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La seconda parte riguarda il lavoro che è stato svolto per rendere l’indice di infla-
zione più conforme alle percezioni dei consumatori. Dopo una ampia rassegna
degli studi effettuati in questo ambito in Italia e alll’estero si da una descrizione
della metodologia utilizzata per misurare gli effetti dell’inflazione sui decili di
famiglie. Si procede quindi ad una analisi dettagliata degli indici ottenuti per deci-
li, circoscrizioni e tipologie familiari.
La tesi si conclude con alcune considerazioni in merito ai risultati ottenuti attra-
verso l’indagine empirica condotta.
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CAPITOLO I – L’AVVENTO DELL’EURO
Il primo gennaio 1999 il valore della lira, come quello delle altre 11 monete di al-
trettanti paesi europei fu fissato definitivamente rispetto alla nuova moneta inter-
nazionale: l’euro. In particolare la nostra moneta veniva cambiata ad un tasso di
un euro contro 1936,27 lire.
È il primo passo di un processo che ha il fine di modificare la struttura dei poteri
all’interno del sistema monetario internazionale, unificando tra loro valute dei pa-
esi facenti parte dell’Unione Monetaria Europea, per opporre concorrenza al dol-
laro, moneta predominante nell’economia mondiale insieme allo yen. La nascita
dell’euro infatti farà sì che l’Europa diventi il mercato finanziario domestico più
grande del mondo.
Già dalla sua creazione, nel 1999 l’euro assunse istantaneamente il ruolo di se-
conda valuta mondiale, dopo il dollaro.
Il primo gennaio 2002 l’euro fece la sua comparsa nel mercato e cominciò a sosti-
tuire le 12 vecchie monete europee degli altrettanti paesi che, per primi, furono
inseriti nell’Area-Euro: Belgio, Germania, Grecia, Spagna, Francia, Irlanda,
Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Austria, Portogallo, Finlandia.
Quando la Svezia, la Danimarca e il Regno Unito - paesi dell’Unione Europea che
non hanno ancora adottato la moneta unica - entreranno a far parte dell’Area-Euro,
il PIL complessivo dell’area sarà pari al 75% di quello dell’area del dollaro. Se
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poi si prospetta la partecipazione di altri paesi, già candidati a far parte
dell’Unione Europea, allora ci si attende che il PIL dell’area supererà quello degli
Stati Uniti di oltre il 20%. La profonda modifica della struttura di potere del si-
stema, indotta da tale situazione, farà sì che parte del potere commerciale attual-
mente in mano agli Stati Uniti verrà traferito all’Unione Europea.
Nella prima metà del 2002 tutti i prezzi dei beni erano contrassegnati nelle due
valute, per esempio, in Italia lira ed euro, così da assicurare un confronto diretto
tra il vecchio prezzo del bene in questione ed il nuovo prezzo in euro. Dalla se-
conda metà dello stesso anno l’euro divenne l’unica valuta in circolazione.
Ed è proprio in corrispondenza dell’entrata dell’euro che nell’opinione pubblica si
è gradualmente rafforzata la convinzione che tale evento abbia determinato nel
tempo un forte impatto sul livello dei prezzi. In particolare, nei mesi successivi e
fino ai giorni nostri le percezioni dei consumatori sulla dinamica dei prezzi, in I-
talia e negli altri paesi dell’area dell’euro, sono fortemente peggiorate. Si è assisti-
to ad una accelerazione dell’inflazione in Italia che ha preoccupato sia le autorità
che la gente comune. Se da un lato, nei primi mesi di transizione dalla lira all’euro,
l’effetto del cosiddetto changeover sul livello dei prezzi veniva considerato come
trascurabile, dall’altro, nei mesi successivi l’atteggiamento è divenuto molto più
cauto ed interlocutorio. Dalle numerose analisi condotte per indagare
sull’andamento dell’inflazione emergono pareri contrastanti. Sono state avanzate
molte ipotesi, volte a spiegare questo aumento dell’indice di inflazione. In parti-
colare si è gradualmente rafforzata la convinzione che sia stata proprio
l’introduzione dell’euro a determinare il rialzo del livello dei prezzi.
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Sono state ipotizzate tre ragioni per cui il changeover può, in linea di principio,
aver comportato un aumento del livello di prezzi nell’anno 2002:
1) al momento del cambio dei biglietti sono anche stati rivisti i prezzi e, dato il
costo per cambiare i listini, alcuni venditori possono aver concentrato in quel pe-
riodo i cambiamenti di prezzo;
2) i prezzi in euro possono essere stati arrotondati verso l’alto, o verso livelli di
prezzi detti “attraenti” sebbene la normativa comunitaria avesse previsto che tale
arrotondamento avvenisse al centesimo più vicino;
3) i prezzi nella nuova moneta vengono appresi lentamente, mano a mano che i
beni vengono acquistati. Di questa temporanea "ignoranza" possono trarre van-
taggio i venditori, praticando prezzi più alti della norma.
Tuttavia secondo le stime ufficiali dell’Istat, e secondo alcuni studi svolti da alcu-
ni ricercatori, l’introduzione dell’euro e le motivazioni appena menzionate, non
hanno comportato un aumento dell’inflazione nei primi mesi del 2002, periodo
nel quale tale aumento sarebbe stato più probabile. Secondo le fonti Eurostat, il
contributo percentuale associato a tali cause è stato, nei primi mesi del 2002, me-
no dello 0,3% dunque una quantità, tutto sommato, irrilevante. Piuttosto, solo ne-
gli ultimi mesi del 2002 si è assistito ad un’accelerazione più sostenuta
dell’inflazione.
Secondo altre fonti, l’impatto del Changeover sull’indice generale dei prezzi al
consumo per l’intera collettività nazionale tra gennaio e ottobre 2002, si colloca
tra lo 0,2 e lo 0,8 percento. Tale variazione è dovuta al metodo di stima che viene
impiegato.
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Ulteriori studi effettuati nei mesi successivi mostrano come in certi casi, l’effetto
del Changeover non si sia esaurito nella seconda metà del 2002, come più volte
affermato dall’Istat, ma si sia mantenuto fino alla prima metà del 2003. Se dunque
non è possibile attribuire l’aumento dei prezzi all’entrata dell’euro, è necessario
ricercare ulteriori cause che abbiano spinto i prezzi al rialzo.
Tra le ragioni di questa elevata crescita dell’inflazione non va sottovalutato il
consistente aumento del prezzo del petrolio. Le sue quotazioni esercitano spinte al
rialzo sul livello generale dei prezzi e la persistenza di queste su livelli elevati
spinge il tasso di inflazione a superare la soglia del 2%. Il motivo per il quale
l’aumento del prezzo del petrolio influenza in maniera evidente il tasso
d’inflazione italiano è che il nostro Paese è dotato di scarse risorse energetiche.
Per produrre occorre energia, quindi petrolio. Se il prezzo del petrolio aumenta,
aumenta il costo dell'energia, quindi crescono i prezzi dei beni e dei servizi per i
cittadini: tale circolo vizioso causa l’incremento dell'inflazione in Italia. Il risulta-
to che ne consegue è che nel nostro paese essa risulta più elevata rispetto alla me-
dia europea. Il differenziale fra l’inflazione italiana e quella europea, entrambe
misurate con l’indice armonizzato, ha infatti subito un calo dallo 0,9% nel 1998
allo 0,1% nel 2001, per poi impennarsi fino a raggiungere lo 0,7% nel 2003. Per-
tanto si riscontra che in Italia i prezzi crescono molto velocemente ma a tale cre-
scita non corrisponde un miglioramento dell’economia, così come avviene negli
altri paesi europei ad alta inflazione. Qesta anomalia viene rilevata solo nel nostro
Paese; il risultato è che perdiamo competitività rispetto al resto d’Europa.
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1.1 - L’inflazione percepita e l’inflazione misurata
Nei mesi successivi alla questione sul Changeover è sorta un’ulteriore problema-
tica che ha preoccupato autorità e consumatori: si tratta dell’enorme divario tra
l’inflazione effettivamente misurata dall’Istat e l’inflazione percepita dalle fami-
glie italiane. Col passare dei mesi, infatti, si è visto che alle misure ufficiali
dell’inflazione non è corrisposto, e non corrisponde, tuttora, l’inflazione percepita
dai consumatori. In realtà, non sono state effettuate indagini rigorose per misurare
l'inflazione percepita.
Tale divario, tuttavia, sebbene fosse sempre esistito, anche prima dell’avvento
dell’euro, oggi è comunque di gran lunga superiore ai divari registrati negli anni
passati, come si nota dal grafico seguente:
Figura 1: Inflazione percepita e misurata in Italia dal 1992 al 2003
Fonte: Istat
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Tale misura dell’inflazione percepita è solo qualitativa: ci informa sulla tendenza
delle percezioni, non sulla loro entità. I dati si riferiscono infatti allo scarto tra la
proporzione degli intervistati che afferma che il livello dei prezzi è aumentato e la
parte di coloro che sostiene che sia rimasto costante. In linea di principio, il dato
potrebbe essere coerente con un livello dell’inflazione percepita non discosto o
anche inferiore a quello rilevato.
Prima dell’introduzione dell’euro, l’indicatore delle percezioni era allineato con il
tasso effettivo. Inizia a divaricare dopo l’adozione della nuova moneta. Ad oggi
non esiste una spiegazione convincente del perché, dall’adozione dell’euro, infla-
zione percepita e misurata hanno iniziato a divaricare. Data la concomitanza tem-
porale, si imputa il fatto all’euro, ma il meccanismo è oscuro.
Secondo alcuni ricercatori, la prassi che normalmente porta ad arrotondare il valo-
re dell'euro a 2.000 lire fa sì che l'inflazione percepita possa arrivare anche al 6%.
Tale arrotondamento, infatti, è pari a circa il 3,2% che, sommato al tasso ufficiale
del 2,8% negli ultimi mesi del 2002, porta ad una percezione dell’inflazione pari
appunto al 6%. Si tratta di un problema che non c'è stato in tutti paesi, non perché
ci siano stati maggiori controlli ma poiché il problema dell'arrotondamento a volte
è stato all'inverso; l'impressione, dunque è stata minore. Una simile spiegazione,
però, può avere senso solo nei primi mesi del passaggio dalla lira all’euro, perio-
do durante il quale i prezzi erano espressi nelle due valute. Nel momento in cui il
passaggio si è completato, non ha più senso giustificare la divergenza dei tassi e
delle percezioni dei consumatori in questo modo.
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Tale gap ha causato non poche critiche rivolte soprattutto all’Istituto Italiano di
Statistica che nel 2003 è stato accusato di produrre stime inaffidabili
sull’inflazione. Una ricerca effettuata dall’Eurispes nel dicembre 2002 segnalò e-
levatissime differenze con le stime dell’Istat. Tra le più eclatanti, vi sono i rincari
nel solo settore alimentare che secondo l’Eurispes, nell’ultimo anno, ammontava-
no al 29%, mentre secondo l’Istat al 3,8%. Questa enorme differenza dipendeva
però dal fatto che l’Eurispes utilizzava un diverso sistema di rilevazione rispetto
alla metodologia Istat:
ξ Il calcolo dell’Eurispes era il risultato della media delle variazioni dei sin-
goli prezzi dei prodotti mentre quello dell’Istat era il risultato delle variazioni dei
prezzi medi.
ξ L’Eurispes ha utilizzato un campione rappresentativo di famiglie molto ri-
dotto e ha stilato, sulla base di questo, un nuovo paniere comprendente 150 voci
contro le 568 presenti nel paniere Istat.
ξ Non avendo dati in memoria l’Eurispes è risalito ai prezzi di Dicembre
2001 grazie a scontrini ed interviste contrariamente all’Istat che effettua rileva-
zione dalla fine degli anni ‘40.
La risposta dell’Istituto Nazionale di Statistica non si fece attendere e il presidente
Biggeri denunciò l’Eurispes di diffondere dati inattendibili dal punto di vista
scientifico
1
. In tutta risposta, l’Istat diffuse alcuni documenti attraverso i quali da-
va una esaustiva delucidazione delle proprie metodologie e degli aspetti relativi al
1
R. De Gennaro, “Esplode la guerra dei prezzi”, in La Repubblica, 4 Gennaio 2003.
11
sistema dei pesi e delle modifiche apportate per la costruzione del paniere di beni
del 2003.
Se da un lato le stime dell’Eurispes risultano poco attendibili, poiché le metodo-
logie utilizzate risultano veramente molto scarse in confronto a quelle consolidate
da tempo e utilizzate dall’Istat per le proprie indagini, è pur vero che una così
grande differenza tra le stime dell’Istat e le percezioni dei consumatori non può
essere sottovalutata.
Tuttavia, l'inflazione percepita dalle persone, proprio per la componente implicita
di "soggettività" e di "sensazione", è un concetto poco certo. Esso è un processo
sociale che, da un lato, subisce l’influenza dei “Media” e degli Opinion Makers, e
dall’altro, sconta asimmetrie e imperfezioni percettive; esso incorpora in sé alcune
distorsioni.
Una prima riguarda l'orizzonte temporale; l’inflazione rilevata mostra l'aumento
intervenuto rispetto a dodici mesi prima, cioè l'aumento tendenziale; il vissuto dei
consumatori ha una memoria storica temporalmente più limitata (tre o quattro me-
si) ed è fortemente influenzato dalla "velocità di corsa", cioè dall'intensità dell'ac-
celerazione del fenomeno inflattivo.
Una seconda distorsione è connessa alla “linearità” della crescita. Un aumento dei
prezzi lineare, lento e progressivo, che dopo dodici mesi si traduce in prezzi più
elevati del 3% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, non viene quasi
percepito.
12
Un aumento improvviso del 3%, seguito da una stabilizzazione, anche se in un
anno produce lo stesso effetto, viene immediatamente avvertito e nel vissuto sog-
gettivo si amplifica, anche a causa della preoccupazione che l’impennata possa
ripetersi. Lo “scalino” dell’euro ha certamente prodotto questo effetto.
Una terza distorsione nella percezione è data dalla frequenza d’acquisto dei pro-
dotti, quasi a prescindere dal loro valore. Se il prezzo dei beni di uso quotidiano,
spesso di scarso valore, non aumenta e, invece, cresce quello dei beni di uso meno
frequente (auto, mobili, alberghi..), la percezione dell’inflazione è “debole”; se,
invece, avviene il contrario, la percezione è “forte”. Ad inizio 2002 sono aumen-
tati i prezzi di frutta, ortaggi, caffé, giornali ed il consumatore è stato ed è ancora
sottoposto ad una dose quotidiana di aumenti ed alla giornaliera constatazione e
consapevolezza del fatto che i beni che acquista abitualmente costano di più ri-
spetto alle volte precedenti. Questo “stress da inflazione” si è intrecciato con lo
“stress da euro”, facendo diventare azioni quotidiane, piacevoli e rilassanti come
prendere un caffè ed un giornale, “stressanti”. Questi prodotti a basso valore uni-
tario ma ad acquisto ricorrente, hanno subito forti aumenti; poiché si tratta di pro-
dotti di uso quotidiano è chiaro che questi rincari hanno una forte valenza psico-
logica e tendono ad amplificare la sensazione di incrementi generalizzati dei prez-
zi.
Per questi motivi, è chiaro che l'inflazione percepita non può essere assunta a rife-
rimento rigoroso per decidere se l'inflazione rilevata è errata o fortemente sottova-
lutata. Ma questo non ci esime dal cogliere il messaggio che ne scaturisce: è evi-
dente, infatti, che le informazioni che vengono fornite dall’Istat non rispondono
13
all'esigenza dei consumatori di trovare nei dati ufficiali il riscontro di quanto per-
cepito e vissuto. Da questo punto di vista però, l’Istat è stata vittima di una vera e
propria campagna di "disinformazione statistica". È stata accusata di produrre
stime sbagliate, non considerando che il divario fra l’inflazione rilevata dall'Istat e
la percezione della gran parte dei cittadini deriva in primo luogo dalla difficoltà di
molti nel comprendere il significato di "valore medio". In presenza di una infla-
zione che ha una ampia variabilità fra diverse categorie di beni e servizi, fra pro-
dotti, fra città e, addirittura, fra quartieri, l’indice calcolato dall’Istat può assolvere
l’unica funzione di essere un semplice indicatore medio dell’aumento dei prezzi
relativo a una popolazione media. Se è in parte comprensibile che i singoli citta-
dini, già disorientati dall’introduzione dell’euro, in presenza di uno scalino nella
dinamica dell’inflazione trovino difficile capire questi concetti base della statisti-
ca, meno giustificabile è il ruolo che hanno svolto i mass media. La critica, anche
radicale, è ben accetta e risulta necessaria se si pone sul piano scientifico. Nume-
rosi quotidiani, hanno, invece, ospitato articoli imprecisi e concesso uno spazio
eccessivo alle iniziative prive di fondamenti scientifici dell’Eurispes, elargendo
critiche gratuite con troppa facilità. Dall’altro lato, per rafforzare la propria credi-
bilità, l’Istituto dovrebbe forse migliorare la comunicazione con i media, la tra-
sparenza e la diffusione delle informazioni.
Al di là del fatto che tale divario tra inflazione rilevata e percepita c’è sempre sta-
to nel tempo, non si può dimenticare che esso è risultato più consistente negli ul-
timi anni. A quali cause, dunque, deve essere imputato questo consistente gap?
14
Una delle ipotesi avanzate è quella di Marcello De Cecco
2
, secondo il quale la
modificazione dei prezzi che caratterizza l’economia italiana attuale è dovuta alla
crescente concorrenza dei mercati asiatici quali Cina e Giappone che producono
beni a costi radicalmente più bassi di quelli occidentali e li vendono quindi nei
nostri mercati a prezzi concorrenziali. Il risultato è che il fenomeno inflattivo vie-
ne annacquato poiché i prezzi dei beni in concorrenza, come i beni tecnologici
provenienti dall’estremo oriente, diminuiscono; crescono però in misura eccessiva
i prezzi dei beni sui quali non c’è concorrenza asiatica o sui quali vige la prote-
zione dalla concorrenza internazionale.
Su questi beni, infatti gli aumenti dei prezzi si possono effettivamente attuare sen-
za particolari problemi. Inoltre i beni che tendono a calare di prezzo sono gene-
ralmente quelli considerati più moderni ed appetibili dalle giovani generazioni.
Dunque, i panieri che misurano l’inflazione sono stati in questi anni continuamen-
te rivisti per aumentare il peso di tali beni e servizi a scapito di quelli più tradizio-
nali.
Pertanto un indice di inflazione non eccessivamente elevato (entro il 3%) da su-
scitare allarme, nasconde in realtà un vistoso aumento dei prezzi di beni e servizi
che ricade sulle tasche degli italiani, in particolare di operai e impiegati
dell’Industria, di lavoratori a reddito fisso del settore pubblico e di pensionati pri-
vati e pubblici, cioè delle categorie che, come dicono gli economisti, non control-
lano i propri prezzi.
2
M. De Cecco, “Sono i prezzi a cambiare la mappa della ricchezza, l’Italia non è tra i vincitori”,
in Affari & Finanza de La Repubblica, 4 Ottobre 2004.
15
Un’altra ipotesi, trova la sua spiegazione nella perdita del potere contrattuale dei
lavoratori dipendenti; uno degli effetti di questa decadenza è la minor capacità di
contrattare le sterilizzazioni dei salari dagli effetti dell’inflazione. Ricordando che
se da un lato molti accusano i meccanismi di indicizzazione automatica dei salari
(la scala mobile) di essere tra i principali motori di diffusione dell’inflazione nel
sistema economico, è fuor di dubbio che oggi non c’è più alcun automatismo, anzi
il lavoro dipendente rischia di assorbire sulle sue spalle parte degli impulsi infla-
zionistici sotto forma di minori garanzie contrattuali. Dall’altro lato però, gli indi-
ci dei prezzi al consumo risentono inoltre di ulteriori distorsioni difficili da con-
trollare. Ultimamente le stime ottenute fanno ritenere che gli indici siano stati sot-
tostimati in misura significativa, tale sottostima (percepita dai consumatori) sa-
rebbe responsabile di gran parte degli squilibri sperimentati nella definizione delle
remunerazioni dei fattori produttivi e delle spese indicizzate.
16
1.2 - La polemica sugli indici Istat
Un’ulteriore ipotesi che spieghi la divergenza dei tassi di inflazione con le perce-
zioni dei consumatori riguarda il giudizio di affidabilità delle stime Istat che, negli
ultimi anni sembrano non rappresentare più l’inflazione realmente sostenuta dai
consumatori.
Recentemente la polemica rivolta all’Istat sull’indice dei prezzi al consumo ha
raggiunto livelli preoccupanti tanto che si è reso necessario l’intervento della
Commissione per la garanzia dell’informazione statistica, che si è espressa in ter-
mini positivi sull’attività dell’Istituto Nazionale di Statistica in materia dell’indice
(anche se hanno accompagnato tale valutazione con suggerimenti per il migliora-
mento dei risultati). L’attendibilità dei tassi di inflazione forniti dall’Istat non è
comunque motivo di ottimismo. Negli ultimi anni l’inflazione italiana è tornata ad
essere più alta della media europea, con un differenziale di 0,4-0,7 punti percen-
tuali, che per di più tende a dilatarsi. Non si dovrebbe dunque sottovalutare il ri-
schio di una ulteriore e progressiva perdita di competitività del paese.
Se da un lato la critica rivolta all’Istat agli inizi del 2003 da parte dell’Eurispes (di
cui si è trattato precedentemente) non trova un fondamento di tipo metodologico,
dall’altro essa ha permesso di soffermarsi sul problema dell’accuratezza dei dati
forniti dall’Istat.
È pur vero che non vi sono alternative alle statistiche ufficiali, tuttavia non si può
non considerare che gli indici sui prezzi al consumo forniti risultano poco signifi-
cativi per spiegare l’inflazione sostenuta da tutte le tipologie di consumatori in