I castra romani della Britannia: tipi e strutture
importanti città dell' isola durante tutto il corso della storia fino ai giorni nostri. Torrette di
avvistamento e segnalazione, fortini per piccoli distaccamenti di servizio, "milecastles" per
il controllo del Vallum Adriano, "Saxon Shores" a protezione delle coste dagli assalti dei
Sassoni, sono solo alcuni dei differenti tipi edilizi che si possono identificare tra le strutture
militari della Britannia.
Una doverosa limitazione si è imposta nel tentativo di concentrare l' analisi del presente
studio alle postazioni destinate per prolungati periodo di tempo ad intere unità militari,
legionarie o ausiliarie che fossero.
In latino il campo fortificato è designato dal semplice nome di CASTRA, quale che sia la
sua dimensione, ma non esiste altra parola per uno stabilimento di grandi dimensioni, cioè
capace di accogliere tutta una legione. Le fortezze si distinguevano considerevolmente dai
fortilizi abitati solamente per pochi mesi, quali potevano essere i castra estiva per le armate
impegnate in azioni di campagna o i castra hiberna costruiti per acquartierare le unità
durante i mesi invernali, anche per la presenza di strutture abitative e di sevizio di notevole
dimensione.
Abbiamo quindi escluso dalla nostra trattazione tutte quelle postazioni prive di strutture
difensive ed abitative a carattere permanente, nonché gli esempi di accampamenti
temporanei, che sono numerosissimi in tutte le regioni del territorio, sebbene siano
comunque tenuti in considerazione in quanto elemento costitutivo della presenza militare
romana e poiché tramite i quali molto spesso è possibile identificare le stesse direzioni di
avanzamento delle colonne in marcia durante le principali manovre di invasione. Queste
strutture del resto non presentavano nessuna costruzione abitativa permanente poiché i
soldati erano soliti riposare sub pellibus, nelle stesse tende che si portavano appresso,
differenziandosi così in maniera sostanziale dai forti in questione.
Nemmeno i fortini limitanei dislocati regolarmente lungo il Vallo Adriano, i cosiddetti
"milecastles", rientrano nella nostra trattazione, nonostante fossero muniti di opere
difensive in muratura e abitazioni stabili. Il loro ruolo e la loro conformazione differiscono
totalmente dagli stessi forti ausiliari che vi erano frapposti e la loro analisi, per essere
adeguata, richiederebbe uno studio per dimensione ed impegno almeno pari a questo.
Con ciò comunque non si è voluto escludere il significato di queste importantissime
costruzioni di frontiera, che ebbero implicazioni sull' intero sistema politico-militare e
altresì ci hanno fornito uno svariato numero di forti permanenti per le guarnigioni collocate
a guardia del confine.
Basi navali, fortificazioni cittadine e stazioni di posta fortificate sono state per gli stessi
motivi escluse da questa indagine, senza comunque privarci di una adeguata quantità di
materiale su cui lavorare.
I castra romani della Britannia: tipi e strutture
Se la costante presenza di frontiere ancora aperte ebbe come diretta conseguenza la
massiccia presenza e opera dell' esercito, d' altra parte ha permesso agli studiosi moderni di
avere a disposizione esempi di fortificazioni che si distribuiscono uniformemente lungo
tutto l' arco cronologico compreso tra l' arrivo delle armate di Claudio nel 44 d.C. e la fine
dell' dominio romano dell' isola ed oltre, senza soluzione di continuità, potendo così seguire
la completa evoluzione delle tecniche e delle armi da guerra nell' antichità romano-
imperiale.
Come grossi cambiamenti si ebbero in questo lungo arco di tempo nella civiltà artistica e
nel progresso tecnico, così rilevanti cambiamenti si ebbero anche nei sistemi di
fortificazione, che dalle standardizzate fisionomie a "playing card" dell' età giulio-claudia
evolsero fino alle possenti fortificazioni costiere dell' età tardo-imperiale. Queste ultime
differivano enormemente dai più classici castra romani sia in fisionomia che in ruolo,
arrivando ad avere in comune con gli accampamenti rettangolari solamente il ruolo
militare.
Nelle fortificazioni romane infatti contemporaneamente alla evoluzione tecnica, attenta ad
adeguarsi alle sempre più affinate tecniche di guerra e alla maggior potenza delle armi, si
ebbe una parallela evoluzione tattica che le portò da un ruolo prettamente logistico e di
acquartieramento a funzioni di vera e propria roccaforte, per sostenere gli assalti sempre
più capaci delle orde barbariche. Se nel I sec.d.C. la potenza dell' esercito romano non
aveva pari e poteva permettere alle proprie armate di affrontare sempre in campo aperto gli
eserciti nemici senza la necessità di ulteriori protezioni, con il progressivo declino di Roma
anche i soldati dovettero cercare riparo entro le mura, per difendersi dalle ormai
soverchianti forze del nemico.
Le strutture di difesa si fecero sempre più importanti e imponenti per resistere ai nuovi
colpi di artiglieria a cui vennero sempre più spesso sottoposte; i nemici, del resto, non
furono sempre gli stessi e i Brigantes del I sec.d.C. lasciarono il posto ai più temibili
Sassoni provenienti dal mare.
Oltre a ciò non si può non tenere in considerazione la storia politico-sociale dell' intero
impero, le cui ripercussioni si fecero sentire anche in questo angolo dell' Europa. I
contraccolpi militari subiti nelle regioni balcaniche ed asiatiche a partire dalla metà del II
sec.d.C. costrinsero gli imperatori a sottrarre mezzi e uomini dai relativamente più
tranquilli confini britannici, con il conseguente riassestamento delle frontiere e delle
infrastrutture.
Una limitazione cronologica si è dunque imposta anche per il presente studio, che si è
concentrato sui primi due secoli di storia della Britannia romana. L' età dei Severi
rappresenta infatti per molti aspetti, e in particolar modo per quello militare, l' ultimo
anello di una catena evolutiva che era strettamente collegata alle strutture del primo
impero. Con la riorganizzazione dell' esercito voluta da Settimio Severo e con la
I castra romani della Britannia: tipi e strutture
maturazione della crisi militare e sociale iniziata con le guerre marcomanniche pochissimi
anni prima, i concetti strategici e tattici, che per molti versi si erano fossilizzati su
convinzioni e metodologie dell' età dei giulio-claudii, dovettero essere profondamente
rivisti e sostanziali cambiamenti mutarono tutto il mondo militare antico.
In questo è già evidente come sia difficile schematizzare tipologie che non poterono
prefissarsi su parametri universali, ma dovettero rispondere alle mutevoli situazioni tattiche
e strategiche che si susseguirono nel corso dei decenni. Se anche così fosse, la variabile
cronologica non dovette essere il solo fattore caratterizzante.
I.A. Richmond nel suo articolo "Roman Britain and Roman Military Antiquities" apparso
nel 1955 per primo pose l' ipotesi che esistesse una qualche possibilità di classificare i forti,
compresi tra una misura di 0.1-10 ha., rapportandoli ai diversi tipi di guarnigione
conosciuti per l' esercito dei primi secoli della nostra era. Unico parametro di Richmond fu
il tipo di guarnigione, che a suo avviso doveva determinare un particolare tipo di
costruzione.
I risultati archeologici di oggi hanno messo in evidenza come la tipologia dei resti fornisca
delle differenziazioni che vanno ben oltre le sole sei unità di cui era formato l' esercito alto-
imperiale e la distinzione dello studioso inglese, seppur ancora valida, è fortemente
incompleta.
Molti di più dovettero essere i parametri di riferimento e i fattori caratterizzanti nella
costruzione dei forti permanenti, la cui identificazione però non è sempre facile.
Il lungo arco cronologico da noi considerato, sebbene contraddistinto da una generale
omogeneità di concetti e soluzioni strategiche, è stato in continua evoluzione e, seppur non
arrivando ai risultati rivoluzionari della fine del III sec.d.C. (da noi volutamente presi come
limite alla nostra indagine), ha evidenziato nel tempo peculiari caratteristiche cronologiche.
Le irregolari forme degli accampamenti dell' età augustea e tiberiana trovarono una
maggior uniformità durante il principato dei primi imperatori giulio-claudii, per arrivare
pressoché a standardizzarsi con l' età dei Flavi. La Britannia fu solo parzialmente
interessata da questa iniziale trasformazione e mantenne in tutti i suoi campi una uniforme
linea di tendenza salvo sviluppare, in accordo con la generale evoluzione architettonica
dell' impero, piccoli ma costanti accorgimenti.
Oltretutto una evidente diversificazione dovette essere imposta dal molteplice ruolo a cui le
numerose postazioni furono assegnate.
Le prime forze d' invasione, costituite da straordinari assembramenti di corpi legionari e
ausiliari, richiedevano strutture idonee a contenere il maggior numero di soldati,
consentendo di mantenere una velocità di spostamento e di manovra adeguata. Basi a
carattere semi-permanente di ampia dimensione, la cui costruzione non doveva costituire
un ulteriore sforzo e affaticamento per le unità impegnate in logoranti azioni di conquista,
I castra romani della Britannia: tipi e strutture
dovevano rispondere meglio alle loro esigenze che non le potenti, ma altrettanto statiche e
onerose, fortezze legionarie, adibite al semplice alloggiamento nei momenti di pace.
La necessità di controllare un territorio contraddistinto spesso da strette e impervie vallate
trovava una migliore risposta nella disposizione capillare di più piccoli forti destinati a
contenere singole unità ausiliarie, più limitate ma più versatili e rapide. L' esercito romano
faceva molto affidamento sulla funzionalità di questi particolari contingenti, che spesso
mantenevano spiccate caratteristiche tattiche e funzionali. In Britannia, forse più che in
altri settori, l' organizzazione bellica sembra essersi appoggiata a una sistemazione
gangliare di guarnigioni di questo tipo, le cui piccole dimensioni e la cui rapidità di
movimento giocarono un ruolo fondamentale nel controllo delle alture della Midlands e
delle Highlands scozzesi.
Roma inoltre, sebbene con il passare del tempo si rese sempre più disponibile ad utilizzare
piccole vexillationes dai componenti misti legionari e ausiliari (la cui sistemazione entro i
forti comunque rimaneva generalmente ben demarcata), ebbe sempre una certa riluttanza a
mescolare i due contingenti; la motivazione, al di là di concetti strategici o tattici, la si
ritrova forse nelle di "fredde" dichiarazioni di Agricola all' indomani della vittoria a Mons
Graphius, vittoria ottenuta con le truppe ausiliarie e senza versare una goccia di sangue
romano (Agr. 35-38).
Una prima distinzione sostanziale risulta quindi da alcune caratteristiche funzionali e
gerarchiche, che ci permettono di costituire una prima griglia schematica dagli elementi
sicuramente definiti.
Le grandi fortezze destinate a contenere una intera legione, seppur rapportabili per
moltissimi versi alle più piccole postazioni ausiliarie, sono da queste chiaramente
distinguibili e non solamente per un fattore puramente gerarchico. La necessità di ospitare
un numero infinitamente più grande di uomini e mezzi comportava soluzioni costruttive
differenti: una superficie interna quasi dieci volte più ampia, la fornitura di diverse
infrastrutture oltre che dimensioni e quantità evidentemente moltiplicate. Di pari passo
anche il loro ruolo strategico dovette differire, ricalcando quello che le unità svolgevano
nel panorama militare romano.
Per certi versi sono loro comparabili le particolari fortificazioni (che a seguito dei recenti
scavi stanno ritornando alla luce sempre più frequentemente) utilizzate nei primissimi anni
dell' invasione da parte dei diversi corpi d' armata (vexillationes) che si inoltravano mano a
mano nei territori centrali delle Lowlands, delinendosi come una tipologia a sé stante,
difficilmente riscontrabile nelle altre parti dell' impero. Questa classe tipologica, destinata
a truppe miste di legionari e ausiliari, è caratterizzata principalmente da ampie dimensioni,
che si inseriscono quasi come un tassello tra le più grandi fortezze legionarie e i più piccoli
forti ausiliari. Purtroppo non si possono fare ulteriori analisi strutturali, considerata la
I castra romani della Britannia: tipi e strutture
relativa rarità degli esemplari e il loro studio estremamente lacunoso. Solamente la
"vexillatio fortress" a Longthorpe è stata fatta oggetto di scavo, più di venti anni fa, e i
parametri allora definiti oggi non sembrano più adeguati. In mancanza di ulteriori
chiarificazioni ci è parso legittimo costituirne una sezione a sé stante, per l' impossibilità di
assimilarla sia alle fortezze legionarie sia ai forti ausiliari, da cui differisce per
caratteristiche morfologiche, cronologiche e funzionali.
Queste ultime in particolar modo determinano ulteriori parametri distintivi all' interno dell'
amplissima gamma dei forti ausiliari. Maggiormente versatili e funzionali vennero
distribuiti nell' insieme del territorio per ottemperare alle più diverse necessità del sistema
militare e politico. Lo spiccato ruolo "romanizzante" svolto dall' esercito in tutte le
provincie dell' impero ne determinava non solamente compiti di conquista o difesa dei
territori, ma anche i più svariati incarichi logistici: dal controllo e manutenzione dei
collegamenti viari, allo sfruttamento delle risorse minerarie. La stessa fabbricazione dei
materiali e dei mezzi bellici era a carico del genio militare, che dovette organizzare alcuni
grossi impianti di produzione all' interno delle proprie strutture.
Sia pur in maniera spesso più ipotetica che reale, la Britannia ha in alcuni casi permesso di
identificare alcune di queste strutture, localizzate in determinati punti del territorio o del
sistema fortificato per meglio svolgere le loro attività "industriali". Tra queste si possono
forse comprendere le stesse costruzioni utilizzate come base di appoggio in occasione di
importanti manovre offensive ("supply bases"), che non sono comunque ancora sufficienti
a delineare totalmente lo schema da noi ricercato.
Soluzioni particolari dovettero essere ricercate per i forti posti a cavallo del Muro Adriano
e di quello Antonino, il cui inserimento nell' insieme del sistema limitaneo comportava
esigenze e situazioni evidentemente uniche. La Britannia ha conservato alcuni "tipi" di
frontiera che ricalcano le diverse metodologie tattiche che si susseguirono nel corso dei
secoli. Non è intenzione di questo studio analizzarli nel loro insieme, ma non è possibile
trascurare l' applicazione che in essi ebbero i metodi di acquartieramento delle singole
unità nella dimensione dei forti ausiliari che ne fecero parte, a cominciare dalla "Stanegate
Frontier" costituita da Traiano fino alla successiva evoluzione nelle più possenti barriere
del II sec.d.C.
In tutto questo insieme di circostanze risulta evidente che le variabili applicate alla
costruzione dei singoli forti siano oltremodo molteplici e soprattutto compresenti nelle
singole applicazioni. Dal loro assommarsi risulta estremamente difficile ottenere due
risultati identici, se non addirittura simili, poiché le stesse condizioni molto difficilmente
potevano ripetersi in più luoghi.
E' parso quindi preferibile partire dallo sviluppo dei diversi "fattori caratterizzanti" per
arrivare ad evidenziare le diverse soluzioni che vennero adottate dagli architetti militari
I castra romani della Britannia: tipi e strutture
romani nei singoli siti. Si è potuto identificare in alcuni casi specifiche categorie cercando,
dove possibile, di non creare con essi dei "compartimenti stagni", che evidentemente non
fornirebbero l' interpretazione adeguata alle singole applicazioni. Nella pianificazione di
ogni forte infatti la rilevanza di ognuno dei fattori può essere più o meno dominante, ma
sicuramente mai esclusivo, dandone come risultato un prodotto che non può essere quasi
mai preso a modello per una singola classe.
In questo comunque ci è parso opportuno premettere una più generale quanto evidente
distinzione tra alcune tipologie maggiori, che ha inteso separare le fortezze legionarie dai
più piccoli forti ausiliari e dalla intermedie basi costruite per acquartierare le varie
vexillationes, sulla base di una distinzione non solamente dimensionale, quanto anch' essa
frutto di più e concomitanti fattori, il cui prodotto rappresenta soluzioni sufficientemente
differenti per poter essere analizzate separatamente.
Attenti studi ed analisi sono stati intrapresi da numerosissimi studiosi inglesi e non, che
forse meglio e più di altri sono sembrati attenti a questo particolare ramo dell' archeologia
romana.
Da oltre un secolo il "Journal of Antiquaries" si occupa delle scoperte archeologiche sul
suolo delle "Corona", parallelamente alla pubblicazione annuale di "Britannia", il registro
degli studi archeologici sempre attento ad aggiornare sulle ultime scoperte ed
interpretazioni.
La presenza di importanti Università ha oltremodo facilitato lo studio delle antichità
classiche: annuali pubblicazioni dell' Università di Oxford, Cambridge, Edimburgo e di
moltissimi altri centri di studio minori sono utilizzate da tutti gli studiosi del mondo.
Forse collegato al loro lavoro di recupero, forse per un singolare gioco della sorte, la
presenza e il mantenimento di strutture uniche quali sono quelle del Vallum Adriano e
Antonino permettono agli appassionati di ricerche militari di avere un terreno di
applicazione senza pari. Gli studi effettuati su questi resti sono innumerevoli e molto
accurato: D. J. Breeze e B. Dobson per oltre trent' anni se ne sono occupati e dalle loro
analisi si sono potuti chiarire i molteplici risvolti che portarono alla loro costruzione in
questa regione e altri simili in altre parti dell' impero.
Ugualmente importanti sono i lavori effettuati da R.G. Collingwood, da I. Richmond, e da
S.S. Frere e J.K.S. St. Joseph dall' inizio degli anni '50: questi ultimi hanno approntato
minuziose ricognizioni aeree su tutto il territorio, fonti delle principali localizzazioni di
complessi fortificati, che molto spesso non hanno lasciato alcuna traccia rilevabile da terra.
Le regioni delle Highlands scozzesi, dove la popolazione è ancora relativamente scarsa, si
sono mostrate particolarmente adatte a questo tipo di ispezione e vi è stata localizzata la
maggior parte dei resti, a differenza delle Lowlands inglesi dove la massiccia opera edilizia
moderna ha ormai reso praticamente impossibile ulteriori importanti indagini.
I castra romani della Britannia: tipi e strutture
L' utilizzo dell' informatica ha recentemente permesso di condurre facilmente analisi
statistiche e planimetriche un tempo estremamente complicate. Applicazioni metriche al
computer sono state fatte da vari studiosi, tra cui M.W.C. Hassall e C.V. Walthew, a cui
dobbiamo le più approfondite analisi metrologiche applicate ai complessi fortificati.
Ma se da un lato il loro puntiglioso lavoro ha permesso il recupero di un ingentissimo
quantitativo di materiale, dall' altro non è ancora riuscito a chiarire molti punti sulla
questione, aprendo altresì altrettanti interrogativi.
Molto scarse sono le possibilità di ulteriori scavi nelle principali fortezze legionarie, in
molti casi occultate definitivamente dalle città moderne che si sono sviluppate sullo stesso
luogo, e molti dettagli strutturali al loro interno sono ancora oscuri. La quasi totale perdita
delle prime strutture costruite nel settore sud orientale dell' isola non ci permette di chiarire
i primissimi momenti dell' invasione e gli accorgimenti tattici utilizzati dalle armate in
avanzamento verso Ovest. Al riguardo bisogna dire che comunque già particolarmente
ricca di dati è la storiografia degli anni immediatamente successivi che, se relativamente
poco si è potuta appoggiare alle fonti antiche, molto ha potuto recuperare proprio grazie all'
interpretazione delle opere fortificate.
Nonostante ciò ancora numerosissimi i siti che, sebbene conosciuti e localizzati da tempo,
non sono ancora stati sottoposti ad accurate indagini: la particolare categoria delle
"vexillatio fortresses" è stata per molto tempo "dimenticata" e il continuo ritrovamento di
strutture analoghe richiede urgenti scavi programmati per permettere ulteriori
interpretazioni.
In tutto ciò comunque non si può non riconoscere l' imponente lavoro svolto dagli
archeologi nel campo delle strutture militari romane nella Britannia, che forse come nessun
altro settore dell' impero ha permesso di interpretare l' affascinante apparato bellico di
Roma antica.
I castra romani della Britannia: tipi e strutture
- INTRODUZIONE -
- Evoluzione generale del sistema strategico e costruttivo fino all' età dei Severi -
Tra le società civilizzate le prime opere di fortificazione vennero costruite non appena si
stabilirono le prime differenziazioni di proprietà, a difesa dei propri beni e delle proprie
terre. Non appena i piccoli nuclei tribali si svilupparono in agglomerati più ampi, la
necessità di proteggere le città, gli stati, diede vita a complessi fortificati di dimensioni e
consistenza sempre maggiori, nei quali archeologi e storici possono ritrovare oltre
cinquanta secoli di avvenimenti, considerato che in moltissimi casi ne rappresentano le
tracce più evidenti ed affascinanti.
Per oltre dieci secoli i Romani sentirono la necessità di costruire fortificazioni più o meno
possenti a difesa delle loro città e del loro impero, che proprio con un primo solco difensivo
aveva avuto inizio se è vero, come ci narra Livio, che Remo venne ucciso dal fratello per
aver osato attraversare il muro che delimitava la futura città sul Palatino.
Una prima enorme barriera in terra, subito sostituita dalle mura Serviane in pietra nel IV
sec.a.C., circondò i sette colli che avrebbero costituito Roma; il muro, fronteggiato da un
fossato largo oltre 29 mt. e profondo 9 mt. era la risposta al sacco della città dovuto ai Galli
nel 386 a.C. e la protesse per quasi tre secoli. Annibale dovette rinunciare all' assedio della
capitale e nessun esercito straniero sarebbe riuscito ad attraversarle per quasi un millennio.
Durante il periodo repubblicano gli eserciti assorbirono ed elaborarono le tecniche e le
costruzioni utilizzate precedentemente degli eserciti ellenistici. I tradizionali accampamenti
costruiti alla fine di una giornata di marcia per difendersi da eventuali attacchi notturni,
ereditati dalla più lontana tradizione italica, furono alla base dell' evoluzione che portò, nel
corso degli ultimi secoli prima della nascita di Cristo, alla creazione di strutture sempre più
raffinate, che trovavano nel legno e nella terra i materiali più idonei. Occasionalmente si
fece uso della pietra, come a Masada, in condizioni particolari dove una costruzione
standard era impedita dalle difficoltà che il territorio imponeva.
Sull' origine di questi primi castra Livio (XXXV,14.8) e più tardi Frontino (IV,1.14) ci
informano che i generali romani furono ispirati dalle strutture utilizzate tra le file dell'
esercito di Pyrro alla vigilia della battaglia di Maleventus (275 a.C.). Plutarco (Pyr. XVI.5)
è pronto a confermare la notizia, mentre Polibio (VI.27-42) ci fornisce per primo una
accurata descrizione della sistemazione data dai soldati romani alle proprie fortificazioni,
sebbene attribuisca ad un' influenza greca le modifiche apportate alle loro primitive
I castra romani della Britannia: tipi e strutture
tecniche belliche. Lo storico greco dovette riconoscere come i Romani furono molto abili
nell' adattare le tecniche straniere alle loro esigenze: se per i Greci la ricerca di "difese
naturali" era uno dei fattori determinanti nel posizionamento e nella conformazione dei loro
accampamenti, il profilo orografico molto più dolce e ampio delle pianure e delle coste
italiane costrinse i Romani a fare maggior affidamento nelle proprie strutture fortificate,
adeguandole alle diverse condizioni. Livio (X.25.7-10) diversamente attribuisce al genio
italico la standardizzazione di un preciso modello, che i generali avrebbero "copiato" dalla
originaria conformazione delle prime colonie lungo il litorale laziale, primo vero punto
fortificato del nascente impero.
L' influenza delle colonie sulla struttura degli accampamenti, o viceversa, è una questione
ancora aperta ed impegna non pochi studiosi, mentre la mancanza di dati archeologici non
ci consente di arrivare ad alcuna conclusione inconfutabile, nel tentativo di stabilire quanto
dell' eredità italica ed etrusca sopravvisse in queste strutture e quanto invece influì la
civiltà greca.
I critici moderni hanno spesso evidenziato che la sicurezza garantita dai primi "marching
camps" non era commensurabile all' enorme sforzo necessario per costruirlo dopo un
giorno di cammino, poiché la mobilità dell' esercito veniva fortemente ridotta da questa
logorante "routine". Probabilmente più modeste fortificazioni in terra sarebbero state
sufficienti a frenare l' urto di una carica di cavalleria e uno spazio di sessanta piedi tra il
ramparo e la prima fila di tende era più che efficace nel togliere i soldati dal pericolo di un
lancio di frecce nemiche (Luttwak E. 1981 pg.81). Tuttavia sarebbe un errore sottovalutare
l' utilità tattica tipica dell' accampamento mobile, che costituì la premessa ai più stabili
forti.
Se ci concentriamo inoltre sugli aspetti strutturali è possibile constatare come già la forma
dei primi castra fosse dettata da specifiche necessità tattiche. Il campo doveva essere
costruito in un tempo molto breve, con un dispendio minimo di energie, avendole
consumate fortemente durante una giornata di marcia. Particolari attenzioni dovevano
essere riposte nella preparazione del sito. Alberi e arbusti erano un ostacolo alla
distribuzione delle strutture e un' evidente limitazione alla visibilità sul territorio limitrofo;
per contro la loro rimozione forniva il legno da costruzione.
Lo sgombero del terreno doveva protrarsi per parecchie decine di metri oltre i limiti del
campo, per permettere una ottima visibilità e togliere al nemico una qualunque possibilità
di riparo. In alcuni casi era necessario anche il livellamento del terreno, per aggiustare
eventuali anomalie: a Bowness fu gettato un pesante strato di argilla bianca (Daniels C.
1989 pg.19-20), mentre a Birdoswald fu necessario drenare il terreno paludoso con lunghe
canalizzazioni (Johnson A. 1983 pg.38).
I castra romani della Britannia: tipi e strutture
Secondo Polibio il campo repubblicano era adatto a contenere due legioni complete e i
relativi alleati (in tutto 18.600 uomini), ma dal I sec.d.C. diventò comune destinare una sola
unità entro un singolo sito.
Il campo di Polibio è quadrato con i lati di 2017 piedi romani (circa 605 mt.), circondato da
un fossato e da un ramparo in terra e zolle sormontato da una palizzata in legno (Hist. VI
20-40). I mensores erano soliti piazzare una bandiera bianca nel punto scelto per costruire
il pretorium e da questo sito si provvedeva a delimitare gli spazi per le altre strutture. In
fronte al pretorium venivano collocate le tende dei 12 tribuni (6 ogni legione) e tre strade
principali determinavano la conformazione dell' assetto viario: la Via Principalis, larga 100
piedi, transitava in fronte alle tende degli ufficiali collegando i due accessi laterali;
parallela a questa era la Via Quintana con una larghezza all' incirca dimezzata;
perpendicolare invece era la Via Pretoria, larga 50 piedi, e divideva lo spazio sulla fronte
del pretorio in due porzioni. Polibio ci informa che la principale unità di combattimento nel
II sec.a.C. era il "manipolo", costituito dalle tre linee di hastati, princeps e triarii che
mantenevano la stessa conformazione anche negli alloggi, dove i cavalieri occupavano lo
spazio adiacente la strada centrale, dietro loro i triarii, poi i princeps e infine gli hastati.
All' esterno, vicino al ramparo, venivano disposte le tende delle truppe ausiliarie.
Al centro del campo, ai lati del pretorium, vi era un questorium e il forum che era
fiancheggiato dalle tende degli extraordinarii equites, dello stato maggiore e della guardia
del generale. Alle loro spalle rimaneva lo spazio per alloggiare le truppe irregolari che
accompagnavano l' armata in azione. Tutto attorno al campo, tra le tende e il terrapieno
rimaneva uno spazio sgombro di circa 200 piedi romani (60 mt.), l' intervallum, per
contenere eventuali bagagli, cavalli e per togliere dalla portata nemica le tende dei soldati.
Le entrate e gli accessi al ramparo dovevano permettere ai difensori di disporsi
rapidamente lungo tutto il perimetro: questo con le sue linee rette, minimizzava al massimo
il numero di uomini necessari all' opera di sorveglianza consentendo al grosso dell' armata
di essere sempre disponibile per altri incarichi.
La più particolareggiata descrizione di un forte romano ci è stata tramandata da Igino, che
in un manuale del II sec.d.C., il De munitionibus castrorum, ha analizzato tutte le singole
parti di un ideale complesso fortificato. Il forte di Igino, disegnato per tre legioni e relative
forze ausiliarie (circa 40.000 uomini), era rettangolare con gli angoli arrotondati per una
misura complessiva di 2320 x 1620 piedi romani (696 x 486 mt.). Il campo era circondato
da un fossato largo almeno 1.5 mt. e profondo 0.9 mt. con un ramparo in terra o pietra di
2.4 mt. e alto 1.8 mt. provvisto eventualmente di difese addizionali quali tituli. La Via
Principalis, larga 60 piedi romani, correva trasversalmente al recinto unendo le due porte
laterali, la Porta Principalis Sinistra e la Porta Principalis Dextra, mentre dalle altre due
porte poste sui lati anteriore e posteriore si dipartivano la Via Pretoria e la Via Decumana.
Una spazio di circa 720 x 180 piedi era riservato al centro del forte all' alloggio del
I castra romani della Britannia: tipi e strutture
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comandante (pretorium) affacciato sulla Via Principalis. Quest' ultima assieme alla Via
Quintana divideva il campo in tre settori: la porzione centrale (latera pretorii), che
comprendeva il pretorium, l' auguratorium per i sacrifici religiosi, il tribunal, le tende delle
truppe pretoriane e della guardia del comandante nonché le tende della prima coorte e i
vexillarii di una delle legioni presenti; la parte frontale (pretentura) con le tende dei tribuni
ed eventuali scholae, il valetudinarium, il veterinarium per i cavalli e fabricae. La parte
posteriore (retentura) conteneva il questorium per il prefectus castrorum e per le celle di
eventuali prigionieri, truppe ausiliarie e legionarie disposte lungo l' intervallum, largo 60
piedi romani. All' interno, tra le via maggiori, si distribuivano una serie di strade minori
(viae vicinariae) larghe 20 piedi con un andamento perpendicolare.
La tipologia dei forti romani è dunque il frutto di un lungo cammino evolutivo che arriverà
a standardizzarsi solamente nella metà del I sec.d.C. Purtroppo pochissime testimonianze
- Il campo di Igino -
I castra romani della Britannia: tipi e strutture
ci sono rimaste dei campi di età repubblicana; solamente la Spagna ci ha lasciato una serie
di fortificazioni erette durante le manovre di assedio della città di Numantia. I resti
appartengono ad accampamenti e a postazioni sia invernali che estive, tra le quali si è
potuto studiare la disposizione in almeno tre siti: a Renieblas, Castillejo e Peña Redonda.
Tutti e tre adattarono il loro profilo alla conformazione delle colline su cui poggiano,
derivandone forme estremamente irregolari. All' interno le strutture si sono conservate
solamente in pochi frammenti, ma pare evidente che le baracche, già costituite da indistinte
file di contubernia, preferirono alla disposizione a "manipolo", con i blocchi affacciati su
una strada mediana raggruppati in hemistrigia rettangolari, sistemarsi su tre lati di uno
spiazzo quadrato. Solamente a Peña Redonda e nelle baracche della fanteria a Castillejo si
provvide a disporle in file parallele in blocchi rettangolari (Johnson A. 1983 fig.171). Al
contrario i granai presentano già la loro classica fisionomia rettangolare, sostenuta da muri
contraffortati e da sostruzioni poste sotto il pavimento.
Il forte di Cáceres, sempre in Spagna, è il primo esempio di perimetro rettangolare secondo
il modello di Polibio e venne costruito in occasione delle campagne di Metello nel 79 a.C.:
fu difeso da un muro in pietra e da due fossati perimetrali con profilo "V-shape", al cui
interno le strade dividevano lo spazio in tre parti, con il pretorium posto alla congiunzione
delle due maggiori. Ma nel contemporaneo campo di Renieblas V le baracche mantennero
ancora la disposizione lungo tre lati di una piazza quadrata, nonostante gli alloggi dei
tribuni avessero già assunto la conformazione tipica dell' età imperiale (Jones M. 1975
pg.10-12).
Del I sec. a. C. non ci rimane alcuna testimonianza. Sebbene Cesare fu molto attento a
lasciarci accurate descrizioni delle proprie opere militari, non ce ne è rimasta che qualche
scarsissima traccia in complessi anomali, come quelli costruiti ad Alesia e Gergovia.
Solamente un "marching camp" è stato identificato presso Mauchamp e presenta una forma
che si avvicina di più alla classica fisionomia rettangolare con gli angoli arrotondati, ma
con un lato leggermente ricurvo.
Solamente con Augusto si arrivò a costruire postazioni permanenti di una certa consistenza
e le prime testimonianze localizzate lungo il Reno risalgono a questo periodo. Poche di
queste però chiariscono nei dettagli le strutture militari dei campi e per tutte ci sono seri
problemi di datazione (Jones M. 1975). In questo momento comunque la fisionomia esterna
era ancora lasciata libera di adattarsi al rilievo, delimitata da un fossato con profilo "V-
shape" e da un ramparo che solo in alcuni casi venne rivestito con tronchi. Quando è
possibile riconoscere la planimetria interna questa mostra una disposizione regolare, con la
Via Principalis disposta lungo l' asse maggiore e l' alloggio del comandante compreso nei
principia (come a Rödgen) o indipendente (come nella fortezza legionaria di Haltern). Da
questo periodo le baracche assunsero indistintamente la fisionomia standard, determinata in
I castra romani della Britannia: tipi e strutture
hemistrigia rettangolari, e frequentemente arrangiate "back to back". La più antica fortezza
legionaria che è stata ritrovata in Europa è quella di Dangstetten, lungo il confine renano,
costruita nel 15 a.C. per acquartierare almeno due legioni. Non se ne conosce il profilo
preciso, ma le fortezze di Haltern e di Oberaden di pochi anni successive mantenevano
ancora un profilo irregolare, sebbene la disposizione interna si fosse già standardizzata su
un sistema perpendicolare. A Haltern la base conteneva 18 ha. di terreno, ai quali ne
vennero aggiunti altri 2 ha. sul fianco E.: all' interno le strutture mostrano varie e ampie
ricostruzioni, ma è possibile riconoscere come il pretorium si fosse ormai distinto
definitivamente dai principia, ponendosi alle loro spalle. Le strutture comprendevano già
una grande fabrica con forma a "courtyard" e un valetudinarium con i reparti distribuiti
attorno ad una corte centrale (Johnson A. 1838 fig. 176).
La storia delle fortificazioni in Britannia comincia solamente a questo punto, con il
principato di Claudio, quando il profilo perimetrale sembra potesse assumere ancora varie
conformazioni, adattandosi nel miglior modo possibile al rilievo topografico. La
disposizione interna invece si era già stabilizzata molto precocemente in uno schema fisso,
che prevedeva un' ampia strada a forma di "T" a percorrere il centro del campo in direzione
della zona riservata al pretorium, lungo la quale si montavano le tende.
Con il principato dei Flavi il sistema di dominio dei territori dell' impero subì un brusco
cambiamento. La nuova strategia relativa alla difesa di confine richiese un colossale
investimento di mezzi e di uomini: su ogni settore del limes vennero iniziate opere
limitanee che prevedevano forti, fortini, strade e torri di avvistamento, che venivano più e
più volte ricostruite a seconda delle mutate condizioni politiche. Queste colossali
costruzioni, sebbene apparentemente inutili e troppo onerose, rispondevano ad una precisa
strategia di controllo che tendeva a limitare i pericoli "a bassa intensità", soprattutto
infiltrazioni di sconfinamento e incursioni periferiche, senza avere nessuna pretesa nel
fornire una protezione assoluta contro attacchi su larga scala (Luttwak E.1981 pg.90-92).
Le nuove strutture difensive, e in particolar modo i forti legionari e ausiliari, servivano
come base di appoggio per le forze mobili di attacco, che preferivano operare seguendo
una tattica di offesa contro attacchi nemici su larga scala. Mentre contro i pericoli endemici
e di minore entità venivano impiegate strutture di difesa fisse quali forti e fortini, che
permettevano di limitare al massimo il numero di uomini impiegati, i pericoli più gravi
venivano affrontati con truppe mobili concentrate e inviate in avanscoperta ad intercettare
o a "disattivare" gli attacchi nemici, per le quali si provvedeva a costruire basi semi-
permanenti di straordinaria ampiezza.
In Britannia questa soluzione strategica è facilmente osservabile nell' utilizzo che i generali
romani fecero di ampie fortificazioni semi-permanenti, le cosiddette "vexillatio fortresses",
che vennero costruite per alloggiare i grossi corpi d' armata allestiti unificando varie unità
in occasione delle grandi manovre offensive nell' Inghilterra centrale e nel Galles. La
I castra romani della Britannia: tipi e strutture
costruzione di basi permanenti destinate ad accogliere intere legioni rappresentò una
seconda fase operativa, allorché la situazione politica fu contrassegnata da una maggiore
stabilità e dalla necessità di far stazionare in questi territori le truppe impegnate in una
sempre più prolungata politica di consolidamento.
Durante questa fase dell' epoca imperiale quindi il metodo militare operativo nella difesa di
confine contro i pericoli "ad alta intensità", quali invasioni in forze e rivolte su larga scala,
era basato sulla mobilità e sull' offesa, non sulla staticità: il combattimento doveva avvenire
oltre i confini, non all' interno. In altre parole il sistema di fortificazioni fisse costruite
lungo il limes britannico serviva solamente come infrastruttura di appoggio per le
operazioni offensive in caso di attacchi su larga scala; in quel momento infatti esse non
erano strutturate per proteggere le guarnigioni impiegate in quel settore, ma solo per
assicurare loro un punto di appoggio (Luttwak E. 1981).
In base a questo sistema i forti ausiliari vennero spesso piazzati in posizione molto arretrata
rispetto la linea di frontiera, che a sua volta era definita solamente da torri di avvistamento
e di controllo nonché da forti di avamposto, dal momento che non esistevano ancora linee
di barriera vere e proprie. Anche le basi legionarie vennero sistemate nelle retrovie, in
posizioni da cui potessero giungere facilmente ai territori di frontiera, qualora se ne
presentasse la necessità.
Un grosso cambiamento si ebbe con la nuova strategia adottata da Traiano, che fu invece
una reminiscenza del metodo augusteo di trattenere la minaccia nemica in un' area mentre
si predisponeva un attacco in un altro settore dell' impero. Traiano mosse due campagne
nei Balcani, motivo per il quale cercò di stabilizzare le altre frontiere occidentali. In
termini di fortificazioni questo diede un forte impulso all' utilizzo di soluzioni tecniche
nuove, per adeguarsi alla volontà di stabilizzare il sistema: in Britannia ciò si concretizzò
soprattutto nella ricerca di materiali nuovi, che permettessero di rafforzare le strutture per
poterne ridurre le guarnigioni.
Per creare la propria armata offensiva l' imperatore sottrasse al contingente britannico una
della quattro legioni, la legio IX Hispana che non venne più rimpiazzata, creando forti
scompensi nella distribuzione sul territorio a cui si cercò di rimediare con accorgimenti
tattici supplementari. Se alcuni fronti dovettero essere avanzati, altri vennero
definitivamente fissati e le guarnigioni suddivise in più numerose e piccole postazioni.
Questo nuovo sistema strategico trovò applicazione particolarmente lungo le difese
settentrionali, allorché fu necessario abbandonare ulteriori velleità nei riguardi dei territori
della Scozia Settentrionale.