4
all’eliminazione dell’obbligo di previsione di legge per la
sottoscrizione degli accordi sostitutivi di provvedimento, una forte
svolta propulsiva agli accordi, i quali già costituivano l’archetipo del
cambiamento e della transizione dall’amministrazione autoritativa
all’amministrazione per contratto
3
. Anche se vi sono autori
4
che
ritengono che l’ambito operativo delle due disposizioni sia differente
(nel senso che l’art. 11 concerne l’attività autoritativa, mentre il c. 1
bis rientra nel livello delle disposizioni di principio), non può sottacersi
che la lettura sistematica della riforma del 2005 risulti,
inequivocabilmente, un passo in avanti verso l’amministrazione
concordata. Non si possono, peraltro, non riconoscere i lati positivi di
tale evoluzione, giacché l’approccio negoziale ha l’indiscutibile
vantaggio di moltiplicare le opportunità di entrambe le parti in gioco: la
pubblica amministrazione ed i cittadini.
Condivido l’entusiasmo che accompagnò i diversi autori, dai lavori
della Commissione Nigro ad oggi, nonostante le frustrazioni prodotte
dal legislatore del 1990, quando approvò una legge che aveva un taglio
sicuramente più conservatore, e sebbene a tutt’oggi buona parte della
dottrina amministrativista si dimostri oltremodo prudente e la Pubblica
Amministrazione non utilizzi lo strumento dell’accordo quale
strumento ordinario della propria attività amministrativa.
Dal lato della Pubblica Amministrazione la sensazione condivisa da
diversi è che l’amministrazione per accordi non sia decollata, nel senso
che la norma non pare aver attecchito nella sua portata innovativa,
rimanendo un istituto relegato a casi sporadici riguardante, sovente,
3
D. Memmo, L’attività contrattuale della P.A. e i principi di diritto comune a seguito della
L. n° 15 del 2005, in Mastragostino – a cura di - Tipicità e atipicità dei contratti pubblici,
Bologna, 2007, pg. 143. V. anche dello stesso autore in Il consenso contrattuale, le nuove
tecniche di contrattazione, in trattato di diritto commerciale e diritto pubblico
dell’autonomia, diretto da Galgano, Padova, 2007.
4
Fra tutti una riflessione recente è quella di G. Sciullo in Teoria e dogmatica degli accordi
amministrativi, relazione al III incontro di studio fra amministrati visti e tributaristi.
5
materie circoscritte. In proposito rende l’idea l’iperbole di Giacchetti
5
,
secondo il quale: “Il ricorso dell’amministrazione all’accordo ha la
stessa probabilità di successo della nascita di un blocco di ghiaccio
nell’acqua bollente”. Pur non essendo a conoscenza di ricerche
statistiche sul grado di utilizzo dello strumento, è opinione diffusa che
il ricorso concreto ad esso sia rimasto allo stadio della realtà virtuale.
In altre parole, alla tendenza innovatrice della norma, che, come è noto,
dal 2005 ha ampliato in maniera indeterminata il ventaglio dei casi in
cui possono essere sottoscritti accordi sostitutivi
6
, non vi è stato un
seguito pratico nell’attuazione del progetto di un’amministrazione
maggiormente orientata al recepimento di moduli negoziali
nell’esercizio di potestà discrezionali
7
.
La ragione di tale insuccesso va ricercata in una serie di cause perlopiù
indipendenti fra loro. La prima, più importante, è senz’altro legata alla
tradizionale resistenza della Pubblica Amministrazione alle
innovazioni. Resistenza che ha le sue origini profonde nell’assetto di
controlli e responsabilità in cui l’amministrazione pubblica italiana
opera. Agli sforzi del legislatore, finalizzati a rinnovare la mission (da
un’attenzione pressoché unica all’adempimento a quella di
un’amministrazione per risultati), non è poi seguita una coerente e
compiuta riforma legislativa del sistema dei controlli ed una costante
ed integrata attività formativa
8
. L’assetto delle responsabilità è rimasto
5
S. Giacchetti, Gli accordi dell’art. 11 della legge n. 241 del 1990 tra realtà virtuale e
realtà reale, in www.lexitalia.it.
6
V. Cerulli Irelli in, Osservazioni generali sulla legge di modifica della l. n. 241/90 – II
parte, Roma, 2005 ricorda che gli accordi sostitutivi di provvedimento alla data della
riforma riguardava solo alcune ridottissime e marginali fattispecie, fra cui l’art. 20, t.u.
espropriazione e l’art. 18, l. n. 84 del 1994 in tema di concessione di aree e banchine
portuali.
7
C. Franchini, M. Lucca e T.Tessaro, Il nuovo procedimento amministrativo, Rimini, 2005,
pagg. 637 – 638.
8
La riforma avviatasi negli anni ’90 con la L. n° 241/1990, la L. n° 142/1990 e il d.lgs. n°
29/1993, ha spinto con decisione verso un’amministrazione per obiettivi. Successivamente
la riforma dei controlli di legittimità e l’inserimento dei controlli interni (d.lgs 286/1999)
non sono stati in grado di convertire il sistema.
6
sostanzialmente invariato e le c.d. nuove responsabilità (segnatamente:
perseguimento di efficienza, efficacia, economicità, adeguatezza ed, in
generale, attività per obiettivi) si sono semplicemente innestate su di
esso
9
. Così l’innovazione è stata vista sotto l’aspetto del rischio
piuttosto che dell’opportunità, e la scelta preferibile risulta quasi
sempre quella di battere piste già percorse, sovente poco soddisfacenti
sotto il profilo dell’efficacia, ma sicuramente più certe sotto il profilo
della responsabilità e del potenziale contenzioso.
Altra importante causa dell’insuccesso dell’istituto in esame è da
attribuirsi all’ipertrofia del sistema dell’ordinamento, tale che i
procedimenti amministrativi restano disciplinati fin nei dettagli ed
articolati in una miriade di competenze e passaggi diversi
10
. Ciò riduce
quasi totalmente gli spazi di manovra discrezionale. In realtà le
potenzialità degli accordi infraprocedimentali e sostitutivi di
provvedimento esplicano la massima espressione laddove gli spazi di
manovra risultano maggiori (per fare un solo esempio si pensi
all’urbanistica). Così se è vero ciò che sostiene Dugato
11
, per il quale
“La tipicità costituisce la funzione d’argine del potere amministrativo
ed il limen stesso tra potere ed arbitrio è affidato alla riserva della
norma giuridica della definizione di ogni aspetto del potere”, è altresì
vero che ciò appare dissonante con l’esigenza di operare per obiettivi
che è in re ipsa la facoltà di perseguire anche strade alternative e nuove
rispetto ai moduli unilaterali.
9
C.D’orta, Cinque proposte per una reale funzionalità delle pubbliche amministrazioni,
relazione introduttiva al convegno “2007, Riforma della P.A., riflessioni e proposte della
dirigenza pubblica”
10
C. D’Orta, cit.
11
M. Dugato, L’oggetto dell’accordo amministrativo e i vincoli per le parti nella sua
definizione, relazione al III incontro di studio fra amministrati visti e tributaristi “Azione
amministrativa e azione impositiva tra autorità e consenso strumenti e tecniche di tutela
dell’interessato e del contribuente” organizzato dall’Università degli Studi G. D’annunzio di
Chieti e Pescara il 5 ottobre 2007.
7
L’ultimo elemento causale importante è legato direttamente alla natura
giuridica degli accordi, la quale rende l’istituto particolarmente
sofisticato e di difficile applicazione pratica. È notoria la diffusa
discussione dottrinale sul tema, così come è altrettanto evidente la
difficoltà di definirne univocamente la natura. Come avremo occasione
di approfondire nel seguito della trattazione, tale discussione non riesce
ad approdare ad una conclusione condivisa, in ragione del fatto che il
legislatore è stato poco chiaro su questo aspetto ed anche perché gli
accordi sono, piaccia o no, strumenti negoziali che operano in aree di
confine fra il diritto civile ed amministrativo e per ciò in essi si
estrinsecano e si sovrappongono, di volta in volta, i principi e le
caratteristiche di entrambi.
La Pubblica Amministrazione si dimostra quindi poco attenta al nuovo
istituto che resta, con tutta la carica e le potenzialità innovative di cui è
portatore, ai margini della prassi amministrativa. Così, nonostante la
riforma e la deviazione del legislatore verso un “diritto comune” fra
privati e pubblica amministrazione
12
, la sostanza resta pressoché la
medesima e, nei fatti, permane il favor nei confronti dell’attività
unilaterale.
Sugli accordi la dottrina ha speso notevoli energie nel tentativo di
definirne la natura e molte meno a studiarne l’applicabilità sotto un
piano più pratico operativo. Indubbia è peraltro l’osservazione diffusa
che la definizione della natura giuridica dell’istituto ha conseguenze
fondamentali in merito all’aspetto pratico operativo, poiché su di esso
si riverbera con importanti effetti. Tuttavia il dibattito non ha
consentito di sistematizzare i perni sicuri sui quali ancorare la
costruzione degli accordi, dando così un contributo molto limitato alla
crescita operativa dell’istituto. Più impegnata, in tal senso, è risultata la
Giurisprudenza Amministrativa che, con in testa la sentenza del
Consiglio di Stato Sez. VI, n° 2636 del 15/05/2002, ha tentato, con
uno sforzo interpretativo, di schematizzare parte della casistica. Con
12
D.Memmo, opera cit.
8
tutti i limiti del caso, ciò ha dato un contributo concreto al tentativo di
fissare alcuni punti certi su cui incardinare la disciplina degli accordi.
Nel dibattito complessivo l’elemento che risulta più debole e assente è
quello della prassi operativa. Ancora troppo pochi sono gli ambiti e le
materie nelle quali vengono utilizzati gli accordi sostitutivi di
provvedimento quale ordinario strumento dell’azione amministrativa.
Allo stesso modo, anche se l’utilizzo degli accordi infraprocedimentali
risulta più diffuso, ciò che manca è la produzione di moduli utilizzabili
in situazioni diverse quali tracce generali. La scarsa sperimentazione
operativa ha fatto sì che alla discussione mancasse un elemento
essenziale, cosicché l’ambito teorico si è maggiormente orientato al
mero confronto interno o allo studio e al commento di una
giurisprudenza poco varia. Il fatto poi che l’istituto non si sia
sviluppato abbastanza sul campo, produce anche una sorta di circolo
vizioso, in quanto una delle pratiche più diffuse nella pubblica
amministrazione è proprio quella di emulare casi e moduli operativi già
sperimentati da altre amministrazioni. In questo caso le scarse
possibilità di confronto rendono ancor più improbabile il ricorso allo
strumento dell’accordo. D’altra parte, se si pensa alla portata
innovativa sottesa all’applicazione degli accordi ed alla forte capacità
di incrementare l’efficacia e l’efficienza dell’azione amministrativa, è
quanto mai importante che si avviino nuove strategie finalizzate a
favorire la diffusione del loro utilizzo.
La mia convinzione è che, in questa fase, sia importantissimo porre in
rilievo tutte le potenzialità degli accordi e tutti i vantaggi che
l’amministrazione che sceglie di utilizzarli può, tramite essi,
perseguire. Inoltre occorre sistematizzare al massimo i punti certi,
affinché i funzionari possano poggiare la costruzione dei moduli
negoziali su alcuni punti fermi ed entro un margine minimo di certezza
giuridica.
Scopo del presente lavoro sarà quindi quello di perseguire le finalità
sopraindicate, con l’accortezza di veicolare il messaggio che la
complessità delle problematiche concrete può essere gestita e risolta
9
solo attraverso un buon compromesso fra certezza delle regole e
creatività. Creatività che può finalmente svilupparsi grazie all’ausilio
del diritto privato.