5
essi furono ripristinati da Benedetto XIV, che fu egli stesso presente alla
cerimonia del Concorso del 1750, con la quale si ristabiliva la loro
celebrazione periodica. Nel 1768 si tenne il primo Concorso Balestra, istituito
grazie alla donazione che Carlo Pio Balestra fece all’Accademia di S. Luca, e
che fu da allora celebrato in alternanza con i Concorsi clementini.
L’accademia dell’Arcadia era direttamente coinvolta nelle celebrazioni,
nel corso delle quali venivano recitati dagli Arcadi dei componimenti poetici
per l’occasione, che venivano poi raccolti in volume e pubblicati insieme ad
una relazione della cerimonia e ad un’orazione.
Oggetto del secondo Capitolo sono la ricostruzione degli indici dei
volumi presi in esame, la schedatura dei soggetti di Concorso e le rassegne dei
personaggi, degli artisti e delle opere figurative citati e delle figurazioni
allegoriche e mitologiche che più volte compaiono in primo piano nei
componimenti poetici, attraverso le quali si è svolta un’analisi delle tematiche
ricorrenti: personaggi e figure che diventano veri e propri temi poetici.
Il terzo Capitolo è dedicato all’esame di alcune di quelle tematiche: il
motivo delle rovine; la visione utopistica di un ritorno dell’età dell’oro; la
competizione artistica di Roma con la Grecia classica; infine, la disputa delle
arti e il confronto delle arti figurative con la poesia.
Il lavoro è corredato da una Bibliografia suddivisa per argomenti, con
una sezione a parte per le opere settecentesche.
6
CAPITOLO PRIMO
Roma nella seconda metà del Settecento
1. I papi e la politica internazionale.
Nel corso della prima metà del XVIII secolo le guerre di successione
avevano duramente provato gli stati italiani, i cui territori erano stati più volte
divisi tra le potenze europee in una politica di scambio e di equilibrio di poteri.
Lo Stato pontificio aveva dovuto subire nei suoi territori il passaggio
dei vari eserciti in conflitto, fino alla conclusione della guerra di successione
austriaca; e ciò proprio nel momento in cui si andava affermando la sua
neutralità e le parole di Benedetto XIV anticipavano la rinuncia a qualsiasi
intervento temporale, che un secolo più tardi sarebbe stata definitiva
1
.
I papi dovevano constatare ormai il declino della loro influenza in
ambito internazionale; il prestigio della corte papale
2
era sempre più
1
Per le vicende delle guerre di successione e le ripercussioni sullo Stato pontificio v. VITTORIO
EMANUELE GIUNTELLA, Roma nel Settecento, in Storia di Roma, Bologna, L. Cappelli, 1971, vol.
XV, pp. 4-10; sulla neutralità cfr. in particolare p. 10. Per la guerra di successione austriaca e la
politica di Benedetto XIV nei primi anni del suo pontificato v. LUDVIG VON PASTOR, Storia dei papi,
vol. XVI, pp. 37-105.
2
Lo scadimento del prestigio politico del papa in ambito internazionale (su cui v. anche H. Gross,
Roma nel Settecento, Roma-Bari, Laterza, 1990, pp. 43-48) era una conseguenza inevitabile
dell’imporsi della nuova corrente d’idee illuministiche, le quali portavano con sé tutta una nuova
concezione dello Stato e del rapporto fra Stato e Chiesa in particolare, che non poteva accettare
ovviamente l’antica condizione di sudditanza nei confronti del papato; sulla questione
dell’assolutismo settecentesco e dei rapporti fra Stato e Chiesa v. PASSERIN D’ENTREVÈS, Dalla pace
di Aquisgrana all’avvento di Cavour, in Storia d’Italia, Torino, UTET, 1965, vol. III, pp. 171-184, e
7
schiacciato dalle pressioni e dall’ingerenza delle potenze europee e non solo;
anche in Italia infatti si delineavano più chiaramente i nuovi indirizzi della
politica di tipo assolutistico.
Se il papa non svolgeva più una parte importante nell’ambito della
politica internazionale, le potenze europee avevano comunque ogni interesse a
porre sul soglio pontificio uno dei loro candidati; l’elezione di un nuovo papa
infatti poteva comportare ogni volta mutamenti nell’indirizzo politico e
spostamenti nelle alleanze internazionali, non essendo lo Stato pontificio una
monarchia basata sul principio della successione dinastica; esse perciò
esercitavano tutta la loro influenza durante i conclavi
3
.
Quest’ingerenza dello Stato si farà sempre più pressante nel corso del
Settecento, evolvendosi in posizioni anticlericali: il movimento giansenista,
quello gallicano e i vari fermenti riformisti s’inserivano in questa nuova
corrente d’idee e d’indirizzi politico-sociali.
Il dispotismo illuminato della seconda metà del Settecento porterà allo
scontro definitivo e fatale tra Stato e Chiesa: “il potere temporale diviene una
ragione di debolezza, anziché una garanzia d’indipendenza per il papato:
ormai le grandi monarchie sono passate all’offensiva contro l’autorità papale,
mirando ad allargare la sfera di competenza del potere civile, a stringere
FRANCO VALSECCHI, L’Italia nel Seicento e nel Settecento, Torino, UTET, 1967, pp. 204-210 e 223-
259.
3
Sugli interventi delle potenze europee nei conclavi v. DINO CARPANETTO, GIUSEPPE RICUPERATI,
L’Italia del Settecento, Roma-Bari, Laterza, 1986, pp. 241-242 e VITTORIO EMANUELE GIUNTELLA,
op. cit., pp. 13-15; in particolare, sul conclave per l’elezione di Benedetto XIV v. LUDVIG VON
PASTOR, op. cit., pp. 3-18.
8
maggiormente il clero allo Stato, ad eliminare privilegi e immunità
ecclesiastiche, e giungono a minacciare perfino quell’occupazione del
territorio pontificio che sarebbe poi stata condotta a termine dalle truppe della
Francia rivoluzionaria, fra il ‘96 e il ‘98”
4
.
Dunque in Europa il Settecento è l’età dei conflitti giurisdizionali fra
Stato e Chiesa, ma anche negli Stati italiani, come il Piemonte e il regno di
Napoli, si sviluppano e si concretizzano le esigenze riformiste
5
. Di fronte a
queste correnti avverse “Roma tende piuttosto a irrigidirsi e contrasta
strenuamente il passo alle nuove tendenze dell’assolutismo”
6
: dopo il
pontificato di Benedetto XIV, volto ad una politica di tolleranza e di
compromesso, l’intransigenza di Clemente XIII porta al culmine il conflitto
fra il papato e le corti, e, nonostante le forti pressioni, si oppone fino all’ultimo
alla soppressione dei Gesuiti, già espulsi dal Portogallo, dalla Francia e dalla
Spagna. In questo clima di tensione si svolse il conclave che elesse Clemente
XIV; il suo spirito conciliativo non poté nulla contro le pressioni contrastanti
che dovette subire, e lo scioglimento della Compagnia di Gesù
7
, a cui alla fine
fu indotto nel 1773, fu il risultato dell’ingerenza e degli “intrighi” delle corti,
4
PASSERIN D’ENTREVES, op. cit., p. 171.
5
Sui rapporti fra Stato e Chiesa nel ‘700 v. nota 2.
6
PASSERIN D’ENTREVES, ivi, p.175.
7
Sulla questione dei Gesuiti v. PASSERIN D’ENTREVÈS, ivi, pp. 176-181, e anche FRANCO VALSECCHI,
op. cit., pp. 241-250. Nel partito giansenista ed in particolare antigesuitico trovavano posto non pochi
esponenti del clero; a Roma a capo di tale partito era il card. Passionei, che, durante il pontificato di
Benedetto XIV, fu il principale fautore della soppressione della Compagnia; su questo v. LUDVIG
VON PASTOR, op. cit., pp. 279-291.
9
che, come leggiamo nelle parole dello Jemolo, “oramai avevano passato ogni
limite”
8
.
8
Cfr. le parole dello Jemolo citate da PASSERIN D’ENTREVÈS, op. cit., p. 180.
10
2. Decadenza dello stato pontificio e tentativi di riforma.
La grave decadenza dello Stato pontificio, che si manifesta pienamente
nel corso del XVIII secolo, aveva certo origini remote e cause ben più
profonde di quelle che esteriormente possono apparire come le principali,
ovvero il dissesto economico, aggravato dalle carestie, che già Clemente XI
aveva dovuto affrontare e che si verificarono di nuovo durante i pontificati di
Benedetto XIV e Clemente XIII, e dalle guerre; le strutture amministrative
inadeguate; una classe dirigente incapace e corrotta. Tutto ciò è
consapevolmente denunciato dagli stessi contemporanei
9
, e i papi
naturalmente si preoccuparono di fronteggiare la crisi finanziaria, pur senza
ottenere risultati soddisfacenti.
Benedetto XIV aveva ereditato lo Stato pontificio in condizioni
rovinose; ma egli seppe far fronte alla difficile situazione, operando numerosi
interventi riformatori, sia in ambito economico che amministrativo
10
; in campo
finanziario le sue intenzioni riformatrici si concretizzarono partendo da un
9
“I sovrani che, da Sisto V in poi, hanno fatto cose grandiose per abbellire la città, non hanno fatto
nulla per mettere a coltura la campagna, dove non si scorge letteralmente una sola casa, un solo
arboscello. Il governo è il peggiore del peggiore che uno possa immaginarsi. [...] Immaginatevi cosa
può essere un popolo un quarto del quale è formato di preti, un quarto di statue, un quarto di gente
che non lavora e l’altro quarto di gente che non fa assolutamente nulla; dove non c’è agricoltura, non
commercio, non fabbriche, in mezzo ad una campagna fertile e su un fiume navigabile; dove il
principe, sempre vecchio, di poca durata, e spesso incapace di far nulla da sé, [...]”, così CHARLES DE
BROSSES in una delle pagine dedicate a Roma nel suo Viaggio in Italia (Bari, 1973, p. 315);
l’opinione negativa nei confronti dei papi e delle loro capacità era di molti (v. fra gli altri
MONTESQUIEU, che nel Viaggio in Italia affermava: “È impossibile che si riesca a fare un papa di
merito.”).
11
punto fondamentale, cioè stabilendo la registrazione delle entrate e delle spese
pubbliche e la formazione di un bilancio annuale, riforma che era il
presupposto di ogni altra, e alla quale fecero seguito numerosi provvedimenti,
quali la liberalizzazione del commercio interno, la diminuzione delle spese
militari, di amministrazione, etc.
11
Benedetto XIV si occupò inoltre di importanti questioni, quali l’usura e
le festività religiose, sulle quali la Chiesa era stata a lungo reticente
12
, e nel
complesso la sua visione politica si mostrò aperta alle nuove idee e ai
mutamenti in atto nel suo tempo.
Ma, nonostante la sua politica tollerante e fattiva, tutto ciò non riuscì a
modificare profondamente la situazione e a sanare la crisi alle sue radici. Il suo
successore Clemente XIII poi mutò radicalmente indirizzo, né Clemente XIV
fu in grado di reinserirsi nella linea di papa Lambertini, oppresso com’era dai
gravi problemi e dalle tensioni degli anni del suo pontificato.
E’ necessario però osservare a fondo la vera natura della decadenza
settecentesca del papato, che mostrava i segni di:
“[...] una crisi più ampia e più grave, che è di natura religiosa: è lo scadimento
dell’impegno religioso che influisce sul disfacimento dello Stato; perciò i
contemporanei più sensibili affermano che la riforma più urgente non è quella dello
Stato, ma quella della Chiesa, [...]”
13
.
10
Per un approfondimento delle condizioni economiche dello Stato pontificio e dei tentativi di
riforma nel settecento v. HANNS GROSS, op. cit., pp. 97-174.
11
Per le riforme operate da Benedetto XIV in ambito economico cfr. LUIGI DAL PANE, Lo Stato
pontificio e il movimento riformatore del Settecento, Milano, Giuffrè, 1959, pp. 149-158.
12
Cfr. DINO CARPANETTO, GIUSEPPE RICUPERATI, op. cit., p. 245. Della questione delle festività
religiose parla più diffusamente il PASTOR, op. cit., pp. 234-241.
13
VITTORIO EMANUELE GIUNTELLA, op. cit., p. 11.
12
Il pontificato di Benedetto XIV, che comprende gli anni centrali del
secolo (1740-1758), continua Giuntella, “è caratterizzato proprio dalla
denuncia esplicita di questa decadenza spirituale”
14
; la situazione del clero era
caratterizzata infatti da una moralità piuttosto dubbia e da un eccessivo
interesse per i beni materiali e le cose mondane; ciò dipendeva soprattutto dal
fatto che la maggior parte degli esponenti del clero non era tale per vera
vocazione
15
; Benedetto XIV mostrava chiara consapevolezza della situazione:
nella sua corrispondenza “è ripetuto più volte il concetto che i mali dello Stato
sono anzitutto di ordine spirituale e che in primo luogo bisogna porre mano a
una riforma del clero e ad una migliore scelta dei dignitari della Chiesa,
escludendo gli ambiziosi, gli incapaci e gli indegni, [...]”
16
; ma naturalmente
non poteva rivelarsi facile né di breve attuazione il proposito di una riforma
che avrebbe dovuto modificare una situazione di fatto, consolidatasi nel corso
dei secoli.
14
Ivi, pp. XII-XIII.
15
La condizione del clero in Italia è illustrata da FRANCO VALSECCHI, ivi (v. in particolare le pp. 210-
222); naturalmente tutto ciò è sottolineato anche nelle parole dei contemporanei (ad esempio
MONTESQUIEU nel Viaggio in Italia); e LODOVICO PAOLO LEMME scrive: “Come diceva papa
Lambertini, Roma era il paradiso degli abati; chi non era nobile o soldato, faceva l’abate, [...]”, in
Personaggi della Roma colta del Settecento, Roma. T.E.R., 1993, p. 17.
16
VITTORIO EMANUELE GIUNTELLA, ivi, p. 11.
13
3. Politica culturale di Benedetto XIV.
Il congresso di Aquisgrana (1748) apre un lungo periodo di pace per
l’Italia; lo Stato pontificio può ora avere una certa tranquillità e, come dice il
Pastor: “il pacifico Benedetto XIV è il vero rappresentante di quest’epoca, la
quale giovò soprattutto alla città di Roma.”
17
, e le difficoltà finanziarie non gli
impedirono di promuovere la cultura e di curarsi dei beni artistici della città
eterna.
L’anno santo indetto per il 1750 incentivò ad occuparsi in particolar
modo delle chiese di Roma, molte delle quali furono restaurate, anche se non
sempre con risultati ottimali: il restauro di Santa Maria Maggiore (1741-
1750), affidato al Fuga, che la arricchì della nuova facciata, alterò infatti il
carattere antico della basilica, cosa di cui si resero conto i contemporanei e lo
stesso papa. Infelici furono anche gli interventi all’interno del Pantheon, e così
le modifiche in Santa Maria degli Angeli; altre chiese invece beneficiarono
delle opere di restauro
18
.
17
LUDVIG VON PASTOR, op. cit., p. 109.
18
Gli interventi di restauro interessarono molte altre chiese, su cui v. più dettagliatamente il PASTOR,
ivi, pp. 117-121. Benedetto XIV si occupò non solo delle chiese, ma dell’assetto urbanistico generale
di Roma: “L’assetto della Roma di questo periodo è perfettamente rappresentato nell’accurata pianta
geometrica delineata dal Nolli e pubblicata nel 1748. Benedetto XIV se ne servirà per la riforma
amministrativa e toponomastica del 1743. I rioni assumono confini precisi e vengono contrassegnati
da apposite targhe in marmo; e, in parte, si fissano sia i nomi ufficiali delle strade, sia una
numerazione (a carattere catastale topografico) per gli edifici”, come leggiamo da VITTORIO
FRANCHETTI PARDO, Roma, la città dei papi, dal 1417 al 1870, Milano, Fenice 2000, 1994, pp. 84-
85; per le trasformazioni di Roma durante il corso di tutto il settecento v. il capitolo relativo, pp. 78-
85.
14
Tra gli altri monumenti il Colosseo ebbe una particolare attenzione:
Benedetto XIV decise di salvare dal degrado il magnifico monumento
dell’antichità di Roma e, proprio in vista del giubileo, ne consacrò la memoria
alla passione di Cristo: fece erigere in mezzo all’arena una croce e rinnovò le
vecchie stazioni della Via Crucis; a volte poi il suo interno fu usato come una
vera e propria chiesa
19
.
Il giubileo era dunque un momento molto importante e non solo per
l’aspetto religioso, ma vera e propria manifestazione della grandezza della
Chiesa, ideale per mostrare al mondo la sua magnificenza e la sua forza e
rinsaldarla; e ciò si legge nelle stesse parole di Benedetto XIV, nel documento
con il quale promulgava l’anno santo:
“Che cosa vi può essere di più bello per un cristiano che vedere la magnificenza della croce
di Cristo nella sua luce più splendida che appaia mai in terra e persuadersi coi propri occhi dei
documenti di gloriosa vittoria colla quale la nostra fede ha vinto il mondo? Qui si vede come la più
alta potenza mondiale si pieghi devotamente innanzi alla religione, e come la Babilonia terrena di una
volta si sia trasformata in una nuova città celeste, la quale non minaccia con rumore d’armi e col
turbine di guerra per la distruzione di popoli e il soggiogamento di regni, ma per istruzione e salvezza
delle nazioni offre una dottrina celeste e un costume incensurato. Qui si vede l’antico impero della
superstizione caduto in dimenticanza, mentre il puro culto del vero Dio e la maestà della liturgia
diffondono da per tutto il loro splendore; si vedono gettati a terra i santuari degli dei bugiardi e i
templi di Dio invece resi sacri dal sacro culto; si può convincersi coi propri occhi che gli empi giochi
dei teatri e le folli rappresentazioni dei circhi sono scomparse dalla memoria degli uomini e invece di
loro sono piene di visitatori le tombe dei martiri; come giacciono atterrati i monumenti dei tiranni e
come per mano degli imperatori si levino in alto i santuari ove sono sepolti gli apostoli; come i
monumenti sorti per ringraziare gli dei pagani per il soggiogamento delle provincie, ora, purgati da
empia superstizione, con più ragione come segno di maggiore felicità portino in cima il segno
vittorioso della croce invincibile”
20
.
L’amore di Benedetto XIV per l’arte si manifestò generosamente verso
le collezioni del Museo Capitolino
21
, arricchite con doni ed acquisti
19
Cfr. LUDVIG VON PASTOR, op. cit., pp. 127-129.
20
BENEDETTO XIV, Bull. Lux. XVIII 69 ss. (enciclica del 5 maggio 1749).
21
Per l’arricchimento e le nuove sezioni del Museo Capitolino ad opera di Benedetto XIV v. LUDVIG
15
importanti, nella convinzione che i capolavori dell’arte antica non dovessero
rimanere in mano ai privati; il Museo Capitolino era dunque aperto a tutti; al
piano terreno egli fondò anche un museo egiziano. Inoltre Benedetto XIV
inasprì la proibizione di Clemente XII riguardo all’esportazione di opere
d’arte
22
, intorno alle quali si era sviluppato un commercio purtroppo molto
diffuso e ovviamente rovinoso per la città di Roma, che veniva di continuo
spogliata dei suoi preziosi beni artistici.
Egli non voleva però che il Campidoglio fosse il centro soltanto
dell’arte antica, ma anche di quella moderna: così, con la valida
collaborazione del suo segretario di stato, il cardinale Valenti, fondò una
pinacoteca nel palazzo dei Conservatori; è questo un aspetto molto importante
dello spirito culturale di Benedetto XIV come promotore delle arti in Roma e
degli artisti contemporanei: l’arricchimento delle collezioni capitoline infatti
era volto anche a fornire materia di studio agli allievi dell’Accademia di S.
Luca, i cui Concorsi, da qualche tempo sospesi, furono ripristinati nel 1750: in
quell’occasione il papa volle assistere di persona alla distribuzione dei
VON PASTOR, ivi., pp. 129-133.
22
Quanto fosse grave la situazione al riguardo possiamo leggerlo nelle parole di MONTESQUIEU nel
suo Viaggio in Italia: “A Roma bisognerebbe fare una legge, per cui le statue più importanti fossero
inamovibili e potessero essere vendute soltanto insieme con la casa in cui si trovano, sotto pena di
confisca della casa e di altri effetti del venditore. Se non si farà così, Roma sarà completamente
spogliata”. Il divieto di esportazione delle opere d’arte era stato emanato nel 1701 da Clemente XI;
ma il commercio dei beni artistici non si arrestò e non valsero a contrastarlo efficacemente neanche i
suoi successivi editti, né i provvedimenti adottati dai suoi successori, che rinnovarono più volte il
divieto, ma senza risultati soddisfacenti; sull’argomento v. le pagine di HANNS GROSS in Roma nel
Settecento, cit., pp. 371-374 e anche LODOVICO PAOLO LEMME, op. cit., in particolare il capitolo sul
collezionismo romano, pp. 101-108.
16
premi
23
. Inoltre nel 1754 fu istituita a Roma la prima scuola pubblica del nudo,
sempre per merito di Benedetto XIV e del cardinale Valenti, che le
assegnarono una sala sotto la pinacoteca. La scuola accolse, oltre agli italiani,
artisti francesi, spagnoli, tedeschi, fra i quali Anton Raphael Mengs, che aveva
già soggiornato a Roma tra il 1741 e il 1749 e vi tornò poi stabilmente nel ‘52;
in quegli anni egli strinse amicizia col Winckelmann
24
, che giunse a Roma nel
‘55 e fu al servizio del cardinale Alessandro Albani dal ‘57: in quegli stessi
anni Mengs lavorava agli affreschi di Villa Albani: il suo Parnaso, ispirato
all’omonima opera di Raffaello, fu vero e proprio manifesto della nuova
pittura neoclassica. Il sodalizio artistico tra Mengs e Winckelmann, i principali
teorici del movimento neoclassico, iniziò dunque proprio negli ultimi anni del
pontificato di Benedetto XIV.
Un altro museo fu istituito negli anni cinquanta: nel 1755 infatti si
decise di unire alla biblioteca Vaticana un Museo di antichità cristiane,
progetto proposto già a Clemente XI, e ad esso furono destinati i numerosi
ritrovamenti avvenuti nelle catacombe tra il 1749 e il 1752. Per quanto
riguarda la biblioteca Vaticana, Benedetto XIV ne arricchì la collezione con
gli stampati più rari e i manoscritti di sua proprietà, oltre a vari acquisti, tra cui
quello della biblioteca del cardinale Ottoboni, che per numero di manoscritti
superava ogni altra raccolta privata di Roma. Egli inoltre diede inizio alla
23
Sul concorso del 1750 v. LUDVIG VON PASTOR, op. cit., p. 135.
24
HANNS GROSS delinea l’evoluzione del classicismo nel pensiero di Mengs e Winckelmann: v. le pp.
378-384 in Roma nel settecento, cit.
17
pubblicazione di un catalogo completo di tutti i manoscritti della Vaticana; i
primi tre volumi furono pubblicati tra il 1756 e il 1759
25
.
Il mecenatismo di Benedetto XIV si espresse anche verso le scienze:
egli istituì quattro Accademie scientifiche a Roma, riformò l’Accademia dei
Lincei, che prese il nome di Nuovi Lincei, donò all’Istituto delle scienze
dell’università di Bologna la sua biblioteca privata
26
. Benedetto XIV promosse
artisti, letterati e studiosi; gli scrittori più famosi gli inviavano le loro opere ed
egli fu in relazione con le maggiori personalità della vita culturale del tempo:
Muratori, Metastasio, Scipione Maffei; strinse rapporti anche con personalità
di indirizzo non propriamente in linea con la Chiesa, quali l’Algarotti e il
Genovesi; ebbe persino uno scambio epistolare con Voltaire
27
, cosa che
suscitò grande clamore e di cui in seguito il papa si giustificò, non avendo
conosciuto prima tutta la sua opera, e finì col proibire la stampa e la
rappresentazione del Mahomet, la tragedia voltairiana presentatagli dal
cardinale Passionei.
Tutto ciò mostra comunque che Benedetto XIV aveva nel complesso
una visione politica e culturale quasi da sovrano illuminato, in modi che non si
ripeteranno più con i suoi successori nella seconda metà del settecento.
25
Per la biblioteca Vaticana e l’istituzione del Museo di antichità cristiane cfr. LUDVIG VON PASTOR,
op. cit., pp. 162-167.
26
Sulla cultura scientifica a Roma nel ‘700 v. HANNS GROSS, op. cit., pp. 290-311; sulle iniziative di
Benedetto XIV in campo scientifico e sui suoi rapporti con gli studiosi del tempo v. LUDVIG VON
PASTOR, op. cit., pp. 135-155.
27
Sulle vicende dei rapporti con Voltaire v. il PASTOR, ivi., pp. 152-154.