2
Alcune tra queste esenzioni sono state sottoposte a critica da parte di certa dottrina
6
, e
così ad esempio quella relativa all’imprenditore agricolo, in quanto si è rilevato come
anche l’attività agricola possa dar luogo ad ingenti investimenti di capitali e sollevare
perciò sul piano giuridico esigenze di tutela del credito (e dei creditori) non diverse da
quelle che sono alla base della disciplina dell’impresa commerciale
7
.
Infine venivano evidenziati i rischi legati alla conclusione di accordi o di convenzioni
stragiudiziali tra l’imprenditore fallito e i suoi creditori
8
. Tali accordi, finalizzati al
superamento di una temporanea e reversibile crisi dell’impresa, erano infatti passibili,
sotto la previgente disciplina, di una eventuale successiva azione revocatoria
fallimentare, a seguito della quale potevano risultare inopponibili alla massa dei
creditori.
La vecchia disciplina si presentava perciò complessivamente “disincentivante” per un
imprenditore che intendesse esteriorizzare la sua situazione di difficoltà momentanea
con l’intenzione di ricercare una soluzione alla stessa
9
.
Il dibattito sorto in relazione alla disciplina previgente aveva evidenziato come i
problemi creati dalla disciplina fallimentare del 1942 fossero da ricondurre alla scarsa
considerazione che la stessa aveva dell’impresa come valore in sé, da salvaguardare
anche a seguito di una accertata incapacità a creare profitti
10
.
Inoltre si osservava come un sistema economico efficiente necessitasse di regole
flessibili finalizzate, non solo alla soddisfazione dei creditori, ma soprattutto a risanare
l’impresa mediante un suo ritorno in bonis, ovvero, qualora ciò non fosse possibile, a
cercare di collocare i complessi aziendali presso terzi consentendone così la
conservazione
11
.
Infine si sottolineava, la necessità di attutire gli aspetti afflittivi (se non connessi a reali
responsabilità) della normativa concorsuale vigente sostituendola con un’altra più
orientata verso finalità economiche e conservative dell’impresa
12
.
I tempi apparivano perciò maturi per una riforma che ormai si prospettava necessaria,
anche al fine di adeguare la normativa italiana in tema di procedure concorsuali a quella
degli altri Paesi europei.
Tale riforma doveva, prima di tutto, corrispondere all’esigenza particolarmente sentita
di modernizzare e velocizzare le procedure concorsuali attraverso la predisposizione di
norme meno rigide per l’imprenditore insolvente.
Buona parte della dottrina, inoltre, riteneva utile attribuire più largo spazio
all’autonomia privata ed agli accordi tra debitore e creditori per una risoluzione
concordata e stragiudiziale della crisi d’impresa, predisponendo un adeguata tutela per
le parti contraenti ed evitando che il timore delle azioni revocatorie avesse l’effetto di
isolare l’imprenditore in stato di iniziali difficoltà
13
.
6
Si veda a tal proposito G. FERRI jr, Procedure concorsuali (riforma delle) in Enciclopedia Giuridica
Treccani, vol. XXIV, Roma, 2005, 2 secondo cui, alla luce della nuova disciplina dell’imprenditore
agricolo (art. 2135 c.c. come modificato dal d.lgs. 228/2001), non è più sostenibile l’incompatibilità tra la
qualifica di imprenditore agricolo e quella di imprenditore commerciale. Pertanto, ‹‹… la circostanza che
determinate attività siano qualificate dall’art. 2135 c. c. come agricole, se indubbiamente comporta la
loro soggezione alle norme che disciplinano l’impresa agricola, non pare di per sé sufficiente a sottrarle
alla applicazione di quelle previste per l’impresa commerciale: non pare sufficiente, cioè, nonostante un
diffuso orientamento contrario, ad esonerare chi le esercita dal fallimento››.
7
Così G. FERRI jr, op. cit., 1 e cfr. altresì la Relazione Generale della Commissione Trevisanato bis.
8
La sussistenza di tali rischi è rilevata da P. VALENSISE, op. cit., 1082.
9
Per tali considerazioni si veda P. VALENSISE, op. cit., 1082.
10
Per una sintesi del dibattito sulla disciplina previgente si veda U. APICE, op. cit., 7.
11
Tale esigenza viene rilevata nella Relazione Generale della Commissione Trevisanato bis.
12
In proposito si veda U. APICE, op. cit., 8.
13
In particolare, l’utilità della predisposizione di mezzi di risoluzione della crisi d’impresa di natura
stragiudiziale è sostenuta da U. APICE, op. cit., 8; S. AMBROSINI, Articolo 182 bis. Gli accordi di
3
2- CENNI ALLE PRINCIPALI ESPERIENZE STRANIERE
Nei principali ordinamenti stranieri la legislazione in tema di crisi dell’impresa si era
nel frattempo arricchita di nuove soluzioni, tutte improntate ad una maggiore attenzione
verso la necessità di una composizione equilibrata delle contrapposte esigenze che
tipicamente confliggono in caso d’insolvenza, ossia la tutela dei creditori da un lato, e la
salvaguardia delle possibilità di conservazione dell’impresa dall’altro
14
.
In un’indagine recentemente svolta dalla Banca d’Italia si sottolineano i problemi di
azione collettiva che sono inevitabilmente connessi alla procedura fallimentare e che
sono stati messi in luce soprattutto dalla dottrina economica.
Infatti, quando vi sono molti creditori e le attività dell’imprenditore sono inferiori alle
passività, vi è il rischio che i creditori sprechino risorse nel tentativo di appropriarsi per
primi dei beni del debitore al fine di soddisfare i loro crediti. Ciò conduce
inevitabilmente alla liquidazione dell’impresa e ad una perdita collettiva là dove
l’impresa nel suo insieme abbia un valore complessivo maggiore rispetto a quello che
risulta dalla somma dei singoli beni che la compongono. E’ perciò interesse di tutti i
creditori che, in caso di insolvenza, la liquidazione dell’attivo abbia luogo in modo
ordinato, attraverso una procedura collettiva che impedisca agli stessi di disporre
autonomamente di beni o parti dell’impresa
15
.
Nella sua indagine la Banca d’Italia ricostruisce gli approcci dei legislatori stranieri nei
confronti delle procedure concorsuali.
In particolare viene osservata, nell’ambito dei diversi ordinamenti, una comune
tendenza all’adozione di modelli di soluzione della crisi che, caratterizzati da un’elevata
elasticità, consentono di comporre il conflitto tra debitore e creditori nel modo più
rispondente alle esigenze dell’impresa
16
.
Tale obiettivo viene perseguito, in primo luogo, attraverso l’introduzione di strumenti
che riducono le probabilità di liquidazione delle imprese fondamentalmente sane che si
trovino ad affrontare difficoltà giudicate solo temporanee.
In secondo luogo, si cerca di agevolare, in ogni fase di ciascuna procedura concorsuale,
il passaggio ad un'altra procedura, nel caso in cui si verifichi un mutamento dei
presupposti che ne hanno giustificato l’avvio.
I vari ordinamenti presentano poi un comune atteggiamento di favore per la
composizione “consensuale” del conflitto tra debitore in dissesto e creditori, prevedendo
norme finalizzate ad agevolare la conclusione di accordi per il superamento della crisi
17
.
ristrutturazione dei debiti in S. AMBROSINI – P. G. DEMARCHI, Il nuovo concordato preventivo e gli
accordi di ristrutturazione dei debiti, Giuffrè, Milano, 2005, 177; S. FORTUNATO, L’incerta riforma
della legge fallimentare in Corriere Giuridico 2005, 598; P. GUERRA, Ristrutturazione del debito e
assistenza finanziaria all’impresa: il c. d. consolidamento dei crediti bancari in Banca, borsa e titoli di
credito, 1995, 807.
14
In tal senso vedi BANCA D’ITALIA, La riforma delle procedure concorsuali. Le soluzioni normative
negli Stati Uniti e in alcuni paesi europei, novembre, 1999, 5.
15
Per una sintesi del dibattito si veda, BANCA D’ITALIA, op. cit., 5.
16
Così, BANCA D’ITALIA, op. cit., 9.
17
In tal senso cfr. ancora BANCA D’ITALIA, op. cit., 9, dove si osserva altresì che ‹‹tali accordi si
inseriscono generalmente nel contesto di una procedura giudiziale ed avvengono, pertanto, sotto l’egida
del magistrato, che sorveglia sull’osservanza delle regole e che dovrebbe pertanto ridurne i problemi di
coordinamento e di azione collettiva.
Ferma restando l’assoluta prevalenza delle soluzioni giudiziali, si registra, in definitiva, un
arricchimento di queste ultime attraverso l’inserimento in esse di elementi propri delle soluzioni
stragiudiziali, idonei ad apportare, nel contesto di certezze e garanzie che caratterizza le prime,
l’elasticità propria delle seconde››.
4
L’orientamento delle più recenti legislazioni straniere si muove perciò verso la
creazione di procedure concorsuali “neutre”, finalizzate più al superamento della crisi
dell’impresa che non a sanzionare il debitore insolvente, il quale non è punito per il
mero fatto dell’insorgere della crisi, ma solo per le eventuali responsabilità ad esso
imputabili nella causazione del dissesto.
La Banca d’Italia osserva al riguardo che, rendendo le procedure concorsuali neutrali
rispetto alle cause che ne hanno determinato l’apertura ed alle eventuali responsabilità
dell’imprenditore, esse possono essere meglio utilizzate per il perseguimento di finalità
di riorganizzazione e di salvataggio dell’impresa
18
.
Infine, nell’indagine si sottolinea l’importanza che rivestono i meccanismi del diritto
fallimentare nello sviluppo del sistema economico e nel funzionamento del mercato.
L’adozione di metodi efficienti di risoluzione della crisi, infatti, incide sensibilmente
sulla disponibilità degli imprenditori a conferire capitale di rischio
19
.
Volendo, poi, tracciare un quadro sommario delle principali legislazioni in tema di
procedure concorsuali attuate in alcuni Paesi stranieri, di particolare interesse sono
quelle previste negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Germania ed in Francia
20
.
Negli Stati Uniti una particolare normativa sull’insolvenza è dettata dal Cap. 11 (noto
come Chapter 11) del Bankrupticy Code del 1978, conosciuto come Corporate
reorganization, in cui occupano un posto centrale gli accordi tra debitore e creditori,
nell’ottica di una maggiore sensibilità per le ragioni dell’impresa e dell’imprenditore
(debtor oriented), cui si cerca di fornire il cosiddetto fresh start, ovvero una nuova
opportunità di operare sul mercato.
Nella procedura statunitense è prevista anche la suddivisione dei creditori in classi
secondo interessi omogenei, ed il trattamento differenziato delle singole classi. Inoltre,
se vi è almeno una classe di creditori a favore dell’accordo, quest’ultimo si impone
anche ai creditori il cui dissenso non è giustificato perché non ricevono un trattamento
iniquo, ovvero inferiore a quanto potrebbero ricevere in sede di liquidazione
dell’impresa (regola del c.d. cram down).
Negli Stati Uniti vige perciò un sistema largamente impostato sulla libertà degli accordi
tra le parti coinvolte nel dissesto, pensato più per i casi di crisi temporanea e quindi
superabile, che per le ipotesi di insolvenza irreversibile.
Anche la legislazione inglese in tema di insolvenza, contenuta nel Bankruptcy Code,
accorda un largo favore alle soluzioni alternative alla liquidazione fallimentare. L’intera
normativa è improntata, da un lato, ad offrire un’opportunità di ripresa al debitore
“onesto ma sfortunato” che si trovi in difficoltà economiche perchè vittima delle
congiunture del mercato e, dall’altro lato, a dettare severe sanzioni nei confronti del
debitore fraudolento.
La disciplina tedesca sull’insolvenza (Insolvenzordnung), dettata dalla legge del 5
ottobre 1994 ed entrata in vigore il 1 gennaio 1999, prevede, invece, un unica
procedura, chiamata appunto “procedura dell’insolvenza”, la quale può aprirsi, su
iniziativa dell’imprenditore, anche nei casi di difficoltà temporanea, e quindi a
prescindere da una concreta insolvenza.
Una volta iniziata, tale procedura prosegue, seguendo i classici schemi fallimentari,
nella direzione della liquidazione del patrimonio del debitore. La peculiarità di tale
disciplina sta nel fatto che in ogni momento, e quindi sin dall’inizio, può inserirsi la
proposta di un piano alternativo, chiamato “piano dell’insolvenza” e dal contenuto vario
(ad es. ristrutturazione dell’impresa, cessione parziale o totale dei beni, liquidazione
18
Così in BANCA D’ITALIA, op. cit., 19.
19
In tal senso si veda BANCA D’ITALIA, op. cit., 20.
20
Tali ordinamenti sono considerati anche nella sopra citata Relazione Generale della Commissione
Trevisanato bis come modelli di riferimento per la riforma della legge fallimentare italiana.