INTRODUZIONE
Allo scopo di ampliare il ruolo dell'autonomia privata nella gestione
della crisi d'impresa, il legislatore ha modificato numerose disposizioni
dell'originaria legge fallimentare (r.d. 16 marzo 1942, n. 267)
introducendo un sistema di soluzioni stragiudiziali la cui efficacia è pur
sempre assicurata da un provvedimento di omologazione dell'autorità
giudiziaria: col decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, sono stati così
introdotti nel nostro ordinamento giuridico gli accordi di ristrutturazione
dei debiti che rappresentano senza ombra di dubbio il trionfo
dell'autonomia privata nell'ambito della riforma del diritto fallimentare.
In teoria gli accordi di ristrutturazione sono sempre stati possibili, ma in
pratica erano inutili poiché il rischio che la loro applicazione naufragasse
nella revocatoria fallimentare soverchiava le opportunità offerte
dall'adozione di soluzioni appositamente studiate: dopo anni di dibattiti
circa l'opportunità di favorire gli accordi stragiudiziali tra debitore e
creditori, concedendo ai diretti interessati un'autonomia di trattativa che
non fosse poi vanificata dal rischio di revocatoria in caso di successivo
fallimento, si è data ora una regolamentazione legislativa a tali accordi.
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L'art. 182-bis, 1° comma l. fall. stabilisce che l'omologazione di un
accordo di ristrutturazione dei debiti (stipulato con i creditori
rappresentanti almeno il 60% dell'ammontare complessivo dei crediti)
può essere richiesta da un imprenditore in stato di crisi, il quale è tenuto
a depositare, oltre la documentazione prevista dall'art. 161 l. fall., anche
la relazione di un professionista "sull'attuabilità dell'accordo stesso, con
particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare
pagamento dei creditori estranei". La succitata relazione costituisce il
nucleo fondamentale su cui è incentrato il presente elaborato, che intende
affrontare alcuni profili problematici che da sempre hanno "animato" il
dibattito sugli accordi di ristrutturazione dei debiti sia in dottrina che in
giurisprudenza. In particolare, nel primo e nel secondo capitolo sono
affrontate le seguenti tematiche inerenti alla concreta "redazione" della
relazione nella prassi professionale:
-quale debba essere il contenuto della relazione redatta dal
professionista, visto che nella norma non sono stabiliti particolari criteri
ai quali il professionista "attestatore" debba attenersi nella sua
valutazione. Il legislatore, infatti, non prende posizione sul contenuto
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della relazione, né tantomeno specifica quali debbano essere i contenuti
minimi della stessa;
-cosa debba intendersi per "attuabilità" e se il suo significato sia
sostanzialmente analogo a quello di "fattibilità", termine utilizzato dal
legislatore con riferimento al piano che accompagna la proposta di
concordato preventivo;
-quale debba essere l'interpretazione dell'aggettivo "regolare", dal
momento che esso può assumere il duplice significato sia di "secondo le
regole stabilite nell'accordo di ristrutturazione", sia di "secondo le regole
contrattuali previste negli originari titoli costitutivi dei crediti".
Il terzo ed ultimo capitolo è dedicato al tema del "controllo" che il
giudice è tenuto a svolgere in merito alla relazione del professionista:
l'art. 182-bis, 4° comma l. fall. si limita laconicamente a stabilire che "il
Tribunale, decise le opposizioni, procede all'omologazione in camera di
consiglio con decreto motivato", senza precisare quali accertamenti il
Tribunale debba espletare nell'ambito del prodedimento di omologazione
dell'accordo. Di conseguenza sia la dottrina che la giurisprudenza si sono
"divise" tra coloro che sostengono che il giudice debba limitarsi ad un
controllo di legalità incentrato sulla coerenza e completezza logico-
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argomentativa della relazione e coloro che, invece, sostengono che il
giudice debba esaminare anche il merito dell'accordo di ristrutturazione
poichè dalla lettura della norma non si evince alcuna limitazione al
sindacato giurisdizionale. Infine è stato esaminato un decreto del
Tribunale di Roma che ha negato l'omologazione di un accordo di
ristrutturazione del debito (finalizzato alla prosecuzione dell'attività
d'impresa) a causa della "carenza logico-argomentativa della relazione
attestativa, viziata da una insuperabile insufficienza motivazionale".
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CAPITOLO PRIMO
La relazione del professionista sull'attuabilità dell'accordo
1.1 I NUOVI REQUISITI PER LA NOMINA DEL
PROFESSIONISTA
La composizione negoziale della crisi d'impresa, favorita dalla recente
riforma fallimentare, ha indubbiamente esaltato il ruolo del
professionista che con la sua competenza è chiamato a fornire un
contributo giuridico-aziendalistico decisivo per il superamento delle
difficoltà economiche e finanziarie che coinvolgono l'imprenditore: il
legislatore ha affidato la tutela degli interessi del ceto creditorio
all'esperienza ed alla professionalità di un singolo soggetto, il cui
compito è quello di esprimere un giudizio motivato ed analitico
sull'attuabilità dell'accordo di ristrutturazione, con particolare riferimento
alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori
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estranei.
Prima del "decreto correttivo" della riforma fallimentare (d. lgs. 12
settembre 2007, n. 169, entrato in vigore dal 1° gennaio 2008), il 1°
comma dell'art. 182-bis l. fall. stabiliva che la relazione sull'attuabilità
1
L. MANDRIOLI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l. fall., in Il Fallimento,
2010, pag. 614. Con riferimento ai creditori c.d. "estranei" è opportuno precisare che essi sono i
creditori che volontariamente hanno deciso di non aderire all'accordo ("dissenzienti") ed i creditori
che non sono stati invitati ad aderire allo stesso o che comunque non ne siano venuti a conoscenza
("esclusi").
dell'accordo di ristrutturazione fosse redatta da un "esperto", senza
indicare alcuno specifico requisito professionale di cui quest'ultimo
dovesse essere dotato: si riteneva, quindi, che l'incarico potesse essere
affidato non solo a dottori commercialisti ed esperti contabili, ma anche
a qualsiasi soggetto "esperto" nell'ambito delle crisi d'impresa e/o delle
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ristrutturazioni aziendali.
Il legislatore del decreto correttivo, in accoglimento delle osservazioni
del Senato e della dottrina prevalente, ha rimediato a tale vuoto
normativo, uniformando i requisiti e le caratteristiche professionali che
deve possedere il soggetto chiamato ad attestare di volta in volta la
ragionevolezza del piano di risanamento (art. 67, 3° comma, lett. d) l.
fall.), l'attuabilità dell'accordo di ristrutturazione (art. 182-bis, 1° comma
l. fall.), ovvero la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano che
accompagna la proposta di concordato preventivo (art.161, 3° comma l.
fall): ora infatti si richiede che si tratti di un "professionista" iscritto nel
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Registro dei revisori contabili (ora revisori "legali") e nell'Albo degli
2
E. FRASCAROLI SANTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, PADOVA, 2009, pag. 144, la
quale richiama U. DE CRESCIENZO, L. PANZANI, Il nuovo diritto fallimentare, MILANO, 2005,
pag. 66.
3
Il D. Lgs. 27 gennaio 2010, n.39, entrato in vigore lo scorso 7 aprile, ha profondamente innovato la
disciplina della figura del revisore: è stata introdotta la figura del "revisore legale dei conti annuali e
dei conti consolidati" in sostituzione del tradizionale "revisore contabile", pertanto anche il succitato
Registro ha assunto la nuova denominazione di "Registro dei revisori legali". Per ulteriori
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avvocati o dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, con la
possibilità che l'incarico possa essere affidato anche ad uno studio
professionale associato o ad una società tra professionisti, purchè i soci
di queste ultime appartengano alle categorie professionali di cui sopra e
che, all'atto dell'accettazione dell'incarico, sia specificamente indicata la
persona fisica responsabile della relazione sull'attuabilità dell'accordo. Il
professionista quindi dovrà essere un revisore "legale" che eserciti la
professione di avvocato o commercialista, o una società professionale
costituita fra i suddetti soggetti.
L'introduzione di tale novità è stata ovviamente accolta con favore dal
Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili
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(CNDCEC), il quale nella Circolare n. 3/IR del 23 giugno 2008 ne ha
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evidenziato i molteplici aspetti positivi:
-sotto il profilo della perizia e della formazione del professionista, dal
momento che la duplice iscrizione assicura all'attestatore specifiche
competenze nelle materie relative al diritto societario e alle crisi
d'impresa, all'amministrazione e all'organizzazione aziendale;
approfondimenti sul decreto in esame, si rinvia al sito internet dell'Istituto Nazionale Revisori Legali
(INRL): www.revisori.it.
4
Disponibile sul sito www.cndcec.it.
5
L. MANDRIOLI, La relazione del professionista nel piano di risanamento stragiudiziale attestato,
in Le procedure concorsuali nel nuovo diritto fallimentare, a cura di A. CAIAFA, TORINO, 2009,
pag. 640-641.
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-dal punto di vista della professionalità, in quanto l'iscrizione all'albo si
consegue con il superamento di un esame di Stato finalizzato
all'accertamento del possesso di conoscenze teoriche e pratiche nelle
materie giuridiche e aziendali;
-sotto l'aspetto della correttezza professionale, stante la sottoposizione
dei soggetti iscritti agli albi alla vigilanza di enti pubblici, quali sono per
l'appunto gli ordini professionali, ed al rispetto di "precipue regole
deontologiche che ne uniformano l'agire nell'ottica del decoro e della
dignità della professione di appartenenza, così come sancito dall'art.
2229 del Codice civile".
Come emerge dalle disposizioni normative, ai fini dell'individuazione
dei requisiti per la nomina del professionista, assume rilevanza centrale
l'art. 67, 3° comma, lett. d) l. fall.: difatti gli artt. 161, 3° comma, e 182-
bis, 1° comma l. fall., operano un rinvio alla succitata norma,
prescrivendo che si tratti di "un professionista in possesso dei requisiti di
cui all'art. 67, 3° comma, lett. d)". A sua volta quest'ultima disposizione
fa riferimento ad "un professionista iscritto nel Registro dei revisori
contabili e che abbia i requisiti previsti dall'art. 28, lett. a) e b) l. fall.".
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L'art. 28, lett. a) e b) l. fall., in tema di requisiti per la nomina a curatore
fallimentare, stabilisce che possono essere chiamati a svolgere tale
funzione:
a)avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e ragionieri commercialisti;
b)studi professionali associati o società tra professionisti, sempre che i
soci delle stesse, oltre ad essere revisori contabili, abbiano i requisiti
professionali di cui sopra, dal momento che all'atto dell'accettazione
dell'incarico, dovrà essere designata la persona fisica responsabile della
procedura.
Il mancato richiamo alla lett. c) del sopra menzionato art. 28 l. fall.
esclude che possano essere nominati, in qualità di "attestatore", coloro
che abbiano svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in
società per azioni dando prova di adeguate capacità imprenditoriali.
Resta il "nodo" delle società tra professionisti, più che delle associazioni
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professionali: quanto a queste ultime, la Circolare n. 3/IR del 23 giugno
2008 sopra citata ritiene che esse non abbiano una vera e propria
soggettività giuridica e che, pertanto, i requisiti di iscrizione all'Albo
6
S. FORTUNATO, La responsabilità civile del professionista nei piani di sistemazione delle crisi
d'impresa, in Il Fallimento, 2009, pag. 889.
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professionale ed al Registro dei revisori contabili debbano e possano far
capo al singolo associato cui viene in concreto affidato l'incarico.
Quanto alle società tra professionisti, la circolare sposa la tesi secondo
cui l'incarico affidato alla società in quanto tale presuppone che tutti i
soci, e non il solo socio investito in concreto dell'esecuzione della
prestazione, debbano godere del doppio requisito dell'iscrizione all'Albo
professionale ed al Registro dei revisori contabili: ad oggi l'unica società
tra professionisti espressamente disciplinata e che rispecchia
integralmente quest'ultimo requisito è la società fra avvocati.
1.1.1 IL PROBLEMA DELL'INDIPENDENZA DEL
PROFESSIONISTA
In merito all'individuazione del soggetto legittimato alla nomina del
professionista sia l'Istituto di ricerca dei dottori commercialisti e degli
esperti contabili sia gran parte della giurisprudenza ritengono che tale
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