La chiesa di San Marco completa la serie degli edifici bizantini di gran pregio
esistenti nella città di Rossano Calabro.
Essa è una costruzione di origine bizantina e sembra che sia stata fatta costruire a
proprie spese da Euprassio
1
, protospatario delle Calabrie, che a quel tempo
dimorava a Rossano.
Egli edificò questa chiesa, che ai tempi di San Nilo
2
era dedicata a S. Anastasia
3
ed
in seguito a S. Marco.
Molti, infatti, credono che in questo luogo, prima che Euprassio avesse disposto di
fabbricarvi questa chiesa, ne esisteva un’ altra dedicata a S. Marco, che forse andò in
rovina.
4
A tal proposito si può escludere senz’ altro l’ ipotesi affacciata da qualche studioso
che fosse in origine la vecchia Cattedrale di Rossano
5
; e ciò per ragioni facilmente
intuibili solo se si pensi alla sua estrema piccolezza, che non avrebbe consentito la
riunione di un gran numero di fedeli per le normali funzioni religiose.
Questo ci risulta indirettamente da un ricordo storico, contenuto nel Bios
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di San
Nilo. Si riferisce all’ episodio della consacrazione monastica del giudice imperiale di
Italia e di Calabria Euprassio, avvenuta con numerosa affluenza di pubblico, tra cui
spiccavano i presuli delle diocesi vicine, il Metropolita di Santa Severina, e, oltre
il clero, molti alti ufficiali e funzionari, tutta gente che non si sarebbe potuta
agevolmente muovere in un ambiente cosi piccolo, mentre il Duomo era il luogo
più adatto ed anche più degno per la celebrazione di un rito così solenne e per il
rango dell’ uomo che ne era protagonista.
Dato che si trova in una località rupestre e molto vicina alle grotte eremitiche
sottostanti, è certo più verosimile, anzi assai probabile, che la chiesetta, come la non
lontana chiesa della Panaghia, fossero semplici oratori, luoghi di riunione e di
preghiera in comune degli anacoreti.
- 8 -
La tesi che S. Marco fosse in origine un oratorio degli anacoreti, che vivevano nelle
laure vicine, era già stata avanzata da Pietro Lojacono, che presiedette ai restauri
della chiesa nel 1934
7
.
Da scartare è inoltre la tradizione secondo cui la chiesa sarebbe stata edificata per
devozione da patrizi rossanesi che, riunitisi in Congregazione, godevano del
privilegio di avere un proprio Gonfalone e di esercitare funzioni di governo
cittadino.
La Congregazione, infatti, sorse più tardi, e forse vi ebbe la sua sede, finchè non
venne aggregata , con la Bolla del 5 dicembre del 1578 a quella di Roma.
Ultimo suo procuratore fu un certo Francesco Buongiorno, finchè sparì, e i suoi
beni rimasero devoluti al tempietto, divenuto poi cappella
8
.
Inoltre, premesso che le piccole costruzioni pluricupolate, come quella di San
Marco, cominciarono ad essere in voga nel mondo bizantino sullo scorcio del sec.
IX, e che il tipo penetrò in Calabria un cinquantennio dopo, si ipotizza che la
chiesetta va identificata con quella di S. Anastasia, fondata, secondo la notizia data
dal Bios, verso la metà del sec. X dal giudice imperiale d’ Italia e di Calabria
Euprassio, nativo della città che molto probabilmente ne desunse il modello
dall’ Oriente, aggiornandone poi la costruzione alle maestranze della sua terra
9
.
L’ ubicazione stessa dell’ edificio, in posizione dominante coincide, pressapoco, con
quella di S. Anastasia che era situata nella parte superiore della città ; inoltre, lo
stesso documento sottolinea il fatto che San Nilo, dopo che Euprassio aveva
affidato la direzione della chiesa al monaco Antonio, dopo la morte di quest’ ultimo,
la ricostruì , avendola trovata in cattivo stato di conservazione: qui si potrebbe
ipotizzare, a tale proposito, che l’ edificio sia stato danneggiato dal terremoto che
aveva colpito Rossano nel 970 come si legge nel Bios di San Nilo.
Infatti, da alcuni passi del Bios, Euprassio, dopo aver costruito la chiesa monastica
di S. Anastasia, destinandola ad un monastero femminile, ne affidò la direzione al
monaco Antonio
10
: a sua volta, egli prossimo alla morte, designò come procuratore
dei suoi beni San Nilo, che li distribuì ai poveri, li destinò in parte a chiese e
- 9 -
monasteri e ricostruì il monastero di Sant’ Anastasia che, versava in cattive
condizioni, istituendovi il monastero femminile
11
.
Dopo il ritorno di Euprassio da Costantinopoli, in seguito ad alcune accuse
infondate rivolte contro il santo, che si sarebbe appropriato della chiesa e dei beni
del monaco Antonio, quest’ ultimo morì , e fu sepolto nella chiesa da lui stesso
costruita, designando il santo esecutore testamentario dei suoi beni, incarico che
San Nilo rifiutò
12
.
Da qualsiasi prospettiva venga esaminata, dunque, la chiesa di S. Marco appare
profondamente calata nella cultura mediobizantina.
La chiesetta subì attraverso i secoli l’ usura di tristi vicende, dovute non solo
all’ influenza eversiva del tempo, ma anche, e purtroppo bisogna ricordarlo alle
manomissioni e all’ abbandono degli uomini, che non seppero riconoscere il
grandissimo pregio artistico, tanto da adibirlo con le sue adiacenze a cimitero dei
colerosi e, scavandovi fosse per sepolture, a metterne in forse la stessa stabilità.
Anche le trasformazioni, alle quali il tempietto fu sottoposto in epoche diverse,
intonacandone le pareti, sostituendo a quello primitivo un tetto ligneo a stucchi,
sovrapponendovi un piccolo campanile, contribuirono a far sparire in gran parte
quello che in origine ne era l’ aspetto costruttivo generale
13
.
Su questa splendida chiesetta che per il suo tipo stilistico – architettonico meritò
d’ essere appellata “ il piccolo San Marco di Venezia”, la letteratura italiana è
straordinariamente scarsa.
Ad ogni modo però, la chiesetta di S. Marco, ha avuto ammiratori ed osservatori di
straordinaria competenza e capacità.
Il Lenormant infatti, dopo una visita accuratissima, non esitò a scrivere che Rossano
doveva essere il punto più interessante da studiare in tutte le province meridionali
per lo storico e l’ archeologo che vogliono penetrare nella vita e nei ricordi
dell’ Italia bizantina
14
.
Per lo studioso, dunque non c’è dubbio che la chiesa appartiene al più puro stile
bizantino.
- 10 -
Circa la tipologia, la sua origine bizantina è sottolineata dagli studiosi che se ne
sono occupati: si tratta di un impianto che fu sperimentato per la prima volta in
alcune chiese del Magno Palazzo di Costantinopoli, la Thetokos del Faro e la Nea di
Basilio I
15
(867- 886) , impianto che condizionò, per le sue dimensioni, in origini
limitate, e lo spazio, frammentato, i nuovi programmi iconografici bizantini.
Questo tipo di edificio, all’ apparenza, non ebbe grande fortuna nell’ Italia
meridionale bizantina: tranne alcuni casi in Calabria e in Puglia, fu preferito
l’ impianto basilicale di modeste dimensioni, a navata unica soprattutto, o a tre
navate
16
.
La chiesa, occupa un posto di rilievo per la sua tipologia, lo stato di conservazione,
l’ ubicazione su uno sperone roccioso, in posizione dominante.
L’ edificio, dedicato a S. Marco Evangelista, posto nell’ odierna via Garibaldi
17
, è
costruito su un basamento roccioso.
Viene considerata la gemella della Cattolica di Stilo
18
, infatti la pianta è a croce
greca inscritta in un quadrato, con volte a botte sui bracci della croce e cupolette su
tamburo al centro e nelle zone angolari.
All’ esterno misura m. 8 x 8, mentre all’ interno dei muri perimetrali lo spazio si
riduce a m. 6 x 6.
La chiesa è costituita da due ambienti, uno a croce greca e da un vestibolo
rettangolare di epoca successiva.
Esternamente compatto, con le pareti scabre, prive di risalti, l’ edificio è costruito
con una tecnica mista, rozza, che utilizza pietrame e frammenti di laterizio,
soprattutto tegole, cioè la struttura muraria maggiormente attestata in relazione alle
chiese bizantine calabresi.
La primitiva struttura è caratterizzata da tre absidi semicircolari, tutte uguali, che
sembrano nascere dalla roccia e che conferiscono alla chiesa un aspetto maestoso e
slanciato: esse sono illuminate da bifore con capitelli a stampella.
Le cinque cupole, il cui alto tamburo è forato da monofore, ne scalfisce il senso di
compattezza, contribuendo a creare effetti chiaroscurali.
- 11 -
La compatta massa muraria della chiesa, ancorata alle rocce della scarpata verso la
valle, rivela il suo inconfondibile accento nel gioco dei tamburi cilindrici, affondati
nel tetto, e nelle tre absidi, la cui curva è appena definita all’ esterno e terminata
dall’ abituale manto di tegole.
Anche le aperture nei tamburi e nelle absidi concorrono a dare un accento bizantino
all’ insieme, per il tipico rapporto tra pieni e vuoti, con assoluta prevalenza dei
primi.
A tal proposito si può affermare che l’ architetto del S. Marco, doveva essere
sensibile all’ affermarsi di nuove correnti culturali, perchè, pur aderendo alla matrice
bizantina, ne propose un’ interpretazione totalmente rinnovata; tutto questo si può
notare nella qualificazione volumetrica, nel rapporto tra pieni e vuoti, tra superfici
curve e piane e tra l’ intonaco e le tegole curve
19
.
È inoltre importante rilevare che ciò che esalta la massa della chiesa, viene data dal
prolungamento delle absidi sino alla roccia del colle.
Circa le sue dimensioni, ricordiamo che le quattro colonne centrali (di diametro
variabile da cm. 27 cm. 29) distano tra loro m. 2,20 di interasse, onde il diametro
delle cupolette è di m. 1,60 circa; il quadrato di base è di m. 7,40 circa di lato, più i
cm. 70 di sporgenza delle absidi dal filo del muro terminale.
L’ altezza dal pavimento alla cupola centrale è di cm. 6,90; dal pavimento alla
copertura esterna della cupola centrale è di m. 7,50
20
.
La chiesa risalta anche con la sua volumetria, ricoperta com’ è sempre stata da
intonaco chiaro, con il quale contrasta solo il rosso bruno delle tegole curve: sia del
tetto, che ha un lieve risalto triangolare in corrispondenza delle botti dei bracci della
croce sulla facciata orientale, dov’è l’arco di ingresso, e su quelle laterali, sia delle
cinque cupole basse con tamburi cilindrici.
Di queste le quattro agli angoli sono quasi affondate nel tetto stesso a spioventi, si
che risalta quella centrale, peraltro di uguali dimensioni, che, perciò, impostata
come è un pò più in alto, realizza all’ interno uno sviluppo in altezza, accentuato
dalla posizione delle finestre, tutte in alto
21
.
- 12 -
Inizialmente lo Jordan scrive che la cupola centrale è molto più alta delle altre, ma
ciò viene smentito dal Teodoru che riconosce la perfetta identità dimensionale delle
cupole della chiesa, non soltanto nel diametro ma anche nell’ altezza: la cupola
centrale non è più alta delle altre, ma nasce ad un livello superiore
22
.
Il rivestimento di tegole sui tamburi è strettamente aderente alla sottostante
struttura, assumendo un aspetto conico, anche se poco accentuato. Il rivestimento fu
poi rinnovato in sede di restauro.
La facciata occidentale denuncia le botti interne mediante un semplice risalto
triangolare che allude al timpano, ma non presenta nessuna articolazione se non
quella determinata dalle tegole curve, un pò aggettanti dal tetto; infatti, nei timpani
delle botte laterali sono aperte piccole monofore, in stretto rapporto compositivo
con le sottostanti finestre ad arco, chiuse da transenne di restauro.
Al centro dei muri perimetrali esterni, la parete è alleggerita da un sistema di
finestre, un ampia monofora, ed una seconda, di dimensioni limitate, in asse con la
prima, quest’ ultima quasi incuneata entro un frontoncino triangolare che movimenta
la parete stessa.
L’ edificio è preceduto da un profondo avancorpo, una sorta di raddoppiamento del
vano principale, che fu probabilmente aggiunto in un secondo momento, stando alla
relazione sui restauri del Lojacono
23
.
Ciò è confermato anche dal fatto che, attualmente, si aprono tre ingressi fra la
chiesa e l’ ampio vestibolo: è possibile ipotizzare che in origine, sia sulla base delle
modeste dimensioni dell’ edificio, sia per il confronto con i casi della Cattolica di
Stilo e del S. Pietro D’ Otranto
24
, che presentano un solo ingresso sul lato
occidentale, che è poi l’ ingresso principale, la chiesa primitiva avesse un unico
ingresso.
L’ analisi di Lojacono, ha evidenziato che il profondo vestibolo appartiene ad una
fase successiva rispetto alla chiesa.
Si potrebbe inoltre affermare che il vestibolo ampio sia una struttura
sostanzialmente peculiare dell’ architettura monastica mediobizantina.
- 13 -
Si tratta infatti di uno spazio che, si può definire polifunzionale in quanto ospita
varie funzioni e che, diviene via via più ampio e profondo: nel caso del San Marco,
fu inteso come un raddoppiamento della stessa chiesa.
Innanzi tutto il vestibolo è spazio funerario per eccellenza: ospita infatti sia tombe
di monaci, sia dei donatori privati dei monasteri, che spesso si fanno raffigurare
sulle pareti del vestibolo o del nartece; ad esempio Euprassio, alla sua morte, fu
sepolto nella chiesa.
La sepoltura nella chiesa, in epoca mediobizantina, risulta un privilegio riservato al
fondatore laico dell’ edificio di culto e alla sua famiglia.
A tal proposito appare del tutto sbagliata la tesi del Galli, dove afferma che si
trattasse di un nartece rettangolare coperto a tetto e separato dal presbiterio a croce
con cinque cupole, e che il muro sia stato eseguito contemporaneamente, con una
soluzione di continuità,
« [ …] forse per sottolineare ancora meglio la
destinazione semisacrale e semiprofana dello spazio
anteriore »
25
.
Il vestibolo, dunque, è da attribuire ad una seconda fase edilizia, come attesta il
Lojacono e si configura come ambiente particolare delle chiese monastiche
bizantine.
Se poi, viene definita giusta l’ ipotesi che l’ edificio sia da identificare con la chiesa
di un monastero femminile fondato dal giudice imperiale Euprassio, e dedicata a S.
Anastasia, si può ipotizzare che l’ aggiunta del vestibolo facesse parte degli
interventi promossi da San Nilo stesso, dato che l’ edificio versava in cattivo stato di
conservazione forse, come già prima detto, a causa del terremoto che aveva
sconvolto la città di Rossano nel 970
26
.
In ogni caso la chiesa è frutto di un successivo ampliamento effettuato con buona
probabilità per accogliere un maggior numero di fedeli. All’esterno non c’è nessuna
decorazione particolare, infatti tutta la grazia architettonica dell’ edificio è riassunta
nelle absidi.
- 14 -
L’ area della chiesa di S. Marco, come si è enunciato prima, si divide in due parti
uguali, ovvero in due quasi perfetti quadrati: nel primo, sul cui lato orientale si
incurvano le tre absidi, si racchiude il sacrario, dove si compie il sacrificio divino,
ed è quindi riservato ai sacerdoti.
Sotto la cupola centrale è posto l’ altare a semplice tavola, e su di esso pendeva la
colomba argentea con le Sacre Specie.
I cavi delle tre absidi servivano per la preparazione e l’ introduzione del rito: quello
centrale al presbiterio, quello di destra al diacono e quello di sinistra al subdiacono,
incaricati di leggere, durante la messa, l’ epistola e il vangelo.
I neofiti, non avevano accesso nel sacrario, non solo per ovvie ragioni religiose, ma
anche nel caso del S. Marco, per insufficienza di spazio.
Il prospetto del sacrario rivolto verso la folla dei fedeli, termina con tre archi
ricavati nella parete, dove potrebbe trovare posto l’ iconostasi, e sugli spazi pieni si
dovevano trovare sicuramente le immagini tradizionali del Salvatore e degli
Evangelisti.
Le tre aperture ripetevano lo schema della scena degli antichi teatri, con le tre
consuete porte obbligatorie: la regia nel mezzo e le hospitales ai lati.
L’ interno del S. Marco, si conclude con tre absidi di uguali dimensioni; in esse si
aprono bifore, ma ciò nonostante, l’ invaso presenta minore luminosità per le
transenne di stucco, ricostruite in tutte le finestre.
Che le transenne siano di restauro è evidente da un esame diretto degli elementi, ed
è anche ricordato dal Galli che afferma che si provvide alla rinnovazione del tetto a
“ coppi ”, su tipi antichi rintracciati, comprese le coperture a basse calotte delle
cinque cupolette
27
.
L’ ipotesi dell’ esistenza di transenne, fu realizzata in sede di restauro, per quanto
nessuna giustificazione documentaria la avvalorasse.
Anche secondo l’ esame del Lojacono, non si discute tale problema: il vano
antistante al sacrario è coperto da tetto ligneo con quattro capriate; due transenne di
tipo bizantino sono state incastrate nelle due grandi luci laterali, che certamente in
- 15 -
antico dovevano avere tale chiusura. La stessa forma di transenne è stata applicata
alle altre luci minori.
Le pareti, vengono solcate da risalti in stucco che proiettano lateralmente nello
spazio le sagome dei pilastri centrali.
Nel S. Marco l’ imposta degli archi è ottenuta con un lieve risalto mensoliforme, che
rappresenta un’ ulteriore rinuncia ad accogliere espressioni decorative culturali.
Tuttavia il brandello di affresco con l’ immagine della Madonna con il Bambino,
scoperto sulla parete della navatella sinistra, nei restauri eseguiti dal 1926 al 1930,
fa supporre una decorazione parietale andata interamente perduta.
Venne eseguita una paziente indagine condotta su tutte le pareti, più volte
imbiancate, sulle absidi e sui pilastri, oltre che sulle superfici delle coperture.
Il brandello di affresco può forse collegarsi a quello dell’ Achiropita, nella cattedrale
di Rossano
28
.
Inoltre va aggiunto che il frammento conferma la bizantinità della chiesa e della
città in cui essa sorge, poichè vi appaino tracce di iscrizioni greche, purtroppo non
più leggibili.
La decorazione interna del S. Marco, dunque, è di un’ estrema semplicità . Le arcate
del muro, che separa il nartece della chiesa, sono soltanto orlate di una doppia
modanatura, e i quattro pilastri, che sopportano la cupola centrale, terminano con i
capitelli discretamente ornati. È per la decorazione semplice ed elegante delle sue
linee essenziali che la chiesa prende ogni valore.
In mancanza di fonti storiche, per il S. Marco è impossibile definire con esattezza la
data di edificazione.
Senza dubbio, si riconosce il carattere tipicamente bizantino della chiesa, ma
nonostante tutto sussistono pareri diversi dalle critiche dei vari studiosi che ne
hanno preso atto: il Diehl, nell’ ottocento, diede una datazione oscillante tra il sec.
IX e il sec. X, ma poi modificò la sua opinione, attribuendo a questa chiesa al XII
secolo; egli non esitò a giudicare la chiesetta un monumento della massima
importanza e del massimo interesse
29
.
- 16 -
Affermiamo che da una parte egli teneva conto anche dell’ opinione del Bertaux
30
che, anche se non ha avanzato nessuna ipotesi cronologica, sembrava assai incline
per una datazione tarda.
Certo non sono mancati altri giudizi, concordi nel riferirne le origini al periodo
normanno: il Freshfield, ad esempio, reputa la chiesa
« [ …] non più antica della conquista
normanna
31
. »
e a tal proposito suggerisce una data che si colloca nell’ XI secolo o poco dopo.
Secondo le ipotesi del Theodoru, egli pone il S. Marco nell’ XI-XII secolo
32
; il
Lojacono invece, considerando gli impegnativi lavori di restauro che ha compiuto
nella chiesetta, propende per il sec. X
33
.
Per quanto riguarda l’ idea di Paolo Orsi,
34
egli colloca la chiesa nel sec. X o nei
primissimi del successivo d’ accordo con il Diehl, affermando che la chiesa è
nettamente bizantina nella pianta, nel disegno, nella costruzione e, insieme alla
Cattolica di Stilo, è l’ unico esempio del genere ad occidente dell’ Adriatico.
Il tentativo di una maggiore precisazione cronologica urta contro grandi difficoltà,
data la mancanza di fonti storiche, e la recente ipotesi di collocare sulla metà del X
secolo il S. Marco di Rossano, in base ad un passo dell’ agiografia di San Nilo, si
rivela assai fragile, data l’ impossibilità di una sicura identificazione della chiesa con l’
oratorio del monastero femminile di S. Anastasia, citato nel Bios.
Nella storiografia della chiesa, si costituisce una sorta di topos in cui l’ edificio è
sempre esaminato in relazione alla Cattolica di Stilo.
Ma le varianti rispetto alla Cattolica di Stilo sono dovute alla diversa disponibilità
locale di approvvigionamento del materiale impiegato.
Le caratteristiche comuni sono: la planimetria, la dimensione, il tipo di copertura a
cinque cupole, mentre si differenzia nel tipo di sostegno utilizzato per la copertura,
infatti, a S. Marco lo spazio interno è suddiviso da quattro grandi e robusti pilastri,
che sorreggono gli archi su cui si innestano le cupole.
- 17 -
Data la grandezza questi limitano la visibilità restringendo l’ ambiente tanto da dare
un senso di soffocamento.
Al contrario, la Cattolica ha quattro snelle colonne che sorreggono la volta e non
ostacolano la vista in nessuna direzione nel suo interno già di per se stesso ristretto;
e ciò non è da spiegarsi soltanto con una diversa ispirazione del costruttore, che
elimina ogni concessione al raffinato gusto orientale per assumere un tono severo,
forse in parte incline al rude linguaggio romanico.
Il Lojacono osserva che a S. Marco tale effetto decorativo non esiste e la
costruzione di muratura ordinaria, cioè di materiale calcareo informe, presenta
soltanto nelle membrature architettoniche, come gli archi e gli stipiti, materiale
laterizio con semplice funzione statica.
Differenti sono anche i valori cromatici: mentre a Stilo predomina il rosso dei
laterizi, a Rossano l’ intonaco ha i toni chiari del calcare locale.
Inoltre c è da aggiungere che, a differenza della Cattolica, le absidi, forate da
profonde finestrelle bifore, si prolungano verso il basso e si fondono con le rocce
del costone tufaceo, in una soluzione non semplicemente pittoresca ma intesa a
conseguire, risultati di insolita monumentalità.
All’ interno, i pilastri quadrati, si accampano nel minuscolo spazio, addensandosi
attorno al vano della cupola centrale in forma scabra.
L’ impiego dei pilastri non è certamente estraneo all’ architettura bizantina delle
province, ma qui in effetti sembra risolversi in valori di massa - struttura, che
rimandano a tematiche occidentali; la sensazione è accresciuta dalla ridotta
illuminazione, perchè la luce penetra breve e interrotta dalle piccole aperture sulle
cupole, e lasciano in una suggestiva penombra i vani laterali.
Inoltre, mentre nella Cattolica le pareti perimetrali interne rimangono lisce e
uniformi, nel S. Marco sono ritmicamente scandite, in corrispondenza dei pilastri,
da solidi risalti murali, che individuano le singole unità spaziali, come nelle chiese
romaniche, perciò anche se non si può parlare di occidentalizzazione delle forme
bizantine, nondimeno l’ episodio testimonia la presenza di influssi riferibili ad una
cultura edilizia diversa
35
.
- 18 -
L’ assoluta nudità delle pareti esterne, in contrasto col cromatismo della Cattolica,
rende la chiesa di Rossano un episodio eccezionale nel contesto dell’ architettura
calabrese normanna, e ci fa rifiutare la possibilità di ritenerla una espressione
popolare e rustica.
Per quanto riguarda il problema delle cupole, il S. Marco e la Cattolica, avendo le
cupole di uguale diametro, l’ emergenza della cupola centrale è ottenuta con
l’ artificio dell’ alzamento di quota del piano d’ imposta del tamburo.
Si crea così all’ interno l’ impressione dello spazio moltiplicato, ma nello stesso
tempo ostruito dai sostegni che, specie nel S. Marco, si presentano come imponenti
pilastri.
È impossibile parlare delle due chiese calabresi, di influssi dell’ architettura della
capitale anche dal punto di vista della sintassi costruttiva.
Infatti, mentre negli organismi a croce inscritta con cinque cupole, le cupolette
angolari hanno la funzione di controbilanciare la spinta dei quattro bracci voltati a
botte dalla croce, al cui centro si innesta la cupola mediana, scaricandone il peso sui
muri perimetrali, qui la stessa divisione dello spazio in unità uguali rende nullo quel
principio costruttivo vitale che è la peculiarità dell’ architettura bizantina.
Per ciò, numerosi edifici di Creta mostrano stringenti analogie con le chiese di
Rossano e di Stilo, sia nell’ adozione del tamburo cilindrico che emerge dal tetto
senza dado intermediario e anche nella tendenza alla ridotta dimensione della
cupola centrale, oltre che nella conformazione semicilindrica delle tre absidi che
nelle due chiese si presentano sempre della medesima altezza
36
.
Richard Krautheimer, sottolineata l’ eccezionalità in Occidente del S. Marco di
Rossano e della Cattolica, il cui impianto a cinque cupole diffuso nella Grecia
continentale e insulare ed anche nelle province orientali dell’ Asia Minore, può
essere stato introdotto dal Peloponneso e dall’ Epiro, dove questi edifici sono
numerosi, specie lungo la costa, e per di più con i tamburi decorati a fasce, come nel
Magno ad Arta, ha ritenuto che esse debbano essere state costruite al tempo della
dominazione bizantina o al massimo poco dopo, quindi tutt’ al più tra il sec. XI e il
sec. XII
37
.
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