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INTRODUZIONE
Nella società civile, le azioni e la condotta umana non sono
lasciate al libero arbitrio. Se tutte le forme in cui si esplica
l’attività economica, in quanto attività umana, sono sottoposte a
qualche criterio di disciplina non deve stupire che anche l’attività
finanziaria sia soggetta a regolamentazioni. In effetti, ciò che è
rilevante non è tanto la presenza di una regolamentazione, quanto
la maggiore incisività delle regole che disciplinano l’industria
finanziaria e, in particolare, quella bancaria rispetto ad altri
settori (P. Bongini).
Ciò essenzialmente per due motivi. Il primo fa riferimento alla
centralità che tutto il sistema finanziario occupa nelle moderne
economie in cui moneta e attività finanziarie costituiscono il
veicolo per il trasferimento di potere d’acquisto.
Il secondo motivo fa riferimento ai fattori di contagio che
accompagnano il malfunzionamento o, in casi estremi, il
fallimento delle strutture del sistema finanziario. Il fallimento di
una impresa non finanziaria, nonostante i danni che potrebbe
arrecare a numerosi stakeholders (dipendenti, fornitori, creditori,
azionisti…), in genere non propaga effetti sui piccoli e ignari
risparmiatori e sulle imprese concorrenti; anzi, queste ultime ne
traggono dei vantaggi, potendo aumentare le proprie quote di
mercato. Il fallimento di una banca, invece, da un lato, produce
immediati effetti negativi sulle altre banche con un effetto
domino, a causa degli ampi rapporti esistenti sia sul piano dei
finanziamenti interbancari sia sul piano dei possibili crediti
derivanti dalla gestione del sistema dei pagamenti, dall’altro lato,
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può intaccare la fiducia dei risparmiatori (con il rischio di
diminuire le fonti originarie del finanziamento delle imprese) e la
fiducia degli utilizzatori di mezzi di pagamento (con il rischio di
ostacolare il normale scambio di beni e servizi nell’economia).
Per tali motivi, le autorità di vigilanza sono e saranno chiamate a
definire e integrare le regole di funzionamento del sistema
finanziario e a verificarne l’applicazione da parte dei soggetti
operanti.
Il lavoro intende analizzare tale quadro di vigilanza soprattutto
alla luce dell’accordo denominato Basilea 3. All’uopo il lavoro si
articola in 3 capitoli.
Il primo capitolo tratta degli accordi di Basilea 1 sul patrimonio
minimo di vigilanza, si da il quadro delle esigenze che hanno
stimolato una revisione di tale accordo e la successiva firma del
nuovo accordo di Basilea 2 focalizzando l’attenzione ai tre
pilastri e ai cambiamenti nella valutazione del merito creditizio
attraverso l’utilizzo dei sistemi di rating.
Il secondo capitolo cerca di individuare le cause della crisi
economico-finanziaria che ha colpito anche in sistema bancario
mondiale attraverso lo studio di diverse teorie, inoltre viene
ripreso il problema del “credit crunch” nel periodo che va dal
1957 alla crisi del debito pubblico che stiamo vivendo oggi
attraverso studi statistici e con aiuti di grafici forniti dalla Banca
d’Italia.
Il terzo ed ultimo capitolo tratta, con un occhio rivolto verso il
futuro, dei limiti di Basilea 2 evidenziati dalla crisi e dei nuovi
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accordi di Basilea 3 che entreranno in vigore a pieno regime nel
2019, si cercano di individuare i cambiamenti che i nuovi accordi
porteranno nel sistema bancario e quelli che potrebbero essere i
risvolti sull’economia reale e nel mercato del credito bancario
focalizzando l’attenzione sulla nostra realtà nazionale.
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CAPITOLO 1: GLI ACCORDI DI BASILEA
1. BASILEA 1
Nel 1988 divenne operativo il primo accordo sul patrimonio
minimo delle banche elaborato dal Comitato di Basilea. In base a
tale accordo veniva stabilito che le istituzioni creditizie dovevano
detenere un requisito patrimoniale minimo obbligatorio dell’ 8%
volto a difendere la banca dall’eventualità di perdite rispetto alle
attività ponderate per fattori di rischio standard definiti dalla
stessa normativa (Risk-weghted-assets).
I pesi di ponderazione per il rischio (RWA) da applicare alle
diverse attività, erano definite considerando le caratteristiche di
solvibilità delle controparti, le garanzie offerte e l’eventuale
rischio paese.
0%
RISCHIO NULLO
20% 50% 100% 200%
CASSA E VALORI
ASSIMILATI
CREDITI
V/BANCHE
MULTILATERALI
DI SVILUPPO
MUTUI RESIDENZIALI
CON GARANZIE REALI
CREDITI
V/IMPRESE
PRIVATE
PARTECIPAZIONI
IN IMPRESE CON
PERDITE IN
ULTIMI 2
ESERCIZI
CREDITI V/BANCHE
CENTRALI PAESI
OCSE
CREDITI
V/BANCHE PAESI
OCSE
LEASING SU IMMOBILI
PARTECIPAZIONI
IN IMPRESE
PRIVATE
TITOLI DI STATO
PAESI OCSE
CREDITI V/ENTI
SETTORE
PUBBLICO
CREDITI
V/BANCHE PAESI
NON OCSE
(figura1) RWA in Basilea 1
Nell’ accordo erano previste cinque categorie di ponderazione
(200%, 100%, 50%, 20%, 0%).
Per esempio, 100 euro venivano pesate effettivamente per 100 se
prestati ad una impresa o ad un privato, ma solo per 50 se erogati
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sottoforma di mutuo ipotecario, solo per 20 se affidati ad un
istituto bancario aderente al OCSE, e addirittura per 0 se investiti
in Titoli di Stato.
Questa normativa puntava contemporaneamente a rafforzare
l’equilibrio patrimoniale delle banche e nel contempo ad evitare
che la concorrenza tra sistemi bancari, si basasse sull’assenza di
regole e controlli. In tal modo, l’intero sistema creditizio
internazionale veniva regolamentato da norme minimali uguali
per tutte, riducendo la possibilità di default individuale delle
banche ed anche di generare default sistemici.
In merito, va evidenziato che tale accordo non viene imposto da
una autorità internazionale, ma ciononostante hanno aderito allo
stesso quasi tutti i paesi del globo.
In tal senso, Basilea I rappresentava un criterio innovativo, ma
che col tempo, evidenziava marcati limiti.
Tra tali limiti, va evidenziato che, in primo luogo, risultava
irrealistico che tutti i prestiti alla clientela venissero ponderati
allo stesso modo indipendentemente dal merito creditizio della
controparte. Infatti si potrebbe avere l’effetto paradossale in cui
una banca a parità di patrimonio di vigilanza da detenere
potrebbe essere indotta a privilegiare operazioni più rischiose
accompagnate solitamente da tassi attivi maggiori.
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In secondo luogo si dava scarso peso alla durata dell’operazione,
alle garanzie prestate dalla controparte e alle politiche di
diversificazione del portafoglio
1
.
Le conseguenze di questi limiti sono apparse sempre meno
accettabili e dalle lacune di Basilea 1 prende le mosse il processo
di revisione che ha portato all’approvazione nel 2004 del nuovo
accordo.
2. BASILEA 2
Nel giugno del 2004 il Comitato di Basilea per la Vigilanza
Bancaria ha definito il Nuovo Accordo sul Capitale, sottoscritto
dai Governatori delle banche centrali e dai responsabili degli
organi di vigilanza dei paesi del G10, ed è stato reso pubblico col
documento intitolato International Convergence of Capital
Measurement and Capital Standard. A Revised Framework.
Il nuovo accordo si basa su tre pilastri (pillar) che operano
congiuntamente con l’obiettivo finale di implementare nella
banca una sana e prudente gestione:
I. requisiti minimi di capitale (Capital Adequacy);
II. processi di vigilanza (Supervisory review);
III. disciplina di mercato (market discipline).
2.1. PILLAR 1 REQUISITI MINIMI DI CAPITALE
Con riguardo al primo pilastro, che rappresenta una parte molto
importante del nuovo accordo, ha l’obiettivo di rendere più
1
Andrea Resti, guida a Basilea 2, 2003 pag 4-5.
10
aderente la regola dell’8% del capitale in relazione all’intensità
dei rischi, generando un rapporto fra patrimonio e impieghi più
sensibile al grado di affidabilità del prenditore.
(figura 2) Sandro pettinato, gli effetti di Basile 2, 2003.
“Il metodo “One-size-fits-all”, una taglia unica per tutte le
controparti è dunque ormai obsoleto”
2
: con l’avvio di Basilea 2 il
processo di valutazione del profilo di rischio della clientela
consiste nella elaborazione di tutte le informazioni idonee a
valutare il merito creditizio del cliente e si conclude con
l’attribuzione di un rating.
Il calcolo del Capitale minimo è un rapporto dove al numeratore
vi è il patrimonio di vigilanza e al denominatore: attività
ponderate per il rischio di credito + 12,5 * attività ponderate per
il rischio di mercato + 12,5 * attività ponderato per il rischio
operativo.
Tale rapporto non deve scendere al disotto dell’ 8%.
2
Carosio, Guida pratica a Basilea 2, Il Sole 24 Ore,Febbraio 2007 pag 6.
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(figura 3)
Il documento prevede che le banche devono detenere un capitale
minimo, cosiddetto patrimonio di vigilanza in modo da coprire
tre classi di rischio:
- rischio di credito, cioè la probabilità che il finanziamento
erogato si tramuti in perdita a causa dell’insolvenza del
debitore;
- rischio di mercato, correlato alle perdite eventuali di
portafoglio;
- rischio operativo, connesso alle inefficienze dei sistemi di
controllo della banca.
2.1.1. RATING
Per capire meglio come misurare il rischio bisogna soffermarsi
sulla comprensione del rating.
Tutti gli investitori le banche a livello mondiale utilizzano i
rating per meglio valutare il rischio di credito di una controparte
in cui intendono investire denaro.
Il rating esprime il parere sulla qualità creditizia di singole
obbligazioni, oppure sul merito di credito generale di un dato
emittente, tuttavia questo non equivale a consigli per la
compravendita, né garantisce che l’emittente non diventerà
inadempiente.
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La nuova normativa impone che le metriche di rischio adottate
per il calcolo dei requisiti patrimoniali siano utilizzate anche per
fini gestionali.
La valutazione del rischio nel momento della concessione del
credito sono fattori già presenti nei processi creditizi, l’elemento
di novità quindi è rappresentato dalle modalità con cui si
determina la misurazione di questo rischio. Il rating rappresenta
un giudizio sintetico (voto) sul grado di affidabilità, ordinato su
una base discreta (classi di rating), di un soggetto economico.
Esso quindi:
- misura il merito creditizio,
- consente la classificazione della clientela per classi omogenee
di rischio.
Le fasi del rating sono sostanzialmente due, la prima fase viene
chiamata “rating assignment”, questa non è altro che la
generazione di un algoritmo volto a dare il rating utilizzando le
informazioni tenute sulla clientela e riguardanti diversi aspetti,
quali:
- analisi qualitativa del prenditore,
- analisi economica-finanziaria,
- analisi prospettica settoriale,
- analisi dei dati della centrale dei rischi,
- analisi del rapporto tra banca e impresa.