Introduzione 12
Mi associo all’opinione di Scalise (1994:194)
considerando la FP un processo governato da regole: “Le
Regole di Formazione di Parola (RFP)
1
”. È ben noto che
l’applicazione delle RFP debba essere controllata per quanto
riguarda la base e l’uscita delle parole. Ciò vuol dire che si deve
ricorrere a restrizioni appropriate in modo che siano escluse
parole malformate.
Scalise (ivi.108-116) indica tre tipi di restrizioni operate
sulla base delle RFP: fonologiche, semantiche o morfologiche.
Ciò si rappresenta rispettivamente dagli esempi seguenti:
l’impossibilità di aggiungere il prefisso s- ad aggettivi iniziati
per vocale *sonesto e la non applicazione del suffisso –mente
né ad aggettivi di colore *giallamente né ad aggettivi composti
*dolceamaramente.
Ci sono ancora altri due tipi di restrizioni sull’uscita delle
RFP citati da Scalise (ivi.116-18): la prima restrizione è
sintattica e riguarda la categoria lessicale della parola nuova
come nel caso della composizione in cui l’uscita (la parola
formata) è solo nome o aggettivo, mentre la seconda restrizione
è semantica, la quale impone che il significato dell’uscita di
una RFP debba essere una funzione del significato della base.
Ciò risale al fatto che la semantica di una RFP è trasparente o
“composizionale”, vale a dire che il parlante può ricavare il
significato della parola complessa dal significato degli elementi
componenti solo a patto che la parola non acquisti significati
inaspettati col tempo, cioè significati che non possono essere
derivati dai suoi componenti. Ad es. una parola come
“cavalluccio” non significa soltanto ‘un piccolo cavallo’, ma si
riferisce anche al ‘pasticino duro, ovale e leggermente
schiacciato, con miele, specialità di Siena’ (Il dizionario
1
“Le Regole di Formazione di Parola (RFP) sono regole che formano parole complesse.
Esse agiscono interamente entro il componente lessicale e di conseguenza prendono
come base solo parole. Sono regole facoltative e servono ad un duplice scopo: quello di
dar conto della Formazione di Parole nuove e quello di analizzare la struttura interna di
parole complesse già esistenti” (Scalise 1994: 101).
Introduzione 13
Zingarelli 1994:202), un significato che non si può desumere
dai due costituenti cavallo e –uccio.
Secondo Scalise (1994:151-173), all’uscita delle RFP si
applicano delle Regole di Riaggiustamento (RR), che si
occupano di riaggiustare i dettagli fonologici delle parole
complesse e operano all’interno del componente lessicale, ad
es. per passare da Bologna + ese a Bolognese vi è bisogno di
una regola di Cancellazione di Vocale (CV), regola così
produttiva
1
, che cancella la vocale finale della parola di base a
patto che la vocale finale non sia tonica:
Es.: Bologna + ese → Bolognese
virtù + oso → *virtoso virtuoso
Ma quando la parola di base finisce in vocale e il suffisso inizia
in consonante, non vi è bisogno di Regole di Riaggiustamento:
Es.: affida + mento → affidamento
Un’altra Regola di Riaggiustamento poco produttiva è quella
della Palatalizzazione delle Velari (PV):
Es.: por[k]o + ello
por[k] + ello Cancellazione di Vocale (CV)
por[t∫]o + ello Palatalizzazione delle Velari (PV)
por[t∫]ello (porcello) uscita
In questa sede, cercherò di mettere in evidenza la
composizione e la derivazione, accennate già come i due settori
distinti nell’ambito della FP. La composizione è un mezzo di
arricchimento del lessico che forma parole nuove unendo due
parole o più già esistenti, per es. cassaforte, sordomuto,
sempreverde, benedire e aspirapolvere, mentre la derivazione,
che consente di costruire con poca fatica parole nuove, si
considera la risorsa maggiore e la fonte inesauribile di
arricchimento del lessico italiano attraverso il processo di
1
“La produttività, infine, dipende dalla facilità con cui un affisso si aggiunge alla propria
base, vale a dire se il processo è trasparente dal punto di vista semantico, se è soggetto a
poche restrizioni, se non richiede riaggiustamenti fonologici complessi” (Scalise
1994:107).
Introduzione 14
affissazione, cioè l’aggiunta di un affisso (suffisso, prefisso
ed infisso) ad una parola. Infatti, gli affissi sono morfemi legati
e privi di autonomia lessicale, cioè non possono comparire se
non in unione con altri morfemi, mentre le sottounità che si
uniscono nella formazione della composizione sono forme
libere e dotate di piena e riconoscibile autonomia frasale
(aspira-polvere), o forme non libere dotate di un preciso
significato come (fil- ‘amico’ e –antropo ‘uomo’) in
filantropo
1
, il che rende i composti più trasparenti nella
coscienza del parlante.
I linguisti dividono gli affissi in tre principali classi
posizionali (prefissazione, suffissazione e infissazione
2
), cioè
secondo la posizione nei confronti della base, che per Dardano
3
(1978:11), indica le voci di appartenenza del lessico a cui
possono applicarsi i processi derivativi, per es. formale ha per
base ‘forma’ (consistente di un solo morfema), invece
formalizzare ha per base ‘formal-’ (consistente di due morfemi:
uno lessicale ‘radice’ e l’altro formativo ‘affisso’).
Malgrado che la prefissazione (l’aggiunta di un affisso
‘prefisso’ prima della base) e la suffissazione (l’aggiunta di un
affisso ‘suffisso’ dopo la base) siano processi simili per il fatto
che i due processi formano parole nuove, prevedono l’aggiunta
di una forma libera ad una legata e modificano la base da un
punto di vista semantico, Scalise (1994:94-95) fornisce due
punti di differenza tra essi:
In primo luogo, la prefissazione non cambia la categoria
sintattica della parola cui si aggiunge, mentre la suffissazione
1
“La distinzione tra derivazione e composizione non è tuttavia sempre agevole [….]. In
particolare, è assai labile il confine tra prefissazione e composizione: alcune forme che
registreremo tra i prefissi, come neo-, pan-, pseudo- sono trattate in altri testi nell’ambito
della composizione magari a titolo di ‘preffissoidi’ ” (Serianni 1997:442).
2
Non mi occuperò di infissazione, cioè l'inserimento di un affisso all'interno di una
parola perché la sua ricorrenza è, senza dubbio, limitata nella lingua, e come afferma
Beccaria (1996:25) , gli infissi non compaiono liberamente.
3
Secondo Dardano (1978:11), la base è “ogni morfema lessicale, sia semplice, sia
munito di suffissi, può fungere da base di una trasformazione”.
Introduzione 15
può produrre tale cambiamento di categoria. Si può concludere,
quindi, che i suffissi sono la “testa”
1
della parola, ma i prefissi
non lo possono mai.
Es.: prefissazione suffissazione
in- + utile
A
→ inutile
A
utile
A +
-ità → utilità
N
In secondo luogo, la suffissazione di norma cambia la posizione
dell’accento della parola di base, mentre ciò non avviene con la
prefissazione.
Es.: base prefissazione suffissazione
onésto disonésto onestà
Di fatto, si nota che i suffissi, rispetto ai prefissi, sono
più produttivi e più diffusi nella lingua italiana. Secondo
D'Ovidio (1894:381), essi sono "come i microbi del regno
linguistico, che prolificano in modo strano". Dal punto di vista
psicologico, Napoli e Reynolds (1994:174) affermano che si
preferisce la suffissazione perché segue l'ordine del processo
della formazione della parola (radice+suffisso).
Diversi sono i criteri di classificazione dei suffissi; il più
persuasivo è quello funzionale, che secondo Tekavčić
(1972:27)
2
, è il criterio più adatto che combina “la categoria
alla quale appartiene la base di derivazione (categoria di
‘partenza’) e quella alla quale appartiene il derivato (categoria
‘d’arrivo’)”. Rispetto alla base, il derivato può essere
denominale, deaggettivale, deverbale, o deavverbiale; riguardo
alla categoria d’arrivo, il derivato può essere nominale,
aggettivale, verbale, o avverbiale.
1
Scalise (1994:181) afferma che la testa è l’elemento che determina la categoria a cui
appartiene tutta la costruzione, e che essa è sempre a destra, perciò si chiama Regola
della Testa a Destra (RTD).
2
Tekavčić (1972:25-26) cita altri criteri di classificazione dei suffissi, ma ne sceglie
quello funzionale visto che il criterio semantico è difficile per la polivalenza di quasi tutti
i suffissi; il criterio della produttività presuppone lo studio di quasi tutti i suffissi in molte
epoche successive; e il criterio cronologico serve soltanto allo studio storico
e etimologico. Essendo necessariamente sincronico il criterio funzionale, non esclude
considerazioni diacroniche: una volta classificati i suffissi dal punto di vista funzionale in
un’epoca, è possibile studiare l’evoluzione fino alla tappa successiva.
Introduzione 16
Particolare tipo della suffissazione è l’Alterazione, con
la quale il significato della parola di base non muta nella sua
sostanza, ma soltanto per alcuni particolari aspetti (quantità,
qualità e giudizio del parlante). Così per es. la parola “ragazzo”
ha gli alterati “ragazz-ino, ragazz-one, ragazz-accio, ecc.”, i
quali hanno lo stesso significato del nome da cui derivano
“ragazzo”, ma che ci dicono nel contempo che si tratta di un
ragazzo ‘piccolo’, ‘grande e grosso’, o ‘cattivo’, ecc.
Questo processo di alterazione entra a far parte della
cosiddetta Morfologia Valutativa, alla quale l’attenzione
rivolta dai linguisti è stata in genere marginale per la sua
irregolarità e la sua imprevedibilità, nonostante la sua
importanza nel campo degli studi linguistici, “in quanto
costituisce il punto d’incontro di vari componenti dell’apparato
descrittivo della linguistica: morfologia, fonologia, sintassi,
semantica e pragmatica” (Grandi 1998:627).
Una singolare e importante proprietà della morfologia
valutativa in italiano è l’uso che essa fa di suffissi “alterativi”, o
“valutativi”, o “espressivi”, o “apprezzativi” (detti ‘alterazione’
nella tradizione grammaticale) classificati con i termini di
suffissi accrescitivi, diminutivi, vezzeggiativi e peggiorativi (o
dispregiativi) e i suoi prodotti sono chiamati “alterati”.
Comunque, nella lingua italiana, i suffissi valutativi non
costituiscono da soli tutte le costruzioni valutative. Grandi
(2002:27) cita altre costruzioni delle marche valutative che ho
potuto riassumere come segue:
(1) Modificazione morfologica, in quanto riguarda le
parole derivate mediante:
a) I suffissi valutativi (es. gatt-ino, libr-one, mamm-
ina, ragazz-accio);
Introduzione 17
b) I prefissi valutativi (es. maxi-cappotto, super-
eroe, mini-bar, mini-bus), il cui uso è piuttosto
ridotto in confronto ai suffissi valutativi;
c) Il suffisso di grado superlativo assoluto (campion-
issimo, bell-issimo, offert-issima) che serve ad
esprimere l'intensificazione.
(2) Modificazione sintattica, in quanto riguarda l’aggiunta
di un modificatore aggettivale (es. donna piccola, libro
grande) che si usa quando la proprietà da esso indicata
deve essere posta in rilievo
1
.
(3) Reduplicazione o ‘iterazione’ (caffè caffè, piccolo
piccolo, bello bello) che serve ad indicare autenticità,
cioè la piena realizzazione delle qualità ideali
ed autentiche. Grandi (ivi.256) cita l’esempio ‘caffè
caffè’ indicando che “il caffè in questione incarna le
qualità ‘tipiche’, ideali ed autentiche del vero caffè”.
Per quanto riguarda quest’ultima costruzione, Haas
(1972:150)
2
afferma che la reduplicazione è abbastanza
diffusa in italiano, e che le forme reduplicate a partire
da basi nominali sono più produttive di quelle verbali o
aggettivali.
È ancora da esaminare la questione della classificazione
semantica della morfologia valutativa che è assai difficile per la
varietà delle sue sfumature affettive che variano da
diminuzione (es. libr-etto) ad accrescimento (es. libr-one) , da
affettività (es. mamm-ina) a disprezzo (es. dottor-ino) e da
intensificazione (es. offert-issima) ad attenuazione (es. giall-
1
Secondo Luciani (1943:18), “In fact, diminutives -and to a lesser degree even
augmentatives and pejoratives- do not cause the quality of smallness, prettiness, poverty,
etc., to stand out as emphatically as would adjectives denoting the same qualities. If the
stress must fall on the quality and not on the noun, an adjective is generally preferable to
a modifying suffix”.
2
“The use of reduplication appears to be somewhat more diffuse, but it occurs most often
with nouns, somewhat less often with verbs and adjectives” (Haas 1972:150).
Introduzione 18
astro)
1
. Questi valori semantici espressi dalle costruzioni
valutative già menzionate si sono divisi in due prospettive da
parte di Tekavčić (1972:179) e Grandi (2002:31):
(1) La prospettiva descrittiva (o quantitativa), legata al senso
denotativo oggettivo, riguarda l’accrescimento e la
diminuzione e può essere rappresentata dalla coppia
antonimica grande / piccolo.
(2) Prospettiva qualitativa, legata al senso connotativo
soggettivo e alla valutazione espressa dal parlante nei
confronti del referente, riguarda l’affettività, il disprezzo,
l’intensificazione e l’attenuazione e può essere
rappresentata dalla coppia antonimica buono / cattivo,
cioè positivo e negativo.
Come suggerisce Tekavčić (1972:179), si può
riformulare tutto in una forma grafica di due assi; ognuno degli
assi oppone due valori che sono come due estremi, due poli
opposti :
-
Cattivo
Piccolo
+
Buono
Prospettiva qualitativa
Prospettiva quantitativa
Grande
1
Secondo Bauer (1997:537), “evaluative morphology has, at its core areas,
diminutivisation and augmentivisation”.
Introduzione 19
Come risulta già, i valori semantici legati alla prospettiva
qualitativa si spostano verso il polo positivo o verso quello
negativo rispetto al significato standard. Rari sono i casi di
diminuzione e accrescimento puri che non abbiano almeno una
sfumatura di altri valori. Le due prospettive di qualità e di
quantità non si escludono reciprocamente, ma s’incrociano: ciò
che è grande può assumere la qualità di bello o imponente (+) o
quella di brutto o rozzo (–); quello che è piccolo può esprimere
ciò che è carino o simpatico (+) o ciò che è meschino o degno
di disprezzo (–).
Prima di procedere all’esame della morfologia valutativa,
occorre identificare le sue caratteristiche essenziali e definirla
in modo esauriente. Dato che la morfologia valutativa
costituisce un’operazione semantico-formale, è opportuno
considerare separatamente i suoi due possibili livelli d'analisi:
semantico e formale. Dunque, si può concludere che una
costruzione valutativa può essere valutativa se soddisfa i due
criteri seguenti formulati da Grandi (2002:52):
“ a. Criterio semantico:
Una costruzione può essere definita ‘valutativa’ se ha la
funzione di assegnare ad un concetto X un valore diverso da
quello ‘standard’ all’interno della scala della proprietà
semantica che gli è propria, senza fare ricorso ad alcun
parametro di riferimento esterno al concetto stesso;
b. Criterio formale:
Una costruzione valutativa deve comprendere almeno:
b′. L’espressione esplicita dello standard attraverso una
forma linguistica che abbia autonomia lessicale e che sia
riconosciuta come esistente dai parlanti della lingua;
b″. Una marca valutativa, vale a dire un elemento linguistico
che esprime [solo o almeno] uno dei seguenti valori
semantici: BIG, SMALL, GOOD, BAD.”
Introduzione 20
Fra gli esempi citati da Grandi (ivi.30), trovo che la
parola “vitello” rispetta il criterio semantico (a), in quanto
esprime ‘una vacca di dimensioni piccole’, ma non quello
formale (b′) perché la forma di base che esprime lo standard
non è riconosciuta come esistente (*vit-). Viceversa la parola
“tunisino” rispetta il criterio formale, in quanto sono
identificabili la forma standard della base (tunis-ia) e il suffisso
–ino, ma non soddisfa quel criterio semantico. Dunque,
ambedue le parole non c’entrano con le operazioni valutative.
Un altro esempio prototipico della valutazione è la parola “libr-
one” che soddisfa i due criteri, sia quello semantico, in quanto
esprime ‘libro di dimensioni grandi’ rispetto allo standard, sia
quello formale per la presenza del morfema base e la marca
valutativa.
In base a tutto ciò, Grandi (ivi.51) e Scalise (1994:107)
1
collocano i dati delle operazioni valutative su due piani distinti:
uno è centrale e prototipico in cui l’appartenenza dei dati alla
valutazione è chiara come nel caso sopraccitato di “libr-
one←libro”; l’altro è periferico e marginale in cui
l’appartenenza dei dati alla valutazione è meno evidente (es.
mangi-one ← mangiare
2
).
In questa tesi mi occuperò principalmente dei suffissi
valutativi escludendo le altre costruzioni valutative
e privilegiando l’interpretazione dei dati centrali, senza,
tuttavia, trascurare gli elementi marginali. I suffissi valutativi
(oggetto principale della tesi), con la loro possibilità di
modificare il valore semantico di una base lessicale senza
cambiare il significato, sono, senza dubbio, fra i tratti più tipici
1
Vedi n.2 p.11.
2
Non è facile riconoscere l’espressione del significato standard appartenente al criterio
semantico: “Ad esempio, può essere definito un mangione una persona che mangia
esageratamente; il morfema di base, però, rimanda al verbo mangiare, che non esprime il
significato standard in rapporto al quale viene la valutazione (una persona che mangia
misuratamente)” (Grandi 2002:50), e questo punto sarà trattato in modo più dettagliato in
segue (cfr. § 2.1.1 del cap.1).
Introduzione 21
dell’italiano. Il fatto però che tali suffissi intervengono nella
lingua italiana come caratteristica distintiva che rende il modo
di parlar grazioso ed espressivo, oltre al fatto che trascurarli
rappresenterebbe un impoverire della lingua stessa, sono -a mio
parere- argomenti sufficienti per convincere il docente e lo
studente ad occuparsene.
Intanto sono d’accordo con il parere di Tekavčić
(1972:22) affermando che gli alterati sono “una fonte, una
riserva per l’arricchimento del lessico”: essi si manifestano ad
ogni livello della lingua, dal colloquiale al letterario. Parole
come bacetto, pappina, bagnetto e vestitino fioriscono il
linguaggio di mamme e bambini. Le pagine dei giornali, anche
a proposito di argomenti serissimi come la politica o
l'economia, abbondano di decretino, comitatone e governicchio
per non parlare dei fattacci di cronaca nera e delle partitelle dei
resoconti sportivi (cfr. Alberti et al. 1991:79,95,111,214).
Aprendo a caso opere di letteratura si incontrano spesso brani
come: "Anche la sopragiacca del cuoio del suo costume era
giallognola, e il cavallino che gli montava era rossastro
(Deledda “Il vecchio della montagna” 1955:17)". Largo uso ne
fanno poeti come Aldo Palazzeschi, per es., nella sua lirica
Sole: "Con una barchettina, sotto un ombrello verde, vorrei
passare il mare (cfr. Musarra 1981:496)". L'uso degli alterati è
frequente anche come risorsa neologica in italiano; fra i
neologismi più recenti segnalo ruotina 'piccola ruota di scorta',
telefonino 'radiotelefono portatile' e merendina 'dolcetto di
produzione industriale confezionato in modo da facilitare il
trasporto e il consumo' (cfr. Marello 1996:18). Anche i prestiti
si alterano come scooterino, managerino e cutterino (cfr.
Dressler e Barbaresi 1992b:26). Inoltre, il linguaggio della
moda e della pubblicità è caratterizzato, come afferma Pappini
(1977:209-211), dall'uso frequente di alterati per creare
un'atmosfera persuasiva, cordiale e intima come ‘un
pulloverone chiné con collettone alto a tunnel e cappuccione’.
Introduzione 22
Com’è noto, i suffissi valutativi sono produttivi
e possono attaccarsi a un gran numero di parole, però non
bisogna credere che sia facile l’usar bene delle forme alterate.
Quell’area dell’alterazione presenta una serie di problemi per
gli studiosi stranieri, interessati agli studi linguistici, e per i
linguisti che cercano soluzioni per questi problemi. L’uso di
questi suffissi è spesso imprevedibile, in quanto uno stesso
valore semantico può realizzarsi attraverso diversi suffissi: ad
esempio il valore d'affettività può essere espresso tramite il
suffisso –ino o –etto, e viceversa uno stesso suffisso può avere
vari valori semantici: ad esempio il suffisso –ino può esprimere
diminuzione e affettività nel caso di “gattino” o disprezzo in
“dottorino” secondo la situazione comunicativa e l'atto
linguistico. Pertanto l’irregolarità di quest’area risale al fatto
che non ci sono regole fisse attraverso le quali certi suffissi
valutativi si aggiungono a certe basi (es. non si sa perché da
“abito” si derivano abitino, abitaccio, abituccio e non *abitello,
*abitastro), perciò bisogna ricorrere all’uso nella lingua parlata
o meglio occorre consultare i dizionari nonostante la
molteplicità delle forme non registrate dai dizionari. L’unico
volume che propone una lista di 13829 forme alterate della
lingua italiana, arricchita e documentata da un vasto corpus di
testi di letteratura contemporanea e di stampa periodica, è quel
dizionario delle forme alterate di Alberti et al. (1991).
Fra i motivi che mi hanno spinto a svolgere questa tesi
sono quelli di eseguire un'analisi contrastiva fra gli alterati
italiani ed i loro corrispondenti in arabo e di proporre soluzioni
ai problemi di traduzione che potrebbero essere riscontrati. Ciò
perché tale fenomeno nella lingua araba è meno produttivo
e meno diffuso in confronto alla lingua italiana appartenente ad
un'origine diversa: l’arabo fa parte delle lingue semitiche,
mentre l’italiano deriva dal latino.
Introduzione 23
Nonostante la sua vitalità e diffusione, l'alterazione è
stata spesso considerata un aspetto marginale dell'italiano, una
sorta di derivazione secondaria, e non ne sono stati fatti molti
studi sistematici. A tutt'oggi le informazioni al riguardo sono
frammentarie e disperse nei dizionari e nei libri di linguistica.
In particolare, manca un lavoro che tratta insieme i diversi
aspetti dell’alterazione: morfologico, semantico e pragmatico.
Alcune, però, sono le opere che ho tenuto più diffusamente a
base del mio studio: “Morfologia” di Scalise (1994) che tratta i
suffissi valutativi all'interno della morfologia, e poi soprattutto
lo studio fondamentale “Morfologie in contatto: le costruzioni
valutative nelle lingue del Mediterraneo” di Grandi (2002)
e l'articolo “Evaluative affixes in Italian” di Napoli e Reynolds
(1994) in cui gli aspetti morfologici sono esaminati
dettagliatamente. Poche sono le opere che riguardano gli aspetti
semantici, e mi sono servita degli articoli seguenti: “On
appreciative suffixes” di Gràcia e Turon (1998),
“Augmentatives, diminutives and pejoratives in Italian” di
Luciani (1943) e “Appunti sui diminutivi italiani in -etto e -ino”
di Rainer (1989). Per quanto riguarda gli aspetti pragmatici, un
preciso punto di riferimento è dato all'opera di Dressler e
Barbaresi (1994) in “Morphopragmatics: Diminutives and
intensifiers in Italian, German and other languages”. Per
quanto riguarda i libri di consultazione araba, mi sono state
utile le opere di A. Hassan (1999), Il Naderi (1997) ed Il
Hammady ed Il Shennawy ed Atta (1991)
1
che descrivono in
modo esauriente la diminuzione in arabo citando tutte le regole
che controllano la sua applicazione con vari esempi.
1
سﺎﺒﻋ ﻦﺴﺣ ،" ﻮﺤﻨﻟاﻲﻓاﻮﻟا" ءﺰﺠﻟا ، ﺮﺸﻋ ﺔﻌﺑاﺮﻟا ﺔﻌﺒﻄﻟا ،ةﺮهﺎﻘﻟا ،فرﺎﻌﻤﻟا راد ،ﻊﺑاﺮﻟاة ،1999 ؛
ردﺎﻨﻟاي ،" ﺔﻴﺑﺮﻌﻟا ﺔﻐﻠﻟا ﻮﺤﻧ" ،ﺔﻴﻧﺎﺜﻟا ﺔﻌﺒﻄﻟا ،توﺮﻴﺑ ،ﺔﻳﺮﺼﻌﻟا ﺔﺒﺘﻜﻤﻟا ،1997 دﺎﻤﺤﻟا ؛ي و وﺎﻨﺸﻟاي
و ،ﺎﻄﻋ"فﺮﺼﻟا و ﻮﺤﻨﻟا ﻲﻓ ﺔﻴﺳﺎﺳﻷا ﺪﻋاﻮﻘﻟا" ،ةﺮهﺎﻘﻟا ،ﺔﻳﺮﻴﻣﻷا ،1991.
Introduzione 24
Nel primo capitolo, esaminerò le forme alterate in
italiano su tre prospettive d’indagine: morfologica, semantica
e pragmatica da un punto di vista sincronico, cioè in chiave
contemporanea nell'italiano d’oggi. Dunque, il primo capitolo
si divide in due parti: la prima tratta gli aspetti morfologici, e la
seconda quelli semantici, sotto la quale sono esaminati pure gli
aspetti morfopragmatici.
Nel secondo capitolo, tratterò queste forme nella lingua
araba per poter mostrare i punti di affinità e di divergenza tra
l’italiano e l’arabo riguardanti gli aspetti morfologici, semantici
e pragmatici, e per chiarire i problemi affrontati nel tradurre
queste forme dall’italiano in arabo via un'esemplificazione
varia.