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PARTE PRIMA: GLI AIUTI DI STATO
1. Aiuti di Stato: definizione e conseguenze sulla concorrenza.
Gli aiuti di Stato sono una forma di intervento pubblica utilizzata per
promuovere una determinata attività economica. Implicano che determinati
settori economici o attività siano trattati in maniera favorevole rispetto ad
altri, e comportano, quindi, una distorsione della concorrenza, poiché
compiono una discriminazione fra le aziende che ricevono un sostegno e
quelle che non lo ricevono.
Per prima cosa, per stabilire se una misura costituisce aiuto di Stato,
occorre distinguere fra la situazione in cui il sostegno è diretto ad alcune
imprese o alla produzione di determinati beni, e la situazione in cui le
misure in questione sono equamente applicabili a livello di Stato membro e
sono finalizzate a favorire l’intera economia. Il carattere selettivo distingue
gli aiuti di Stato dalle misure generali di sostegno economico.
Inoltre, per aiuto di Stato bisogna intendere «qualunque
provvedimento della pubblica amministrazione che implica un
trasferimento di risorse dallo Stato o da altri enti pubblici ad imprese,
pubbliche o private che siano.»
1
E’ quindi normalmente considerato aiuto «ogni vantaggio
economicamente apprezzabile accordato ad un’impresa attraverso un
intervento pubblico, vantaggio che altrimenti non si sarebbe realizzato».
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1
Benacchio Gian Antonio, Disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato: Trento, 30 marzo
2001, Collana Quaderni del Centro Documentazione Europea.
2
Definizione tratta da Tesauro, G., Diritto comunitario, p. 477.
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Infine, con il riferimento all’origine statale del vantaggio, non è inteso il
bilancio dello Stato, ma il bilancio di qualsiasi ente pubblico.
Gli aiuti di Stato sono genericamente vietati dall’art. 87, paragrafo 1
del Trattato CE,
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perché possono pregiudicare la libera concorrenza,
impedendo che le risorse siano assegnate nel modo più efficiente possibile,
minacciando così il funzionamento del mercato interno.
Gli aiuti di Stato possono rappresentare un rilevante fattore di
discriminazione di origine statale: lo Stato, accordando vantaggi ad
un’impresa nazionale, la avvantaggia rispetto ad una concorrente straniera
creando un effetto protezionistico, simile a quello provocato dai dazi sulle
importazioni, ma molto più costoso. In questo modo «potrebbe nascere
un’escalation di rappresaglie tra gli Stati che può essere dannosa per la
stessa Unione Europea».
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Inoltre «un drenaggio eccessivo di risorse
pubbliche destinate alle imprese non è positivo da un punto di vista
macroeconomico, poiché contribuisce a mantenere deficit elevati all’interno
dei Paesi membri e mette a rischio il patto di stabilità…».
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Non tutti i contributi finanziari accordati da uno Stato membro ad
un’impresa rientrano però nella definizione in precedenza esposta, e di
conseguenza sono ammessi dall’Unione Europea. Poiché risulta difficile
valutare alcune situazioni, la Commissione Europea ha elaborato il
cosiddetto «principio dell’investitore privato».
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L’art. 87, par. 1 del Trattato CE così dispone: «Salvo deroghe contemplate dal presente Trattato,
sono incompatibili con il mercato comune, nella misura in cui incidono sugli scambi tra Stati
membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che,
favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza».
4
Ballarino Tito, Manuale breve di diritto dell’Unione Europea, CEDAM 2003.
5
Benacchio Gian Antonio, Il sistema degli aiuti di Stato nella politica di concorrenza dell’Unione
Europea: Trento, 23 maggio 2001, Collana Quaderni del Centro Documentazione Europea.
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In base a tale principio, per capire se il provvedimento amministrativo
costituisca o meno un aiuto, è necessario analizzare se un investitore privato
si comporterebbe allo stesso modo in cui si è comportato lo Stato o l’ente
pubblico che ha adottato il provvedimento a favore di un’impresa.
6
In
particolare «quando alla luce degli orientamenti definiti nella presente
comunicazione,
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appare che il comportamento dei pubblici poteri in
occasione di conferimenti di capitali sotto forma di assunzione di
partecipazioni in un’impresa non è quello di un finanziatore di capitale di
rischio nelle normali condizioni di un’economia di mercato, è
indispensabile effettuare una valutazione a norma dell’art. 87 del Trattato
CE»
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La Commissione chiarisce, che vi è aiuto di Stato «quando in
occasione di apporti di capitale nuovo nelle imprese, tale apporto si effettua
in circostanze che non sarebbero accettabili per un investitore privato
operante nelle normali condizioni di un’economia di mercato”.
Esempi di fattispecie che la Commissione individua quali possibili
aiuti sono:
ξ quando l’assunzione della partecipazione pubblica ha per oggetto
la ripresa o la prosecuzione (totale o parziale) dell’attività non
redditizia di un’impresa in difficoltà tramite la creazione di una
nuova entità giuridica;
6
Nel caso di Alitalia, uno dei punti all’esame della Commissione è proprio il comportamento
dell’holding pubblica Fintecna nella ricapitalizzazione del gruppo.
7
In Boll. Ce, 9, 1984.
8
Nella Comunicazione è chiarito che: «Si possono distinguere quattro tipi di situazioni nelle quali
i pubblici poteri possono essere indotti ad assumere partecipazioni nel capitale delle imprese: a) al
momento della creazione dell’impresa; b) in caso di parziale o totale trasferimento della proprietà
dal settore privato a quello pubblico; c) in imprese esistenti appartenenti al settore pubblico in
seguito a conferimenti di capitali o dotazioni, convertite in capitale; d) in imprese esistenti del
settore privato in occasione di aumenti di capitale».
6
ξ in occasione di un conferimento di capitale in imprese il cui
capitale è suddiviso fra azionisti privati e pubblici, la
partecipazione pubblica raggiunge una proporzione sensibilmente
superiore a quella iniziale e il disimpegno degli azionisti privati è
essenzialmente imputabile alle cattive prospettive di redditività
dell’impresa.
In particolare, con riguardo agli apporti di capitale, per la
Commissione «un investitore commerciale in economia di mercato fornirà
il capitale di rischio se il valore attuale dei flussi di cassa attesi
dall’investimento progettato (che spetteranno all’investitore in forma di
dividendi e/o guadagni in conto capitale debitamente corretti per il rischio)
è superiore al costo del nuovo apporto». Inoltre, la Commissione osserva
che «in alcuni Stati membri gli investitori sono obbligati per legge a
ricapitalizzare le imprese qualora l’accumulo delle perdite abbia fatto
scendere il capitale al di sotto del livello prestabilito. Gli Stati membri
hanno affermato che tali apporti di capitale non possono essere considerati
alla stregua di aiuti, poiché sono il semplice adempimento di un obbligo di
legge. Tuttavia tale “obbligo” risulta più apparente che reale: l’investitore
commerciale posto in una simile situazione dovrà considerare anche tutte le
altre possibilità, compresa quella di liquidare o dismettere l’investimento.
Qualora la liquidazione o dismissione risultasse l’opzione finanziariamente
più sana tenuto conto dell’impatto sul gruppo ma non venisse attuata, ogni
successivo apporto di capitale dovrebbe essere considerato come un aiuto di
Stato».
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Con riferimento alle garanzie, «l’individuazione dell’elemento di aiuto
insito in una garanzia presuppone un’analisi della situazione finanziaria
della società che ricorre al credito. L’elemento d’aiuto di tali garanzie
corrisponderà alla differenza tra l’interesse che il debitore dovrebbe pagare
sul mercato libero e quello effettivamente ottenuto grazie alla garanzia al
netto del costo della garanzia stessa».
Sui prestiti, la posizione della Commissione è molto chiara: un
finanziatore normale, quando concede un prestito ad un cliente, ha la
consapevolezza del rischio dell’operazione consistente nella possibilità che
il beneficiario non sia in grado di rimborsare il prestito. Il rischio inerente al
prestito trova in genere riscontro nel tasso d’interesse e nelle garanzie. Se
nella pratica ciò non avviene, la Commissione sarà indotta a ritenere che
l’operazione finanziaria comporti un vantaggio per l’impresa e configuri un
aiuto.
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Infine, per ciò che riguarda la redditività del capitale investito, la
Comunicazione stabilisce che «al pari di ogni investitore in economia di
mercato lo Stato dovrebbe attendersi dai propri investimenti un rendimento
normale, analogo a quello ottenuto da un’impresa privata comparabile sotto
forma di dividendi o di incremento di capitale … Se questo rendimento
normale rimane assente di là del breve periodo ed appare improbabile anche
ad orizzonte più lungo (con l’incertezza che gli utili futuri a più lungo
termine siano stati scontati in maniera adeguata) e l’impresa pubblica non
ha preso provvedimenti per portare rimedio alla situazione, si può
presumere che essa benefici indirettamente di un aiuto, giacché lo Stato
rinuncia al profitto che un investitore in economia di mercato si
9
Caso Efim, decisioni della Commissione dell’agosto e del settembre 1993.
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attenderebbe da un investimento analogo». La Corte di Giustizia ha in
seguito respinto le critiche che erano mosse al criterio dell’investitore in
economia di mercato difendendo la Comunicazione della Commissione del
1984 e ha precisato che il comportamento dell’investitore pubblico non
deve necessariamente essere quello dell’investitore con prospettive di
reddito a breve termine, ma deve in ogni caso corrispondere almeno a
quello di un «gruppo imprenditoriale privato che persegue una politica
strutturale, globale o settoriale, guidato da prospettive di redditività a più
lungo termine».
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Oltre ai casi rispondenti al principio dell’investitore privato, al
secondo comma dell’art. 87 del Trattato CE è stabilito che alcuni aiuti,
tassativamente elencati, in deroga al divieto posto nel primo comma dello
stesso articolo, possono sempre essere erogati, senza nessuna
autorizzazione specifica.
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Al terzo comma è invece presa in considerazione
una terza categoria di aiuti, per la quale è necessaria una espressa
autorizzazione da parte della Commissione.
Essi sono:
a) gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico di regioni
particolarmente depresse;
b) gli aiuti connessi con la realizzazione di un importante progetto
di comune interesse europeo, oppure tendenti a rimediare a un
grave turbamento dell’economia in uno Stato membro;
10
Riferimento alla ricapitalizzazione della Lanerossi effettuata dall’ENI con fondi governativi,
sentenza 21–III–1991, causa C-303/88, Raccolta, p. I-1443, spec. p. 20).
11
Il par. 2 art. 87 del Trattato CE così dispone : «Sono compatibili con il mercato comune: a) gli
aiuti a carattere sociale; b) gli aiuti destinati ad ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali
oppure da altri eventi eccezionali; c) gli aiuti concessi all’economia di determinate regioni della
Repubblica federale di Germania».
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c) gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo di talune attività o
regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni
degli scambi in misura rilevante;
d) gli aiuti comunque dichiarati ammissibili dal Consiglio su
proposta della Commissione.
In alcuni casi, gli enti pubblici che intendono sostenere lo sviluppo in
un certo settore imprenditoriale, partecipano al capitale di rischio di
un’impresa, piuttosto che erogare sovvenzioni o prestiti agevolati.
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L’atteggiamento della Commissione sulla partecipazione di risorse
pubbliche al capitale di rischio delle imprese è favorevole, nel rispetto di
determinate condizioni mutuate dagli Orientamenti sul trasferimento di
fondi pubblici alle imprese pubbliche. Nella Direttiva n. 80/723/CEE del 20
giugno 1980 e nella Direttiva 2000/52/CE del 26 luglio 2000 che ha
modificato la prima, è ribadito nuovamente il principio dell’investitore
privato in precedenza richiamato.
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Questo fatto diventa particolarmente rilevante nel momento in cui lo
Stato partecipa alla ricapitalizzazione di un’impresa per i debiti che la stessa
ha contratto. Nel caso della compagnia di bandiera italiana, è all’analisi
della Commissione non il prestito–ponte da parte del Governo (che rispetta
tutte le cinque condizioni poste dalla normativa europea per l’erogazione di
un aiuto di salvataggio), ma il piano di ricapitalizzazione di Alitalia che,
secondo le compagnie concorrenti, costituirebbe un ulteriore aiuto di Stato
vietato dall’art. 87 del Trattato CE.
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E’ questo il caso del Gruppo Alitalia, di cui lo Stato detiene tuttora il 53% delle partecipazioni.
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Benacchio Gian Antonio, Il sistema degli aiuti di Stato nella politica di concorrenza dell’Unione
Europea: Trento, 23 maggio 2001, Collana Quaderni del Centro Documentazione Europea.