7
In dottrina c’è chi ritiene che l’accertamento predisposto
dalle sentenze della Corte Internazionale di Giustizia vada
assumendo carattere definitivo, quindi, la differenza d’effetti
sostanziali delle decisioni tra Stati coinvolti e Stati estranei tende
ad affievolirsi. Secondo Benvenuti
2
, infatti, uno Stato, anche se
rimasto estraneo all’accertamento, sarà costretto a dimostrare che
proprio la sua mancata partecipazione ha condotto ad una
valutazione errata della situazione da parte della Corte se vuole
mantenere le pretese, giustificate in diritto, ma difformi dal
risultato della procedura di accertamento. Questa conseguenza,
però, non è tanto diversa da quella che subisce la parte
soccombente che ha partecipato alla procedura e che può
contestare la decisione quando la ritenga viziata, anzi, DEVE
contestarla se non vuole che pregiudichi i suoi interessi giuridici.
Tenendo conto di ciò, quindi, secondo Benvenuti, la differenza
tra effetti della sentenza per coloro che sono stati parti nel
processo ed effetti della sentenza per coloro che ne sono rimasti
estranei tende a ridursi: allo stesso modo si riduce la differenza
tra effetti dell’accertamento contenzioso (tradizionalmente
considerati obbligatori) ed effetti della procedura consultiva
(tradizionalmente considerati non obbligatori).
E’ da notare, comunque, che, mentre l’autorità di cosa
giudicata è sempre limitata alle sole parti in causa, che subiscono
l’efficacia incondizionata della procedura in base all’articolo 59
dello Statuto della Corte, in determinate situazioni i terzi
risentono degli effetti “riflessi” della sentenza. Questo avviene
quando i terzi sono titolari di una posizione giuridica connessa
con l’oggetto del giudizio.
Numerosi elementi, infatti, fanno ritenere che non sempre
l’articolo 59 dello Statuto possa costituire una tutela assoluta per
i diritti dei terzi.
2
V. BENVENUTI, L’accertamento del diritto mediante i pareri consultivi della Corte
Internazionale di Giustizia, Milano, 1985, p. 72.
8
La stessa Corte Internazionale di Giustizia ha fornito
alcuni spunti per una rivalutazione dell’effettiva portata del
principio della relatività del giudicato.
Si tratta di distinguere tra sentenze, che hanno «des
incidentes sur les intérêts juridiques d’un État, qui n’est pas
partie à l’istance», e quelle in cui i diritti e gli obblighi dello
Stato terzo rappresentano « l’objet même de la decision». Questa
distinzione è stata tracciata dalla Corte Internazionale di
Giustizia, nelle controversie relative all’Oro monetario preso a
Roma nel 1943
3
, alle Attività militari e paramilitari in e contro il
Nicaragua
4
, e al Timor orientale
5
.
In ordine alla controversia sul Timor est, ad esempio, la
Corte ha ritenuto di non poter giudicare nel merito, perché la
sentenza avrebbe accertato diritti ed obblighi di uno Stato
estraneo al procedimento. La Corte, però, in tale circostanza, ha
affermato che, in relazione ad alcune controversie, le sue
sentenze possono incidere in maniera diretta sugli interessi
giuridici di Stati terzi, senza dover dichiarare l’improcedibilità
dell’azione. Quindi, anche nei casi in cui la Corte respinga
l’eccezione d’improcedibilità per assenza di uno Stato coinvolto,
non si deve escludere che la sentenza possa produrre effetti verso
questi Stati. L’accertamento del giudice può esplicare
conseguenze di diversa entità e natura per alcuni Stati rimasti
estranei al processo.
Naturalmente, non ci si riferisce al problema relativo agli
effetti prodotti dalle sentenze della Corte Internazionale di
Giustizia, in quanto giuridicamente vincolanti nei confronti
dell’intera comunità internazionale. Le valutazioni giuridiche
contenute nella sentenza assumono autorevolezza nei confronti di
tutti gli Stati estranei al rapporto giuridico preso in esame; per
questi la sentenza è giuridicamente irrilevante come cosa
3
Cfr. C.I.J. “Recueil”, 1954, p. 32.
4
Cfr. C.I.J. “Recueil”, 1984, p. 431.
5
Cfr. C.I.J. “Recueil”, 1995, p. 120.
9
giudicata, ma può avere valore mediato. Ciò è dovuto al fatto che
le sentenze rappresentano un modo di accertare il diritto così
autorevole da coinvolgere anche Stati diversi da quelli per i quali
è stata emessa la pronuncia. L’articolo 38 dello Statuto della
Corte Internazionale di Giustizia, infatti, definisce le decisioni
giudiziarie come mezzo sussidiario per la determinazione di
norme giuridiche. Tutti gli Stati sono vincolati al diritto
consuetudinario, per questo, secondo il giudice Oda, nella sua
opinione dissenziente alla sentenza relativa all’Affare sulla
piattaforma continentale (Tunisia/Libia)
6
, è da escludere che gli
Stati non intervenienti abbiano, in virtù dell’articolo 59 dello
Statuto, un’assoluta estraneità, rispetto alla posizione espressa
dalla Corte in ordine all’interpretazione dei principi e delle regole
di diritto internazionale.
6
Cfr. C.I.J. “Recueil”, 1981, p. 30
10
1.2 Effetti della sentenza in caso di controversia
multilaterale.
Nonostante che il principio della relatività del giudicato,
sancito dall’art. 59 dello Statuto, tuteli gli interessi degli Stati
rimasti estranei al procedimento, vi sono determinate situazioni,
in cui la trattazione di una controversia, inevitabilmente
coinvolge tali Stati. Si tratta di quelle sentenze che, per una
categoria di soggetti, incidono sulla loro sfera giuridica con
effetti riflessi, senza avere autorità di cosa giudicata: è la
situazione degli Stati, che, pur estranei al rapporto processuale,
sono giuridicamente coinvolti, in modo specifico, dall’efficacia
della pronuncia.
Questo avviene, innanzi tutto, in presenza di una
controversia “multilaterale”, in quanto coinvolge più Stati sotto il
profilo sostanziale, anche se instaurata, a livello processuale, solo
tra due di essi. Alcuni esempi al riguardo sono la controversia
sull’Oro monetario
7
o quella riguardante le Attività militari e
paramilitari in e contro il Nicaragua
8
. In questi casi, lo Stato
attore coinvolge, con le sue pretese, la situazione giuridica di un
altro Stato, che non è parte del processo.
Qualora, quindi, la Corte non dichiari l’improcedibilità per
mancanza di una parte essenziale al processo e si pronunci sul
merito, la sentenza può esplicare effetti giuridici anche per gli
altri Stati parti della lite, sia pure solo sotto il profilo sostanziale.
Un’altra ipotesi si ha quando la Corte è investita di una
controversia sull’interpretazione e sull’applicazione di un trattato
multilaterale. In questo caso, gli effetti indiretti della pronuncia si
riflettono sulle future applicazioni del trattato da parte di tutti gli
Stati che vi aderiscono, anche se solo due parti si trovino in
contesa ed abbiano promosso l’azione. Si tratta di un caso
7
V. nota 3.
8
V. nota 4.
11
facilmente ricorrente, dato il progressivo sviluppo delle clausole
che conferiscono la giurisdizione alla Corte riguardo alle
controversie sull’interpretazione di accordi multilaterali. Va
ricordato, inoltre, che le sentenze dichiarative, dato il loro
oggetto, ancora più delle altre finiscono per produrre effetti nella
sfera giuridico-soggettiva degli Stati, estranei alla controversia,
ma parti contraenti del trattato. Gli Stati aderenti all’accordo si
trovano, quindi, in situazione di dipendenza giuridico-
sostanziale, in quanto subiscono l’efficacia riflessa della sentenza
sull’interpretazione delle norme del trattato.
In queste situazioni ci si chiede, quindi, se agli Stati che
intendono reagire contro gli effetti “riflessi” delle sentenze della
Corte debba essere riconosciuto il diritto di intervenire
9
.
L’intervento nel processo davanti alla Corte Internazionale
di Giustizia è contemplato da due norme distinte: l’art. 62, che è
la norma generale, e l’art. 63, che può considerarsi norma
speciale, perché contempla un’ipotesi determinata, in relazione
alla quale, pone una particolare disciplina.
Intervenendo in un processo pendente, uno Stato chiede
che la controversia che lo riguarda sia decisa in un determinato
modo, quindi propone una vera e propria domanda giudiziale. Lo
Stato interveniente diviene, così, una parte del processo pendente
e sarà, quindi, vincolato alla decisione che verrà resa,
limitatamente alla controversia che lo riguarda. Tale conseguenza
è espressamente enunciata nell’art. 63 dello Statuto, che,
riferendosi al caso di controversia sull’interpretazione di una
convenzione, dichiara che l’interpretazione data dalla sentenza è
obbligatoria anche per l’interveniente.
9
Secondo Rousseau, si avrebbe una stretta correlazione tra la maggiore e minore frequenza,
con cui vengono proposte domande d’intervento ad opera degli Stati e l’atteggiamento della
Corte, nei confronti degli Stati estranei al processo. Secondo quest’orientamento, se gli
Stati non hanno avvertito la necessità di agire in giudizio, ciò è dovuto al fatto che hanno
ritenuto che la Corte avrebbe, comunque, salvaguardato i loro interessi. (ROUSSEAU, Le
règlement arbitral et judiciaire et les États tiers, in Mélanges offerts à Henri Rolin,
Problèmes de droit de gens, Paris, 1964, p. 308.)
12
La volontà di proporre una domanda giudiziale, nella
forma d’intervento, è, nell’ipotesi particolare contemplata
dall’art. 63, espressa dallo Stato estraneo al processo attraverso
l’atto con cui tale Stato esercita il diritto di intervenire. Negli altri
casi, contemplati dalla norma generale dell’art. 62, la volontà
d’intervenire risulta dalla requête, attraverso cui lo Stato chiede
alla Corte l’autorizzazione all’intervento.
Tale volontà potrebbe anche mancare. Caso tipico di
«requête à fin d’intervention», basata sull’art. 62 dello Statuto,
qualificata come tale dallo Stato richiedente, ma accompagnata
dalla precisazione che essa non era diretta ad ottenere dalla Corte
la decisione di una controversia interessante lo Stato medesimo, è
quello della requête presentata da Malta per intervenire nel
processo pendente tra Tunisia e Libia, per l’affare della
Piattaforma continentale
10
.Vi si precisava, infatti, che Malta non
si proponeva di ottenere, dalla Corte, una decisione sui limiti
della propria piattaforma continentale riguardo alle due parti
principali o ad una di esse, ma solo di essere ammessa ad esporre
il proprio punto di vista sulle questioni sorte nel processo. Nel
corso della procedura orale si precisava, inoltre, che Malta
intendeva assumere, nel processo, non la qualità di parte, ma una
diversa posizione processuale, indicata come posizione di
“partecipante”.
In tale situazione, secondo Morelli
11
, la Corte non avrebbe
potuto fare altro che costatare, nella specie, l’inesistenza di una
«requête à fin d’intervention», intesa nel senso attribuitole
dall’art. 62 dello Statuto e, quindi, pronunciarsi per
l’irricevibilità. La Corte, invece, dichiarando che la requête non
poteva essere ammessa e ciò dopo aver esaminato il punto
relativo all’interesse invocato da Malta, si era pronunciata sul
merito della requête.
10
Cfr. C.I.J. “Recueil” 1981, p. 3 ss.
11
V. MORELLI, Note sull’intervento nel processo internazionale, in Rivista di diritto
internazionale, Milano, 1982.
13
Tornando a parlare delle caratteristiche dell’intervento nel
processo davanti alla Corte, si deve sottolineare che esso è
subordinato a determinate condizioni. Secondo l’art. 62, infatti,
lo Stato deve ritenere che un proprio interesse di natura giuridica
possa essere pregiudicato dalla decisione. La presenza di questa,
come anche delle altre condizioni richieste, deve formare oggetto
di un accertamento preventivo da parte della Corte. Solo se
quest’accertamento ha esito positivo e la requête diretta alla
Corte è ammessa, lo Stato terzo acquista la qualità di parte nel
processo. La Corte deve accertare l’esistenza di un interesse
d’ordine giuridico dello Stato terzo ed un rapporto tra tale
interesse e processo pendente, rapporto costituito dalla probabile
lesione dell’interesse del terzo per effetto di tale processo.
La necessità di un accertamento preventivo da parte della
Corte è, invece, esclusa dall’art. 63 che, per la particolare ipotesi
contemplata, dichiara che lo Stato terzo, che sia parte della
convenzione della cui interpretazione di cui si tratta, ha diritto di
intervenire al processo. In questo caso, quindi, l’intervento si
configura come effetto diretto dell’atto del terzo, che viene
qualificato dal regolamento come «déclaration d’intervention».
Questa diversa disciplina si spiega agevolmente se si
considera che, in tale ipotesi, l’interesse d’ordine giuridico risulta
dalla stessa qualità del terzo di parte della convenzione.
Dire, però, che, per l’art. 62, la Corte è chiamata a decidere
preventivamente sull’ammissibilità o meno dell’intervento non
vuol dire che essa goda di un potere discrezionale al riguardo; al
contrario, una volta compiuto, in senso positivo, l’accertamento,
la Corte non può che pronunciare nel senso dell’autorizzazione
del terzo ad intervenire.
Larga parte della dottrina internazionalistica ritiene
comunque, che la Corte Internazionale di Giustizia sia
sfavorevole ad un allargamento del giudizio a Stati diversi
dall’attore e dal convenuto. C’è chi ritiene, infatti, che la Corte
14
abbia scelto un’interpretazione restrittiva dello Statuto, in modo
da dissuadere gli Stati potenzialmente interessati all’intervento.
Questo rischia di rappresentare un pregiudizio per la posizione
giuridica dello Stato estraneo al processo che risente degli effetti
indiretti delle sentenze della Corte. In realtà si tratta d’incertezze,
da parte degli Stati, nello scegliere la forma d’intervento più
adatta alla tutela dei loro interessi (articolo 62 o articolo 63). Nel
caso Land Island and Maritime Frontier Dispute
12
la Corte ha
fornito un’interpretazione del tipo d’intervento previsto dall’art.
62, secondo cui lo Stato titolare di un interesse di natura
giuridica, suscettibile di essere pregiudicato dalla decisione, può
presentare un’istanza d’intervento sulla cui ammissibilità decide
la Corte
13
.
Non sembra, invece, che ci sia alcuna chiarificazione
riguardo all’art. 63, che prevede il diritto di tutti gli Stati parti di
un trattato di partecipare al processo, avente ad oggetto le
controversie sull’interpretazione di tale trattato. Questo perché
l’art. 63 trova scarsa applicazione da parte degli Stati. L’art. 63
sembra, però, rivestire un rilievo predominante rispetto all’art.
62, perché destinato a veder accresciuta la sua utilizzazione per
effetto della diffusione delle clausole compromissorie e, di
conseguenza, dell’espandersi della competenza della Corte in
merito a controversie sull’interpretazione e applicazione dei
trattati. In questi casi, far dipendere la partecipazione degli Stati
da una decisione discrezionale della Corte (come previsto
dall’art. 62) ed escludere che esista un vero e proprio diritto di
intervenire nel processo, significherebbe sottovalutare
l’importanza del contributo, che tali Stati possono dare
all’interpretazione del trattato ed ignorare l’esigenza di evitare
12
Cfr. C.I.J. “Recueil”, 1990, p. 130.
13
Va precisato, però, che la pronuncia è stata emessa non dalla Corte, quale organo
collegiale, ma da una Camera composta, per una parte, da giudici che, già in altre occasioni,
si erano dimostrati favorevoli ad accogliere le domande d’intervento. Si è trattato, inoltre,
di una controversia singolare, in considerazione della stretta connessione, che presentano le
posizioni giuridiche dei tre Stati rivieraschi, vista la loro stretta vicinanza geografica nel
Golfo di Fonseca.
15
che in materia si consolidi un’interpretazione contrastante con i
loro interessi.
Per definire chiaramente la portata degli artt. 62 e 63 e il
diverso ruolo che questi svolgono, si deve verificare il significato
dell’intervento alla luce del principio sancito dall’art. 59. Esso,
da un lato, esclude la competenza del giudice internazionale a
dirimere questioni riguardanti diritti ed obblighi di Stati terzi,
dall’altro, costituisce una disposizione di garanzia della posizione
giuridica dello Stato terzo, che non subisce l’autorità dell’altrui
cosa giudicata, cui, invece, sono soggette le parti in causa.
Si tratta, allora, di verificare, alla luce della prassi, il valore
della regola della relatività della cosa giudicata “sostanziale”
nell’ambito delle situazioni giuridiche soggettive degli Stati.
Nei prossimi capitoli, quindi, si analizzeranno i due tipi
d’intervento previsti dagli artt. 62 e 63, cercando di metterne in
evidenza i diversi presupposti e le differenti conseguenze della
loro applicazione, alla luce della giurisprudenza della Corte.