto è cominciato lo scorso aprile 2010, quando dalla stessa Università di
“Tor Vergata”, mi è stata assegnata una borsa di studio per trascorrere un semestre
presso la ”Universidas de Buenos Aires”. L’Argentina fino a quel momento era
una terra a me sconosciuta, e l’idea che avevo di essa si basava sui classici
stereotipi del tango, Maradona, le struggenti telenovelas di rete 4, e lo storico
programma televisivo di Raffaella Carrà, che ricongiungeva gli emigrati in
Sudamenrica con i propri familiari residenti in Italia.
Partita da Lecce, per un interminabile viaggio di circa trentasei ore, atterrai
a Buenos Aires in una gelida giornata di fine luglio. Il primo gesto istintivo è stato
quello di guardare il cielo, mi avevano detto che in Argentina i suoi toni sono
unici, effettivamente il cielo era di un azzurro quasi fluorescente, e splendeva
sulle case colorate del mio adorato quartiere di San Telmo. Così come era
accaduto agli emigranti salentini, ai miei occhi Buenos Aires appariva immensa: i
suoi enormi viali pieni di luci, gli imponenti palazzi, e il traffico, la gente per
strada, tutto era “più grande”. Arte, artisti, musica, teatro, danza, lotta politica,
melting pot, fermento culturale, colori e rumori...Sono le parole che associo a
questo luogo del quale riuscì ad innamorarmi perdutamente in soli pochi giorni.
“L’Argentina per me era il paradiso!” hanno affermato alcune delle intervistate.
Forse oggi non è il modo migliore per definire questo Paese, le cui profonde crisi
sociali, economiche e politiche continuano a segnare in modo indelebile il
territorio e la sua gente. Quello che si può avvertire però è uno spirito di rinascita
e di rinnovamento che parte dal basso, dal popolo e soprattutto dai quei giovani
che credono ancora di poter cambiare il mondo con la forza dei propri ideali.
Scavando più a fondo però, nel suo essere così diversa da una qualsiasi città
europea, è impossibile non provare quella sensazione confusa del “trovarsi
2
dall’altro lato del mondo e sentirsi a casa”. Molte cose “fatte con spirito italiano”,
ricordano il Bel Paese, sono le stesse che appartengono a quel bagaglio culturale
portato dagli italiani nel corso di tutte le ondate migratorie. Ciò acquisisce
maggiore imponenza nell’ambito delle collettività dove nell’arcobaleno di lingue,
culture e provenienze, il bianco, il rosso e il verde della bandiera italiana spiccano
con maggiore intensità. Quanto affermato non può essere constatabile se non in
loco, solo vivendo questa realtà dal proprio interno ci si può rendere conto
dell’importanza che essa acquisisce nello stesso tessuto socio-culturale
latinoamericano.
Io ho avuto la fortuna di conoscere e addentrarmi nella collettività italiana
grazie all’esperienza di stage formativo realizzata presso la “Associazione Puglia
Buenos Aires e Gran Bs. As.”, che oltre ad aver rappresentato un prezioso
momento di formazione professionale mi ha permesso di entrare a far parte anche
se per pochi mesi degli “Italiani d’Argentina”. Le emozioni provate non è facile
trasformarle in parole, sono gesti, sguardi, sorrisi e lacrime delle persone
conosciute nel mio viaggio. Di coloro che vedevano in me l’unico legame con
l’Italia lontana alla quale probabilmente non avrebbero più potuto farvi ritorno o
di chi cercava con i miei racconti di ricostruire alcuni momenti della propria
infanzia e la stessa memoria familiare, fino ai più giovani che hanno avuto la
possibilità di conoscere meglio la terra dei propri nonni, e di guardarla con gli
occhi di chi condivideva i loro stessi interessi.
Con queste emozioni compresi che mi era stato assegnato un ruolo: quello
di farmi portavoce della mia terra e della sua cultura oltreoceano, un ruolo
assegnatomi dagli stessi italiani d’Argentina per il solo fatto di essere una giovane
italiana d’Italia. Così in molte occasioni è stata richiesta la mia partecipazione: dai
programmi radio della collettività italiana a varie feste e manifestazioni,
organizzate nella Provincia di Buenos Aires. Momenti in cui ho compreso che
l’amore provato da questa gente nei confronti della propria terra d’origine merita
tutte le attenzioni da parte delle istituzioni residenti in madrepatria, ma anche e
soprattutto dalla gente comune che in molti casi non è a conoscenza della presenza
di “un'altra Italia” oltreoceano.
3
Da qui nasce l’idea di realizzare il presente lavoro, sentivo che questa
esperienza così determinante per la mia crescita professionale e personale,
meritasse di trasformarsi, al mio ritorno in patria, in qualcosa di più importante
che un semplice ricordo. Spero infatti con la mia ricerca di poter dare un
contributo a quel tanto auspicato legame tra gli emigranti pugliesi e la propria
terra d’origine, affinché lo stesso continui ad esistere e trovi le ragioni per
rinnovarsi e rafforzarsi soprattutto tra le nuove generazioni.
Per questo è stato scelto come oggetto di studio alcune famiglie provenienti
dalla penisola salentina, ed emigrate in Argentina nel secondo dopoguerra.
Attraverso le loro storie di vita e con il supporto di altro materiale bibliografico è
stata possibile una ricostruzione storica del fenomeno migratorio italiano in
Argentina testimoniando contemporaneamente l’esistenza di una comunità
salentina sullo stesso territorio. Sono state messe in luce sensazioni, emozioni e
immaginari dei suoi componenti, dalle motivazioni della partenza, al viaggio
iniziatico oltreoceano e all’accoglienza riservata loro dalla terra ospitante.
Successivamente l’attenzione è stata puntata verso le nuove generazioni nel
tentativo di verificare sia la conoscenza del patrimonio folklorico della terra
d’origine che il loro sentimento d’appartenenza nei confronti della stessa.
Infine è stata sottolineata la necessità di portare avanti politiche di
promozione territoriale, atte ad una più profonda e pratica conoscenza delle
tradizioni e della cultura salentina, le quali potrebbero costituire una risposta
tangibile al recupero e rivitalizzazione di patrimonio culturale oltreoceano. Anche
la conoscenza di questa comunità nella terra d’origine, allo scopo di promuovere
dialoghi interculturali, cooperazioni e scambi socio-economici tra i due territori, le
loro popolazioni e le istituzioni. Per questo sono state menzionate alcune attività
già realizzate, e proposte delle altre che mirano al coinvolgimento delle nuove
generazioni. Tali attività culturali, oltre a contribuire alla conservazione, recupero
e rivitalizzazione delle tradizioni salentine in Argentina, potrebbero costituire un
valido strumento per favorire quell’auspicato e dibattuto processo di
internazionalizzazione del prodotto turistico “Salento”.
4
LE STORIE DI VITA COME STRUMENTO D’ANALISI:
METODOLOGIE E STRUTTURA DELL’ INDAGINE
QUALITATIVA
1. La metodologia qualitativa delle storie di vita
Nel caso dello studio di comunità migranti, l'utilizzo del metodo biografico risulta
particolarmente adeguato ad indagare e meglio comprendere alcune dinamiche
legate a comportamenti, sensazioni ed emozioni di coloro che ne fanno parte. Al
riguardo, il sociologo statunitense Robert Ezra Park sostiene che:
le storie di vita […] quasi sempre illuminano alcuni aspetti della vita sociale
e morale che noi possiamo aver conosciuto fino a quel momento solo
indirettamente, per mezzo di statistiche e discorsi astratti
1
.
Egli, così come altri specialisti delle scienze umane, pone in
contrapposizione il metodo quantitativo con il metodo qualitativo affermando:
nel primo caso noi siamo come una persona al buio che cerca all’esterno
della casa e tenta di fare congetture su cosa sta succedendo all’ interno. Nel
secondo noi siamo come una persona che apre la porta ed entra e ha visibile
di fronte a sé cose che precedentemente ha solo congetturato
2
.
Nel caso specifico della ricerca da me proposta, quanto dichiarato dal
sociologo costituisce la motivazione principale per cui ritengo che la realizzazione
d'interviste a un campione di ventitre persone aventi origini salentine sia un
metodo valido per comprendere aspetti salienti del fenomeno migratorio
analizzato, così come l’individuazione di alcune dinamiche socio-culturali
presenti all’interno del gruppo.
La contrapposizione tra metodo qualitativo e quantitativo risulta frequente
nel campo della ricerca sociale. Il primo infatti, secondo Alheit e Bergamini è
posto in secondo piano e viene quindi applicato a «strategie “soft” o più o meno
non professionali di impiego di metodi scientifici»
3
mentre il secondo è
1
R. E. Park, citato in P. ALHEIT, S. BERGAMINI, Storie di vita: metodologia di ricerca per le
scienze sociali, Milano, Guerini, 1996, p. 25.
2
Ibidem.
3
Ibidem, p. 24.
5
considerato «l’approccio “hard” alla realtà indagata - inoltre - sembra essere
quello quantitativo quasi sempre sinonimo di “esatto”»
4
. I suddetti autori tendono
a precisare che le relazioni quantitative da sole non possono dimostrare alcuni
aspetti della realtà sociale la quale nella maggior parte dei casi va compresa e
scoperta anche attraverso l’analisi di fattori non statisticamente misurabili.
Alla luce di ciò, gli stessi affermano che affinché un fenomeno sociale possa
essere analizzato al proprio interno, attuandone un processo di “scoperta” di
alcuni aspetti caratteristici, non può seguire la logica delle «conclusioni
deduttive»
5
con le quali si può stabilire solo «se una regola è vera o falsa»
6
senza
avere la possibilità di effettuare eventuali scoperte teoriche. Risulta quindi
opportuno applicare la logica delle «conclusioni abduttive»
7
di Charles Sanders
Peirce, ossia «la capacità di stabilire nessi teorici fra fenomeni sociali che non
erano mai stati considerati come collegati»
8
.
Secondo Roberto Cipriani, invece, all’interno delle scienze sociali, il
metodo ritenuto più significativo ancora oggi è quello quantitativo: «Basterà fare
un breve inventario delle risultanze scientifiche più recenti per accorgersi che la
dominante è rappresentata dalla prospettiva quantitativistica»
9
. L’ autore sostiene
che gli strumenti qualitativi hanno ancora bisogno di:
mettere a punto una corretta metodologia d’analisi piuttosto che bruciare le
tappe senza una necessaria e adeguata riflessione teorica
10
[in quanto
devono] recuperare molto del terreno perduto a causa degli ostacoli frapposti
sino ad oggi dal quantofrenismo imperante
11
.
2. L’ affermazione del metodo biografico nel campo delle scienze sociali
Una ricostruzione storica sull’utilizzo del metodo biografico viene effettuata da
Pineau e le Grand
12
i quali sostengono che antecedenti del genere si possano
4
Ibidem.
5 Ibidem, p. 25.
6 Ibidem.
7 Ibidem, p. 26.
8
Ibidem.
9
R. CIPRIANI (a cura di), La metodologia delle storie di vita: dall’ autobiografia alla life history,
Roma, Euroma, 1995, p. 10.
10
Ibidem, p. 23.
11
Ibidem, p. 26.
12 Cfr. al riguardo il percorso storico tracciato, nella loro opera, da G. PINEAU, J. L. LE GRAND,
Le storie di vita, Milano, Guerini, 2003 pp. 37 segg.
6
ritrovare nei Bios socratici della Grecia Antica (autobiografie appartenenti al V
secolo a.c.) così come nelle Confessioni di Sant’Agostino risalenti al 400 d.c.
Nel XVI secolo appaiono nuovi generi di scrittura tra cui le «memorie»
13
che «si situano […] all’intersezione tra la storia collettiva ufficiale di fatti
importanti e la storia di vita individuale»
14.
. Sono storie di personaggi che hanno
contribuito attivamente o partecipato a vario titolo allo svolgersi di alcuni eventi
storici.
A queste si contrappongono i «ricordi»
15
, ossia racconti di persone che
vengono considerate «storicamente meno importanti»
16
.
Il secolo XVIII vede l’esplosione di vari generi biografici, così come la
nascita della parola «autobiografia»
17
con cui si identifica il racconto di vita che
viene scritto dal suo stesso protagonista, il quale non deve corrispondere
obbligatoriamente ad un personaggio storico di rilievo. Ciò contribuisce alla
diffusione della consapevolezza che «la storia di vita risulta significativa pur a
prescindere dalla sua durata e dal momento della sua stesura»
18
. Si introduce a
questo punto un’importante novità: quella della democratizzazione del genere,
visto non più come strumento riservato al racconto di storie e gesta di grandi
personaggi, ma quello che interessa, come afferma Lejeune, è «la vita di tutti
quanti […] e le forme più elementari»
19
.
Nel XIX secolo iniziano a prendere forma quegli aspetti che distingueranno
le differenti scienze umane, ed è in questo contesto che si afferma il conflitto della
disciplina sociologica, la quale oscilla tra «il modello delle scienze naturali e un
approccio ermeneutico, cioè un’interpretazione dei fenomeni prossimi alla
letteratura»
20
. Come scrive Wolf Lepenies:
Il problema della sociologia risiede nella contraddizione che consiste
nell’imitare le scienze naturali senza poter diventare veramente una scienza
naturale del mondo sociale. Ma se rinuncia al suo orientamento scientifico si
avvicina pericolosamente alla letteratura
21
.
13 G. PINEAU, J. L. LE GRAND, op.cit, p. 43.
14
Ibidem.
15 Ibidem.
16
Ibidem, p. 44.
17
Ibidem, p. 45.
18
R. CIPRIANI (a cura di), op. cit., p. 19.
19
G. PINEAU, J. L. LE GRAND, op. cit., p. 47.
20
Ibidem, p. 55.
21
Ibidem, p. 56.
7
Lo stesso problema si pone per il metodo biografico, che proprio in questi
anni viene messo in discussione perché in bilico tra scienze sociali e letteratura.
In Germania sotto l’influenza del Romanticismo, nasce una corrente di
pensiero che rifiuta «Il modello unico delle scienze della natura»
22
cioè, secondo
il pensiero di Wilhelm Dilthey «l’uomo non può costituire un oggetto comparabile
agli oggetti della natura e il modo di affrontarlo non potrebbe essere identico»
23
.
Dal movimento tedesco troveranno ispirazione Albion Small, William
Thomas e Robert Park, per la nascita di un modello sociologico americano che
darà vita nel primo ventennio del ‘900 alla “Scuola di Chicago” considerata
particolarmente famosa per aver sviluppato il proprio modello di ecologia umana:
un approccio di studio che pone in relazione di reciproca influenza l’individuo e
l’ambiente. In questo contesto risultano determinanti le figure di Thomas e
Znaniecki che all’interno della scuola daranno vita ad una delle opere più
importanti del genere biografico: “Il contadino polacco”. I due sociologi,
analizzano il racconto di vita e lo inseriscono in una riflessione sociologica
affermando:
I racconti di vita personali, il più completi possibile, costituiscono il genere
perfetto di materiale sociologico. E che, se la scienza sociale è portata a
ricorrere ad altri materiali, di qualunque tipo siano, è unicamente in ragione
della difficoltà pratica che esiste attualmente di disporre di un numero
sufficiente di questi racconti per coprire la totalità dei problemi sociologici e
dell’enorme quantità di lavoro che esige un’analisi adeguata di tutti i
materiali personali e necessari per caratterizzare la vita di un gruppo
sociale
24
.
L’opera “Il contadino polacco” costituisce un’inchiesta con cui si intende
studiare le questioni interetniche riguardanti l’immigrazione ed acquista
un’importanza fondamentale nel capo degli studi sociologici perché utilizza
documenti autobiografici, introduce elementi importanti alla sociologia della
conoscenza e rappresenta una delle prime opere che diede vita alla sociologia
dell’immigrazione.
22
Ibidem, p. 57.
23
Ibidem.
24
W. THOMAS, F. ZNANIECKI, cit. in Ibidem, pp. 58 - 59.
8
Dagli anni quaranta agli anni settanta il genere biografico è colpito da una
«lunga eclisse»
25
, provocata dalla tendenza a quantificare i fenomeni sociali
attraverso questionari e sondaggi: in questo contesto che si afferma la “Scuola di
Columbia” e il funzionalismo di Talcott Parsons.
La scienza antropologica, con “I figli di Sanchez” di Oscar Lewis (1961)
rilancia il metodo qualitativo il quale a partire dalla fine degli anni settanta
riacquista credibilità, trasformandosi in una «moda»
26
. Tutto ciò è stato favorito
dall’invenzione del magnetofono e dall’esigenza di “registrare“ il cambiamento
culturale che si stava verificando in quegli anni: il passaggio da una società rurale
ad una società urbana. Si sviluppa cosi la volontà di dar voce non solo alle élite,
ma anche a quella classe operaia affermatasi nel post-sessantotto. Gli stessi autori
sopracitati affermano:
Così questa generazione di sociologi con una sensibilità militante, si
interessa da vicino ad approcci qualitativi che rompono con una certa
“quantofrenia”, la cosiddetta propensione a non accordare validità se non ai
soli dati messi in cifre, una propensione cioè che minaccia le scienze
sociali
27
.
Sarà Georges Lapassade nei primi anni novanta a dar vita ad una corrente
denominata “etnosociologia” che favorirà un «movimento di “riscoperta” delle
storie di vita»
28
dovuto soprattutto allo sviluppo delle indagini sul campo, le quali
attribuiscono particolare importanza alla «descrizione dell’universo del singolo e
al quotidiano»
29
.
Dato il percorso cronologico, sull’utilizzo delle storie di vita nel campo
delle scienze sociali, sembra opportuno menzionare il sociologo italiano Franco
Ferrarotti, che si è servito del metodo biografico per realizzare alcuni lavori
relativi all’industrializzazione e alla città. Importante è il suo contributo
nell’applicazione delle storie di vita, tanto che insieme al francese Daniel
Bertaux, costituiranno il comitato Biography and Society della ISA
30
, ma la sua
25
Ibidem, p. 62.
26
Ibidem, p. 70.
27
Ibidem.
28
Ibidem, p. 71.
29
Ibidem.
30
S.N., Franco Ferrarotti, sociologo dal sito internet www.francoferrarotti.it, consultato il
17/03/2011.
9
figura verrà ripresa successivamente, quando le storie di vita degli emigranti
provenienti dalla penisola salentina, saranno messe a confronto con la storia
trasmessa da documenti ufficiali.
Pineau e Le Grand, infine, considerano il metodo biografico uno strumento
attualmente importante poiché permette il racconto del vissuto di «persone
comuni»
31
. Essi stessi affermano:
E’sintomatico che si stia verificando un movimento di democratizzazione di
questo genere. Non si tratta più unicamente d’interessarsi ai grandi uomini e
ai grandi avvenimenti, quanto piuttosto al quotidiano: al vissuto delle
persone comuni che non fanno parte di alcuna élite. In tal senso siamo di
fronte al progetto militante di dare la parola a coloro che non la possiedono
nell’ ambito della cultura «alta»: operai, persone anziane, analfabeti, ecc.,
tutti coloro che non possiedono l’uso della scrittura, in altri termini si tratta
di restituire al popolo ciò che gli appartiene
32
.
Con questa citazione si introduce l’argomento del paragrafo successivo
sull’applicazione delle storie di vita all’interno delle scienze antropologiche.
3. Il metodo biografico nelle scienze antropologiche
In un articolo pubblicato da Garrido e Olmos nella rivista “Gazeta de
Antropología” del 1998 ritroviamo una definizione dei termini “storia” e “vita”
che nella prospettiva del tema proposto, risultano essere particolarmente
esplicativi:
Per «storia» intendiamo la storia in minuscolo di «personaggi senza
importanza»: non ci si riferisce alle gesta di eroi e grandi conquistatori,
uomini di scienza, politici o banchieri famosi; ma al contrario si tratta del
riflesso di una vita semplice, senza fama né gloria. Anche il termine «vita» si
differenzia dalle biografie che raccontano gli scrittori o le memorie che
descrivono persone di rilevanza politica, storica o sociale; piuttosto è la
storia raccontata in prima persona da un protagonista, da un «uomo di
strada»; anche se deve essere una persona che si esprime con una certa
fluidità e deve essere accompagnato da una buona dose di memoria
33
.
31
G. PINEAU, J.L. LE GRAND, op.cit., p. 25.
32
Ibidem.
33
A. ARJONA GARRIDO, J.C. CHECA OLMOS, Las historias de vida como metodo de
acercamiento a la realidad social, in «Gazeta de Antropologia», Granada, n. 14, 1998 Texto 14 -
10, p. 3. «[...] por «historia» entendemos la historia en minúsculas, de «personajes sin
importancia»: no se refiere a las hazañas de héroes y grandes conquistadores, hombres de
ciencia, políticos o banqueros famosos; mas al contrario, es el reflejo de una vida sencilla, sin
fama ni gloria. En cuanto al término «vida», también se diferencia de las biografías que narran
10
Lo strumento biografico rappresenta quindi per questi autori parte integrante
dell’approccio antropologico, e viene utilizzato per analizzare alcuni aspetti della
realtà sociale di cui fa parte l’individuo narrante. Secondo Pineau e Le Grand
34
,
autori come Clapier - Valladon (1983) propongono il concetto di «etnobiografia»
e ritengono che:
[nelle storie di vita] la persona è considerata come lo specchio del suo tempo
e del suo ambiente […]. Il ricercatore cercherà di contestualizzare il discorso
tanto rispetto al narratore, quanto rispetto al gruppo e al quadro dell’
ambiente socioculturale
35
.
Un’opera significativa è quella di Tante Suzanne, pubblicazione coprodotta
e cofirmata da Maurizio Catani e Suzanne Mazé in cui si evidenzia il passaggio
dai valori di un modo di vita rurale tradizionale a quelli basati su una moderna
economia urbana, tenendo conto dei cambiamenti e del modo in cui «l’antico si
perpetua nell’attuale»
36
. In questo caso si attribuisce particolare importanza alla
«dimensione socio simbolica aperta dal racconto di vita»
37
. Lo stesso si cercherà
di fare con la presente ricerca che verte su un’analisi indirizzata alla comprensione
del «senso che gli attori sociali danno ai loro atti e agli avvenimenti che li
riguardano»
38
. Il metodo biografico applicato all’antropologia si afferma
maggiormente nella scuola americana e britannica grazie anche a Malinowsky, un
ricercatore di origine polacca, il primo ad attribuire notevole importanza alla
ricerca sul campo. E’ il caso di menzionare una delle più grandi biografie:
Crashing Thunder pubblicata nel 1926 con cui si racconta la storia del capo
indiano Winnebago. In realtà fino al 1945 verranno raccolte una serie di storie di
vita di capi indiani, che rappresenteranno la testimonianza di una cultura in via di
estinzione.
los escritores o las memorias que describen personas de relevancia política, histórica o social;
más bien es el relato contado en primera persona por un protagonista cualquiera, de «un hombre
de la calle»; aunque ha de ser una persona que se exprese con cierta fluidez y venga acompañado
de una buena dosis de memoria». Traduzione dell’autrice.
34 Cfr. riguardo all’applicazione del metodo biografico nelle scienze antropologiche l’opera di G.
PINEAU, J. L. LE GRAND, op. cit., pp. 29 segg.
35
C. VALLADON, cit. in Ibidem.
36
Ibidem, p. 30.
37
Ibidem.
38
Ibidem.