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La mia è una volontà di rendermi utile verso chi si trova ad affrontare questo delicato momento
rispetto alle sue trasformazioni e alle trasformazioni di chi gli sta attorno, per riallacciare la distanza
che a volte si viene a creare tra l’adolescente e la realtà che lo circonda.
Questa difficoltà di porsi in relazione con sé e con gli altri non è, come spesso viene rappresentata da
certi stereotipi, una completa novità “Ah, ma una volta non era così..”, “che gioventù bruciata…”, “Ai
miei tempi c’era più rispetto..”, è un fenomeno che investe la società da almeno più di cent’ anni,
ovvero dall’inizio dei primi studi scientifici di questa nuova e affascinante “materia”. E quello che
risulta stando a contatto con i ragazzi è come cambino i linguaggi, (computer, musica, sms, uso del
corpo) ma restino ben saldi i bisogni: l’essere ascoltati, l’essere considerati, apprezzati, stimati per
quello che si è, non solo per ciò che deve ancora diventare, ma come persone che vogliono e devono
sperimentare, provare, creare, uscendo dall’ottica dell’infanzia per riuscire a costruire il proprio
progetto di vita indipendentemente da protagonisti.
Per questo l’educatore deve conoscere questi nuovi linguaggi, e codici per essere sempre al passo con
l’adolescente quando chiede aiuti, in una società che cambia continuamente e dove chi resta indietro è
tagliato fuori. Deve dare sostegno, ascoltare, rassicurare, deve fungere da guida, modello, di fronte a
ragazzi che cercano nuove figure da seguire diverse dai loro genitori ma che nello stesso tempo diano
esempi positivi ai quali aggrapparsi nei momenti di difficoltà per crescere. Deve accompagnare il
ragazzo verso la propria autonomia, e per farlo deve infondergli sicurezze, attivando e potenziando le
sue risorse e potenzialità. In più l’educatore deve attivare il contesto ponendosi come figura ponte tra
la società e il ragazzo permettendogli così di avere più punti di riferimento e diverse agenzie e
istituzioni alle quali chiedere e che sente vicino a lui.
E’ per la criticità e delicatezza di questo cambiamento, per i tanti sogni e progetti che si vivono, per le
basi che mette per il futuro, per il mio credere in loro, che ho scelto di operare a contatto con quest’età,
in un processo sistemico relazionale che coinvolge tutti gli attori in campo, che porta quotidianamente
a migliorarsi e a trasformarsi, dove io per prima ne esco arricchita, come educatore e come persona:
mi hanno potuto insegnare l’importanza del perdere tempo con loro, l’importanza dell’altro, del
continuare a farsi sempre tante domande perché non si finisce mai d’imparare, della relazione e del
confronto.
“Siamo salpati tutti sulla stessa barca, e nella tempesta, nessuno può salvarsi da solo”.
M. Benasayag e G. Schmit.
Da solo nessuno può farcela, siamo nati come esseri sociali e pertanto abbiamo bisogno degli altri per
star bene e crescere armoniosamente. A fronte di ciò anche il ragazzo ha bisogno di un ambiente
sociale che non sarà più quello familiare ma quello del gruppo di coetanei. Questo crea disagio per l’
ambivalenza (di dipendenza-autonomia) che deve gestire. Ciò si risolverà nella scoperta dell’
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interdipendenza, cioè nella consapevole accettazione del bisogno degli altri. Nel gruppo il ragazzo
trova tutte le sicurezze, protezioni e risposte alle domande che cercava, si mette alla prova, verifica le
norme, i valori trasmessi dalla famiglia per farseli suoi.
Diventare grandi (identità) e sufficientemente autonomi vuol dire saper sciogliere i legami
(autonomia) senza paura di perdere gli affetti (fiducia e autostima) e a contare che possano
trasformarsi. L’autonomia e l’autostima/fiducia sono gli strumenti che utilizza l’ educatore per far
fronte ad esperienze nuove e rischiose dell’ adolescente.
Per raggiungere una corretta autonomia e indipendenza il ragazzo procede per “oscillazioni” fra fasi di
enfasi evolutiva e regressioni momentanee che permettono però poi di recuperare l’ equilibrio. E tra
questi il rischio è il fattore che all’ età adolescenziale risulta maggiormente connesso.
L’ adolescenza è il periodo dei confronti per eccellenza, fra sé e sé e fra sé e gli altri, il ragazzo sente
quindi il bisogno di provare i suoi limiti esterni-interni: ecco quindi come il rischio risulta una
componente normale della crescita del soggetto, come espressione del suo bisogno di esplorazione di
sé e del mondo esterno, testando così il livello di autonomia raggiunto,sentendosi definito come
Persona. L’ educatore si offre anche come modello per sostituire comportamenti con altri più
funzionali ed efficaci al soddisfacimento di quegli stessi bisogni.
Nel tirocinio in cui ho potuto seguire il lavoro di Educativa di strada è stato indirizzato per lo più
attraverso un’ottica di prevenzione e promozione: la maggioranza dei ragazzi che ho conosciuto e
osservato, non presenta disagi conclamati ma piuttosto disagi di tipo evolutivo “normali” perché
connessi all’età, per cui il nostro intervento si è indirizzato alla prevenzione dei rischi ai quali possono
incorrere, ma soprattutto alla promozione del ragazzo, delle sue risorse, costantemente in contatto al
suo contesto di vita.
L’educatore diventa così figura ponte tra lui e la società, deve attivare non solo il ragazzo ma tutta la
comunità (associazioni, informa giovani, biblioteche, centri culturali, comune…). Se il ragazzo sente
il credo dal suo paese, egli si attiva diventando risorsa perché ne sente la motivazione, una spinta che
gli viene direttamente dal suo comune di appartenenza che crede, conta e ha fiducia in lui.
In conclusione, l’intento della mia tesi è proprio di mettere in risalto il ruolo dell’educatore in ambiti
di prevenzione nei confronti degli adolescenti, vedere che non è solo il disagio ciò che viene alla luce
in questa età ma anche tanta voglia, impegno di fare e mettersi in gioco, per meglio delinearlo,
verranno trattate due esperienze caratterizzanti della mia esperienza di futura educatrice: l’educativa di
strada e il mercato dell’immaginazione.
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Capitolo Primo
SOCIETA’ E ADOLESCENZA
1.1) Vivere in un mondo complesso
Viviamo in un’epoca dominata da quelle che Spinoza chiamava le “Passioni Tristi” .
Le “passioni tristi” sono le incertezze, le angosce, la perdita di fiducia nel progresso e
quindi il timore di un futuro minaccioso che incombe oggi su ogni aspetto della nostra vita.
Un timore che genera una sorta di cupa “atmosfera esistenziale” nella quale si innestano
poi le crisi individuali che andrebbero analizzate, quindi, all’interno di un contesto più
ampio. Si parla di impotenza, disgregazione, mancanza di senso,affievolimento dei legami
emotivi sentimentali e sociali; i rapporti diventano contrattuali. Così facendo ogni limite
viene abbattuto: si assiste ad una crisi del principio d’ autorità, che garantiva la
trasmissione della cultura dall’ adulto al giovane (educazione basata sul desiderio di
crescere, e lo si può fare contrastando per rinnovare), a favore di un autoritarismo
inefficace (insegnamento con minaccia). Le passioni tristi è questo legame che viene a
mancare tra i giovani e il mondo in cui sono inseriti. Lo sviluppo degli ultimi anni ha
portato l’uomo a non avere più tutte le certezze che aveva prima, in particolar modo l’ aver
adottato un principio economicista ha fatto sì che percepisse sempre maggiore la sua
solitudine rispetto al mondo che lo circonda. La passione triste è un senso di impotenza e
incertezza che ci porta a richiudere in noi stessi, a vivere il mondo come una minaccia, è
vuoto, è non sapere comprendere sé stessi e dare un senso alla propria vita. Le ragioni di
tale sofferenza sono: da una parte la seduzione della pubblicità (che crea ogni giorno nuovi
bisogni) e dall’ altra la coercizione (costrizione ad un modello utilitarista). Assistiamo così
al paradosso di una società che ti obbliga ad essere efficiente ed iperflessibile, ma che
paradossalmente mina le proprie basi, demolendo un istituto importante come quello della
famiglia, sradicando l’ autorevolezza dei genitori, i quali vengono trattati al pari di un
qualsiasi altro bene di consumo.
Anche Galimberti parla di “Nichilismo” per descrivere la crisi della nostra epoca, della
modernità, il crollo delle fondamenta , egli spiega che non ci sono più cose/basi solide alle
quali credere e appoggiarsi con ideali e valori da seguire ma si assiste a una caduta dei
valori. Tecnica e consumismo prendono il sopravvento per lasciare sullo sfondo i valori alti
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(libertà, salvezza, identità, fede, verità…). Una società insicura,incerta, precaria dove la
crisi del singolo è il riflesso della crisi della società in cui vive. (1)
M.Benasayag G.Schmit parlano di un mondo in cui chi resta indietro è destinato
all’insuccesso dove la sensazione di un futuro irrimediabilmente difficile vanifica
comunque ogni speranza, rigettando i giovani in uno sforzo cieco, che punta unicamente
alla supremazia dell’individuo e a perseguire solo ciò che è “utile”.
Il problema principale di molti bambini definiti “con problemi scolastici” è proprio
l’assenza del desiderio di apprendere, spento da una opprimente richiesta di competitività: a
tutti i livelli le energie dei più giovani sono indirizzate verso le competenze migliori, i
diplomi più qualificanti, “sola garanzia di sopravvivenza in questo mondo pieno di pericoli
e insicurezza, caratterizzato dalla lotta economica di tutti contro tutti.” Nasce così una sorta
di “allevamento industriale”, in cui i giovani sono abituati a vedere i mestieri in un’ottica
fortemente gerarchizzata, secondo cui un infermiere, ad esempio, verrà considerato come
qualcuno che “ha perso la gara per arrivare in cima”, visto che non è diventato medico.
Niente deve essere disinteressato, altrimenti “perdi tempo” e se perdi tempo sei un fallito,
uno che la società rifiuta, o molto peggio, ignora; il presente si dilata e l’adolescenza può
diventare una melma che ci avvolge fin oltre i trentacinque anni. Il meccanismo
competitivo funziona: la tecnica e l’economia proclamano successi e profitti. Ma
paradossalmente noi stiamo male, i bambini e gli adolescenti in particolare. Il mondo
diventa incomprensibile, privo di senso. La scienza diventa scientismo: tecnicamente tutto
diviene possibile in termini scientifici, e anche pensabile eticamente. L’economia diventa
utilitarismo: il valore di scambio travolge il valore d’uso. L’ospedale e la scuola diventano
aziende.
L’alternativa proposta è allora quella di riscoprire le passioni gioiose, quelle determinate
dal desiderio e dall’utilità dell’inutile, dal piacere di coltivare i propri talenti senza un fine
immediato.
L’obiettivo dell’educatore sarà “avviare un lavoro globale di scoperta e sviluppo di
possibilità, di potenzialità”, è sbagliata l’ ipotesi che essere normali/uguali equivalga a dire
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(1) Umberto Galimberti ,L’ospite inquietante , il Nichilismo e i giovani, serie bianca
Feltrinelli,Milano,2007
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essere per forza sano e senza problemi, il processo di normalizzazione imprigiona la
nascita delle diverse individualità , mentre la valorizzazione di ciascuna identità rende ogni
persona speciale.
L’educatore dovrà sperimentare un "progetto di ricostruzione del legame", dell’empatia e
della "amicizia" che favorisca il riemergere delle "passioni gioiose", dei singoli talenti, di
progetti realizzabili e condivisibili, di spinte creative che renda di nuovo pensabile per
ognuno di noi un progetto di vita. (2)
C’è soprattutto la volontà da parte dell’ educatore di ascoltare la sofferenza
dell’adolescente e di accompagnarlo, così facendo, alla riscoperta dei propri talenti, in
modo tale che il giovane possa pensarsi come persona "molteplice", possa guardare alle
proprie fragilità, ricostruire i propri legami, dare voce alle proprie capacità.
Molti sono i cambiamenti sociali che influenzano la crescita e rendono più difficoltoso il
percorso: da una parte, come detto, la società, che non individua più le tappe sociali di
passaggio allo status di adulto (a questo riguardo riveste un ruolo importante anche il
mondo della comunicazione) e dall’ altra la famiglia, che è sempre più isolata rispetto alla
rete parenterale e informale e si chiude in se stessa in una logica molto intimista.
La famiglia è il primo modello di relazione in cui si trovano gli adolescenti ad interagire ed
è qui che i ragazzi imparano a comunicare, a confrontarsi e a crescere.
Crescere in una famiglia dove il rapporto tra genitori e figli è basato sull’Onestà, l’Aiuto e
il Dialogo, rende questi ultimi capaci di formare a loro volta rapporti di intimità durevoli e
soddisfacenti con gli altri, conferendo così senso alla propria vita.
Mentre un tempo la madre casalinga, i nonni, gli zii, e i fratelli maggiori , si prendevano
cura del bambino e gli assicuravano un’educazione sostenendolo nella crescita , oggi viene
a mancare una continuità educativa.
Dalla famiglia “allargata” si è passati attorno agli anni sessanta alla famiglia nucleare,
quella composta da due genitori e da uno o due figli. Una grande trasformazione che ha
mutato profondamente i rapporti e le dinamiche relazionali tra genitori e figli. Tutto è
diventato più stretto oggi. Non solo lo spazio fisico in cui si vive ma anche lo spazio
mentale. I processi di investimento affettivo, le aspettative, le identificazioni sono più
intensi e si dirigono in una direzione. Il ricco e vivace intreccio delle relazioni che erano
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(2) M.Benasayag G.Schmit,L’Epoca delle passioni tristi, Feltrinelli,Milano,2004
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caratteristica delle famiglie numerose non esiste più. Ora i genitori sono concentrati su un
unico figlio, al massimo su due, e il figlio ha come riferimento solo la coppia genitoriale.
Dalla famiglia normativa si è passati alla famiglia affettiva protesa quasi esclusivamente
alla soddisfazione dei bisogni. (3)
La conseguenza è che molti genitori non adempiono il loro ruolo facendo così mancare ai
figli, sia l’aspetto relazionale che quello affettivo. La complessità e il cambiamento, che
oggi sembrano i paradigmi più opportuni per descrivere sia la società sia il percorso di
crescita delle nuove generazioni, se da un lato possono portare a situazioni diffuse di
disagio sociale ed esistenziale dall’altro possono essere viste come risorse per il
miglioramento della società e degli adolescenti.
Come ci fa notare Giorgio Tonolo, se impariamo a vedere l’adolescenza come “fase di
cantiere aperto e privilegiato della costruzione dell’identità” ed insegniamo ai ragazzi e alle
ragazze a diventare artefici del loro destino, riscopriremo l’adolescenza “come esempio di
come rinnovarsi di fronte ai cambiamenti”. (4)
1.1.1) L’influenza della società sulle nuove generazioni
Oggi l’incertezza e la complessità che hanno da sempre caratterizzato il percorso di crescita
vengono amplificate dal mondo adulto che si trova a sua volta in balìa dei mutamenti
repentini e della precarietà.
Nelle società semplici il futuro delle nuove generazioni era ben chiaro nella mente degli
adulti; oggi, il destino delle persone non è né evidente né scontato, gli adulti non sanno più
quali insegnamenti trasmettere ai giovani perché faticano ad immaginare il loro futuro.(5)
In una società fortemente omogenea, in cui i valori e le strade da percorrere erano già
delimitate l’adolescente con maggiore facilità raggiungeva lo status di adulto. Oggi
l’ambiente di vita in cui i ragazzi e le ragazze sono inseriti è assai meno strutturante.
Una società fortemente pluralista, che propone una molteplicità di modelli di
identificazione rende più difficile la scelta.
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(3) P.Ferrario,Politica dei servizi sociali,Carocci Faber, Roma,2001
(4) G. Tonolo, Adolescenza e identità, Bologna, Il Mulino, 1999 pag. 308-309
(5) Z.Bauman, Voglia di comunità,Bari,Editori Laterza,2003