67
2.2. Le Chiese cristiane Medio Orientali
Il cristianesimo orientale è caratterizzato da una pluralità di chiese, a
testimonianza della ricca vita culturale e religiosa delle comunità cristiane dei
primi secoli, e della loro evoluzione storica. La divisione in chiese indipendenti
è infatti dovuta sia a motivi dottrinali collegati alle discussioni cristologiche del
IV e V secolo, sia ai rapporti con la chiesa cattolica latina che, a partire dal
secolo XV, si propose di ricostituire una nuova comunione con le chiese
orientali formando, a partire dalle diocesi orientali, nuove chiese cattoliche che
conservassero gerarchia e liturgia proprie, ma fossero in comunione dogmatica
con la chiesa di Roma, riconoscendo il primato giurisdizionale del papa (è il
cosiddetto fenomeno dell’uniatismo
87
). Infine nel secolo XIX, in concomitanza
con la crescente presenza politica ed economica degli stati europei in Medio
Oriente, si moltiplicarono gli arrivi di missionari latini e protestanti, con la
formazione di nuove diocesi latine e la restaurazione del patriarcato latino di
Gerusalemme, e, d’altro canto, la formazione di comunità protestanti orientali.
Dopo venti secoli di evoluzione storica le chiese orientali si trovano oggi divise
in quattro grandi famiglie.
La famiglia orientale ortodossa;
La famiglia ortodossa (calcedonese);
La famiglia cattolica;
La famiglia riformata
88
.
E’ tipico delle chiese orientali il fatto che la loro giurisdizione non sia
in primo luogo territoriale, ma comunitaria: il singolo patriarca ha cioè
giurisdizione su tutto il suo clero e i suoi fedeli, ovunque essi siano, ma nello
stesso territorio gli altri patriarchi hanno giurisdizione sui propri fedeli.
Soprattutto nelle città più importanti, risiedono perciò diversi vescovi, perché
ogni chiesa ha il proprio: emblematico è il caso di Aleppo che è sede vescovile
87
XXI SECOLO. Studi e ricerche della Fondazione Giovanni Agnelli. Anno VII, numero 1
(12), Dicembre 1995 Direttore Responsabile: Marcello Pacini Redazione: Marco Gioannini e,
per questo numero, Andrea Pacini.Autorizzazione del Tribunale di Torino n. 4097 del
6/10/1989, p.7
88
Ivi.
68
per nove chiese. Nel caso delle chiese cattoliche orientali si ha una situazione
di compromesso tra la visione orientale e quella latina: ogni patriarca cattolico
orientale ha giurisdizione sui propri fedeli residenti nei territori mediorientali di
origine, ma
non su quelli della diaspora: le diocesi di rito orientale della diaspora
dipendono infatti dalla Congregazione per le Chiese Orientali, che è l’organo
istituzionale della Santa Sede preposto agli affari delle chiese orientali.
Le varie chiese hanno poi ciascuna le proprie istituzioni che si
sovrappongono sul territorio, e cui fanno specifico riferimento i fedeli delle
rispettive comunità: si tratta delle curie, dei consigli di comunità, delle strutture
pastorali di vario genere, dei tribunali ecclesiastici. La volontà di mantenere la
propria identità e le proprie tradizioni liturgiche non ha impedito in anni recenti
la moltiplicazione di sforzi di carattere ecumenico, che hanno condotto alla
formazione del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente (CEMO
89
), cui
partecipano tutte le chiese. Il CEMO è un luogo importante di incontro e di
confronto tra le varie chiese, per promuovere in Medio Oriente un’azione più
unificata e concorde, e per affrontare i problemi che emergono per i cristiani e
per la società. La prospettiva ecumenica e di superamento delle divisioni,
anche se talvolta difficile da perseguire nel concreto, resta infatti l’unica
prospettiva in grado di fornire nel lungo periodo rinnovato vigore alle chiese
arabe e orientali.
89
XXI SECOLO. Studi e ricerche della Fondazione Giovanni Agnelli, cit. p.7
69
2.2.1. La famiglia orientale ortodossa
È la più importante quanto a numero di fedeli, e comprende le chiese copta,
siriaca e armena apostolica. Queste chiese si separarono dalla comunione con
le altre chiese dell’impero romano nel secolo V (inizio VI per la chiesa
armena), rifiutandosi di aderire alla dottrina cristologica diofisita (che
riconosce in Cristo due nature sussistenti nell’unica persona divina), affermata
dal Concilio di Calcedonia (451). Le attuali tre chiese orientali ortodosse
invece restarono fedeli alla definizione monofisita, che riconosceva in Cristo la
sola natura divina, che aveva assorbito in sé la natura umana. Su queste
divisioni dottrinali si innestavano ben più forti divisioni di carattere
sociopolitico, in particolare dettate dalla volontà di autonomia dei più antichi
patriarcati di Alessandria e Antiochia rispetto al patriarcato di Costantinopoli,
appoggiato dall’imperatore.
Fa parte della famiglia orientale ortodossa anche la chiesa assira o chiesa
dell’Oriente (o nestoriana): essa si separò dalle altre chiese al momento del
Concilio di Efeso (431), rifiutando la condanna della posizione di Nestorio, che
sosteneva che in Cristo vi erano due nature ipostatizzate strettamente unite tra
loro tramite un legame morale, non ontologico. Le chiese orientali ortodosse
sono tra loro del tutto autonome, e non hanno legami giuridici o disciplinari
con la chiesa cattolica romana né con la comunione ortodossa rappresentata dal
patriarca di Costantinopoli.
2.2.2. La famiglia ortodossa (calcedonese)
È rappresentata in Medio Oriente da quattro chiese autocefali facenti
parte della comunione greco-ortodossa, e perciò divise dalla chiesa cattolica
dal 1054. Si tratta, per l’area araba, dei tre patriarcati di Antiochia, di
Gerusalemme e di Alessandria, costituitisi nel secolo V a partire da quella
minoranza di fedeli e di clero che accettò Calcedonia, decidendo quindi di
70
rimanere in comunione con le altre chiese. A questi bisogna aggiungere in
Turchia il patriarcato ortodosso di Costantinopoli.
2.2.3. La famiglia cattolica
È formata da sette chiese (maronita, caldea, greco cattolica, copta
cattolica, armena cattolica, siriaca cattolica e patriarcato latino di
Gerusalemme) pienamente unite alla chiesa di Roma; esse riconoscono dunque
il primato giurisdizionale del papa, da cui dipendono per il conferimento al
patriarca eletto della «ecclesiastica communio», per l’approvazione dei
candidati all’episcopato e per varie questioni disciplinari. Da alcuni anni esiste
il Consiglio dei Patriarchi cattolici del Medio Oriente, che costituisce un
momento di confronto comune e periodico sui problemi delle comunità
cristiane dell’area.
2.2.4. La famiglia riformata
Presente solo dal secolo scorso, comprende tredici diverse
denominazioni protestanti, tutte di modesta entità, di cui fanno parte comunità
luterane, evangeliche, presbiteriane e l’Unione delle chiese evangeliche armene
del Medio Oriente, per un insieme di circa 81.000 fedeli, presenti soprattutto in
Egitto, Libano e Siria.
71
Capitolo 3
Il cristianesimo in Israele/Palestina
“Terra Santa”
90
è una dizione fortemente, se non esclusivamente
religiosa, e ovviamente fa riferimento ad un area geografica precisa: indica le
terre che si trovano ad occidente del Mar Morto e del fiume Giordano fino al
Mediterraneo; terre attualmente divise tra lo Stato di Israele e l'Autorità
Nazionale Palestinese. La parola "santa" riguarda il particolare ed esclusivo
significato spirituale che queste terre hanno, per motivi diversi, per gli Ebrei, i
Cristiani e i Musulmani, le principali religioni monoteistiche chiamate anche
“abramitiche”.
«Per i musulmani Terra Santa è il luogo della “mistica ascensione del
Profeta Maometto” ai Cieli (Mirāg), dopo un “viaggio notturno da La Mecca”
(Isrā'), per arrivare in Paradiso dopo aver “visitato l’Inferno”. È questa la
ragione religiosa e storica del perché a Gerusalemme c'è la "Cupola della
Roccia", santuario islamico sormontato da una grande cupola dorata. In questo
luogo, da dove Maometto ascese al cielo, su una roccia che viene tutt'oggi
conservata all'interno, secondo la tradizione, Abramo offrì Ismaele in sacrificio
a Dio. Il maestoso fabbricato è stato eretto dove, secondo la tradizione, sorgeva
il tempio di Salomone, distrutto nel 70 d.C. sotto l'impero di Tito. Nelle
immediate vicinanze sorge inoltre la Moschea “al-Aqsā”, dove fu costruita una
prima moschea voluta dal califfo Omar subito dopo il suo ingresso vittorioso in
Gerusalemme, nel 637.
Per gli ebrei questi luoghi sono la Terra Promessa, ossia la terra verso
cui Dio ha guidato il suo popolo tramite il profeta Mosè; terra di dimora e di
discendenza che perciò non può essere disgiunta da Dio.
90
Custodia di Terra Santa (sito in sei lingue). http://www.custodia.org/?page=splash
72
“E gli disse: «Io sono il Signore che ti ho fatto uscire da
Ur dei Caldei per darti in possesso questo paese»”
(Genesi 15,7).
Tale “promessa” trova compimento nell'esodo di Israele dall'Egitto.
“In quel giorno il Signore concluse questa alleanza con
Abramo: «Alla tua discendenza io do questo paese dal
fiume d'Egitto al grande fiume, il fiume Eufràte»” (Genesi
15, 18).
È la promessa rinnovata ad Isacco:
“Gli apparve il Signore e gli disse: «Non scendere in
Egitto, abita nel paese che io ti indicherò. Rimani in questo
paese e io sarò con te e ti benedirò, perché a te e alla tua
discendenza io concederò tutti questi territori, e manterrò
il giuramento che ho fatto ad Abramo tuo padre. Renderò
la tua discendenza numerosa come le stelle del cielo e
concederò alla tua discendenza tutti questi territori: tutte
le nazioni della terra saranno benedette per la tua
discendenza»” (Genesi 26,3).
Rinnovata anche da Isacco a Giacobbe:
“Ti benedica Dio onnipotente, ti renda fecondo e ti
moltiplichi, sì che tu divenga una assemblea di popoli.
Conceda la benedizione di Abramo a te e alla tua
discendenza con te, perché tu possieda il paese dove sei
stato forestiero, che Dio ha dato ad Abramo” (Genesi 28,
3 - 4).
73
Per i cristiani, in Terra Santa si trovano i luoghi più importanti di tutti
quelli che fanno parte della “storia della salvezza”. Terra Santa per i cristiani
sono i luoghi dell’Incarnazione del Figlio di Dio, Gesù; ove il Cristo nacque,
predicò, fu crocifisso e risorse. “Luoghi santificati dal suo passaggio terreno”,
li ha chiamato recentemente Benedetto XVI. Luogo della “Risurrezione di
Gesù: il sigillo definitivo di tutte le promesse di Dio, il luogo di nascita di una
umanità nuova e risorta, il pegno di una storia segnata dai doni messianici della
pace e della gioia spirituale”, dice Giovanni Paolo II.
91
La terra, dice Paolo VI,
che “Cristo ha reso ormai benedetta e sacra per i cristiani, e, si può dire, per
l‟intero genere umano”»
92
.
A partire dal 1948 le comunità arabe cristiane palestinesi si sono trovate
inserite in parte nel nuovo Stato di Israele, in parte su quei territori della
Cisgiordania che hanno conosciuto dapprima la sovranità giordana e dal 1967
l'occupazione israeliana. Nello Stato di Israele i cristiani sono circa 140.000,
pari all'1,7% della popolazione totale, che ammonta a 7,587,000 persone.
93
Nel
panorama del Medio Oriente Israele è un esempio di stato democratico di per sé
laico, in cui i cristiani in linea di principio godono di tutte le libertà previste per i
cittadini. In questo senso viene uno stato reale di diritto stabilito, di cui tutti i
cittadini, compresi i cristiani, godono. Ciò non significa che i cristiani arabi in
Israele godano sempre di una piena integrazione nella società israeliana, anche
se più dei musulmani essi hanno sempre cercato di integrarsi nel nuovo Stato.
La dimensione religiosa ebraica nella sfera pubblica è molto
pronunciata e la situazione conflittuale con gli arabi ha incluso anche i cristiani
in Israele in un alone di sospetto. Le difficoltà di integrazione della
componente araba nella società israeliana è evidente, soprattutto per alcuni
indici significativi come quello che riguarda la presenza degli arabi
nell'università ebraiche pari al 5% degli studenti. La diffidenza verso la
componente araba, sia cristiana che musulmana, ha indotto ad escludere gli
91
Santa Messa nella Chiesa del Santo Sepolcro, 26 marzo 2000.
http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/travels/documents/hf_jpii_hom_20000326_hol
y-sepulchre_it.html
92
http://www.radiovaticana.org/it1/index.asp
93
http://it.wikipedia.org/wiki/Israele
74
arabi da certe professioni, in particolare dalla maggior parte delle professioni
tecnico scientifiche. Questo ha generato, soprattutto tra gli intellettuali arabi
cristiani, una sorta di disillusione verso Israele, che non sembra concedere loro
quell'integrazione piena prevista in linea di principio del diritto dello Stato. La
disillusione diventa tanto più grave nel momento in cui gli arabi cristiani sono
convinti di aver contribuito a proprie spese alla nascita dello Stato d'Israele, in
quanto la maggior parte delle famiglie ha perso proprietà immobiliari,
confiscate nel 1948 e in epoca successiva, dal nuovo Stato e devolute a
famiglie o istituzioni ebraiche. Da questo punto di vista sarebbe auspicabile da
parte di Israele una politica concreta più attenta a favorire l'integrazione degli
arabi israeliani, che i cristiani sembrano più aperti ad accettare.
In questi anni la diaspora cristiana ha visto far diminuire in Terra Santa
la percentuale degli arabi cristiani. Nel 1947, ad esempio, a Betlemme il 75%
della popolazione era cristiana, oggi si è ridotta a meno del 20%; questo vale
per tutte le altre città della Terra Santa come Gerusalemme, Nazareth,
Ramallah... il fenomeno dell'emigrazione è dunque la più grande piaga per le
comunità cristiane della Palestina, ed è la principale preoccupazione per le
chiese che temono la separazione di comunità cristiane locali nei luoghi che
hanno visto nascere la prima comunità cristiana. Da parte loro, le varie chiese
cercano di moltiplicare le iniziative per cercare di fornire ai propri fedeli
servizi e infrastrutture, necessari soprattutto nelle zone palestinesi: accanto alle
scuole, tradizionalmente numerose sia in Israele sia nei territori palestinesi, le
chiese gestiscono ospedali e centri sanitari, e negli ultimi anni hanno anche
iniziato progetti di costruzione di case per le famiglie, sia promuovendo forme
cooperative sia costruendo in proprio e dando poi le case in affitto a prezzi
modici. Il problema della casa è infatti molto sentito ed è uno dei fattori che
spesso induce per paura ad emigrare, soprattutto per le famiglie di nuova
costituzione. Nonostante questi sforzi siano lodevoli, essi potrebbero essere
certamente più efficaci se vi fosse maggiore collaborazione tra le chiese;
invece, la mancanza di unità a livello progettuale nel medio termine
indebolisce l’esito dei vari sforzi e non si tiene in alcun conto l’esigenza di
75
inserirli in una strategia comune condivisa dalle varie gerarchie e istituzioni
religiose.
La cosa diventa poi più grave quando la mancanza di coesione si
traduce nel perseguimento di politiche concrete opposte: così se da un lato il
patriarca latino considera uno dei più grandi problemi quello della vendita delle
terre dei cristiani a musulmani ed ebrei, una delle principali istituzioni cristiane
che vende i terreni è il patriarcato ortodosso di Gerusalemme. In questo senso
bisogna riconoscere che la mancanza di unità tra le chiese indebolisce
profondamente i cristiani in Palestina, perché tale divisione non è solo a livello
dogmatico o di rito, ma si manifesta nell’assenza di una collaborazione che
cerchi di individuare linee per la soluzione dei problemi, in modo da
mantenere delle comunità cristiane a Gerusalemme, in Israele e nei territori
palestinesi. In sintesi, dal punto di vista sociale e politico sia in Israele sia,
soprattutto, in Palestina sembra che si stiano aprendo nuove prospettive per le
comunità cristiane arabe: esse hanno però subito un’emorragia consistente dei
propri membri che è difficilmente recuperabile. La sfida che pone il futuro a
queste comunità è di elaborare delle strategie che cerchino di rafforzare le
proprie radici in un contesto politico generale più stabile e propizio e, seppure
non troppo numerose, di esercitare un ruolo culturale e sociale significativo
nelle due entità statali di appartenenza
94
.
94
XXI SECOLO. Studi e ricerche della Fondazione Giovanni Agnelli, cit. pp. 23/ 24