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Nel mondo odierno il consumatore è diventato molto più consapevole
dell’offerta presente sul mercato. La globalizzazione e il continuo progresso
tecnologico sono stati il mezzo attraverso il quale è stato possibile avvicinare
domanda e offerta. Se gli eventi recenti hanno determinato questa evoluzione nella
relazione tra i due soggetti economici, dall’altra hanno comportato un incremento
esponenziale della quantità d’informazioni a disposizione delle controparti. Un
aumento delle informazioni disponibili dovrebbe consentire ai mercati di soddisfare
una delle ipotesi fondamentali in concorrenza perfetta: la presenza di una completa
trasparenza del mercato. Nella realtà questo obiettivo è utopistico in quanto, in
primis, la completa saturazione, delle informazioni presenti in un mercato è un
evento impossibile e, oltretutto, ogni soggetto dovrebbe disporre della stessa
capacità di utilizzo delle informazioni (von Hayek, 1974). Ad oggi sono ancora molti i
mercati in cui le imprese e i consumatori non dispongono delle stesse informazioni.
Nel caso in cui l’informazione sia asimmetrica, la parte meno informata non è in
grado di discriminare l’offerta, in quanto non riesce ad individuare le caratteristiche
nascoste della sua controparte. Per questo ogni impresa cerca di differenziarsi dalle
concorrenti e uno degli strumenti su cui può far leva è il Brand.
Nonostante le potenzialità di differenziazione derivanti dalla gestione del
Brand siano state ampiamente confermate, vi sono alcuni contesti in cui
l’implementazione di ulteriori strategie è necessaria per consentire alle imprese di
distinguersi dalle altre. In particolare, vi sono settori in cui l’esperienza personale
diventa rilevante nel processo di scelta del consumatore, il quale non si fa
influenzare dal Brand. Per questo alcune imprese cercano di creare dei Point of
Diversity (PoD) (Keller, Busacca, Ostillio, 2005) sfruttando le associazioni secondarie
che un’altra entità ha generato. Un modo per segnalare la qualità del proprio prodotto
è quello di sfruttare il co-branding con marchi di qualità rilasciati da enti esterni. La
certificazione della qualità da parte di un ente esterno aumenta la credibilità dei
consumatori nei confronti di quel Brand e consente all’impresa di distinguersi
nettamente da coloro che non possiedono il marchio.
Introduzione
1
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L’obiettivo della ricerca è quello di comprendere se le teorie esposte trovano
riscontro nel settore della Pallavolo italiana. La Federazione Italiana Pallavolo ha
creato un Marchio di Qualità allo scopo di distinguere e premiare quelle società che
garantiscono una formazione di alta qualità nel settore giovanile. Per testare le
potenzialità del Marchio nel garantire un vantaggio competitivo sostenibile alle
società certificate, è necessario analizzare il procedimento di scelta di un club da
parte del consumatore di Pallavolo. In particolare, bisogna conoscere quali sono gli
elementi determinanti nella scelta di una società in cui svolgere l’attività. Lo studio
sarà condotto sulla base delle teorie elaborate sull’economia dell’informazione, le
quali saranno illustrate nel capitolo seguente (§2). Successivamente verrà presentato
il settore della Pallavolo italiana e tutti gli aspetti inerenti al Marchio di Qualità Attività
Giovanile FIPAV (§3), quali la creazione del certificato, le procedure di ammissione e
i risultati delle tre edizioni svolte. Le domande di ricerca così come le tecniche
impiegate nell’analisi empirica e i risultati pervenuti, costituiranno il corpo centrale
della trattazione e saranno oggetto, rispettivamente, del Capitolo 4 e del Capitolo 5.
Se dall’analisi emergerà che il Marchio ha una certa influenza sul processo
decisionale dell’utente, potremo sostenere che i club dispongono di un’ulteriore leva
garantitagli dalla certificazione. L’ultimo Capitolo (§6) sarà dedicato alle conclusioni
emerse dallo studio condotto, dando una risposta alle domande di ricerca,
proponendo alcune soluzioni in merito alle problematiche emerse e, infine,
sollevando alcune riflessioni per lo sviluppo di ricerche future in quest’ambito.
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Le teorie inerenti all’economia dell’informazione si sono rivelate il percorso
letterario necessario allo svolgimento della ricerca e saranno l’oggetto di questo
capitolo. Nella prima parte è stata svolta una trattazione sui modelli economici
dell’economia dell’informazione, con un particolare approfondimento sulle asimmetrie
informative; successivamente, tratterò della Teoria di Segnalazione come possibile
rimedio al fallimento del mercato ed infine, dopo aver analizzato i più recenti approcci
empirici alla teoria di riferimento, sperimenterò l’applicazione del modello di
Segnalazione (Spence, 1973) al settore Pallavolo.
2.1 I mercati imperfetti: la presenza delle asimmetrie informative
Nei mercati caratterizzati da asimmetria informativa vi è una parte nella
transazione la quale dispone di una maggiore quantità di informazioni rispetto
all’altra. Se si verifica questa condizione, i soggetti maggiormente informati possono
trarre un vantaggio utilizzando l’informazione per volgere la transazione a proprio
favore. George Akerlof, economista e professore all’Università di Berkeley, fu il primo
economista che contribuì a teorizzare queste dinamiche di mercato. In uno dei
Quarterly Journal of Economics del 1970 venne pubblicato il suo trattato “The Market
for Lemons: Quality Uncerainty and the Market Mechanism”, per il quale fu insignito
del Premio Nobel per l’Economia nel 2001. Secondo il noto economista, i mercati in
cui l’informazione non è pienamente condivisa dai soggetti economici partecipanti,
sono destinati a collassare su sé stessi. A supporto empirico della sua tesi, l’autore
volle approfondire i comportamenti della domanda e dell’offerta in un mercato
caratterizzato dalle asimmetrie informative: il mercato delle auto usate statunitense
(“bidoni” in gergo americano viene definito Lemons). In questo mercato i venditori
vogliono vendere la proprie auto usate ad un prezzo che chiameremo p. Dato che
ogni venditore ha utilizzato la propria auto per un certo periodo di tempo, è in grado
di fornire una stima sullo stato qualitativo dell’auto che dovrà vendere. Il proprietario
è quindi in grado di dire con che probabilità la sua auto rientri nel gruppo delle auto
buone. Al contrario un compratore di auto usate non è in grado di sapere se sta
L’economia dell’informazione e le dinamiche di
segnalazione
2
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acquistando una buona auto oppure un’auto in cattivo stato (un “bidone”). In questo
caso, ci troviamo di fronte a un mercato imperfetto caratterizzato da asimmetria
informativa. Ora, se fossimo nella situazione in cui ogni compratore potesse
conoscere prima dell’acquisto lo stato dell’auto che intende comprare, tutte le auto
presenti sul mercato verrebbero vendute in quanto vi saranno acquirenti disposti a
sostenere un certo prezzo per un’auto di qualità e altri acquirenti che si
accontenteranno di spendere meno per un’auto scadente. Nella realtà, ogni
compratore non può conoscere il tipo di auto acquistato se non dopo la transazione.
A causa di questa caratteristica la disponibilità dell’acquirente sarà:
Pr (Auto Buona) • p (Auto Buona) + Pr (Bidone) • p (Bidone)
Dove:
• Pr (Auto Buona, Bidone): probabilità di acquistare un bidone o un’auto in buono
stato;
• p (Auto Buona, Bidone): è il prezzo che un compratore è disposto a sostenere per
un’auto buona o un bidone;
Assumiamo che Pr(x), sia uniformemente distribuita in un intervallo tra [0,2].
Secondo questa distribuzione, la probabilità per un compratore di acquistare un’auto
di buona qualità, sarà equivalente alla media della distribuzione (1). In questo
momento, questa sarà la massima disponibilità di spesa dell’acquirente. Ma come
illustrato in precedenza, il mercato è composto da due gruppi di venditori: i venditori
delle auto buone, i quali desidereranno vendere ad un p > 1 e i venditori di “bidoni”
che si accontenteranno di vendere ad un p < 1. D’altro canto, i compratori non
saranno mai disposti a spendere quanto richiesto dai venditori di auto buone, poiché
non sono sicuri di ricevere l’auto che si aspettano. Com’è facile intuire, le auto in
buono stato non verranno vendute a causa dell’asimmetria informativa che non
consente a domanda e offerta di raggiungere un equilibrio. Il risultato determina
l’uscita dei venditori delle auto in buono stato dal mercato. Conseguentemente
all’uscita di questo gruppo di soggetti, anche l’asimmetria informativa scompare;
infatti, il mercato ora è costituito solamente da venditori di auto scadenti e questa
evoluzione, dà la certezza ai compratori sulla qualità dell’auto che sono in procinto di
acquistare. Di conseguenza anche la disponibilità dei compratori si modificherà e
sarà uguale a:
Pr (Bidone) • p (Bidone)
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Dato che la Pr(Bidone)=1 il prezzo verrà determinato dall’offerta e dalla domanda
delle uniche auto presenti sul mercato; “le auto commercializzate saranno i bidoni”
(Akerlof, 1970). L’equilibrio che si determinerà sarà inefficiente in quanto vi sono dei
surplus irrealizzati a causa della presenza di asimmetrie informative. Akerlof ha
confermato l’affermazione che un ben noto agente di commercio britannico aveva
esternato oltre 4 secoli prima: “la moneta cattiva scaccia quella buona” (Thomas
Gresham, 1571).
2.2 Una possibile soluzione: i giochi di Segnalazione
Akerlof fu il primo economista a dare avvio ad una serie di studi su questa
tematica economica. A lui è attribuito non solo il merito di aver teorizzato le
dinamiche di questa particolare tipologia di mercati ma di aver dimostrato come le
sue teorie possano trovare riscontro empirico in tantissime realtà. Sempre all’interno
della sua trattazione, Akerlof illustrò come i “Lemons Principles” (Akerlof,1970) si
adattavano molto bene al lavoro di Arrow, il quale identificò il comportamento
dell’”azzardo morale” (Arrow, 1963) nel mercato medico-assicurativo statunitense.
Altri esempi pratici a supporto della sua trattazione furono il mercato impiegatizio
delle minoranze, il mercato astratto dell’onestà e il mercato del credito nelle
economie sottosviluppate. Gli aspetti più interessanti del trattato di Akerlof sono le
soluzioni proposte dall’autore per ripristinare un equilibrio di mercato più efficiente: le
garanzie, le quali consentono di trasferire il rischio di qualità dal compratore al
venditore, il brand, le catene di distribuzione e le licenze (o meglio certificazioni).
Le soluzioni elencate da Akerlof, sono state estremamente rilevanti per gli
studiosi susseguitesi nel tempo. I “Lemons Principles” (Akerlof, 1970) hanno
contribuito al lavoro di un altro famoso economista: Andrew Michael Spence.
Attualmente professore alla New York Stern University, si divise il Premio Nobel per
l’Economia del 2001 assieme ad Akerlof e a Stiglitz per il suo studio sull’economia
dell’informazione elaborato nel trattato Job Market Signalling del 1973. Attraverso
questa produzione, Spence ha approfondito una delle possibili soluzioni alla
presenza delle asimmetrie informative dettate dal collega: le certificazioni.
L’economista presentò la Teoria della Segnalazione portando a sostegno della
propria tesi le dinamiche presenti nel mercato del lavoro.
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Nel mercato del lavoro sono presenti due soggetti economici: i prestatori di
lavoro e i datori che domandano lavoro. Gli aspiranti impiegati hanno livelli di
produttività diversi. In questo mercato assumiamo due ipotesi (Spence, 1973):
1. i datori non hanno informazioni sulla produttività di ogni singolo lavoratore
prima dell’assunzione;
2. è presente un periodo che non consente la modifica del contratto di lavoro.
Queste due ipotesi ci consentono di dire che ci troviamo nella stessa condizione del
mercato dei “bidoni” illustrato da Akerlof. Ogni aspirante lavoratore dispone di alcune
caratteristiche che è in grado di modificare. Ad esempio, l’educazione è un carattere
che ogni individuo può migliorare, sostenendo degli investimenti in istruzione. In
questo modello, l’istruzione è un costo di segnalazione. Ogni applicante cercherà di
massimizzare il proprio profitto, il quale sarà determinato dal salario che gli verrà
offerto meno il costo sostenuto per la segnalazione. Il datore di lavoro attraverso le
nuove assunzioni è in grado di comprendere più attentamente la relazione insita tra i
segnali e la produttività di un lavoratore. Grazie a queste nuove informazioni, è in
grado di aggiustare le sue percezioni sul mercato del lavoro e adattare la propria
offerta di salario in base ai segnali che un individuo si è garantito. L’aggiornamento
dell’offerta dei salari consente ai successivi aspiranti lavoratori di aggiornare i propri
segnali al fine di massimizzare il loro “profitto”. Questo flusso viene definito
“Feedback Informativo nel mercato del lavoro” (Spence, 1973, p. 359). Per
esemplificare gli elementi di questo mercato, l’economista suppone che nel mercato
del lavoro vi siano due tipi di aspiranti lavoratori che si presentato a un datore:
• Gruppo I: include gli applicanti con una produttività di 1;
• Gruppo II: include gli applicanti con una produttività di 2.
Le caratteristiche dei due campioni sono riportati nella tabella sottostante:
Possiamo notare che i due gruppi sostengono un diverso costo di segnalazione.
Spence ricorda che il costo dell’istruzione non è composto della sola spesa
sostenuta per accedere a un determinato titolo. Vi sono costi non monetari che sono
Gruppo Produttività Marginale
Proporzione della
popolazione
Costo dell’istruzione
(Livello y)
I 1 q1 y
II 2 1 – q1 y/2
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da annoverare tra i costi di segnalazione come ad esempio il tempo impiegato o la
fatica sostenuta per il conseguimento del segnale. Per questo è lecito assumere che
gli individui di bassa produttività sostengono anche un costo maggiore per
aumentare il proprio livello di istruzione.
Ripercorrendo il “Feedback Informativo
nel mercato del lavoro”, Spence assume che per
un datore di lavoro il livello medio di educazione
degli applicanti è y*. Nel caso in cui il livello di
educazione sia y<y*, la produttività marginale
sarà 1 con certezza, mentre nel caso in cui il
livello sia y>y*, allora la produttività marginale
sarà 2 (sempre con probabilità pari a 1). Come
evidenziato dal modello, il datore di lavoro stabilirà la propria politica di retribuzione
sulla base delle percezioni che ha sviluppato (Figura 2.1). A questo punto gli
applicanti conoscono quale sarà la politica di retribuzione e sulla base di essa,
cercheranno di massimizzare il proprio “profitto”, scegliendo il livello ottimale di
istruzione che consente di rendere il più ampia possibile la forbice tra salario
percepito e costo della segnalazione. Ogni soggetto che sceglierà un livello di
istruzione inferiore a y*, sceglierà di non acquistare la Segnalazione (y=0). Infatti
dato che l’istruzione è costosa, il lavoratore che adotterà questa scelta vedrebbe
ridursi il proprio “profitto” in quanto fino a y*, il salario non aumenterebbe. Il Gruppo I
quindi scegliere un livello di istruzione pari a 0 se: 1 > 2 – y*.
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Coloro che invece decideranno di istruirsi ad livello di istruzione superiore a y*,
sceglieranno di acquistare una segnalazione pari a y*, in quanto ogni aumento del
livello di istruzione comporterebbe solamente un ulteriore incremento dei costi non
compensato da un beneficio salariale. Quindi il Gruppo II, il quale ha un costo di
istruzione dimezzato rispetto al Gruppo I deciderà di acquistare un livello di istruzione
pari a y* fintanto che:
2 – y*/2 > 1.
Le condizioni di equilibrio ci consentono di dire che le aspettative dei datori di
lavoro saranno confermate se, la loro percezione sul livello di istruzione (y), sarà
compresa tra 1 e 2 (1 < y < 2). Spence rimarca il fatto che avendo definito un
intervallo di equilibrio, il modello presenta un infinito numero di equilibri (tutti i punti
compresi tra l’intervallo 1 e 2). Tuttavia ogni equilibrio ha effetti diversi sul profitto dei
soggetti appartenenti al Gruppo II. Infatti nel caso in cui y* dovesse aumentare, il
Gruppo II assisterebbe a una erosione della propria quota di “profitto” dovuta ad un
aumento dei costi sostenuti per il conseguimento della segnalazione. Questa
conseguenza non si ripercuoterebbe sul Gruppo I, che avendo deciso di non
investire in istruzione, vedrebbero inalterata la propria area di surplus.
2.3 I recenti approcci empirici alla Teoria della Segnalazione e
l’adattamento del modello alla Pallavolo Italiana
Le teorie esposte da Akerlof e da Spence hanno rappresentato le “radici” da
cui si sono diramati molti studi recenti. I due economisti hanno condiviso insieme a
Stiglitz, il Premio Nobel per l’Economia del 2001 per le loro teorizzazioni compiute
sull’economia dell’informazione. Il premio del 2001 ha sicuramente aumentato
l’interesse verso queste tematiche ma l’aumento della produzione letteraria è
sicuramente dovuto alla grande versatilità e applicabilità dei modelli creati a molti
mercati del mondo economico attuale. I modelli elaborati sulle asimmetrie informative
e sulle dinamiche di Segnalazione sono stati applicati ai molti contesti finanziari e
contabili, in cui le imprese sono chiamate a rendere note informazioni sulle proprie
attività allo Stato e agli istituti finanziari. Più recentemente sono state sviluppate delle
applicazioni in ambito di marketing incentrate sulla relazione che intercorre tra
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consumatore e imprese. Il consumatore attuale riveste il ruolo del datore di lavoro,
mentre le imprese sono gli aspiranti candidati del modello di Spence. Ogni impresa
ha l’obiettivo della massimizzazione del profitto e quest’ultimo sarà tanto più elevato
quanto maggiore sarà la capacità dell’impresa di proporsi e vendere sul mercato. Se
le imprese migliori non saranno in grado di segnalare la propria qualità al
consumatore, si verificheranno le tragiche conseguenze della segnalazione avversa
che porterà alla creazione di un mercato di “bidoni” (Akerlof, 1974). Per questo ogni
impresa cercherà di distinguersi dalle altre in modo da creare un vantaggio
competitivo che le consenta di continuare ad operare proficuamente sul mercato.
Il vantaggio competitivo realizzabile attraverso una produzione
qualitativamente superiore, rispetto alla media presente sul mercato, non viene
conseguito fintanto che, il consumatore non percepisca questa differenziazione e di
conseguenza sia in grado di distinguere le imprese che offrono prodotti (o servizi) di
qualità dalle altre. Per questo i manager sono chiamati a progettare politiche di
marketing con l’obiettivo di modificare le percezioni insite nella mente del
consumatore, inviando dei segnali che li attraggano verso il proprio portafoglio di
prodotti. Il primo segnale attraverso il quale ogni impresa cerca di differenziarsi è il
brand. L’American Marketing Association (AMA) sottolinea che il brand è “un nome,
termine, segno, simbolo o disegno o una combinazione di questi elementi, che ha lo
scopo di identificare i beni e servizi di un venditore o gruppo di venditori,
differenziandoli da quelli della concorrenza” (riportato da Keller, Busacca, Ostillio,
2005, p.2). Come evidenziato dall’AMA, il brand rappresenta la prima leva per
attuare politiche di differenziazione e per creare un reale vantaggio competitivo ogni
impresa deve porre attenzione nella creazione dei Point of Diversity (Keller, et al.
2005). I Point of Diversity sono gli elementi che il consumatore ritrova solamente in
una marca, ponendola in primo piano rispetto le altre. Una strategia efficace per la
costruzione dei PoD è il ricorso all’attivazione della conoscenza secondaria, la quale
prevede la possibilità di trasferire elementi che la mente del consumatore associa a
un’altra entità, sulla marca. L’”attivazione della conoscenza secondaria del brand”
può essere avviata attraverso i seguenti mezzi: altri brand, testimonial, paesi
d’origine, eventi, e altre fonti terze (Keller et al., 2005, p.251-2). Proprio quest’ultimo
mezzo consente di creare un vantaggio di differenziazione sfruttando le connessioni
tra la marca e una qualsiasi fonte esterna. La citazione del brand su un articolo di