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CAPITOLO I
INTRODUZIONE
1.1. Introduzione e brevi cenni all’evoluzione storica della
disciplina degli accordi stragiudiziali nella disciplina fallimentare
Il sistema fallimentare italiano ha assistito negli ultimi anni ad un continuo
susseguirsi di riforme che l’hanno modificato in modo decisivo. Ci si
riferisce nello specifico a quegli interventi legislativi collocati nel periodo
2005-2010.
1
L’obiettivo principale di questo gruppo di riforme è stato quello di
adeguare un corpo normativo, quale quello fallimentare ormai non più
passo coi tempi, alle nuove esigenze socio-economiche oggi presenti, le
quali non esistevano nel momento in cui la legge fallimentare venne
introdotta
2
e non potevano essere ovviamente previsti all’epoca.
L’analisi delle novità recentemente introdotte non può prescindere da un
breve excursus circa i tratti essenziali dell’originario sistema fallimentare
italiano, e di come alcuni dei suoi caratteri essenziali siano di conseguenza
mutati. Originariamente questi era caratterizzato da una matrice
prevalentemente sanzionatoria e punitiva, il fallimento era infatti percepito
come un evento socialmente squalificante ed esecrabile cui porre rimedio
con l’eliminazione dell’impresa fallita dal mercato, unitamente alla
1
Le modifiche alla legge fallimentare succedutesi negli ultimi anni sono state apportate
attraverso i seguenti interventi normativi: D.L 14 marzo 2005, n. 35, convertito in L. 14
maggio 2005, n. 80; D.L. 30 dicembre 2005 n.273 convertito in L. 23 febbraio 2006, n.
51; D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5; D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169; L. 18 giugno 2009, n.
69; e, infine, D.L 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni in L. 30 luglio 2010,
n.122.
2
Legge fallimentare introdotta con il R.D 16 marzo 1942, n.267.
8
restrizione di alcuni diritti personali dell’imprenditore fallito
3
. La
conseguenza di tale orientamento è stata quella di disegnare la disciplina
quale un processo prevalentemente liquidatorio, con tratti caratteristici
quali lo spossessamento del debitore fallito dai suoi beni e il subentro di
un soggetto terzo, il curatore fallimentare, con il compito di portare avanti
la gestione sotto la supervisione del giudice fallimentare.
Un primo rilevante cambio di orientamento dal punto di vista legislativo si
ha con la fine degli anni ’70, complice la grave recessione del periodo, il
legislatore decide di fornire strumenti nuovi alle grandi imprese di
interesse nazionale in crisi, portatrici di interessi molteplici e spesso
confliggenti. Il risultato di questo processo riformatore è stato la
promulgazione della L. n. 95 del 3 aprile 1979, altrimenti denominata
legge Prodi. Gli scopi principali di tale provvedimento erano di
salvaguardare i livelli occupazionali e la continuazione dell’attività
d’impresa anche attraverso la riorganizzazione di tali attività. Va detto
però che questa legge è stata più volte sottoposta al vaglio di Corte di
Cassazione, Corte Costituzionale e Corte europea di giustizia che ne ha
definitivamente sancito l’incompatibilità con la disciplina comunitaria sugli
aiuti di stato. Ciò ha quindi costretto il legislatore all’emanazione della
cosiddetta legge Prodi-bis
4
. Seppur tali interventi legislativi non siano mai
riusciti a realizzare ciò che era nell’intento del legislatore, cioè consentire
un vero e proprio risanamento aziendale, hanno però avuto il pregio di
introdurre alcuni concetti innovativi all’interno del nostro sistema
giuridico
5
.
3
P. Manganelli, Gestione delle crisi di impresa in Italia e negli Stati Uniti: due sistemi
fallimentari a confronto, in il Fallimento e le altre procedure concorsuali, 2011, 2, 129-
140.
4
D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270.
5
P. Manganelli, Gestione delle crisi di impresa in Italia e negli Stati Uniti: due sistemi
fallimentari a confronto, in il Fallimento e le altre procedure concorsuali, 2011, 2, 129-
140.
9
Un punto di svolta importante nel sistema del diritto fallimentare italiano
si ha con il caso Parmalat. Vicenda che ha fatto emergere le lacune del
diritto vigente in relazione a procedure di ristrutturazione economica e
finanziaria di grandi imprese di interesse nazionale, ove esigenze di
continuità aziendale prevalgono rispetto alle logiche della liquidazione.
A causa anche dell’insuccesso delle leggi Prodi e Prodi-bis venne introdotta
la legge Marzano
6
, la quale introduce un’ulteriore forma di procedura di
amministrazione straordinaria per i gruppi societari di grosse dimensioni.
La vera innovazione del provvedimento è da ravvisarsi nell’utilizzo del
concordato, ispirato alle procedure di Chapter 11 americano
7
, che per la
prima volta ha previsto la possibilità di superare il concetto di par condicio
creditorum, consentendo di suddividere i creditori in classi con
trattamento differenziato. A questo si aggiunga la possibilità di
ristrutturare i debiti e pagare i creditori in qualsiasi forma, ivi inclusa la
cessione dei beni, accollo, attribuzione ai creditori di azioni, assegnazione
di obbligazioni convertibili od altri strumenti finanziari.
Dopo questo iter evolutivo arriviamo quindi ad assistere all’approvazione
di riforme che, presentate a cominciare dal 2005, vanno in una direzione
ben chiara; far emergere le situazioni di crisi prima che diventino
irreversibili favorendo soluzioni private e negoziate delle stesse. Questo
obiettivo è stato perseguito modificando istituti fallimentari preesistenti
(come il concordato preventivo) e introducendone di nuovi (il piano di
risanamento e gli accordi di ristrutturazione dei debiti).
Comun denominatore di questi nuovi strumenti, oltre alla possibilità di
derogare ad aspetti fondanti della disciplina fallimentare come la par
condicio creditorum, risulta essere il forte impulso che il legislatore ha
voluto dare all’iniziativa privata. Entrambi i due nuovi istituti (piano di
6
D.L. 23 dicembre 2003, n. 347, convertito con modificazioni in L. 18 febbraio 2004, n.
39 e successivamente modificato ed integrato.
7
P. Manganelli, Gestione delle crisi di impresa in Italia e negli Stati Uniti: due sistemi
fallimentari a confronto, in il Fallimento e le altre procedure concorsuali, 2011, 2, 129-
140.
10
risanamento e accordi di ristrutturazione) lasciano ampio margine di
manovra ai privati coinvolti, consentendo ai debitori di elaborare piani,
concludere accordi con i creditori e scongiurare quindi il fallimento, senza
che l’organo giudicante possa intervenire durante l’iter di formazione di
questi piani (è il caso dei piani di risanamento), o che questi intervenga
esclusivamente nell’ambito dell’omologazione, come accade con gli accordi
di ristrutturazione. Si è cercato di fornire un impulso ai privati, affinché
con la loro iniziativa riescano a ripristinare l’equilibrio finanziario e salvare
l’impresa
8
.
Il legislatore, mediante le recenti riforme fallimentari, ha voluto prendere
in considerazione una fase della vita dell’impresa, anticipatoria dello stato
di insolvenza, che prima non era in alcun modo regolata. La L. 14 maggio
2005, n.80, di conversione con modificazione del D.L. 35/2005 ha
introdotto numerose modifiche, su tutte l’espressione “stato di crisi” quale
requisito per proporre ai creditori un concordato preventivo
9
(la stessa
condizione è stata posta successivamente anche per gli accordi di
ristrutturazione ex art. 182bis
10
). La novità è stata quindi quella di
introdurre un nuovo requisito oggettivo per la procedura concordataria
(nel caso di concordato preventivo) e per gli accordi di ristrutturazione:
non più lo “stato di insolvenza”, al pari del Fallimento, ma un presupposto
diverso qualificato come “stato di crisi”
11
.
A ben vedere, lo stato di crisi sembra essere quella fase della vita
dell’impresa, assolutamente reversibile, che precede lo stato di
insolvenza. Questa definizione deve però essere integrata, allargandone il
contenuto, in quanto il legislatore mediante una norma di interpretazione
8
L.Guglielmucci, Diritto Fallimentare, Torino, 2011, 317.
9
Art. 160, c.1, R.D 267/42, così sostituito dal D.L. 35/2005.
10
Inserito con il d.lgs. 169/2007.
11
F. Marengo, Accordi di ristrutturazione dei debiti, profili economici, civilistici, fiscali e di
responsabilità dei partecipanti all’intesa, Torino 2008, 65.
11
autentica ha definito che per stato di crisi si intende anche lo stato di
insolvenza
12
, avendo perciò accolto quella tesi di chi intendeva il concetto
di crisi come una categoria ampia tale da ricomprendere la crisi finanziaria
reversibile e quella irreversibile, ovvero l’insolvenza
13
.
Si fa quindi strada il concetto, che sta per esempio alla base del sistema
fallimentare americano, per cui la vita di un’impresa sia caratterizzata da
momenti di espansione, contrazione e di tensione finanziaria, tali da
rendere necessari interventi di ristrutturazione in modo da poter superare
efficacemente lo stato di crisi e riemergere, rinnovandosi ed evitando la
liquidazione. Si arriva perciò a cercare di gestire la crisi in modo da poterla
superare, regolando il dissesto.
Concentrandosi sugli accordi di ristrutturazione, con la loro introduzione il
legislatore ha attribuito per la prima volta rilevanza giuridica in materia
concorsuale agli accordi stragiudiziali
14
. Bisogna precisare che accordi di
questo tipo sono sempre esistiti nella prassi, si parla a proposito di
concordati stragiudiziali e nello specifico il c.d. pactum de non petendo.
Questi patti si caratterizzano per essere in grado di far venir meno quelle
condizioni che stanno alla base dell’insolvenza. Si concretizzano in
dilazioni di pagamento, esclusione dell’inadempimento in atto, moratoria
nel pagamento dei debiti scaduti, una modifica dei termini contrattuali del
credito originario e appunto la rimozione dell’insolvenza.
Ritenuti in un primo momento invalidi, in quanto volti a perseguire
interessi non meritevoli di tutela ovvero perché costituenti negozi in frode
alla legge
15
, la giurisprudenza ha poi mutato il proprio orientamento
affermando che il pactum, avendo ad oggetto dei diritti disponibili, è
12
Art. 160, c.2, R.D 267/1942.
13
F. Marengo, Accordi di ristrutturazione dei debiti, profili economici, civilistici, fiscali e di
responsabilità dei partecipanti all’intesa, Torino 2008, 65.
14
G.B. Nardecchia, in Commentario alla legge fallimentare, Milano 2010.
15
G.B. Nardecchia, in Commentario alla legge fallimentare, Milano 2010.
12
sicuramente valido e ammissibile quale possibile modalità di
configurazione del concordato stragiudiziale
16
.
Da subito dottrina e giurisprudenza hanno ritenuto non necessaria
l’adesione al pactum di tutti i creditori (analogia con gli accordi di
ristrutturazione) e il numero di adesioni assume rilievo solo sotto il profilo
del raggiungimento dello scopo della convenzione, che è appunto quello di
superare lo stato di insolvenza. Stato superabile qualora il piano preveda
l’integrale soddisfacimento dei creditori non aderenti
17
.
Dopo questa breve analisi circa l’uso dei concordati stragiudiziali quali
strumenti per il superamento della crisi, viene da chiedersi il motivo
dell’operato del legislatore che ha deciso di istituzionalizzare l’istituto,
prevedendo una fattispecie ben precisa quale appunto l’accordo di
ristrutturazione dei debiti ex art. 182bis della legge fallimentare.
La risposta, evidenziata a più riprese in dottrina e dagli operatori
economici e giuridici, deve essere ricercata nella principale conseguenza
negativa di tutte le soluzioni privatistiche della crisi d’impresa, cioè il
rischio in cui si incorreva allorché il piano di risanamento concordato con i
creditori non fosse stato interamente realizzato. Le conseguenze legate al
fallimento del piano andavano dalla sottomissione alle azioni di
ricostruzione del patrimonio del debitore, per spingersi fino alle sanzioni
penali previste dall’ordinamento
18
(per esempio i reati di bancarotta).
Il legislatore è intervenuto mantenendo la conformazione privatistica
dell’istituto, fornendo in aggiunta certezze giuridiche agli accordi,
mettendo quindi al riparo i soggetti dall’istituto della revocatoria
fallimentare o dalle possibili imputazioni penali, che minavano la buona
riuscita e l’utilizzo stesso del pactum de non petendo. La scelta del
legislatore ha lasciato alla negoziazione delle parti la gestione della crisi
dell’impresa, senza interferenze nel merito del giudice, fornendo però un
16
G.B. Nardecchia, in Commentario alla legge fallimentare, Milano 2010.
17
Cass., 26 giugno 1992, n.8012, in Fall., 1992, p.1026.
18
G.B. Nardecchia, in Commentario alla legge fallimentare, Milano 2010.
13
riconoscimento legislativo che ha garantito quelle tutele assenti in
passato
19
.
Quando si descrive la recente riforma fallimentare come un procedimento
pluriennale iniziato nel 2005 e che ha avuto la sua ultima espressione nel
2010, non si cade in errore perché, come spesso accade, le modifiche
introdotte nel 2005 hanno avuto bisogno di richiami ed integrazioni
successive di notevole spessore.
Gli stessi accordi di ristrutturazione hanno avuto scarsissima applicazione
nei primi anni di esistenza dell’istituto
20
, ciò è stato probabilmente dovuto
alle lacune inizialmente presenti e poi colmate con gli interventi del
legislatore che hanno integrato la disciplina.
Tra i punti essenziali toccati e regolati dagli interventi legislativi successivi
al 2005 (che vengono qui accennati e saranno frutto di una più precisa
descrizione successivamente) possiamo citare:
- l’importantissima fase di tutela dell’impresa nel corso delle
trattative, che ha risolto numerosi problemi legati all’incertezza che
la fase di trattativa aveva e che spesso faceva arenare qualsiasi
buon proposito di accordo finalizzato al superamento della crisi;
- l’introduzione, con l’art. 184quater delle ipotesi di prededucibilità
della nuova finanza, strumento essenziale per poter elaborare il
piano ed attuarlo. In questo modo si è fornito un incentivo affinché
nuovi creditori (o quelli già esistenti) partecipino all’accordo. Le
tutele appena descritte (prededucibilità) hanno infatti lo scopo di
fornire un’agevolazione nei confronti di chi dovesse “scommettere
sul superamento” della crisi, fornendogli una posizione privilegiata
19
G.B. Nardecchia, in Commentario alla legge fallimentare, Milano 2010.
20
Per fare un esempio, i dati aggiornati al 26 ottobre 2009 del Tribunale di Milano, uno
dei più attivi in materia fallimentare, mostrano una media di meno di 2 accordi
depositati all’anno a partire dal 2005 e circa 2 all’anno sono quelli che sono stati
omologati. Nella tabella si può notare un’impennata di depositi e omologazioni nell’anno
2009, ma queste si riferiscono a diverse società facenti parti a 2 macro gruppi aziendali.
I dati sono reperibili al link http://www.Tribunale-
milano.net/documenti/Documentazione/Accordi_di_ristruttu/PDF_completoACCORDI_
RISTRUTTU.pdf
14
nel caso di fallimento del piano oggetto dell’accordo che porterebbe
ad uno stato di insolvenza e successivo fallimento dell’impresa;
- l’inserimento dell’art. 217bis che esclude le fattispecie di bancarotta
semplice e bancarotta preferenziale nel caso di operazioni compiute
in esecuzione, tra gli altri, degli accordi di ristrutturazione.
L’obiettivo che ci si prefigge nell’elaborazione e stesura di questo lavoro,
è quello di verificare quanto e come gli accordi ex art. 182bis siano stati
utilizzati dagli operatori economici e quanto siano stati efficaci nello
scongiurare l’insolvenza e il conseguente fallimento, sia in un prospettiva
prettamente finanziare e contabile, che in un’ottica giuridica.
Dal punto di vista finanziario, nonostante il breve periodo trascorso
dall’introduzione degli accordi e l’esiguo numero di soggetti che hanno
adoperato questo istituto, esistono comunque casi importanti (alcuni
messi in risalto anche dalla cronaca) che consenta uno studio di questo
tipo. Si vuole sostanzialmente capire se effettivamente sia stato superato
il concetto di crisi d’impresa come evento irreversibile che possa
concludersi solo con la liquidazione e/o il fallimento. Talvolta infatti accade
che l’impresa continui ad essere un going concern nonostante apparenti
difficoltà finanziarie. Sotto queste apparenti difficoltà può nascondersi una
struttura industriale sana, in grado di poter far fronte agli eventi e
rilanciare la propria attività. Il legislatore ha voluto fornire strumenti in
grado di affrontare queste “turbolenze”, con la chiara idea di voler
salvaguardare l’impresa e gli asset, materiali e immateriali, che
generalmente detiene.
Trovandoci poi in una fase macroeconomica difficile, com’è quella che
stiamo vivendo negli ultimi anni, un istituto di questo tipo può assumere
un valore determinante, essendo potenzialmente in grado di fornire
all’impresa in difficoltà quell’assetto normativo e quella certezze giuridiche
più che mai necessarie per affrontare i momenti di crisi.
La legge garantisce le tutele previste, incentivala negoziazione tra le parti
(l’accordo infatti richiede l’adesione di almeno il 60% dei creditori) ed
15
insiste infine sull’importanza di un’adesione concertata quale strumento
essenziale per poter superare la crisi. La fase di trattativa assume un
ruolo decisivo (e le garanzie, disposte dal legislatore in questa fase, ne
sono un segnale sicuramente evidente) per un’ovvia ragione; tanto più i
creditori sono coinvolti, tanto più soddisfacente sarà il piano, maggiore
sarà il consenso e il contributo di ognuno per far fronte ai problemi e
uscire dallo stato di crisi. La ricerca della coesione tra debitore e creditori
si qualifica quindi come elemento essenziale e fondamentale per poter far
fronte alle difficoltà.
Da un punto di vista giuridico si cercherà invece di analizzare il rapporto
tra l’accordo di ristrutturazione ex art. 182bis e la dichiarazione di
fallimento.
Esistono diversi aspetti teorici circa tale relazione che finiscono poi per
traslare i propri effetti anche nella quotidianità degli operatori economici.
Data l’importanza che riveste l’applicazione pratica di tali soluzioni,
diventa ancora più importante riuscire a definire in concreto come la
dicotomia ristrutturazione/fallimento influisca su chi ogni giorno opera nel
mercato.
Il comun denominatore di questi due provvedimenti è il concetto di
insolvenza, possiamo infatti descrivere i due istituti come due facce della
stessa medaglia. L’accordo di ristrutturazione, infatti, mira ad evitare
l’insolvenza superando lo stato di crisi con apposite operazioni che
verranno analizzate successivamente. Il fallimento è invece la
manifestazione concreta dell’insolvenza. Inevitabilmente l’uno finisce per
escludere l’altro e viceversa.
Diverse sono le teorie che hanno cercato di dipanare tale controverso
problema, tra le altre possiamo citare a titolo esemplificativo chi evidenzia
un legame di pregiudizialità/dipendenza tra l’omologazione dell’accordo di
ristrutturazione e la dichiarazione di fallimento, per arrivare poi a coloro i
quali riconoscono invece nell’istanza, volta ad ottenere una dichiarazione
di fallimento, l’esercizio di un’azione esecutiva non esperibile, in ossequio
alle tutele introdotte con l’art. 182bis l. fall.
16
Non meno importanti sono poi i ruoli del pubblico ministero e del giudice
nella fase di omologazione, dal momento che possono rappresentare un
esempio di intervento pubblico nell’ambito di un procedimento demandato
alla gestione privata, a cui lo stesso legislatore ha inteso conferire le
massime libertà in tema di gestione e disponibilità dello stato di crisi e di
insolvenza
21
.
21
G.B. Nardecchia, in Commentario alla legge fallimentare, Milano 2010.