GLI EFFETTI ELUSIVI DELLA FUSIONE DI SOCIETÀ
Introduzione
La fusione di società rappresenta una delle più risalenti ed importanti figure di quel vasto ed
eterogeneo insieme di istituti giuridici noti come “operazioni straordinarie d'impresa”. Essa è stata,
ed è tuttora oggetto di studi ed approfondimenti da parte della dottrina civilistica, e più in
particolare delle dottrine di diritto commerciale e societario.
Questo istituto è, però , non solo un argomento di estremo interesse per la dottrina civilistica intesa
tout court, ma ha profondamente interessato ed appassionato anche la dottrina tributaristica, la quale
ha fatto oggetto di studio la disciplina fiscale di questa operazione straordinaria in relazione, non
solo alle discipline fiscali (piu o meno rapportabili ad essa) delle altre figure di operazioni di
gestione straordinaria, ma soprattutto in relazione alle ben più vaste e complesse problematiche
sottese alla fiscalità d'impresa, intesa come uno dei più rilevanti ed affascinanti sottosistemi
d'imposizione fiscale che compongono il nostro variegato (e molto spesso inestricabile)
ordinamento tributario.
La fusione ha una lunga storia negli studi di diritto tributario non limitatamente a sè stessa e agli
aspetti della sua disciplina fiscale, ma anche in relazione ad una prassi, che sarebbe più corretto
definire un “problema” di non poco momento quale l'elusione fiscale.
L'intreccio fra questa nebulosa figura del diritto tributario generale, con questo fondamentale
istituto del diritto tributario d'impresa (se così si vuol definirlo) ha dato vita ad una più ampia
problematica che si intende indagare in questa sede.
Gli effetti elusivi della fusione di società, da cui il titolo della nostra disamina, sono un qualcosa
che, come vedremo nel corso della trattazione si pone fra la realtà concreta e gli equivoci
dell'Amministrazione finanziaria, nei quali quest’ultima è, costantemente, caduta in ragione,
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talvolta, di una pervicace quanto inutile adesione ad impostazione dottrinali assolutamente erronee
nelle premesse di fondo, e talatra, per una adesione ad un'interpretazione delle norme fiscali
radicalmente pro fisco , volta in tutto e per tutto a porre il contribuente nella condizione di apparire
e di sentirsi “in colpa” pur non avendo posto in essere condotte, anche solo minimamente in
contrasto con norme o principi dell'ordinamento.
Una simile analisi non potrà prescindere, almeno in apertura, da un breve sguardo ai profili
civilistici della fusione societaria, rispetto ai quali la dottrina di diritto commerciale e societario si è
alternata in diverse concezioni, specie circa gli effetti e quindi la natura intrinseca di questa
operazione.
Tanto meno ci si potrà esimere dall'inquadramento della fusione rispetto agli altri istituti della
gestione straordinaria d'impresa quali le scissioni, le trasformazioni, i conferimenti e quant'altro.
A questa sorta di introduzione in termini molto generici sulla materia, sarà opportuno, per non dire
irrinunciabile, accostare una trattazione piuttosto estesa sulla figura dell'elusione fiscale.
Figura, come avevamo accennato, piuttosto nebulosa rispetto alla quale torneranno di estrema utilità
tutta una serie di distinzioni concettuali rispetto a figure, per certi versi affini (o più semplicemente
ad essa accostate dalla dottrina in quanto concettualmente contigue) ad essa come l'evasione fiscale
(sulla quale però sarà sufficiente limitarsi ad una distinzione di massima, vista la difficoltà nel
confonderle) e il risparmio d'imposta (e la lecita pianificazione fiscale da cui sola esso può
scaturire). Quest’ultima figura rimarrà presente, in maniera pressochè costante, nel corso dell'intera
trattazione, in quanto il vero “pericolo” che il contribuente affronta nell'organizzare i propri affari, è
lo stesso che attanaglia l'equilibrista. Il contribuente/operatore economico, infatti, può considerarsi
un “equilibrista” nel senso che egli si muove sempre su quella sottile linea che divide una condotta
lecita e quindi accettata (se non addirittura incentivata) dal sistema, ergo lecita, quale il lecito
risparmio d'imposta, e l'elusione fiscale, contrastata con vari strumenti da parte dell'ordinamento.
Nell'illustrare il concetto di elusione non si può omettere inoltre di descrivere, seppur sinteticamente
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la figura dell'abuso del diritto fiscale, di derivazione giurisprudenziale (oltre che comunitaria).
Al di là di questi due aspetti della nostra indagine, i quali, seppur di estremo rilievo, rimangono in
un certo senso relegati al ruolo di parti “preparatorie” o “preliminari” rispetto al cuore dell'indagine,
in cui l'adozione di una prospettiva a carattere sistematico della figura dell'elusione (riferita però
non ad un concetto “da studiosi”, ma ancorata al disposto dell'art. 37Bis del DPR 600/1973) ci
consentirà di procedere ad un'analisi degli effetti elusivi della fusione di società, fortemente
supportata dal ricorso ad un breve repertorio di casistica (pareri del Comitato consultivo, risoluzioni
e sentenze) che costituisce una base ineliminabile per comprendere ciò che è (o è stata) realmente
elusione, in seno alle fusioni di società (e ad operazioni di riorganizzazione societaria più
complesse, nelle quali la fusione costituiva uno degli step) e ciò che è stato solo frutto di una
“svista”, o meglio, di una “cattiva” interpretazione delle norme e dei principi posti a fondamento dei
singoli sottosistemi d'imposizione.
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Capitolo I
LA FUSIONE DI SOCIETÀ
1.1 – Profili civilistici
Aprire una trattazione che abbia ad oggetto una tematica di diritto tributario con un paragrafo
intitolato “Profili civilistici” non deve dar adito ad alcun equivoco: una simile scelta nasce dalla
consapevolezza che il richiamo a concetti civilistici nell'ambito tributario sia piuttosto frequente e
naturale, anche se non in grado di fornire automaticamente soluzioni alle problematiche proprie di
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questo settore giuridico. Infatti la ricerca di soluzioni inerenti problemi economico-patrimoniali
(propri del diritto tributario) in seno a branche del diritto, come il diritto civile in primis, nonchè il
diritto commerciale (per quanto riguarda il tema specifico di questa trattazione), non ingenera il
rischio di giungere a soluzioni errate: più semplicemente si rischia di non trovare affatto delle
soluzioni, in quanto problemi di un simile tenore, sono del tutto avulsi rispetto alle aree d'indagine
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proprie delle suddette materie.
Detto ciò, in primo luogo và rilevato che la fusione di società, quale operazione di aggregazione e
riorganizzazione aziendale per eccellenza, non trova nel nostro codice civile alcuna definizione
compiuta. L'art.2501 c.c. si limita infatti a prevedere che la stessa possa “eseguirsi mediante la
costituzione di una nuova società, o mediante l'incorporazione di una società in una o più altre.”
Una primissima definizione del concetto di fusione era stata proposta da un'autorevole quanto
risalente dottrina nell'ambito del diritto commerciale: “compenetrazione in un'unica organizzazione
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sociale di più organizzazioni autonome” fu la nozione proposta dal Ferri nel 1936.
Ma su questo punto non bisogna dimenticare quanto siano di aiuto le fonti comunitarie, in
1 R. LUPI - D. STEV ANATO, La fiscalita' delle operazioni straordinarie d'impresa, IlSole24Ore-Pirola, 2002, p.72.
In nota (n.51) alla stessa pagina il Lupi ricorda come gia' nella sua opera Profili tributari della fusione di societa'
(Padova 1989) avesse avvertito la tendenza, da parte di molti, a ricercare la soluzione di problemi tributari
recependo qualche scarna formula civilistica sulla “natura giuridica” di un certo istituto ed applicandola
automaticamente a referenti normativi (ma soprattutto sistematici) molto diversi.
2 R. LUPI – D. STEV ANATO, op. cit.
3 G. FERRI, La fusione delle societa' commerciali, Il Foro Italiano, Roma, 1936, p. 7.
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particolare la direttiva CEE n.434 del 23 luglio 1990, relativa al regime fiscale comune da applicare
alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d'attivo ed agli scambi d'azioni concernenti società di
Stati membri diversi, la quale all'art.2, lettera a), specifica che la fusione è “l'operazione mediante
la quale:
una o più società trasferiscono, a causa e all'atto dello scioglimento senza liquidazione, la
totalità del loro patrimonio, attivamente e passivamente, ad altra società preesistente, mediante
l'assegnazione ai loro soci di titoli rappresentantivi del capitale sociale dell'altra società ed
eventualmente di un saldo in contanti non eccedente il 10% del valore nominale o, in mancanza
di valore nominale, della parità contabile di tali titoli;
due o più società trasferiscono, a causa e all'atto dello scioglimento senza liquidazione, la
totalità del loro patrimonio, attivamente e passivamente, ad una società da esse costituita,
mediante l'assegnazione ai propri soci di titoli rappresentativi del capitale sociale della nuova
società ed eventualmente di un saldo in contanti non eccedente il 10% del valore nominale o, in
mancanza di valore nominale, della parità contabile di tali titoli;
una società trasferisce, a causa e all'atto dello scioglimento senza liquidazione, la totalità del
proprio patrimonio, attivamente e passivamente, alla società che detiene la totalità dei titoli
rappresentativi del suo capitale sociale.”
La definizione elaborata in sede comunitaria appare sufficientemente articolata e chiarificatrice
delle diverse modalità con cui si può far luogo alla fusione di società, ma non è in grado di dipanare
tutti i dubbi che si sono addensati sulla natura giuridica di questa operazione, avendo dato vita negli
anni a posizioni fortemente divergenti, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza. Il legislatore
comunitario, nel riferirsi al trasferimento di complessi aziendali “a causa e all'atto dello
scioglimento senza liquidazione” non è stato perciò in grado di dare una risposta definitiva
all'annosa diatriba fra vicenda estintiva-successoria e di mera modifica organizzativa.
Attualmente la dottrina civilistica si è attestata sulla posizione che vede la fusione come vicenda
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organizzativa, di mera modificazione degli statuti delle società partecipanti, finalizzata alla
concentrazione di più organismi produttivi che proseguiranno in forma unitaria l'esercizio
dell'attività d'impresa, tanto sul piano economico quanto su quello giuridico. In riferimento a
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codesta operazione societaria, una rinomata dottrina ha aggiunto, al concetto di istituto volto alla
concentrazione giuridico-economica delle partecipanti, l'idea che la fusione determini la “riduzione
ad unità” dei patrimoni delle singole società e la confluenza dei rispettivi soci in un'unica struttura
organizzativa che continui l'attività di tutte le società preesistenti.
La medesima dottrina però, pur essendo palesemente lontana nella sua impostazione di fondo
rispetto alle teorie più risalenti, evita di effettuare una scelta radicale, potremmo dire “manichea”,
fra la mera efficacia modificativa e quella estintivo-successoria della fusione. Tutto ciò perchè, pur
riconoscendo l'efficacia fondamentalmente modificativa (degli statuti) delle società partecipanti alla
fusione, non nega in toto l'effetto estintivo e successorio della fusione. Non appare infatti
condivisibile l'idea che, a seguito della mera modificazione statutaria, tutte le società preesistenti e
partecipanti all'operazione continuino a sopravvivere. Inoltre, per quanto concerne l'effetto
successorio della fusione, è fin troppo scontato ricordare che il dettato dell'art.2504bis c.c. dispone
espressamente che la società risultante dalla fusione o l'incorporante assuma i diritti e gli obblighi
delle società partecipanti all'operazione, succedendo (letteralmente: “proseguendo”) in tutti i loro
rapporti ante fusione, compresi quelli processuali. La teoria ora esposta, ed attualmente
maggioritaria in dottrina, circa la natura giuridica e l'efficacia della fusione, trova ampio riscontro
nella giurisprudenza. La Suprema Corte di Cassazione ha infatti di recente affermato che “la
fusione di società, prevista dagli artt.2501 e seguenti c.c. non determina, nell'ipotesi di fusione per
incorporazione, l'estinzione della società incorporata, né crea un nuovo soggetto di diritto
nell'ipotesi di fusione paritaria; ma attua l'unificazione mediante integrazione reciproca delle
società partecipanti alla fusione. Il fenomeno non comporta, dunque, l'estinzione di un soggetto e
(correlativamente) la creazione di un diverso soggetto, risolvendosi (come già rilevato in dottrina)
4 G. CAMPOBASSO, Manuale di diritto commerciale, UTET, 2007, pp. 373-374
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in una vicenda meramente evolutiva-modificativa dello stesso soggetto, che conserva la propria
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identità pur in un nuovo assetto organizzativo.”
A ribadire quanto sin qui affermato, circa il prevalente orientamento accolto da dottrina e
giurisprudenza in materia di fusione di società (natura giuridica ed efficacia), intervengono i
Principi contabili nazionali. Nell'OIC 4 in particolare, viene rilevato che “La prevalente dottrina
civilistica italiana vede nell'operazione di fusione l'effetto di una serie di convergenti modifiche
statutarie e nega che essa consista in una vicenda di estinzione di società e di successione di altre
perchè ritiene che le società incorporate o fuse continuino la loro attività nella società incorporante
o risultante dalla fusione senza estunguersi. Si tratterebbe dunque di una mera vicenda
organizzativa che non comporta alcun trasferimento patrimoniale dalle società fuse a quella
incorporante o risultante dalla fusione, bensì un fenomeno di appropriazione assimilativa.”
È interessante notare come la negazione del carattere estintivo della fusione da parte della dottrina
più recente, sia stata così (inutilmente) radicale da portare in alcuni casi a sostenere che questa
operazione di riorganizzazione societaria non produca alcuna estinzione, ma la mera “perdita di
individualità delle società”.
L'adesione della dottrina, come della giurisprudenza, alla concezione fin'ora descritta di fusione di
società ha trovato un suo naturale riflesso nelle disposizioni codicistiche in materia, in occasione
della recente riforma del diritto societario attuata attraverso il D. Lgs. n.6/2003. L'art.2504-bis c.c è
stato riformulato dalla suddetta riforma sostituendo la locuzione “società estinte” con l'espressione
“società partecipanti alla fusione”.
La dottrina più risalente, circa la natura giuridica e l'efficacia della fusione di società, vedeva in essa
una particolare ipotesi di successione mortis causa a titolo universale. Si sosteneva cioè che la
fusione determinasse una vicenda estintivo-costitutiva, ossia una successione universale della
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società risultante in tutti i rapporti trasmissibili delle società partecipanti che si estinguevano. È
5 Cassazione SS. UU. , ord. 8 febbraio 2006, n. 2637
6 La tesi c.d. tradizionale circa la natura giuridica della fusione societaria si era sviluppata in vigenza del vecchio
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corretto affermare che suddetta tesi è oramai superata, ma è altrettanto giusto notare ( come già
ricordato in precedenza) che, per quanto attiene l'effetto successorio della fusione, questo è in effetti
configurabile in relazione ai rapporti giuridici ed economici (intesi come posizioni soggettive) delle
società partecipanti, in favore della società risultante dal processo di aggregazione. Circa l'effetto
estintivo invece, appare possibile ritenere che questo corrisponda, nell'odierna impostazione,
all'”assimilazione” (rectius: unione) delle società incorporate o fuse con un nuovo soggetto
giuridico. Anche questa teoria relativa alla natura giuridica della fusione di società godette, a suo
tempo, del supporto di una congrua giurisprudenza. Fra le molteplici sentenze che rispecchiarono la
tesi poc'anzi illustrata, possono essere riportate qui a titolo esemplificativo prima di tutto la sentenza
della Cassazione del 22 settembre 1997 n. 9349, la quale affermava che “la fusione o
incorporazione di società realizza una successione universale corrispondente alla successione
universale mortis causa e produce gli effetti, tra loro interdipendenti, dell'estinzione della società
incorporata e della contestuale sostituzione a questa, nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e
passivi (anche processuali), della società incorporante, che rappresenta il nuovo centro di
imputazione e di legittimazione dei rapporti giuridici già riguardanti i soggetti (fusi o) incorporati.
Consegue che ogni atto di natura sostanziale o processuale dev'essere diretto nei confronti del
nuovo ente che è l'unico e diretto obbligato per i debiti dei soggetti definitivamente estinti per
effetto della fusione.”
Riferendoci più specificamente ai rapporti giuridici di ordine sostanziale, ricordiamo fra tutte la
sentenza del 26 luglio 1996 n. 6757 nella quale la Cassazione sostiene che “La fusione di società,
anche mediante incorporazione, realizza una successione universale corrispondente a quella mortis
causa, con la conseguenza che il nuovo soggetto risultante dalla fusione o il soggetto incorporante
diviene l'unico e diretto obbligato per i debiti dei soggetti estinti per effetto della fusione o
dell'incorporazione, fra i quali vanno ricompresi i debiti nascenti da rapporto di lavoro
Codice di Commercio (R. D. 31 ottobre 1882, n. 1062), e trovava il suo fondamento normativo in due articoli in
particolare: artt. 158 e 187 n. 7.
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subordinato con i soggetti preesistenti, mentre un eventuale accordo per una diversa ripartizione
di tali debiti intervenuto fra le società interessate ha efficacia puramente interna fra le parti
stipulanti e non pregiudica il diritto del lavoratore nei confronti del soggetto tenuto per legge al
pagamento dei debiti sopraindicati, sul quale neppure può avere incidenza l'eventuale
provvedimento di autorizzazione alla fusione emesso dall'autorità amministrativa, non potendo lo
stesso derogare alla disciplina dettata in materia dall'art.2504 c.c.
Per comprendere quali fossero i riflessi della impostazione estintivo-successoria della fusione sui
rapporti di carattere processuale è utile ricordare invece, la sentenza della Suprema Corte del 10
agosto 1999 n.8572 secondo la quale “Nell'ipotesi di successione di società a seguito di fusione per
unione o per incorporazione, si verifica un fenomeno analogo a quello della successione a titolo
universale, che, agli effetti processuali, importa successione nella qualità di parte, ex art.110 c.p.c.,
della società incorporante o del nuovo ente risultante dalla fusione delle società estinte, senza che,
pertanto, nei confronti di queste ultime o delle società incorporate sia configurabile un'ipotesi di
litisconsorzio necessario; chi, in presenza di una situazione siffatta, eccepisca il difetto di integrità
del contraddittorio per la mancata costituzione in appello della società dante causa, deve provare il
fatto fondante l'eccezione, ossia l'intervento di una successione a titolo particolare (e non
universale), come tale comportante la qualità di litisconsorte necessario del dante causa.”
1.2 – La fusione di società e le operazioni straordinarie d'impresa nel diritto tributario.
La fusione di società rientra a pieno titolo nel novero di quelle che sono notoriamente definite
“operazioni straordinarie d'impresa”: operazioni cioè, che si sostanziano in vicende giuridiche
caratterizzate dall'estraneità rispetto allo svolgimento della gestione ordinaria dell'impresa.
Il concetto di “estraneità” rispetto a quella che è la normale attività di gestione d'impresa costituisce
il denominatore comune, l'elemento di omogeneità (individuato in negativo anzichè in positivo)
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all'interno di un insieme di vicende ed istituti fortemente eterogenei fra loro.
Si faccia però attenzione ad un aspetto non secondario del concetto di “straordinarietà” di cui sopra:
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come il Lupi ci ricorda, questo elemento di omogeneità risulta, ad un'analisi più approfondita, un
pò debole. È noto infatti che esistono operazioni estranee alla gestione ordinaria dell'impresa, le
quali non hanno però alcunchè da spartire con le operazioni oggetto della nostra trattazione. Si
pensi, ad esempio, ad un aumento di capitale, o all'abbandono di una produzione e all'avvio di
un'altra o all'acquisto di un importante brevetto: si tratta senza ombra di dubbio di operazioni fuori
dall'ordinaria routine produttiva o amministrativa dell'impresa, come del resto non vi è dubbio
alcuno circa la loro estraneità rispetto a quella categoria di operazioni societarie correntemente
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definite “operazioni straordinarie d'impresa”. Una certa dottrina ha sviluppato all'interno di questo
vasto ed eterogeneo insieme di vicende societarie un'apposita tripartizione : vi sono operazioni
straordinarie facenti parte della categoria dei “trasferimenti dell'azienda o dell'impresa-societaria”
(cessioni e conferimenti d'azienda); vi è poi la categoria delle “riorganizzazioni societarie” (di cui fa
naturalmente parte la fusione, assieme alla scissione e alla trasformazione) ed infine la categoria
della “cessazione dell'impresa” (coincidente con vicende societarie quali la liquidazione volontaria
e le procedure concorsuali). Un ulteriore tratto distintivo ed unificante dell'intero gruppo delle
operazioni straordinarie è quello di determinare un significativo mutamento dell'assetto
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organizzativo dell'azienda e/o della società. Proprio in riferimento a quest'ultimo essenziale
aspetto della fusione (come delle altre operazioni straordinarie) taluni hanno espressamente fatto
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riferimento a tali vicende come “operazioni di riorganizzazione societaria”. È corretto affermare
7 R. LUPI, La straordinarieta' come denominatore comune di istituti giuridici e comportamenti economici
tipologicamente differenziati, in R. LUPI – D. STEV ANATO, La fiscalita' delle operazioni straordinarie d'impresa,
IlSole24Ore-Pirola 2002.
8 R. LUPI, op. cit.
9 P. BORIA “Le operazioni straordinarie d'impresa” in A. FANTOZZI “Corso di diritto tributario”, UTET, 2005,
pp. 456-457.
10 P. Boria, op. cit.
11 G. ZIZZO, Le riorganizzazioni societarie nelle imposte sui redditi. Trasformazioni, fusioni, scissioni. ,GIUFFRE'
1996. Sin dalle primissime battute, l'Autore chiarisce che l'espressione “riorganizzazione societaria” e' del tutto
sconosciuta al legislatore italiano. Quest'ultimo infatti, non da' alcuna denominazione di gruppo per operazioni quali
le trasformazioni, le fusioni, le scissioni o i conferimenti d'azienda. Tale espressione e' pero' nota in dottrina, e
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