legge che, intervenendo rispettivamente sugli artt.
233 e 366 c.p.p., disciplinano - con le differenze di
cui si dirà - quelli che sono stati definiti i "poteri
partecipativi" della difesa3. Si tratta in particolare
della consulenza tecnica fuori dai casi di perizia e
dell'esame delle cose sequestrate da parte del
difensore. La dottrina4 ha considerato tali
disposizioni come espressione di un principio in base
al quale nessuna delle parti può occultare alle altre
le fonti di prova eventualmente già attinte. Si
tratterebbe di un principio di non dispersione delle
fonti di prova sui generis che si configura come
corollario del principio di parità delle armi:
quest'ultimo sarebbe infatti frustrato, e le stesse
facoltà che la disciplina sulle investigazioni
difensive attribuisce alle parti private
risulterebbero gravemente compromesse, se l'accesso a
determinate fonti di prova fosse lasciato nella
disponibilità di una sola parte.
In effetti, il vigente codice di rito è stato
concepito in un ottica di (tentato) superamento di
quell' «arduo compromesso» tra la tradizione
accusatoria di stampo anglosassone e i modelli
inquisitori tipici dell'Europa continentale che aveva
caratterizzato il sistema processuale previgente e che
era consistito «nel disporre un'istruzione segreta ed
3 P. TONINI, Manuale di procedura penale, Milano, Giuffrè, 2003,
487.
4 F. FOCARDI, Più garantito il "diritto di accesso" agli atti di
indagine, cit., 148. In maniera più cauta ma sostanzialmente
nello stesso senso C. GRECO, Innovazioni in tema di deposito
degli atti di indagine garantiti, in Il nuovo ruolo del
difensore nel processo penale, a cura di M. Ferraioli, Milano,
Giuffrè, 2001, 281.
2
un dibattimento pubblico»5. Si è andato così
progressivamente affermando «l'istituto [...] della
discovery, ossia il diritto di difesa di conoscere gli
atti su cui si fondano le pretese e le argomentazioni
della controparte, prima dell'istruttoria dibattimentale»6.
È stato peraltro acutamente osservato7 come
l'assunto secondo cui nessuna delle parti, sia essa
pubblica o privata, può occultare a un'altra le fonti
di prova possa destare qualche perplessità ove si
tenga conto della diversificazione che si riscontra "a
monte" tra parte pubblica e parte privata, e cioè che
quest'ultima, a differenza della prima, non è
obbligata a rivelare le fonti di prova da essa già
attinte.
In ogni caso il diritto di prendere visione del
materiale utile ai fini probatori cui sia giunta per
prima la controparte, il quale riveste un ruolo
decisivo anche come stimolo al contraddittorio, non è
un diritto a carattere assoluto: esso trova infatti
una naturale limitazione nelle esigenze di repressione
delle fattispecie penalmente rilevanti. Anzi, è
proprio nella ricerca di un nuovo equilibrio (in
armonia con un "giusto processo" ispirato al modello
accusatorio) tra diritto di difesa, inteso nella sua
accezione di diritto al libero accesso alle fonti di
prova, e esigenze di segretezza connesse alla scoperta
e repressione dei reati che si gioca uno degli aspetti
più delicati - nonchè più controversi - dell'intera
5 A. MALINVERNI – P. TONINI, voce Segreto, III) Segreto istruttorio,
in Enc. Giur. Treccani, vol. XXVIII, Roma, 1992, 9.
6 C. GRECO, Innovazioni in tema di deposito, cit., 274.
7 G. RUGGIERO, Compendio delle investigazioni difensive, cit.,
390.
3
novella del 20008.
La soluzione approntata dal legislatore è, come si
dirà appresso, differente a seconda che si tratti
dell'ipotesi di consulenza tecnica extraperitale di
cui all'art. 233 c.p.p. o dell'esame delle cose
sequestrate da parte del difensore disciplinato
dall'art. 366 c.p.p.: nel primo caso è prevista una
richiesta di autorizzazione al pm (al giudice una
volta esercitata l'azione penale) contro il cui
diniego può essere proposta opposizione al giudice che
provvede ex art. 127 c.p.p., mentre (il deposito e)
l'esame delle cose sequestrate da parte del difensore
possono subire un differimento di non oltre 30 giorni
mediante decreto motivato del pm, anche qui passibile
di opposizione davanti al giudice che provvede sempre
ex art. 127 c.p.p.9.
Prima di passare ora ad una disamina nel dettaglio
di quei "poteri partecipativi" della difesa testè
richiamati, sembra opportuna una precisazione: il
presente lavoro si occupa degli atti di investigazione
diretta della difesa, che a rigore sono la richiesta
di documentazione alla pubblica amministrazione di cui
8 Tanto che A. CRISTIANI, Guida alle indagini difensive nel
processo penale, Torino, Giappichelli, 2001, 145 ritiene che
la l. n. 397/2000 offra «una nuova occasione di diagnosi
obiettiva dei limiti patologici di un sistema in perenne
conflitto tra evoluzione e involuzione, tra armonia e
contraddizione».
9 Problemi analoghi (e per certi versi ancor più marcati) sono
posti dal potere di segretazione del pubblico ministero di cui
all'art. 391 quinquies, in forza del quale il pm può, con
decreto motivato, vietare per un massimo di 60 giorni alle
persone da lui sentite di comunicare ad altri "i fatti e le
circostanze oggetto dell'indagine di cui hanno conoscenza".
Non rientrando tale disposizione nell'oggetto del presente
lavoro si rinvia a F. SIRACUSANO, Commento all'art 11 (art. 391-
quinquies) della l. 397/2000, in La difesa penale, cit., 174
ss.
4
all'art. 391-quater c.p.p. e l'accesso ai luoghi -
pubblici o privati - con l'annessa disciplina relativa
agli atti irripetibili di cui si occupano gli artt.
391-sexies, 391-septies e, escluso il comma 1, 391-
decies c.p.p. In linea di principio dunque l'oggetto
del presente capitolo non rientra nel novero degli
atti di indagine difensiva; si è però ritenuto
opportuno occuparsene per alcune ragioni. Una di
queste consiste nella consapevolezza che le novità
introdotte negli artt. 233 e 366 c.p.p. risultano
legate alla disciplina dell'accesso ai luoghi: come si
vedrà nel capitolo terzo, quest'ultima si sovrappone
in particolare a quella dettata dall'artr. 233 per il
consulente tecnico, con conseguenti problemi di
coordinamento di una certa rilevanza.
Ma soprattutto la scelta è stata dettata dalla
considerazione che, mentre gli atti di investigazione
diretta veri e propri si esplicano tendenzialmente su
materiale ignorato dall'autorità giudiziaria, quelli
che qui abbiamo chiamato "poteri partecipativi"
consentono di svolgere un'attività latu sensu
investigativa su materiale che è invece all'autorità
giudiziario noto, o perchè da questa sottoposto a
vincolo o perchè oggetto da parte della stessa di
ispezione. Con la conseguenza che una trattazione
preliminare di tali atti sembra qui pertinente.
5
2. - L'esame delle cose sequestrate da parte del
difensore.
2.1. - Premessa.
L'art. 366 c.p.p. trova la sua collocazione nel
libro V del codice, all'interno del titolo V, relativo
all'attività di indagine del pubblico ministero. Esso,
nella sua originaria formulazione, si occupava (e si
occupa tuttora) dei c.d. atti garantiti - cioè di
quegli atti compiuti dal pubblico ministero e dalla
polizia giudiziaria per i quali è prevista
l'assistenza, con o senza previo avviso, del
difensore10 - andando a chiudere una serie di norme che
disciplinano proprio le modalità esplicative di tali
atti. L'art. 10 della legge 397/2000 è intervenuto su
entrambi i commi di cui tale disposizione si compone:
in particolare il primo comma è stato ampliato con un
terzo capoverso che prevede la facoltà per il
difensore di «esaminare le cose sequestrate nel luogo
in cui esse si trovano e, se si tratta di documenti ,
di estrarne copia», mentre il secondo comma è stato
interamente riformulato - lo si vedrà nel paragrafo
seguente - nell'intento di disciplinare in maniera
10 In dottrina gli atti garantiti sono a loro volta suddivisi in
"atti partecipati", caratterizzati dal previo invio del
relativo avviso al difensore in quanto si ritiene la sua
presenza essenziale per il diritto di difesa, e "atti comunque
garantiti" per i quali la garanzia di partecipazione è più
debole in quanto non sono preceduti da un avviso al difensore,
pur rimanendo intatta la sua facoltà di assistervi. Cfr. sul
punto A. A. DALIA - M. FERRAIOLI, Manuale di diritto processuale
penale, Padova, CEDAM, 2001, 510.
6
meno generica i poteri di segretazione attribuiti al
pubblico ministero con riguardo agli atti garantiti11.
Com'è noto il sequestro, non solo quello penale, è
un atto di coercizione reale «destinato ad
assoggettare determinate cose ad un vincolo di
indisponibilità, mediante lo spossessamento di chi è
legittimato a farle circolare con effetti giuridici»12.
La res sottoposta a sequestro, in particolare nelle
ipotesi di sequestro probatorio, può essere rilevante
non solo in quanto idonea a dare la prova di un fatto
ex art. 187 c.p.p., ma anche in virtù di una sua
funzione per così dire "mediata", consistente nel
fornire spunti per lo sviluppo di ulteriori indagini.
Il che ben si comprende, ad esempio, con riguardo al
sequestro di una rubrica telefonica: questa da un lato
sarà idonea a provare la sussistenza di un legame tra
il suo proprietario e le persone i cui recapiti sono
11 Il testo dell'art. 10 della l. 397/2000 ricalca quasi alla
lettera il contenuto dell'art. 12 della proposta di legge n.
850 presentata alla Presidenza della Camera dei deputati il 14
giugno 1996 dagli on. Anedda, Neri, Fragalà, Marino e Simeone.
Diversamente il ddl n. 2774 presentato alla Presidenza della
Camera dei deputati il 27 novembre 1996 dall'allora ministro
della giustizia Flick - ddl che delineava una nuova disciplina
delle investigazioni difensive da attuarsi mediante una
riformulazione sistematica dell'art. 38 disp. att. - non
prevedeva alcuna modifica in materia di deposito degli atti
cui hanno diritto di assistere i difensori. Il comitato
ristretto istituito durante i lavori della commissione
giustizia con l'incarico di unificare la proposta n. 850 e il
ddl n.2774, trasfuse poi all'art. 7 del testo unificato,
destinato a diventare l'art. 10 della l. 397/2000, il
contenuto dell'art. 12 della proposta n. 850. Vi fu per la
verità una modifica di un certo rilievo, per la quale si
rinvia alla nota n. 29.
Da segnalare infine che la facolt per il difensore di
esaminare le cose sequestrate era prevista anche dall’art. 15
della proposta di legge predisposta dall’Unione delle camere
penali nel 1994.
12 A. A. DALIA, voce Sequestro penale, in Dizionario di diritto e
procedura penale, a cura di G. Vassalli, Milano, Giuffrè,
1986, 939.
7
in essa annotati; d'altro lato provocherà presumibilmente
delle indagini sui nominativi in essa contenuti, al
fine per esempio di individuare eventuali testimoni o
correi.
È proprio questa funzione mediata del materiale
sequestrato che rende il suo tempestivo esame da parte
del difensore fondamentale per una piena esplicazione
del diritto di difesa: in mancanza sarà estremamente
difficile preparare in tempo una linea difensiva
adeguata o comunque coerente con le risultanze
investigative dell'accusa.
Prima dell'entrata in vigore della legge n.
397/2000, tale esigenza difensiva non aveva
cittadinanza all'interno del codice per tutta la
durata della fase procedimentale. Il "vecchio" art.
366 comma 1 c.p.p. attribuiva infatti al difensore la
sola facoltà (che permane tuttora) di esaminare i
verbali degli atti garantiti, verbali che devono
essere depositati nella segreteria del pubblico
ministero entro il terzo giorno successivo al
compimento dell'atto, con facoltà per il difensore di
esaminarli ed estrarre copia nei cinque giorni
successivi. Nel caso in cui non sia stato dato avviso
al difensore del compimento dell'atto, gli viene
notificato un avviso di deposito13 e il termine di
13 Non è previsto il caso in cui il difensore, pur non avendo
ricevuto avviso del compimento dell'atto, vi abbia comunque
assistito. Si ritiene che, al pari di quanto avviene quando al
difensore viene dato avviso del compimento dell'atto, neppure
in questo caso sia necessario l'avviso di deposito del
verbale, stante l'equivalenza della situazione in merito al
requisito della conoscenza del compimento dell'atto (G. SALVI,
Art. 366, in Commento al nuovo codice di procedura penale, a
cura di M. Chiavario, vol. IV, Torino, UTET, 1990, 251).
8
cinque giorni per l'esame dei verbali14 decorre dalla
ricezione della notificazione15.
Il difensore, quindi, non aveva possibilità di
esaminare direttamente il materiale posto sotto
sequestro, ma doveva accontentarsi di prendere visione
dei relativi verbali, a meno che l'esame non avesse
avuto luogo per facta concludentia avendo egli assistito
al compimento dell'atto. Ma la sola facoltà di
prendere visione e di estrarre copia dei verbali -
che, in concreto, consente al difensore assente di
apprendere quanto accaduto nello svolgimento dello
specifico atto d'indagine, mentre dà la possibilità al
difensore presente di verificare la corrispondenza tra
quanto realmente avvenuto e ciò che risulta dal
verbale, compresa la trascrizione delle eventuali
"richieste, osservazioni e riserve" che egli abbia
presentato al pm in occasione del compimento dell'atto
ai sensi dell'art. 364 comma 7 c.p.p. - non era di per
14 I verbali in questione, depositati nella segreteria del
pubblico ministero, vengono raccolti in un fascicolo apposito.
Vi rimangono sino allo scadere del termine di cinque giorni
entro i quali il difensore può prenderne visione o estrarne
copia. Decorso tale termine, confluiscono nel fascicolo della
parte pubblica (art.118 disp.att.).
15 La norma non si occupa delle conseguenze derivanti
dall'omissione del deposito dei verbali o dal mancato avviso
al difensore, quando dovuto, dell'avvenuto deposito. La
giurisprudenza antecedente alla l. 397/2000 ha ritenuto, in
tal caso, sussistente una nullità a regime intermedio, cfr.
Cass., 28 gennaio 1994, Baglio, in Cass. pen., 1995, 2208, con
nota integralmente adesiva di E. DI PALMA, Sugli efetti
dell'omesso deposito del verbale di sequestro efettuato dalla
polizia giudiziaria; oppure una nullità relativa, cfr. Cass.,
22 febbraio 1996, Maccari, in Cass. pen., 1997, 1128.
Recentemente, invece, la Suprema Corte ha affermato che
«L'omesso avviso del deposito, previsto dall'art. 366 c.p.p.
[...] costituisce mera irregolarità che, senza incidere sulla
validità ed utilizzabilità dell'atto, rileva solo ai fini
della decorrenza del termine entro il quale è consentito
l'esercizio delle attività difensive». Cfr. Cass., 22 ottobre
2003, De Sannio, in Cass. pen., 2004, 3301.
9
sé sufficiente a soddisfare le esigenze connesse al
principio di parità delle armi, restando preclusa per
la difesa la possibilità di trarre utili spunti
investigativi dal materiale sequestrato.
Prima dell'entrata in vigore della legge n.
397/2000 parte della dottrina, al fine di recuperare
sul piano interpretativo una facoltà che, come
segnalato sopra, risulta fondamentale per una reale
parità delle armi tra accusa e difesa, aveva cercato
di ovviare alla mancata previsione legislativa della
possibilità per il difensore di esaminare le cose
poste sotto sequestro facendo leva sull'art. 261
c.p.p. La norma in questione si occupa di disciplinare
le modalità di rimozione e riapposizione dei sigilli
sulle cose sequestrate, prevedendo che ad esse ci si
debba attenere «quando occorre procedere alla
rimozione dei sigilli», senza ulteriori precisazioni.
Il che lascia spazio all'interprete per l'individuazione
dei casi in cui in concreto tale disposizione possa
essere utilizzata, così come il riferimento della
norma all'«autorità giudiziaria» quale titolare del
potere di disporre la rimozione dei sigilli, consente
di ritenere che ne sia fornito non solo il giudice ma
anche il pubblico ministero. Si era così giunti ad
asserire che, in virtù del generico disposto dell'art.
261 c.p.p., il pubblico ministero potesse «autorizzare,
in via atipica, le parti private alla visione di
quanto sottoposto a custodia giudiziale»16.Si tratta di
una interpretazione che, anche se mossa da un intento
condivisibile, appare debole in quanto ricostruita
16 F. FOCARDI, Più garantito il "diritto di accesso" agli atti di
indagine, cit., 152.
10
esclusivamente da principi generali, senza considerare
oltretutto il fatto che avrebbe comunque attribuito al
pubblico ministero non il dovere, bensì il potere di
autorizzare il difensore a visionare il materiale
sequestrato.
In ogni caso la questione non è oggi più di
attualità, essendo nel frattempo intervenuta, colmando
la grave lacuna di cui sopra, la novella del 2000. È
stata così introdotta una sorta di discovery immediata
con riguardo alle res poste sotto sequestro.
2.2. - Il diritto di esaminare le cose sequestrate.
Il terzo periodo dell'art. 366 comma 1 c.p.p. -
così come aggiunto dall'art.10 della legge n. 397/2000
– stabilisce che «il difensore ha facoltà di esaminare
le cose sequestrate nel luogo in cui esse si trovano
e, se si tratta di documenti, di estrarne copia»17.
L'interpolazione risulta ictu oculi strettamente connessa
con l'art.233 comma 1-bis c.p.p., nella parte in cui
17 Da segnalare che la giurisprudenza di legittimità ha già avuto
modo di intervenire con riguardo al contenuto della nuova
facoltà in capo al difensore di estrarre copia dei documenti
sequestrati. Sul punto la Suprema Corte, dopo aver precisato
che il diritto in oggetto - a differenza di quanto asserito
nel provvedimento impugnato - non riguarda i soli documenti
cartacei ma ricomprende anche il «documento fotografico,
fonografico, cinematografico e [a] qualsiasi altro mezzo
riproduttivo ivi inclusa quindi la riproduzione su dischetto»,
ha però chiarito che tale diritto del difensore non si estende
alle modalità di rilascio delle copie, che sono invece rimesse
alla discrezionalità dell'autorità giudiziaria. Ne deriva che,
nel caso in cui oggetto del sequestro sia un floppy disk, il
diritto della parte è soddisfatto dal rilascio della
trasfusione su supporto cartaceo del floppy medesimo, salva
comunque la possibilità di esaminarlo, ma nel luogo in cui si
trova. Cfr. Cass, 19 settembre 2002, Andreucci, in Cass.
pen., 2003, 3063.
11
prevede che il consulente tecnico di una parte privata
possa «easaminare le cose sequestrate nel luogo in cui
esse si trovano»: ce ne occuperemo diffusamente
oltre(al paragrafo 3 del presente capitolo),
avvertendo però fin da ora che per l'esame delle cose
sequestrate da parte del consulente tecnico è
necessaria, a differenza di quanto previsto per il
difensore, un'autorizzazione del giudice.
Tornando alla disposizione in esame si segnala come
la stessa, in apparenza piuttosto semplice, ponga in
realtà una serie di problematiche interpretative, già
a partire dalla sua collocazione nel codice di rito.
Come ricordato sopra, l'art. 366 c.p.p. si occupava
infatti - nella sua originaria formulazione - del
deposito degli atti cui ha diritto di assistere il
difensore; tale circostanza potrebbe sottintendere che
la facoltà del difensore sia limitata all'esame delle
cose sequestrate presso il proprio assistito. Sembra
però preferibile l'interpretazione secondo la quale la
facoltà in oggetto si estende anche all'esame delle
cose sequestrate presso terzi, purchè nell'ambito
dello stesso procedimento penale18. Tanto in virtù di
una serie di considerazioni: in primo luogo,
trattandosi presumibilmente di corpo del reato o cose
ad esso pertinenti19, risulta evidente come l'interesse
alla discovery riguardi tutti gli indagati alla cui
posizione il sequestro afferisce, indipendentemente
dalla persona presso la quale lo stesso sia stato in
18 Sostanzialmente unanime, in tal senso, la dottrina. Cfr. sul
punto A. DI MAIO, Le indagini difensive, Padova, CEDAM, 2001,
209. Dello stesso avviso N. TRIGGIANI, Le investigazioni
difensive, Milano, Giuffrè, 2002, 383 e A. GARELLO - S. SCUTO, Le
indagini difensive, Milano, Il Sole 24 ore, 2001, 41 ss.
19 Vedi infra, paragrafo 2.3.
12
concreto eseguito. In tal senso è stato portato20
l'esempio significativo dei reati societari e
fallimentari, caso emblematico in cui le chance della
difesa sono state in passato compromesse a causa della
mancanza di documenti fondamentali, resi inaccessibili
in quanto sequestrati. Ebbene, è evidente come
l'interesse a esaminare la documentazione contabile
della società fallita sia proprio di tutti coloro che
sono indagati del reato di bancarotta, a prescindere
dalla persona presso la quale il sequestro sia stato
effettuato. Tale interpretazione appare inoltre coerente
con il favor con cui nel dubbio devono essere
considerati, alla luce della legge 397/2000, i poteri
di indagine del difensore, mentre ritenere l'accesso
al materiale sequestrato circoscritto a quanto
sequestrato presso l'assistito, ridimensionerebbe
l'utilità della disposizione in oggetto.
Si discute poi circa l'eventualità che la facoltà
de qua appartenga al solo difensore dell'indagato,
ovvero che possa giovarsene anche quello della persona
offesa. Sul punto, posto che sembrano non esserci
dubbi sul fatto che il potere di compiere investigazioni
difensive spetti anche al difensore dell'offeso21,
20 A. GARELLO - S. SCUTO, Le indagini difensive, cit., 42. Gli A.
sostengono inoltre che, non essendo l'indagato in grado di
venire a sapere dei sequestri operati nei confronti di terzi,
sarà compito del pm, ogniqualvolta effettui un sequestro,
«notiziarne tutti gli indagati, onde metterli in condizione di
esercitare i propri diritti».
21 Su tale posizione si è attestata la maggioranza della
dottrina. Cfr. ad es. F. BERNARDI, Le attività di indagine, in
Maggiori poteri agli avvocati nella legge in materia di
indagini difensive (I), in Dir. pen. e processo, 2001, 2, 208;
R. BRICCHETTI - E. RANDAZZO, Le indagini della difesa dopo la legge
7 dicembre 2000 n. 397, Milano, Giuffrè, 2001, 56; G. SPANGHER, I
profili soggettivi, in AA.VV., Le indagini difensive, Milano,
IPSOA, 2001, 157; M. SCAPARONE, Indagini preliminari e udienza
13
appare più consona al dettato normativo la tesi
restrittiva. Infatti è ben vero che l'art. 366 comma
1, terzo periodo c.p.p. fa riferimento semplicemente
al «difensore», senza ulteriori precisazioni, quale
titolare della facoltà di esaminare le cose
sequestrate, il che potrebbe dare luogo ad ambiguità.
Ma il secondo comma del medesimo articolo, nel
disciplinare l'opposizione al decreto con cui il
pubblico ministero abbia esercitato il potere di
segretazione ivi previsto, menziona quali soggetti
abilitati a proporla «la persona sottoposta ad
indagini ed il difensore», escludendo così coloro che
non sono sottoposti al procedimento. Si dovrà allora
ritenere, per coerenza interna della norma, che anche
la facoltà di cui al primo comma sia appannaggio del
solo difensore dell'indagato22.
Da ultimo, occorre chiarire se ad esaminare il
materiale sequestrato siano legittimati solo il
difensore ed il suo sostituto, ovvero se l'accesso sia
consentito anche agli altri componenti dell'ufficio
preliminare, in G. CONSO - V. GREVI, Compendio di procedura
penale, Padova, CEDAM, 2003, 510. Contra G. SANTALUCIA, Persona
ofesa e attività di investigazione, in La giustizia penale,
2001, 3, 449 e ss. Fortemente dubitativa è invece sul punto la
posizione di A. A. ARRU, L'attività investigativa difensiva
preventiva, in Processo penale: il nuovo ruolo del difensore,
cit., 323, ad avviso del quale la l. 397/2000, abrogando
l'art. 38 disp. att. e quindi il riferimento alla persona
offesa in esso contenuto, sembra aver escluso tale soggetto
dai beneficiari dei nuovi poteri investigativi della difesa.
22 Dello stesso avviso R. MAGI, Le indagini difensive: commento
organico alla l. 7 dicembre 2000, n. 397, Napoli, Simone,
2001, 34, secondo il quale l'esame delle cose sequestrate «è
da ritenersi possibile solo per il soggetto sottoposto al
procedimento e non per altri potenziali interessati». Contra
L. CARLI Le indagini preliminari nel sistema processuale penale:
accusa e difesa nella ricerca e predisposizione della prova
penale, Milano, Giuffrè, 2005, 460, secondo il quale tra i
soggetti abilitati a compiere l'esame «non può escludersi
neppure quello [il difensore] della persona offesa dal reato».
14
difensivo, e cioè al consulente tecnico e all'investigatore
privato autorizzato. Il testo dell'art. 366 comma 1
c.p.p., operando numerosi riferimenti al solo
«difensore», sembra circoscrivere l'esercizio della
facoltà in oggetto solo a quest'ultimo e al suo
sostituto23, impressione peraltro confermata dalla
circostanza che l'avviso di deposito del verbale di
sequestro va notificato al solo difensore. Inoltre,
quanto al consulente tecnico di parte, una diversa
interpretazione sarebbe in conflitto con l'art. 233
comma 1-bis c.p.p., nella parte in cui questo prevede
che il giudice possa autorizzare il consulente stesso
a esaminare il materiale sotto sequestro. Ne consegue
che la facoltà prevista dall'art. 366 comma 2, terzo
periodo spetta solo al difensore (e al suo sostituto)24
, al quale è consigliabile, conformemente alle regole
deontologiche, la redazione in occasione dell'esame di
un verbale, da lui sottoscritto, da cui risulti la
cura serbata nell'espletamento dello stesso e che sia
suscettibile, volendo, di essere inserito nel
fascicolo del difensore in base all'art. 391-octies
c.p.p.25.
23 La nuova formulazione assunta dall'art. 102 c.p.p. a seguito
delle modifiche apportate dall'art. 4 della l. n. 60/2001
consente infatti di affermare come non sia necessario che il
sostituto venga espressamente indicato perchè se ne possa
ricavare la legittimazione. Sono anzi numerose nella l.
397/2000 le disposizioni nelle quali tale indicazione manca.
Cfr. G. SPANGHER, I profili soggettivi, cit., 155.
24 Da notare che durante l'iter parlamentare della riforma fu
respinta la proposta di inserire nell'art. 366 c.p.p. un comma
1-bis che assicurasse esplicitamente al difensore la
possibilità di delega delle attività previste nel primo comma
al sostituto, a consulenti tecnici e a investigatori privati
autorizzati. Si tratta dell'emendamento 7.1, presentato dal
sen. Cortelloni e respinto dalla Commissione giustizia del
Senato nella seduta del 26 gennaio 2000.
25 Tale modus operandi è suggerito da E. STEFANI, Codice pratico
delle indagini difensive, Milano, Giuffrè, 2001, 122.
15