INTRODUZIONE:
A partire dal 2008 la finanza mondiale ha attraversato una delle più grandi crisi
della storia, forse la peggiore dagli anni ’30 ad oggi, una vera e propria bufera
innescata dai forti dissesti sui crediti concessi alla clientela non primaria
statunitense.
Le immagini simbolo della crisi, come quelle dei dipendenti Lehman Brothers
costretti ad abbandonare i propri uffici o quelle relative ai clienti di Northen Rock
accalcati dinnanzi alle filiali della banca, a lungo rimarranno impresse nella mente
degli operatori.
Il coinvolgimento di numerosi istituti finanziari, il fenomeno del credit crunch e
l’estendersi della crisi finanziaria all’economia reale, hanno fatto temere un effetto
domino senza precedenti trascinando in una spirale negativa i mercati finanziari di
tutto il mondo. In un breve arco di tempo si è assistito al drastico crollo degli indici
delle principali Borse azionarie internazionali e al diffondersi di turbolenze che
hanno gettato nel panico intermediari e operatori finanziari.
Il presente lavoro, tuttavia, non è volto ad analizzare gli effetti della crisi sui
mercati azionari -tema peraltro già abbondantemente affrontato da numerosi
studiosi, media ed economisti- ma si propone di esaminare le ricadute e le
implicazioni della stessa sui mercati valutari.
Il mercato delle valute o Foreign Exchange Market, è il mercato più grande e
liquido dell’intero panorama planetario, un gigante se paragonato ad altri. La
globalità, l’operatività continuata, l’eterogeneità dei partecipanti, sono
caratteristiche che rendono unico tale mercato ed è per tali ragioni che si è voluta
focalizzare l’attenzione su di esso.
Nel corso del primo capitolo, dopo una breve analisi di quelli che sono stati i
fattori permissivi, i mezzi di trasmissione e i protagonisti della crisi finanziaria,
verrà ripercorsa la fase di bear markets che ha interessato le Borse mondiali fino ai
primi mesi del 2009 e la conseguente corsa ai bonds governativi innescatasi in
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diversi Paesi. In seguito, si cercheranno di comprendere gli effetti della crisi sul
Forex, con particolare riferimento alla liquidità e al volume degli scambi che
avvengono su tale circuito.
Le caratteristiche, il funzionamento e la struttura del mercato valutario saranno
descritte all’interno del secondo capitolo. Un ampio spazio sarà dedicato alle
operazioni e agli strumenti finanziari maggiormente utilizzati dagli operatori, tra
cui gli Outright Forward, gli Swaps e le Currency Options.
La bontà di tali strumenti a fini di copertura dal rischio di cambio, verrà illustrata
attraverso diverse esemplificazioni e un’attenzione particolare è stata riservata agli
Swaps, avendo questi ricoperto un ruolo cruciale durante la recente crisi.
Nel corso del terzo capitolo vengono approfonditi diversi aspetti tecnico-operativi
del Forex a cominciare dalla simbologia e dalle convenzioni concernenti le
quotazioni dei tassi di cambio a pronti.
Nella parte centrale, dopo aver introdotto il concetto di Price Interest Point e le
modalità di calcolo del valore monetario di quest’ultimo, verrà illustrato il
procedimento con cui il trader può determinare i profitti o le perdite conseguenti
ad un’operazione. L’analisi si concentrerà, successivamente, sul meccanismo dei
margin account e sull’impatto della leva finanziaria sull’operatività del trader.
Infine, l’ultima sezione del capitolo è dedicata alla descrizione delle tipologie di
ordini che possono essere impartiti ad un intermediario (ordini al mercato, stop e
limit orders) e all’analisi della procedura del rollover, supportata da un esempio
pratico.
Il quarto capitolo dell’elaborato è rivolto all’esame delle determinanti fondamentali
del tasso di cambio. In particolare la prima parte, propedeutica alla seconda, è
incentrata sulla descrizione dei principali market movers capaci di influenzare i
mercati finanziari e il corso della valuta di un Paese.
Successivamente è stata osservata la relazione tra le variabili macroeconomiche
ritenute più significative e l’andamento del cambio euro-dollaro dalla nascita della
moneta unica ad oggi.
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L’obiettivo di tale analisi è stato quello di verificare se il cambio si sia mosso in
linea con i fondamentali economici dei due Paesi. In tale studio è stata posta una
particolare attenzione al periodo 2007-2009 coincidente con la crisi dei subprime.
LA CRISI DEI SUBPRIME E I SUOI EFFETTI SUI MERCATI FINANZIARI
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CAPITOLO 1 LA CRISI DEI SUBPRIME E I SUOI EFFETTI SUI
MERCATI FINANZIARI
1.1 I MUTUI SUBPRIME E LA BOLLA IMMOBILIARE
I prodotti derivati sono stati al centro dell’attuale crisi e spesso si è imputata loro la
responsabilità di averla generata, tuttavia, sono solo un elemento dell’ampio
gruppo di strutture e tecniche finanziarie che studiosi ed esperti hanno individuato
come causa della crisi: a volte si è puntato il dito contro i derivati, altre contro i
mutui sub-prime, altre ancora contro le tecniche di cartolarizzazione ed il sistema
finanziario parallelo e chi più ne ha, più ne metta.
I fattori permissivi della crisi dei mutui devono, a mio avviso, essere ricercati nelle
caratteristiche del contesto/mercato, caratterizzato da abbondante liquidità, da tassi
d’interesse ai minimi storici e da mercati azionari in difficoltà, in seguito allo
scoppio della bolla delle Dot.Com nel 2001.
Le manovre espansive perseguite dal presidente della Federal Reserve, Alan
Greenspan, per scongiurare pericoli recessivi e deflazionistici, hanno contribuito a
deprimere i rendimenti dei titoli a basso rischio, indirizzando così gli investitori
verso investimenti alternativi caratterizzati da profili di rischio maggiori.
Quando i tassi di interesse sono bassi, infatti, gli investitori hanno difficoltà nel
reperire investimenti in grado di offrire adeguati rendimenti, dunque, l’unica
alternativa era quella di canalizzare l’abbondante liquidità in business via via più
rischiosi, con una propensione al rischio sempre maggiore.
Gli investimenti in attività reali, ed in particolare nel settore immobiliare,
rappresentavano allora buone opportunità, anche in considerazione del fatto che la
“politica della casa”, intrapresa da Clinton negli anni ’90, e sostenuta negli anni
successivi da Greenspan, aveva innescato un boom edilizio senza precedenti.
LA CRISI DEI SUBPRIME E I SUOI EFFETTI SUI MERCATI FINANZIARI
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Già dal 2001, infatti, le concessioni di permessi edili e dell’apertura di nuovi
cantieri aumentarono considerevolmente, facendo registrare un incremento
vertiginoso della spesa per costruzioni.
La crescita della domanda di immobili ha fatto sì che a partire dagli ultimi anni ’90
i prezzi intraprendessero un trend crescente, che si invertirà solamente nel 2007
con lo scoppio della bolla immobiliare.
In 9 anni, dal ’97 al 2006 l’indice Case-Shiller
1
, ha fatto registrare un’impennata
dei prezzi superiore al 124% nel periodo dal 1997 al 2006.
Grafico 1.1 Indice Case Shiller
Fonte: www.calculatedrlskblog.com
Tale crescita dei prezzi ha incrementato la richiesta di abitazioni, sia da parte di
investitori professionali e non, in cerca di guadagni in conto capitale, sia da parte
di famiglie, anche con basso merito di credito.
Oltretutto, i bassi tassi d’interessi favorivano la rinegoziazione dei mutui, dando
ulteriore spinta alla crescita del settore ed alimentando il clima di euforia sul
mercato.
Il continuo apprezzamento degli immobili ha generato in primo luogo, un aumento
della propensione all’indebitamento delle famiglie statunitensi (che ad esempio
1
L’indice misura i prezzi delle case unifamiliari nelle venti principali aree urbane degli Stati Uniti.
LA CRISI DEI SUBPRIME E I SUOI EFFETTI SUI MERCATI FINANZIARI
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potevano richiedere un secondo mutuo, garantito dal maggior valore acquisito
dall’abitazione rispetto all’epoca dell’accensione del primo), ed in secondo luogo,
una pericolosa espansione del credito da parte degli intermediari.
Questi per assecondare la domanda, hanno finito per imboccare la strada del
“credito facile” al punto di arrivare a finanziare soggetti con dubbio o addirittura
nessun merito di credito, attraverso i mutui subprime.
Il costante aumento dei prezzi immobiliari fungeva, infatti, da garanzia per i
finanziatori, poiché in caso di default del mutuatario, la vendita dell’immobile
avrebbe consentito di ripianare il debito.
Il settore, inoltre, generava ulteriori opportunità per gli intermediari grazie allo
sviluppo del mercato secondario dei mutui, quello delle securitization, che da un
lato permetteva loro di ottenere nuova liquidità disponibile per concedere ulteriori
mutui, e dall’altro offriva interessanti opportunità di investimento in titoli nati dalla
cartolarizzazione dei mutui.
Gli intermediari infatti, alla ricerca di rendimenti e forti dei propri modelli di risk
management, iniziarono a investire sempre più in tali titoli, contribuendo così ad
alimentare la formazione della bolla immobiliare.
Tali circostanze hanno portato ad una inefficiente allocazione del capitale verso
soggetti con inadeguate capacità di credito: a causa dei bassi tassi d’interesse, una
delle strade che banche e intermediari finanziari in genere avevano per accrescere i
propri guadagni, era quella di aumentare i rischi assunti, concedendo prestiti a
soggetti più rischiosi.
I subprime, diffusisi a partire dalla fine dello scorso decennio, sono infatti,
destinati alla clientela non primaria spesso con storia debitoria problematica e
caratterizzati da un rapporto tra ammontare del prestito e valore dell’immobile
maggiore o uguale al 100%.
LA CRISI DEI SUBPRIME E I SUOI EFFETTI SUI MERCATI FINANZIARI
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Negli anni precedenti la crisi hanno conosciuto una crescita enorme: secondo i dati
forniti dall’ABI
2
, il tasso di crescita medio annuo dei mutui subprime tra il 2000
ed il 2006 è stato del 39% e solo nel 2006 si verifica un modesto regresso nelle
concessioni.
Oltre la metà di questi mutui ad alto rischio, ribattezzati anche mutui “Ninja
3
”,
venivano venduti da mortgage brokers, una sorta di venditori di mutui “porta a
porta” che operavano sulla base di autorizzazioni rilasciate con molta leggerezza
dai singoli stati.
Questi, dato che non erano soggetti al controllo delle autority, utilizzavano pratiche
commerciali molto aggressive, se non addirittura illegali.
In aggiunta, tali soggetti non avevano alcun incentivo nell’attuare una accurata
selezione dei prenditori di fondi, anzi, traevano vantaggio proprio nel concedere
mutui subprime, poiché ricevevano un premio se il tasso praticato al prenditore di
fondi superava una certa soglia.
Tali mutui, prevedevano perlopiù tassi variabili (adjustable rate) e molto appetibili
per i primi anni, destinati poi a crescere in seguito ai reset, cioè alla revisione delle
condizioni contrattuali; quindi se inizialmente potevano sembrare alla portata di
tutti, inseguito ai reset costringevano i prenditori di fondi a rifinanziarsi e/o al
pagamento di penalità a causa del ritardo o del mancato rimborso del debito.
Essi prevedevano tassi più alti rispetto a quelli praticati alla clientela primaria, ma
tuttavia, inadeguati rispetto al profilo di rischio del prenditore di fondi: una delle
cause della crisi è stata proprio il mispricing, l’incapacità di determinare un giusto
prezzo d’equilibrio per tali mutui.
Se il tasso fosse stato adeguato, esso stesso avrebbe escluso i mutuatari più
rischiosi.
Il mercato quindi, non è stato un meccanismo efficiente di allocazione delle risorse
e uno dei fattori che ha contribuito a rendere più elastici i criteri di erogazione è
2
Riportati nel documento “La crisi finanziaria negli Stati Uniti e i suoi effetti sull’economia mondiale”a cura di
Vincenzo Chiorazzo, responsabile Settore Studi-Associazione Bancaria Italiana.
3
Acronimo che sta per No Income, No Job or Asset
LA CRISI DEI SUBPRIME E I SUOI EFFETTI SUI MERCATI FINANZIARI
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stato il modello Originate To Distribute, adottato in questi ultimi anni da banche
d’investimento e non.
Tale modello, opposto al modello Originate and Hold, ha permesso, infatti, agli
intermediari finanziari erogatori dei mutui di liberarsi dei rischi connessi,
attraverso le securitization: i mutui erano rivenduti a investitori e diventavano,
oltretutto, fonte di laute commissioni.
Il passaggio a questo modello, ha fatto venir meno gli incentivi che contribuiscono
al corretto funzionamento del sistema; nel modello Originate and Hold, infatti,
usato dalle banche tradizionali, il finanziatore tiene il prestito o il mutuo in bilancio
fino a scadenza, perciò ha tutto l’interesse ad effettuare un'accurata selezione dei
prenditori di fondi (screening), e un adeguato controllo dell’andamento del credito
(monitoring).
Il limite del modello Originate to Distribute, invece, è quello di incentivare
comportamenti scorretti da parte dell’originator e in particolare comportamenti di
moral hazard spingendolo ad assumere rischi enormi, dato che comunque non sarà
lui a doverli sopportare.
I mutui, oltretutto, vengono ceduti in condizioni di asimmetria informativa poiché,
i finanziatori conoscono sicuramente meglio degli investitori finali, i rischi
sottostanti.
L’utilizzo di questo modello, ha implicato innanzitutto un inadeguato pricing del
rischio e in secondo luogo una superficiale o addirittura fraudolenta valutazione del
merito di credito: si pensi, ad esempio, ai mutui “no doc”, rilasciati senza alcuna
documentazione o a quelli “low doc”, rilasciati in base ad una documentazione
molto modesta, oppure ancora ai “liar loans” rilasciati invece, sulla base di
documentazione non veritiera.
LA CRISI DEI SUBPRIME E I SUOI EFFETTI SUI MERCATI FINANZIARI
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1.2 LE CARTOLARIZZAZIONI E IL CONTAGIO MONDIALE
I piccoli istituti e brokers che concedevano tali mutui, cedevano poi i crediti a
banche commerciali o Investment Banks che si occupavano di effettuare le
cartolarizzazioni.
Queste, raggruppavano i mutui in pool per poi venderli a società veicolo create
appositamente (Special Purpose Vehicle) che, emettendo obbligazioni garantite da
mutui (Asset Backed Securities), si procuravano le risorse necessarie per il
pagamento dei crediti acquisiti e in seguito trasferivano i flussi finanziari ai
possessori delle ABS.
Tali operazioni che data la loro struttura funzionano nella misura in cui il
mutuatario provvede al rimborso del debito, permettevano all’originator di
ottenere, da un lato bilanci più snelli, riducendosi i crediti contabilizzati e dall’altro
una migliore situazione di liquidità, grazie all’incasso del corrispettivo dei crediti
ceduti.
In definitiva avrebbero dovuto comportare un minor costo della raccolta per
l’emittente e di conseguenza una riduzione del costo dei mutui per i debitori.
Dal punto di vista dell’investitore, invece, investire in un ABS poteva dare il
vantaggio di ottenere una riduzione del rischio globale, attraverso la
diversificazione derivante dal fatto che un unico titolo ingloba diversi crediti.
Inizialmente solo i mutui più sicuri venivano cartolarizzati, ma negli ultimi anni
come si è visto, i muti iniziano ad essere concessi anche a soggetti con basso
merito di credito ed anche i mutui subprime vengono cartolarizzati.
Ogni tipologia di mutuo viene trasformato in titoli con diverso grado di rischio.
Per collocare più agevolmente tali titoli presso gli investitori, gli operatori
attuavano poi due operazioni accessorie: il rating e il miglioramento del credito o
credit enhancement.
LA CRISI DEI SUBPRIME E I SUOI EFFETTI SUI MERCATI FINANZIARI
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Nel primo caso si tratta di un giudizio di merito espresso da società specializzate:
attraverso l’analisi della qualità degli asset, queste, assegnano una classe di rischio
al titolo.
Di solito in un’operazione di securitization la società veicolo emetteva più
tranches, suddivise in base al grado di seniority
4
ad ognuna delle quali
corrispondeva, quindi, un diverso rating.
Le tranches equity, le prime a sopportare le eventuali perdite, spesso erano
acquistate dall’originator, mentre le altre venivano collocate presso gli investitori.
Il miglioramento del credito, invece, consiste in una serie di garanzie, dirette o
indirette, che assistendo i crediti, ne diminuiscono il rischio, aumentandone di
conseguenza il livello del rating.
Le tecniche utilizzate per mitigare i rischi di perdita, sono state diverse: ad esempio
lo si è fatto attraverso l’overcollateralization, emettendo cioè, strumenti finanziari
per un importo minore del valore dei crediti sottostanti, oppure attraverso
concessione di fidi o polizze assicurative come i Credit Default Swap.
L’ingegneria finanziaria, tuttavia, anche a causa dell’eccessiva
deregolamentazione
5
del settore, non si è arrestata agli ABS: questi spesso
venivano “ri-cartolarizzati” e impacchettati nei cosiddetti Collateralized Debt
Obbligation, obbligazioni molto complesse emesse a fronte di cartolarizzazioni.
L’enorme numero di debiti individuali sottostanti l’obbligazione, tra cui anche
subprime, rendeva, infatti, praticamente impossibile la valutazione dei rischi
connessi alla stessa.
Come se non bastasse, gli “strutturatori” hanno attuato operazioni in cui il
sottostante stesso, era costituito da altri titoli derivanti da altre cartolarizzazioni,
come i CDO-Squared o i CDO-Cubed il cui sottostante è rappresentato nell’ordine,
da titoli di CDO o titoli di CDO-Squared.
4
Cioè in base alla priorità nella ricezione dei flussi di capitale e interessi.
5
Si veda ad esempio la limitazione dei controlli sulle Investment Banks, sancita nel 1999 e la deregolamentazione
dei derivati, attuata nel 2000.
LA CRISI DEI SUBPRIME E I SUOI EFFETTI SUI MERCATI FINANZIARI
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La struttura di tali strumenti era tale che neppure gli investitori professionali sono
stati in grado di comprenderne la composizione e quali fossero le garanzie
sottostanti.
La deregulation “selvaggia”, che ha attraversato gli Stati Uniti a partire dagli anni
’90, ha quindi contribuito ad una eccessiva finanziarizzazione dell’economia
statunitense, e favorito lo sviluppo impetuoso di strumenti derivati sempre meno
trasparenti.
Verrebbe, tuttavia, spontaneo domandarsi come abbiano fatto gli intermediari
finanziari statunitensi a “cospargere” il mondo di questi strumenti così opachi e
così rischiosi.
Una prima responsabilità può attribuirsi alle agenzie di rating che hanno spesso
sottostimato i rischi classificando come poco rischiosi, strumenti che al contrario
celavano rischi enormi e che molto spesso hanno adeguato i propri giudizi troppo
lentamente
6
rispetto al deterioramento della situazione dell’emittente.
Una spiegazione di tali “errori” può essere ricercata nella situazione di potenziale
conflitto d’interessi in cui vertono tali società essendo “controllate dai controllati”,
e partecipando esse stesse alle operazioni di cartolarizzazione.
Non a caso uno degli obiettivi che autority nazionali e sovranazionali si sono
poste dopo la crisi, è proprio la loro riforma in modo da accrescerne l’indipendenza
e l’affidabilità delle valutazioni.
In secondo luogo, le garanzie poste a tutela del credito come i CDS, che venivano
usati con funzione di copertura per il sottoscrittore, hanno rafforzato la percezione
di investimenti di qualità presso gli investitori, contribuendo alla diffusione di tali
complessi strumenti finanziari.
Grazie ai meccanismi di credit enhancement e ai buoni giudizi espressi dalle
società di rating, la liquidità di questi strumenti è aumentata considerevolmente,
6
Basti pensare che ancora pochi giorni prima del fallimento del colosso Lehman Brothers, le obbligazioni
dell’istituto godevano di rating molto elevato.
LA CRISI DEI SUBPRIME E I SUOI EFFETTI SUI MERCATI FINANZIARI
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spingendo così investitori istituzionali di ogni parte del mondo a detenerne ingenti
quantità nei propri bilanci.
La rapida diffusione di tali strumenti, ha contribuito oltretutto all’espansione
dell’offerta di credito e indirettamente alla crescita del prezzo degli immobili:
proprio il combinato effetto di credito facile, bassi tassi d’interesse e liquidità
abbondante, ha portato il tasso di crescita del prezzo degli immobili a raggiungere
livelli insostenibili.
Dal 2001 al 2006 i prezzi delle abitazioni raddoppiano, senza che tale incremento
fosse spiegato dai costi di produzione e dai fondamentali.
Quando però al fine di rallentare l’economia, la Fed, opta per una stretta monetaria,
portando nel giro di due anni (dal 2005 al 2007) il Federal Funds Rate dall’1% al
5,25%, il trend dei prezzi immobiliari termina la sua ascesa.
L’aumento dei tassi di sconto, che si riflette su tutti i tassi d’interesse, rende il
ricorso al credito da parte di famiglie e imprese meno conveniente e di
conseguenza si verifica una riduzione della domanda di immobili ed una brusca
inversione del trend dei prezzi.
Inoltre, dato che i mutui subprime erano perlopiù a tasso variabile, le rate dei
mutuatari divengono più onerose ed ecco che si verificano le prime insolvenze.
Il contestuale arretramento dei prezzi degli immobili, fa sì che molti di questi
mutui non fossero più coperti da una garanzia piena: molti mutuatari si accorgono
che l’importo del loro mutuo, superava il valore dell’immobile acquistato e
dunque, neppure rivendendolo sarebbero riusciti ad estinguere il debito.
Il numero di coloro che, non riuscendo a pagare le rate, si vede costretto a
sgomberare la casa (che ora vale l’80% del prezzo d’acquisto) e a riconsegnare le
chiavi di casa alla banca, aumenta enormemente e l’invio da parte degli istituti
finanziatori delle cosiddette “default notice
7
”, iniziano ad essere sempre più
diffuse.
7
In pratica un avviso di possibile dissesto che indica l’avvio della procedura di pignoramento da parte della banca.